Rassegna stampa 24 aprile

 

Padova: detenuto 48enne s’impicca in cella con un lenzuolo

 

Il Gazzettino, 24 aprile 2007

 

Lo hanno trovato impiccato con un lenzuolo. Uno dei tanti morti dietro le sbarre, ma non uno qualsiasi. Pietro Mongiovì, quarantottenne, figura di spicco della mafia agrigentina, era stato arrestato un anno fa con l’accusa di essere stato tra gli esecutori materiali di un duplice omicidio. Assieme a lui erano finite in manette altre undici persone tra le quali Giuseppe Salvatore Vaccaro, trentasettenne imprenditore edile domiciliato a Piove di Sacco. Mongiovì si era pentito e aveva deciso di collaborare con la giustizia. Ieri mattina, però, si è tolto la vita nel carcere di via Due Palazzi.

Il blitz era scattato all’alba del 10 maggio dello scorso anno e vi avevano partecipato i carabinieri di Padova, Agrigento e Pisa, nonché i reparti speciali dell’Arma di Palermo e i militari del Genio Guastatori. Tra i reati contestati, oltre all’associazione di stampo mafioso, il concorso in omicidio, il traffico di droga, l’estorsione, il favoreggiamento della latitanza di affiliati all’organizzazione criminale, la turbativa di gare d’appalto legate ad opere pubbliche con imposizione di subappalti e mano d’opera.

Tra gli arrestati c’era, appunto, anche Giuseppe Salvatore Vaccaro, trentasettenne di Sant’Angelo Muxaro, domiciliato a Piove di Sacco in via Ugo Foscolo 14/4, imprenditore edile. L’operazione, battezzata "Sicania", era la conclusione di una lunga e laboriosa indagine coordinata dai pubblici ministeri Annamaria Palma e Costantino De Robbio della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. I provvedimenti di custodia cautelare in carcere portavano la firma del giudice Gioacchino Scaduto.

Quel giorno era stato colpito il cuore delle cosche che operavano nell’hinterland agrigentino - tra Sant’Angelo Muxaro, Santa Elisabetta, Casteltermini, Aragona e Porto Empedocle - che avevano come punto di riferimento Salvatore Fragapane, già capo della commissione provinciale di Cosa Nostra, condannato all’ergastolo.

Tutto era partito nel gennaio 1999, dalle indagini sull’omicidio dell’imprenditore Vincenzo Vaccaro Notte. Un anno dopo anche al fratello Salvatore era toccata la stessa sorte. I due delitti, secondo gli investigatori, andavano inquadrati nell’ambito degli "assestamenti" dei clan mafiosi agrigentini pesantemente colpiti dalle inchieste giudiziarie su Cosa Nostra.

Dopo quasi cinque anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, arricchite dalle dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia, gli inquirenti erano riusciti a ricostruire il nuovo organigramma delle cosche, attribuendo a ciascun affiliato responsabilità specifiche in ordine ad una miriade di reati contro la persona e il patrimonio.

Tra i latitanti che avevano goduto della protezione degli "amici" figuravano anche Gerlandino Messina, considerato tra i killer più feroci dei clan agrigentini, e Luigi Putrone, catturato quattro anni fa a Praga, coinvolto nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bimbo di 11 anni figlio del pentito Santino, strangolato da Giovanni Brusca e poi sciolto nell’acido. Di quella "famiglia" di Sant’Angelo Muxaro, Pietro Mongiovì era ritenuto uno dei capi ma dopo essersi pentito da pochi mesi aveva deciso di collaborare con la giustizia. L’altra notte, però, ha deciso di togliersi la vita stringendosi al collo un lenzuolo.

 

Il Dossier

 

Negli ultimi sette anni dietro le sbarre sono morti almeno 1106 detenuti, 390 dei quali per suicidio. Nel solo gennaio 2007 sono stati sei, cinque per malattia e uno per incidente i decessi all’interno delle carceri italiane. Gli ultimi due casi si sono registrati a febbraio. Un dato allarmante diffuso da Ristretti Orizzonti, il sito dei detenuti del Due Palazzi, che in un dossier ha messo in luce le morti, spesso sospette, che si verificano ormai troppo spesso tra le mura degli istituti penitenziari.

Intanto però in carcere continua a morire una percentuale allarmante di detenuti. Il dossier racconta come il 2007 si sia aperto tragicamente. Il primo caso è stato quello del sessantenne Sergio Pegoraro, dietro le sbarre da 12 anni per omicidio, trovato morto per infarto nella sua cella della Casa di reclusione di Padova il 6 gennaio. Tra i dati del 2006 e quelli del 2007 c’è di mezzo l’indulto, che ha fatto uscire dalle carceri più di un terzo dei reclusi.

Però il dato sulle morti ha fatto registrare un calo ben più vistoso (emblematici i "soli" 2 suicidi avvenuti nei primi mesi del 2007, a fronte dei 16 avvenuti nello stesso periodo del 2006). "Almeno tre i motivi - tutti in qualche modo legati all’indulto - che, secondo noi - si legge nel dossier -, hanno consentito questa diminuzione: i detenuti liberati con l’indulto erano per la maggior parte condannati a pene brevi. L’indulto ha ridato un po’ di speranza anche tutti i detenuti che sono rimasti dentro. Grazie al fatto che i detenuti sono di meno, in molti più casi gli agenti di polizia penitenziaria riescono a intervenire e a salvare in extremis i detenuti che accusano dei malori, o che cercano di uccidersi".

