Rassegna stampa 31 agosto

 

Giustizia: Prodi; lotta contro la piccola e la grande criminalità

 

Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2007

 

"Sono sempre stato convinto che la lotta contro la piccola criminalità è indispensabile anche per fermare la grande criminalità". Così il presidente del Consiglio Romano Prodi è intervenuto, ieri, nel dibattito politico suscitato dall’ordinanza del Comune di Firenze che ha vietato il "mestiere girovago di lavavetri".

Prodi ha anche precisato: "Non avrei cominciato con i lavavetri, ma con chi fa le scritte sui muri e con i posteggiatori abusivi, però - ha aggiunto - ritengo che il discorso sulla piccola criminalità sia serio e che sia giusto punirla". Il progetto previsto dalla Finanziaria 2007 ha coinvolto finora tredici città, con stanziamenti di quasi 40 milioni.

Una linea in sintonia con quella del ministro dell’Interno Giuliano Amato che, in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera, ribadisce la necessità di "una lotta all’illegalità a 360 gradi, così come fece Rudolph Giuliani da sindaco di New York. Combattere la piccola illegalità - secondo il titolare del Viminale - è propedeutico e a volte strumentale a combattere la grande".

Procede tuttavia a rilento il meccanismo dei patti per la sicurezza siglati tra Comuni e Prefetture in seguito alla norma della Finanziaria 2007 (legge 296/06, articolo 1, comma 439) che prevede "programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini". Fino a oggi i patti siglati sono solo 13 (a Napoli, Roma, Milano, Torino, Cagliari, Catania, Genova, Bari, Bologna, Venezia, Modena, Firenze, Prato), e le risorse messe in campo da municipi, Province e Regioni ammontano a 39,7 milioni.

Il ministero dell’Interno mette a disposizione le strutture e il personale, che spesso, si legge nel testo dei singoli patti, sarà riorganizzato, allontanando agenti di polizia, carabinieri e finanzieri dagli uffici, per destinarli ai servizi esterni, anche nella cintura urbana.

Il contingente di personale aggiuntivo che dovrebbe così arrivare nelle città che hanno già sottoscritto i patti per la sicurezza, è di 1.180 unità, a cui si aggiungono i mille uomini che il ministero dell’Interno si era impegnato a destinare a Napoli, per il controllo del territorio, già a novembre 2006. Un progetto allo studio a Modena e a Firenze per liberare le forze dell’ordine da impegni burocratici e destinarle al presidio delle aree urbane è quello di sperimentare il trasferimento delle funzioni relative al rinnovo dei permessi di soggiorno degli stranieri dalla Questura all’amministrazione comunale.

Le priorità fissate nei patti variano, naturalmente, da città a città: così, Roma e Bologna mettono l’accento sull’abbattimento degli insediamenti abusivi, Prato sulla lotta alla criminalità economica (contraffazione dei marchi e sfruttamento di manodopera irregolare), Venezia sul contrasto della pesca abusiva e della vendita di prodotti pescati in aree altamente inquinate.

Giustizia: sulla "tolleranza zero" il ministro Amato nella bufera

 

Ansa, 31 agosto 2007

 

Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ribadisce la volontà del Governo di usare il pugno di ferro contro la microcriminalità e annuncia interventi a livello nazionale. "Serve una lotta all’illegalità a 360 gradi, così come fece Rudolph Giuliani da sindaco di New York", scrive in una lettera al "Corriere della Sera". "Combattere la piccola illegalità è propedeutico e a volte strumentale a combattere la grande".

Una presa di posizione contro cui si è scagliata l’opposizione - che in sostanza accusa il governo di dire e non fare - e che ha trovato invece consensi nella maggioranza; ma la sinistra radicale è critica. E Mastella commenta: "Amato ha ragione, ma niente giustizialismo". Nella lettera di Amato si fa riferimento a quella "tolleranza zero", già annunciata a Ferragosto, che dovrebbe concretizzarsi, in particolare, con "interventi nazionali" contro l’illegalità diffusa.