Giustizia: Prc; donne in carcere, un dramma senza limiti

 

Roma One, 24 aprile 2007

 

Condizioni carcerarie spesso anticostituzionali, strutture precarie, presenza nelle celle di madri e figli. Il Prc lancia l’allarme: "I casi di autolesionismo non sono atti dimostrativi. Si intervenga".

I capigruppo Prc di Camera e Senato, Gennaro Migliore e Giovanni Russo Spena, la deputata Maria Luisa Boccia, insieme con la coordinatrice di Antigone Susanna Marietti, l’assessore al Bilancio del Lazio, Luigi Nieri e l’assessore comunale alle Politiche delle periferie, Dante Pomponi, hanno fatto visita alla sezione femminile del carcere romano di Rebibbia, dove nei giorni scorsi è morta suicida una giovane tossicodipendente.

La delegazione si è mossa per cercare di sensibilizzare il governo e l’opinione pubblica al problema carcere. Il dramma umano di chi si trova rinchiuso è già, di per sé, di enormi proporzioni, senza che vi si aggiungano una serie di ulteriori problematiche, purtroppo presenti nel sistema carcerario italiano. La condizione carceraria è infatti spesso contraria a quella che indica la Costituzione e aggravata dalle precarie condizioni delle strutture, per non parlare della presenza nelle celle di bambini, figli di quelle madri recluse che non hanno altra soluzione se non portare la prole con sé.

"C’è stato un suicidio - ha detto la signora Boccia - e altre detenute hanno tentato di uccidersi. Si diffondono casi di autolesionismo e molte volte non vengono presi sul serio perché considerati atti dimostrativi. Occorre ragionare ancora di più su questo tema".

Il tema della condizione delle donne detenute e dei loro figli piccoli in carcere è stato tra i più segnalati dai componenti la delegazione. "I bambini non devono stare in carcere - ha aggiunto Boccia, alla quale si sono associati tutti gli altri - È disumano che ciò accada. C’è a Roma una cella con 5 donne-madri e sei bambini".

Per Susanna Marietti, di Antigone, il problema è che le detenute donne sono gestite come gli uomini. "Abbiamo proposto - ha detto la coordinatrice - la creazione di una unità amministrativa separata per le donne che valuti due specificità: la loro bassa pericolosità sociale e il ruolo che hanno nella stessa società".

La delegazione ha affrontato anche il tema dell’indulto: "Non c’è alcun procurato allarme - ha detto Migliore - i tassi di recidiva sono bassi e questo ha determinato condizioni di maggiore vivibilità nelle strutture".

"Si poteva comunque fare di più - ha aggiunto Giovanni Russo Spena - con una maggiore capacità di innovazione e coraggio sugli aspetti della vita carceraria. L’occasione può essere quella di sperimentare un nuovo regolamento carcerario e completare l’iter di due riforme importanti, quali la legge sulle tossicodipendenze e quella sull’immigrazione".

Il ruolo degli enti locali è stato poi sottolineato dai due assessori che hanno partecipato alla visita: "Ci sono le condizioni per potere lavorare bene - ha detto Nieri - Occorre accelerare il lavoro per creare provvedimenti che cambino il trend odierno che vede andare in galera chi invece dovrebbe non andarci. Ieri è partita la discussione sulla legge regionale sulle carceri; ora passerà in commissione e poi in consiglio, si deve fare presto nelle decisioni".

"Lo sforzo importante - ha aggiunto Pomponi - è costruire un percorso di accompagnamento dei detenuti all’esterno delle carceri. Non bisogna aspettare che il detenuto esca per interessarsi a lui, tutto deve nascere già dentro le strutture di pena. L’impegno preso è quello di utilizzare un milione di euro stanziati dal comune e aggiungerli al milione e mezzo di finanziamenti attivati dal ministero dopo l’indulto per costruire un percorso concreto a sostegno delle imprese che assumono ex detenuti e degli stessi ex detenuti per consentire loro di fare imprese".

Giustizia: parte progetto su tirocini lavorativi per 2 mila indultati

 

Redattore Sociale, 24 aprile 2007

 

Iniziativa promossa dal ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, in accordo con il ministero della Giustizia. Previsto il rafforzamento di una rete di servizi per l’accoglienza e l’inserimento sociale.

Lavorare dopo il carcere. È questo l’obiettivo principale del progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" promosso dal ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, in accordo con il ministero della Giustizia. Il progetto è stato presentato oggi nella sede del ministero del Lavoro con una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche i responsabili di "Italia Lavoro" a cui è stata affidata la realizzazione pratica del progetto stesso.

Il progetto si basa sulla ricerca di soluzioni lavorative che possano permettere il reingresso nella società di 2000 ex detenuti che hanno beneficiato del provvedimento dell’indulto (legge n. 241 del 2006) e che sono residenti in 14 aree metropolitane. I metodi e gli strumenti che saranno usati per questo sono gli stessi che vengono usati nell’ambito delle normali politiche per il lavoro: dai servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, alle misure di sostegno al reddito. Vengono previsti comunque soprattutto tirocini formativi che siano in grado di valorizzare le competenze, le capacità e le aspirazioni professionali dei beneficiari. I destinatari del progetto sono appunto 2000 ex detenuti che hanno definitivamente risolto il loro rapporto con l’amministrazione penitenziaria e che siano residenti o domiciliati nelle 14 aree scelte per la sperimentazione: Torino, Milano, Venezia, Genova, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Tutti gli interventi sono realizzati in stretta sinergia con le Regioni i Comuni le strutture dell’amministrazione penitenziaria, i consorzi della cooperazione sociale, le associazioni dei datori di lavoro e i servizi territoriali dell’associazionismo.

In particolare il progetto di reinserimento degli ex detenuti prevede il rafforzamento di una rete di servizi per l’accoglienza e l’inserimento sociale, favorendo tutte le sinergie possibili tra i diversi soggetti coinvolti. Viene prevista una selezione tra i 2000 indultati (tramite gli sportelli dei servizi territoriali per l’impiego) per poter accedere a tirocini formativi della durata di 6 mesi. Si terrà conto, nella selezione, del livello professionale, delle attitudini e aspirazioni, oltre che più in generale del fabbisogno occupazionale dei singoli territori coinvolti nel progetto. Per quanto riguarda i trasferimenti monetari, sono previste misure di sostegno al reddito che potranno arrivare al massimo a 450 euro al mese per tutta la durata dei tirocini professionali. Inoltre - per cercare di convincere le aziende ad assumere o comunque a stipulare contratti con gli ex detenuti - sono previsti incentivi economici. Le aziende riceveranno un contributo di 1000 euro per tutte le attività di formazione per contratti di assunzione a tempo determinato di 12 mesi. Se una impresa decidesse si assumere un ex detenuto prima della fine del tirocinio, i contributi mensili che sarebbero andati al lavoratore-tirocinante andrebbero all’azienda stessa.

Giustizia: Marzio Barbagli; l’Italia è sempre un paese che perdona

 

Il Gazzettino, 24 aprile 2007

 

Parla Marzio Barbagli, criminologo e sociologo a Bologna, che tocca anche l’argomento indulto: "Il messaggio? Non esiste alcuna certezza della pena". "È una nostra costante, l’Italia è per il perdono". Secondo lo studioso ormai la gente ha capito che la punizione estrema "non è uno strumento democratico né utile contro la criminalità".

Lo scenario proposto dal sondaggio a Nordest, coincide perfettamente con i dati che riguardano tutto il Paese. L’Italia è una terra in cui, anche nei momenti più critici per la sicurezza dei cittadini, non si è mai manifestato un radicato sentimento a favore della pena di morte. E le percentuali di coloro che sono favorevoli alla punizione estrema continuano a diminuire. Marzio Barbagli, docente di sociologia all’Università di Bologna e criminologo, entra così nell’indagine Demos di questa settimana e aggiunge: Quando si parla di pena di morte la nostra penisola è di gran lunga più evoluta rispetto ad altri Paesi dell’Occidente.

 

Perché, secondo lei, l’Italia emerge nel panorama internazionale quando si parla di indulgenza?

È una costante del nostro territorio. Gli italiani sono da sempre maggiormente inclini al perdono e ad un atteggiamento meno sanzionatorio. Anche in periodi storici di profonda crisi nell’ordine pubblico, la curva dei favorevoli alla pena di morte ha continuato a scendere.

 

Solo nel 2002, come si rileva nel sondaggio, veneti e friulani hanno espresso maggior severità.

Sì, ma l’incremento del 2 per cento non cambia certo la realtà. Si tratta di una variazione debole che non conta nel quadro complessivo. Ciò che vale, invece, è che negli ultimi dieci anni il Nordest ha proseguito, senza troppi indugi, nel credere che la pena di morte non sia uno strumento né democratico, né utile per sconfiggere la criminalità.

 

Iniezioni letali e sedia elettrica, però, appartengono anche a terre simbolo dell’Occidente democratico.

Gli Stati Uniti. Certo. Comunque è evidente che anche lì le cose dovranno cambiare. Parliamo di un processo di evoluzione lento, ma inesorabile. Si criticano sempre più spesso realtà in cui vige la pena di morte, sostenendo che i tassi relativi al crimine sono altissimi e in aumento. Altri, però, ribattono: chissà cosa accadrebbe senza tale spettro.

Esiste ormai un’ampia e credibile letteratura scientifica a conferma di quanto la pena di morte non sia un efficiente metodo di lotta nei confronti della criminalità. Ci sono prove fondate che tale condanna non sia davvero un sistema adeguato a ristabilire ordine e sicurezza.

 

Nel sondaggio, tra simpatizzanti di centrodestra e centrosinistra, appare evidente la divergenza di opinioni.

E non c’è da stupirsi. A colpire, invece, è che stando ad altre indagini, pure una parte dell’elettorato di centrosinistra esprime consensi a proposito di punizioni estrema. Mi riferisco ad una frangia di Rifondazione comunista. La spiegazione, probabilmente, sta nel fatto che esiste una tradizione di pensiero votata ad essere meno liberal e meno morbida rispetto al resto dello schieramento.