Nei piani del Viminale c’é una più stretta collaborazione tra il ministero dell’Interno con gli enti locali e le polizie municipali, perché - ha spiegato Amato - interventi nazionali "eviteranno il rimbalzo dall’una all’altra città di attività trattate da ciascuno con regole diverse. E perché la legalità non può valere a singhiozzo".

Ma l’opposizione attacca. "Amato parla di tolleranza zero, ma è il ministro dell’Interno di un governo che si è messo al servizio di ogni forma di illegalità", afferma Gasparri, di An, che cita l’indulto ("che ha rimesso in circolazione decine di migliaia di delinquenti"), i "tagli a polizia e vigili del fuoco, le leggi di resa ai clandestini". "Con questo governo - aggiunge - anche gli incendi sono raddoppiati".

Secondo Isabella Bertolini, di Forza Italia, "Amato si diverte a prenderci in giro. La tolleranza zero richiede investimenti in sicurezza e non tagli selvaggi come ha fatto proprio Amato. Tolleranza zero richiede regole e la loro severa applicazione". Francesco Pionati, portavoce dell’Udc, osserva che il modello Giuliani "può essere condivisibile, ma la credibilità di questo governo a condurla è zero assoluto.

Prima che ai quotidiani, Amato farebbe bene a mandare lettere ai suoi compagni di maggioranza, a cominciare da Caruso, Ferrero, e Cento". Secondo il ministro della Giustizia Mastella, invece, Amato ha ragione quando chiede certezza della pena per dare sicurezza ai cittadini.

Il suo è un appello "giusto", ha detto il Guardasigilli, purché - avverte - non vi siano degli eccessi che riportino a un clima giustizialista, "al modello televisivo "tutti in galera"". "Rudolph Giuliani - osserva Mastella - ha lanciato la tolleranza zero, però nella sua città ci sono ancora omicidi a iosa".È quello che sottolinea anche Russo Spena, di Rifondazione: "Contrariamente a quel che afferma il ministro Amato, il sindaco di New York non ha affatto risolto il dramma della microcriminalità e della povertà diffusa.

Si è limitato a ripulire Manhattan (che non è New York), cacciando via quanti apparivano inadeguati alla sua concezione di decoro urbano e di sicurezza". Sempre dalla sinistra radicale si alza anche la voce critica di Manuela Palermi, del Pdci, che vede nella lettera di Amato al Corriere un "attacco micidiale all’esistenza del governo Prodi": "Invece di rispettare il programma dell’Unione - afferma - ne vengono scritti altri".

Giustizia: la differenza tra crimine e miseria, di Sergio Segio

 

La Repubblica, 31 agosto 2007

 

Anche grazie ai provvedimenti "antilavavetri" prosegue la politica di criminalizzazione della miseria, per citare il titolo di un istruttivo libro del sociologo Loïc Wacquant; così monta sempre di più, se non l’odio, il disprezzo sociale verso i disperati. Pietà l’è morta? chiede, su "la Repubblica", Gad Lerner, che iniziò la sua carriera di giornalista travestendosi da immigrato per raccontare dell’ordinario razzismo che corre sottopelle al Belpaese.

E non si capisce se la domanda sia retorica. Quel che è certo è che sembra seriamente erosa la capacità della politica e delle istituzioni di svolgere il proprio ruolo: trovare soluzioni, contemperare esigenze diverse, rendere le città vivibili, garantire protezione sociale anche ai più deboli, muoversi in logica di creare comunità, non sentimenti da bunker assediati.

Si preferiscono, a destra e a sinistra, le scorciatoie che garantiscano visibilità mediatica e facili consensi, con un richiamo alla legalità che pare usata più come clava che come ovvio e necessario presidio. Si preferisce sfuggire domande scomode sulle cause e radici dei fenomeni. Si evita come la peste la disposizione a mettersi, per un momento, nei panni degli altri.