 

Prevede che la curva discendente del Nordest favorevole alla pena di morte possa invertire la rotta?

Impossibile, direi. E a contribuire a tale tendenza contro la punizione estrema c’è l’aumento del livello di istruzione. Insomma, è chiaro, che più alto è il livello di educazione scolastica, più elevato è anche il sentimento di contrarietà alla condanna finale.

 

Più istruiti, più indulgenti, dunque?

La conoscenza consente di essere attrezzati e consapevoli nell’analisi di qualsiasi situazione. E, quindi, anche quando si parla di pena di morte. Poi, però, quando si considera la realtà del nostro Paese non si può trascurare il fattore religioso. L’essere cattolici è sicuramente determinante nella costruzione dell’approccio avverso alla condanna a morte.

 

Italia modello di civiltà e di fede. Tanto inclini al perdono da arrivare all’indulto.

E qui non posso che sottolineare l’errore commesso dai nostri amministratori lo scorso anno. Parlo di centrodestra e centrosinistra. Hanno mandato un segnale profondamente negativo a chi ha intenzione di delinquere. Il messaggio? Non esiste alcuna certezza sulla pena. Una casualità della sorte che non contribuisce certo a fare del bene in un Paese de democratico che vuole sconfiggere il male.

Polizia Penitenziaria in Uepe: Cnvg; sospendere sperimentazione

 

Redattore Sociale, 24 aprile 2007

 

Il presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, Claudio Messina, critica il provvedimento che prevede di utilizzare agenti come controllori dei detenuti in semilibertà o affidamento.

Il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Claudio Messina, a nome dei circa 8.000 volontari rappresentati dalla Cnvg, esprime serie perplessità e forte preoccupazione in merito al decreto con cui il Ministro della Giustizia si accinge a istituire, in via sperimentale, commissariati di polizia penitenziaria presso alcuni Uffici per l’esecuzione penale esterna.

Se è vero che la trentennale esperienza dei Centri servizi sociali Adulti Cssa - divenuti Uepe con la legge Meduri 154/2006 - ha dimostrato la validità indiscussa delle misure alternative alla detenzione nell’abbattere notevolmente la recidiva dei condannati e quindi la necessità di incrementare tali misure, non si capisce perché si voglia intensificare il controllo di polizia già ampiamente svolto dalle forze dell’ordine. La funzione di controllo, rispetto a quella di assistenza sociale, rischia così di diventare essenzialmente sanzionatoria di comportamenti, anche non gravi, dovuti alle obiettive difficoltà che la persona semilibera o affidata incontra nel dover sottostare ad obblighi restrittivi, pur senza commettere reati.

Si teme che la militarizzazione del servizio di controllo possa né più né meno ricalcare il modello carcere, ovvero determinare di fatto una dicotomia tra la direzione dell’ufficio e la polizia penitenziaria, che alla ricerca di modelli trattamentali più idonei ai singoli casi può drasticamente opporre ragioni di sicurezza, difficilmente contestabili, di fronte a un pregiudizio diffuso e a

un allarme sociale non sempre giustificato. Desta stupore soprattutto l’ampia discrezionalità che viene riconosciuta al direttore dell’Ufficio (art. 1, capo 2 del decreto) nel disporre controlli anche in assenza di specifiche prescrizioni da parte del magistrato o del tribunale di sorveglianza.

Infine, la professionalità dimostrata sinora dagli assistenti sociali - e che ha garantito il successo della stragrande maggioranza dei casi seguiti, come risulta dai dati statistici ufficiali - rischia d’infrangersi contro un prevedibile irrigidimento del servizio, anche se si parla di riqualificazione professionale degli agenti, sottratti fra l’altro agli istituti penitenziari dove si continua a lamentare carenza di organico.

A nostro avviso va assolutamente salvaguardata la norma costituzionale che incoraggia la rieducazione e il reinserimento, mettendo in discussione sistemi che non funzionano, come il carcere, piuttosto che stravolgere gli Uepe, la cui formula finora si è mostrata vincente. Chiediamo pertanto di sospendere la sperimentazione e di ripensare l’intera materia con l’apporto di tutte le parti in gioco, volontariato compreso.

Polizia Penitenziaria negli Uepe: Seac; siamo molto perplessi

 

Comunicato stampa, 24 aprile 2007

 

Il Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) desidera ribadire le proprie perplessità in merito alla sperimentazione relativa all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uepe.

Già dal nostro 38° Convegno nazionale sui 30 anni della riforma penitenziaria era uscita una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che ha modificato la denominazione dei "Centri di Servizio Sociale per Adulti" in "Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna". Chiaramente il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.

L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni.

Sono di recente pubblicazione ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del Dap che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali (la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?

Queste ricerche dicono che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in grande miglioramento. Le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Quindi, una strategia vincente. Sicuramente migliorabile, come tutto.

Noi riteniamo però che la presenza della Polizia Penitenziaria negli Uepe non costituisca un valore aggiunto alla riabilitazione, e introduca invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come "sociale" e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. L’elevata spesa di questa operazione potrebbe essere diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza come controllo sociale rischiano di risultare mera demagogia. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.

Le risorse andrebbero inoltre impiegate per rafforzare gli Uepe dotandoli degli organici necessari a garantire il miglioramento di efficienza di un servizio che ha accumulato negli anni esperienze consolidate di buone prassi di lavoro. Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.

Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino il carcere come unico medicamento ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli Opg). Le drammatiche cifre del sovraffollamento, deflazionate con l’approvazione dell’indulto, vanno prevenute nella loro recidiva: in assenza di politiche di riforma penale, è solo questione di tempo (non molto) affinché si ritorni all’invivibile ed illegale situazione precedente.

È quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. I dibattiti sui concetti di zero tolerance, sulla sicurezza e sul sovraffollamento delle carceri, oltre a ventilare soluzioni impossibili o realizzabili in tempi lunghissimi (come nel caso di nuovi istituti) stravolgono la questione portandola su un piano ideologico e demagogico; esistono già delle soluzioni migliori e i dato lo confermano; si tratta solo di praticarle.

Il passaggio dalla mera assistenza al riconoscimento dei diritti del soggetto è un presupposto ormai metabolizzato ed elaborato dal Volontariato penitenziario, la cui azione si ispira, oltre ad una visione globale della persona del condannato, ad una cultura di cittadinanza attiva senza la quale non si rendono possibili veri cambiamenti istituzionali.

Le nostre motivazioni all’impegno trovano sostanza nell’agire quotidiano, nell’incontro con le persone ristrette, nell’auspicio di una esecuzione penale efficace, nella fiducia che i processi di trasformazione annunciati (la decarcerizzazione della madri con figli, la riforma del Codice Penale, il superamento degli Opg, il passaggio alla sanità pubblica) non siano frenati da azioni involutive sul piano delle politiche penali, ma diventino pietre miliari indicatrici di strade di legalità e di giustizia.

 

Elisabetta Laganà, Presidente SEAC

(Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario)

Polizia Penitenziaria negli Uepe: Sappe; miope chi è contro

 

Redattore Sociale, 24 aprile 2007

 

Il sindacato contro la posizione di assistenti sociali e Fp-Cgil: "La Polizia Penitenziaria andrà a svolgere le stesse funzioni che oggi svolgono Polizia e Carabinieri, che così possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali".

"È davvero pretestuosa e incomprensibile la posizione espressa da alcuni assistenti sociali e addirittura da un Sindacato confederale della Polizia Penitenziaria contro la previsione di costituire Nuclei territoriali di Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’Esecuzione penale esterna (Uepe). Non comprendiamo queste resistenze a impiegare il Corpo attivamente nell’area delle misure alternative alla detenzione. La Polizia penitenziaria ha pieno titolo a svolgere questi importanti compiti e lo ha rimarcato con efficacia il Ministro Mastella nel suo intervento all’ultima Festa Nazionale dei Baschi Azzurri". Il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria, interviene nella polemica sollevata dagli assistenti sociali e dalla FP-Cgil circa il nuovo ruolo della polizia penitenziaria negli Uffici per l"esecuzione penale esterna (Uepe).

Secondo il Sappe, "se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale.

Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, aprendo la strada alle soluzioni che sono già allo studio della Commissione Pisapia per la riforma del codice penale. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene".

"Essere contro questo futuro professionale per il Corpo vuol dire essere miopi o in malafede, soprattutto chi dice che i poliziotti penitenziari negli Uepe debba fare solamente gli autisti, i centralinisti, gli uscieri - conclude il Sappe -. È superfluo soltanto specificarlo, ma la polizia penitenziaria negli Uepe andrà a svolgere esattamente le stesse funzioni che oggi svolgono Polizia e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione."

Lazio: la legge sui diritti dei detenuti arriva in aula il 3 maggio

 

Asca, 24 aprile 2007

 

La proposta di legge sui diritti della popolazione detenuta sarà discussa nell’Aula del Consiglio Regionale del Lazio giovedì 3 maggio alle ore 11.30 e non più mercoledì 2, come precedentemente stabilito. Lo spostamento di un giorno è stato deciso dai capigruppo e comunicato in Aula dal Presidente dell’Assemblea Massimo Pineschi, al termine della seduta straordinaria sulla sicurezza stradale. La proposta di legge sui detenuti è iscritta al primo punto dell’ordine del giorno del 3 maggio.

Volontariato: in maggio a Roma la IV Assemblea Nazionale

 

Comunicato Stampa, 24 aprile 2007

 

 

IV Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia "Percorsi di Giustizia, Codice Penale e inclusione sociale".

La IV assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia "Percorsi di Giustizia, Codice Penale e inclusione sociale" si svolgerà a Roma dal 17 al 19 maggio 2007, organizzata dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia (Cnvg) - la maggiore associazione italiana che riunisce organismi e gruppi attivi nel campo della giustizia, della tutela dei diritti e delle carceri, che conta oltre 8.000 volontari.

La IV Assemblea vuole essere un momento di riflessione tra i volontari, gli operatori e le istituzioni sull’esigenza di una organica riforma del sistema penale e penitenziario - come l’indulto ha evidenziato,- sull’allargamento delle misure alternative e la costruzione di una rete sociale che le renda possibili, sul ruolo del volontariato, testimone vigile di quanto avviene tra le istituzioni e il mondo del carcere.