Sarebbe veramente istruttivo (per loro, innanzitutto) se fossero questi severi amministratori, certi editorialisti dal portafoglio gonfio e dal rispetto assicurato, a provare a vivere per strada qualche giorno, con il brontolio della fame e la paura dei topi e delle malattie nella baracca, tra il livore e il disprezzo sociale. Probabilmente non considererebbero più la richiesta (magari sgarbata o insistente: la miseria non aiuta a coltivare i bei modi) di qualche monetina come intollerabile aggressione, come attentato alla tranquillità pubblica.

Alla meglio, si preferisce invece ripetere come litania la formula: "Bisogna coniugare legalità e accoglienza, sicurezza e solidarietà", ben sapendo che di accoglienza e solidarietà ce n’è sempre di meno, proprio in ragione dell’enfatizzazione di una sicurezza e una legalità intese né più né meno che come difesa accanita dei propri privilegi, come muro da erigere per tenere fuori i barbari, vale a dire i poveri.

Come spesso in questi casi, davanti alle miopi scelte di "tolleranza zero", a fronte delle speculazioni politiche, gli atteggiamenti di buon senso vengono da chi nella strada lavora, conoscendone i problemi reali. Come le forze dell’ordine, che di fronte all’accattonaggio o alla mancanza di documenti lasciano correre, ben sapendo che in questi casi la repressione o il rigore non servono, anzi costano e forse sono pure ingiusti.

Quel lasciare correre non è lassismo ma è l’antidoto necessario verso politiche incapaci e un incattivimento generalizzato, che non può che produrre rabbia e disperazione, dunque cattiveria di rimando.

Le misure draconiane contro i lavavetri e altre simili rischiano di equivalere al picchiare un uomo legato, consegnandolo in questo modo sì ai racket e alla illegalità da disperazione. Sarebbe davvero un bel risultato. Ma forse l’intento è semplicemente quello di far smettere di discutere degli intollerabili privilegi di caste e corporazioni.

 

Sergio Segio

Giustizia: Vittorio Craxi; come al solito, è forte solo con i deboli

 

Asca, 31 agosto 2007

 

"La detenzione per i lavavetri è un’idea bizzarra, tipica di una concezione della giustizia forte con i deboli e debole con i forti: io non penso che la legalità possa esser messa in pericolo dagli extra-comunitari ai semafori". Così Vittorio Craxi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, commentando i provvedimenti decisi in questi giorni dall’amministrazione comunale di Firenze. "Si sta abbassando la soglia di tolleranza nei confronti degli immigrati, regolari o clandestini che siano. Questo è un fenomeno che preoccupa e che, indubbiamente - conclude Craxi - va gestito dalle forze di governo, non alimentato come fanno alcuni amministratori di Sinistra democratica".

Giustizia: la sicurezza è da garantire, o sarà un bene di lusso

di Daniele Fichera (Assessore regionale alla Sicurezza Regione Lazio)

 

Corriere della Sera, 31 agosto 2007

 

Può darsi che la risposta fiorentina all’emergenza lavavetri non sia efficace, ma essa non può essere politicamente demonizzata. Né può essere paragonata allo "sbattere nelle galere vagabondi e malati di mente", come fa il mio collega Luigi Nieri.

La scelta compiuta nel capoluogo toscano mi sembra nascere da due questioni: lo strutturarsi di organizzazioni criminali che gestiscono attività di microillegalità e il conseguente aumento di episodi di aggressività. Questi fenomeni, come quello degli insediamenti abusivi, determinano una reazione di rigetto, in particolare negli strati popolari, con possibili pericolose derive xenofobe.

Secondo ricerca promossa dall’Osservatorio regionale sulla sicurezza circa un quinto dei cittadini laziali ha un atteggiamento di preconcetta ostilità nei confronti della popolazione immigrata: il 22,9% del campione esprime, infatti, disaccordo perfino rispetto alla generica asserzione "tra gli immigrati c’è molta gente onesta che ha voglia di lavorare".

Vi è, inoltre, un’area ben più vasta di popolazione (che può essere stimata oltre il 40%) che non manifesta affatto un’ostilità pregiudiziale al fenomeno migratorio, ma è preoccupata dagli aspetti degenerativi. Il 66,2% degli intervistati condivide infatti l’affermazione "l’aumento dell’immigrazione favorisce l’aumento della criminalità".

Le risposte delle amministrazioni pubbliche non possono che essere di rafforzamento degli strumenti di accoglienza e integrazione sociale,, ma devono essere affiancate da inter-venti di carattere repressivo quando i comportamenti non legali superano la soglia di guardia. Come ha scritto il Ministro Amato si deve "creare nelle nostre città il senso di un ordine che è fatto di regole alle quali tutti ci atteniamo e che a tutti facciamo rispettare".

La Regione ha dato un segnale importante di solidarietà istituzionale all’impegno dell’amministrazione capitolina su questo fronte, con uno stanziamento di undici milioni di euro a sostegno del patto per Roma sicura, tempestivamente sottoscritto dal Sindaco Veltroni e dal Presidente Marrazzo.

Ma il tema della sicurezza non riguarda solo Roma. La citata indagine regionale indica come la percezione di insicurezza nelle nostre città intermedie stia crescendo. È dunque opportuno definire iniziative di rafforzamento degli strumenti di monitoraggio e contrasto delle situazioni di degrado, supportando amministrazioni locali strutturalmente non attrezzate su questo fronte. Nella speranza che tutti comprendano il rispetto della legalità e tema di equità sociale su cui investire risorse pubbliche, perché la sicurezza non può trasformarsi in un bene privato riservato a chi ha la possibilità di acquistarlo.

Giustizia: la priorità è quella di cambiare sistema sanzionatorio

di Giuliano Pisapia (Presidente Commissione Riforma Codice Penale)

 

www.radiocarcere.com, 31 agosto 2007

 

Varie sono le proposte innovative previste dal progetto di nuovo codice penale: tra queste l’abolizione di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, la valorizzazione del principio di colpevolezza, l’eliminazione delle anacronistica distinzione tra delitti e contravvenzioni, la cancellazione delle misure di sicurezza (ospedali psichiatrici giudiziari innanzitutto), la non punibilità per irrilevanza del fatto e in caso di condotta che non offende il bene giuridico tutelato. Il tutto nella prospettiva, finalmente, di un diritto penale minimo, equo ed efficace che sostituisca l’attuale panpenalismo per cui si pensa di risolvere ogni problema, anche sociale, con la sanzione penale. In quest’ottica una delle parti più rilevanti, e più moderne, del progetto è quella relativa al sistema sanzionatorio. Due sono i punti cardine.

Si uscirà dalla logica per cui le uniche sanzioni penali siano la multa e/o il carcere e saranno quindi previste anche pene interdittive, prescrittive e ablative (sostituibili, previo consenso dell’interessato, con attività riparatorie, lavori socialmente utili e/o finalizzati al risarcimento del danno). Non più, però, pene alternative o sostitutive ma pene principali irrogabili già dal giudice di I grado, per numerosi reati non gravi, tra cui le contravvenzioni che non saranno depenalizzate e la gran parte dei reati colposi. Piena attuazione, quindi, dell’art. 27 della Costituzione, ma anche presa d’atto che, spesso, la pena detentiva è inutile se non controproducente (per chi la deve scontare e per la collettività).

I dati parlano chiaro: chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva è del 70%, chi usufruisce di misure alternative dell’11-12%; la popolazione carceraria è composta, per oltre l’80%, da emarginati, tossicodipendenti, malati e migranti, gli appartenenti alla criminalità organizzata e i responsabili di fatti di sangue non superano il 12%. Il che conferma, al di là delle questioni teoriche, che l’attuale sistema sanzionatorio ha fallito da ogni punto di vista. E, se dalla teoria si passa ad esempi concreti, se ne ha la piena conferma.

In caso di reati colposi, ad esempio - e quindi in presenza di un fatto non voluto e dovuto a negligenza o imprudenza - che efficacia e che utilità può avere la pena del carcere? Se, infatti, come avviene quasi sempre oggi, tale pena non viene eseguita, si rafforza quel senso di impunità che è la premessa per la commissione di nuovi reati. Se invece il responsabile va in carcere, sempre di più scuola di criminalità, perde il lavoro e scatta l’emarginazione sociale: scontata la condanna sarà facile preda del crimine e della criminalità.