Articolata su 3 giornate la IV Assemblea si aprirà giovedì 17 maggio alle ore 15 nell’Aula Magna di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre alla presenza del Magnifico Rettore Guido Fabiani, del Preside della Facoltà Luigi Moccia, del Presidente della Regione Piero Marrazzo, del Presidente della Provincia Enrico Gasbarra, del Sindaco Walter Veltroni, del Sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi e di altre autorità, con una discussione introduttiva su prevenzione dei reati, modifica del sistema sanzionatorio penale, su emarginazione e politiche di welfare.

Nella seconda giornata, venerdì 18 maggio, gruppi di lavoro a cui aderiranno esperti e volontari discuteranno su "Minori e giovani adulti", "Legislazione e pena", "Volontariato e sfide future", "Prevenzione e politiche sociali", "Misure alternative alla detenzione e rete di sostegno". Nella mattinata di Sabato 19 maggio, le conclusioni e le proposte dei gruppi di lavoro verranno esposte all’Assemblea, interverranno al Ministro della Giustizia Clemente Mastella, il Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, il Ministro della Salute Livia Turco e i Sottosegretari alla Giustizia Luigi Manconi e Daniela Melchiorre; concluderà i lavori il Presidente della Cnvg Claudio Messina.

 

Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Informazione: "Radio Carcere" è in edicola con "Il Riformista"

 

Comunicato Stampa, 24 aprile 2007

 

Domani, mercoledì 25 aprile, con Il Riformista troverete la pagina di Radio Carcere. In questo numero: Il disegno di legge sulle intercettazioni, approvato dalla Camera e in attesa di essere discusso dal Senato. Pubblicheremo il testo di alcune norme della riforma (l’art. 1 e 21).

Commenteranno le linee del ddl: Giovanni Buttarelli, Segretario generale dell’Autorità di Garanzia per la protezione dei dati personali; Marco Vassallo, avvocato penalista del foro di Venezia; Emile, misterioso editorialista di Radio Carcere.

Sul sito www.radiocarcere.com si possono votare i nuovi candidati al premio della Pantegana d’oro. I candidati sono: il Codacons, che non è una marca di preservativi, ma un’associazione che tutela i consumatori e tutela soprattutto se stessa autofinanziandosi con le costituzioni di parte civile. Purtroppo può accadere che i soldi ottenuti in questo modo vengono sottratti alle vere vittime; Livia Turco, Ministro della Salute, che di fronte all’indecenza dell’Opg di Aversa l’unica cosa che sembra aver fatto è dare una consulenza a Marco D’Alema, fratello di Massimo; l’avv. Paola Severino di Benedetto, professore di diritto penale (e non di procedura penale) all’Università "Luiss" di Roma, che nel corso della puntata di Porta a Porta del 26 marzo 2007 ha affermato: "la legge sancisce l’assoluta inutilizzabilità di intercettazioni che non riguardino comunque persone che non sono sotto indagine. Almeno uno dei due soggetti intercettati deve essere sotto indagine.". Purtroppo il codice di procedura penale prevede che non è necessario essere indagati per essere intercettati. Votate, votate, votate, su www.radiocarcere.com.

 

Riccardo Arena

Immigrazione: approvato dal governo il ddl "Amato-Ferrero"

 

www.stranieriinitalia.it, 24 aprile 2007

 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato stamattina il disegno di legge delega sull’immigrazione preparato dai ministri Amato e Ferrero. Il testo interviene su tutti gli aspetti legati all’ingresso e al soggiorno dei cittadini stranieri in Italia. Ecco le novità principali:

La programmazione dei flussi dovrà diventare triennale, con un "adeguamento annuale delle quote ad ulteriori e nuove esigenze del mercato del lavoro" un occhio di riguardo per colf e badanti, che potranno sfondare ("in un misura prefissata") il tetto numerico fissato dal governo se ci sono più richieste da parte dei datori di lavoro. Verranno rivisti anche gli ingressi fuori-quota, ad esempio per lavoratori specializzati, studiosi e manager, ritoccando "le procedure, le categorie e le tipologie" previste dall’articolo 27 del T.U.

Le rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, ma anche enti e organismi internazionali con sedi nei paesi d’origine degli immigrati e le autorità locali potranno gestire l’iscrizione a delle liste di collocamento "organizzate in base alle singole nazionalità". I lavoratori stranieri potranno accedervi in base al "grado di conoscenza della lingua italiana, dei titoli e della qualifica professionale posseduta". È prevista inoltre l’istituzione di un Banca dati interministeriale che raccolga le richieste di ingresso e le offerte di lavoro.

Parallelamente, tornerà anche lo sponsor, che potrà garantire economicamente per l’ingresso in Italia di chi, iscritto alle liste o alla banca dati di cui sopra, vuole cercare lavoro. Potranno fare da sponsor enti locali, associazioni datoriali, sindacati e patronati, ma anche privati cittadini o anche il diretto interessato, purché "sia in possesso di risorse finanziarie adeguate al periodo di permanenza" (auto-sponsorizzazione).

Il governo vuole sfoltire la burocrazia che pesa sull’immigrazione, semplificando innanzitutto il rilascio dei visti di ingresso, anche attraverso una "revisione della documentazione da esibire". Chi arriva in Italia non dovrà più firmare il contratto di soggiorno, ma a ridurre i suoi disagi saranno soprattutto gli interventi previsti sui permessi di soggiorno.

Innanzitutto, i permessi dureranno di più: un anno per chi ha un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata fino a sei mesi, due anni se il contratto è superiore a sei mesi e addirittura tre anni in presenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o autonomo. Inoltre con il rinnovo (per cui sono previste "forme di collaborazione con gli enti locali"), la durata verrà raddoppiata.

La delega vuole inoltre estendere la validità del permesso per ricerca di lavoro a un anno o finché durano gli ammortizzatori sociali e questo permesso potrà essere rinnovato se lo straniero ha adeguati mezzi di sussistenza. Potranno inoltre essere concessi permessi per motivi umanitari a chi "dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile".

Molti poi gli strumenti previsti dal ddl per il "pieno inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti" come la possibilità per chi è in Italia da cinque anni di lavorare nella Pubblica Amministrazione come se fosse un comunitario o l’accesso a tutte le provvidenza di assistenza sociale per chi è qui da due anni e per i minori iscritti sul suo permesso, o al riforma della disciplina per il riconoscimento dei titoli di studio. Verranno inoltre definite la figura e le funzioni dei mediatori culturali, "con particolare riguardo ai problemi delle seconde generazioni e delle donne".

Si vuole poi favorire l’inserimento dei minori stranieri, prevedendo che se quando fanno 18 anni sono ancora a carico dei genitori o di chi ne ha la tutela possano comunque ottenere un permesso per motivi familiari. Grande attenzione è riservata ai minori non accompagnati, che alla maggiore età potranno avere anche un permesso per lavoro se hanno partecipato a progetti di accoglienza e tutela. Questi ultimi saranno finanziati da un Fondo istituito presso il ministero della Società Sociale.

Il ddl riconosce anche l’elettorato attivo e passivo alle amministrative ai soggiornanti di lungo periodo, cioè ai cittadini stranieri che sono in Italia con un permesso di soggiorno da almeno cinque anni, che verrebbero così equiparati ai cittadini Ue. In questo modo si darebbe anche attuazione completa alla convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale.

Per rendere effettivi i rimpatri vengono introdotti "programmi di rimpatrio volontario e assistito" destinati non solo ai clandestini ma anche a chi, non espulso, non ha comunque i soldi per tornare a casa. Chi partecipa a questi programmi potrà tornare prima in Italia rispetto agli altri espulsi.

Verranno poi riviste le modalità di allontanamento in base alla gravità delle infrazioni e alla pericolosità del clandestino. Le competenze in materia vengono tolte ai giudici di pace e tornano a quelli ordinari.

Quanto ai Cpt, uno dei punti su cui è stato più difficile trovare un accordo all’interno della maggioranza, è prevista una diversificazione: strutture aperte, con un "congruo orario di uscita" i per chi collabora all’identificazione e strutture chiuse per chi non si fa identificare, ma all’interno delle quali si potrà comunque rimanere per un periodo inferiore ai 60 giorni previsti oggi. I detenuti verranno invece identificati in carcere, senza passare per i Cpt.

I tempi, comunque, non sono brevi. Entro un anno dall’entrata in vigore della legge delega (e l’ opposizione già annuncia battaglia in Parlamento), il governo dovrà emanare un decreto legislativo per modificare il testo unico sull’Immigrazione. Quando questo entrerà in vigore, avrà un altro anno per emanare un secondo decreto per coordinare le nuove norme con quelle già esistenti, e due anni per adottare "disposizioni correttive e integrative".

Immigrazione: Amato-Ferrero, cercasi fondi per la nuova legge

 

Corriere della Sera, 24 aprile 2007

 

Sul testo del ddl Amato-Ferrero, la riforma della legge Bossi-Fini sull’immigrazione che oggi approda in consiglio dei ministri, ci sono ancora interrogativi posti da almeno tre ministeri. L’Economia vuole vederci chiaro sulla copertura finanziaria di una legge delega capace di ampliare la platea dei soggetti che, a partire dal 2008, potrebbero usufruire degli ammortizzatori sociali e dell’assistenza sanitaria. Gli Esteri ancora non hanno digerito le "liste di collocamento" che dovrebbero essere gestite da ambasciate e consolati e, ora, ci si è messa anche la Difesa che rivendica un ruolo per i carabinieri nei comitati territoriali per l’immigrazione affidati alle cure dei questori.

Lo sponsor - Inoltre, il ministro Di Pietro non ha mai nascosto il suo scetticismo sull’auto-sponsor: ovvero quel meccanismo, pericolosissimo se non addirittura criminogeno secondo alcuni, che permetterebbe all’extracomunitario ben dotato di denaro di essere l’imprenditore di se stesso anche al momento di chiedere il permesso di soggiorno.

Tutto questo rende incerto il varo entro la giornata odierna della riforma che intende cancellare molti dei paletti introdotti dalla Bossi-Fini. La discussione in consiglio dei ministri non sarà breve, anche perché l’iter parlamentare che attende il ddl delega è tutto in salita.

Ieri, l’argomento immigrazione ha riacceso un duello a distanza tra l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il segretario dei Ds, Piero Fassino. "Valuteremo, ma se il prodotto finale non andrà bene annuncio che sì farà il referendum abrogativo", ha minacciato l’esponente di Forza Italia. Fassino gli ha risposto così: "Mi sembra poco prudente evocare lo strumento del referendum perché quando il tema è così delicato è pericoloso scatenare campagne di carattere demagogico".

L’opposizione - Forza Italia, An e, ovviamente, la Lega non faranno sconti in Parlamento e questo induce governo e maggioranza a muoversi con estrema cautela. Tra i ministri che spingono per una rapida approvazione del ddl c’è sicuramente Paolo Ferrerò (Solidarietà sociale) che insiste nel voler dare un segnale di discontinuità con la passata legislatura guidata dalla Cdl: "Dopo un anno di governo vorrei ben sperare che la legge non venga rimandata, anche perché noi stiamo introducendo un meccanismo che farà emergere i clandestini senza variare i volumi dei flussi. Rendiamo legale quello che è illegale perché la Bossi-Fini, chiudendo la porta, ha costretto molti ad entrare dalla finestra".

La speranza di Amato - Invece, Giuliano Amato si attesta su una posizione di attesa: "Se il ddl sarà approvato domani (oggi, ndr) vorrà dire che i problemi di copertura sono stati superati. Noi proponenti realisticamente abbiamo collocato le maggiori spese che ne derivano nel 2008 e questo consente al ministero dell’Economia di prenderne atto ai fini della prossima Finanziaria". Tuttavia la spesa sanitaria più elevata e i maggiori oneri per gli ammortizzatori sociali, dovrebbero essere compensati dalle entrate derivanti dall’emersione del lavoro nero che oggi sfugge all’Inps e al fisco. Se poi la legge prevede corsie preferenziali per colf e manager, altri fondi serviranno per finanziare la gestione delle "liste di collocamento" all’estero e il fondo nazionale che incentiva i rimpatri volontari degli irregolari.

Svizzera: alcool e droghe causano danni permanenti al feto

 

Notiziario Aduc, 24 aprile 2007

 

Organi genitali maschili più piccoli della norma, tendenza ad accumulare chili di troppo, ritardo mentale e disturbi psichici. Questi alcuni dei danni permanenti che il bebè rischia se la mamma consuma alcool o droga durante la gravidanza. A elencare i pericoli sono due studi coordinati dallo psichiatra infantile Hans-Christoph Steinhausen dell’università di Zurigo, pubblicati sul The Journal of Pediatric e sull’European Addiction Research. Si tratta dei primi risultati sugli effetti a lungo termine della dipendenza delle future madri da sostanze da abuso quali appunto alcolici o droghe.

Nella prima indagine, Steinhausen e colleghi hanno analizzato le conseguenze della dipendenza da alcol in gravidanza sui primi 20 anni di vita del bimbo. Dalle osservazioni emerge che, se alcuni difetti quali ad esempio le deformazioni del cranio e del viso si correggono da soli, altre anomalie restano indelebili.

I figli delle donne che bevono nei 9 mesi di attesa rimangono più piccoli della norma, e anche gli organi genitali maschili non raggiungono la grandezza standard. Le femmine, invece, hanno una maggiore probabilità di ingrassare. In generale, poi, anche lo sviluppo intellettuale e psichico può risultare alterato,avvertono gli autori in una nota. Fra questi bambini, infatti, si registra un tasso elevato di handicap psichici e di disturbi dell’attenzione e iperattività.

I ricercatori raccomandano quindi alle future mamme di non bere più di un bicchiere di vino al giorno. Quanto alla seconda ricerca, sulla dipendenza da droghe pesanti durante la maternità, il team di Steinhausen ha dimostrato che in età scolare i figli di queste donne hanno un’intelligenza inferiore alla media. Più la madre ha consumato eroina o metadone durante la gestazione e meno il suo bimbo dispone di intelligenza pratica.

Usa: riconosciuto innocente grazie al dna dopo 25 anni di carcere

 

Ansa, 24 aprile 2007

 

Un ex-cuoco dell’esercito che ha trascorso 25 anni in carcere per stupro è diventato oggi il 200/esimo condannato riconosciuto innocente negli Usa grazie ai progressi raggiunti nella tecnologia dei test dna.

Il riconoscimento della innocenza di Jerry Miller, un nero condannato nel 1982 per lo stupro di una donna in un parcheggio di Chicago sulla base delle testimonianze di due dipendenti, segna una pietra miliare nella battaglia combattuta dal gruppo "Innocence Project" per usare la nuova tecnologia del dna per smascherare le condanne ingiuste di numerosi detenuti non colpevoli.

La tecnologia era stata usata per la prima volta nel 1989 per ribaltare la prima condanna ingiusta. Nel giro di tredici anni, nel 2002, si è raggiunto il traguardo dei primi 100 condannati prosciolti grazie ai test dna. Nel giro di altri cinque anni si è giunti adesso a quota 200.

Nel caso di Miller i test hanno dimostrato che lo sperma dello stupratore non era il suo. Il condannato era stato scarcerato l’anno scorso, dopo avere scontato la condanna, ma aveva continuato a battersi per vedere riconosciuta la sua innocenza. Oggi un giudice a Chicago, su richiesta anche della accusa, ha riconosciuto che la condanna era stata un errore di giustizia.

 

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