Sarebbe sicuramente più utile - per lui, per la collettività, per le vittime - una immediata sanzione interdittiva (chiusura della fabbrica, divieto di svolgere determinate professioni, revoca della licenza, ritiro della patente, confisca del veicolo ecc.) o efficaci misure prescrittive (es. svolgere attività riparatorie o risarcitorie a favore delle vittime ecc.). Facciamo l’esempio dei tossicomani che commettono reati per procurarsi la dose giornaliera:. è del tutto inefficace chiuderli in una cella dove non esiste alcuna possibilità di recupero, disintossicazione, reinserimento.

Non sarebbe più utile attivarsi per il suo recupero e fargli scontare la pena in una comunità terapeutica, o svolgere lavori socialmente utili (ed educativi), quali ad esempio raccogliere le siringhe che ogni mattina si trovano abbandonate un po’ ovunque? O, ancora: se in un negozio viene trovata merce scaduta, a che serve minacciare una condanna a mesi di reclusione, quando tutti (e quindi anche il negoziante) sanno che, prima o poi arriva la prescrizione? Non avrebbe maggiore efficacia deterrente una immediata condanna alla multa, alla sospensione della licenza e, nei casi più gravi e reiterati, alla revoca della licenza?

Già nel 1999 era stata approvata, a larghissima maggioranza, una delega legislativa che prevedeva, per i reati non gravi, pene non carcerarie. Quella delega non è mai stata esercitata con la motivazione che "a breve sarebbe stato approvato il nuovo codice penale". Da allora la situazione non è certo migliorata: ecco perché sarebbe opportuno che - in attesa di un nuovo codice penale - fosse "anticipata" la riforma del sistema sanzionatorio. Un obiettivo che, ne sono convinto, troverebbe ampio consenso non solo tra gli operatori del diritto e gli operatori penitenziari ma anche nella cultura giuridica e in Parlamento (al di là degli schieramenti politici). Questa una "modesta proposta", però, si scontra, purtroppo, quasi quotidianamente, con chi crede di poter risolvere tanti problemi, molti dei quali non dovrebbero neppure avere rilevanza penale, con più carcere e più reati.

Giustizia: la riforma Pisapia rischia di favorire i colletti bianchi

di Massimo Pavarini (Docente di Diritto Penitenziario Università di Bologna)

 

www.radiocarcere.com, 31 agosto 2007

 

La Commissione di riforma del codice penale presieduta da Pisapia è già a metà del guado: i principi che dovranno ispirare la legge delega di riforma della parte generale sono stati resi pubblici e doverosamente sottoposti alle critiche di chi si interessa professionalmente di giustizia penale. Molte le cose interessanti, certo non tutte originali e nuove stante che sui profili di parte generale si registra fortunatamente e da tempo un’ampia convergenza di opinioni e soluzioni legislative. Le divergenze di natura prevalentemente politica, si sa, si annidano nella disciplina della parte speciale.

Della parte generale, quella concernente i profili sanzionatori si è segnata in queste ultime decadi di infruttuosi conati riformistici la meno originale e la più povera. Altrettanto possiamo dire di quanto proposto dalla commissione Pisapia? No. Le scelte operate in tema di sanzioni sono decisamente significative.

Gli orientamenti strategici di fondo sono state due, se si vuole abbastanza scontati: ridurre la centralità della risposta puramente detentiva e ulteriormente valorizzare le finalità rieducative delle pene. Ma le scelte tecniche indicate per perseguire queste finalità di politica penale si lasciano apprezzare per una certo coraggio riformatore.

Sul versante della decarcerizzazione, le indicazioni più significative sono risultate le seguenti: abolizione della pena dell’ergastolo; trasformazione delle pene accessorie (inabilitative, interdittive, ecc.) in sanzioni principali; nuova disciplina della pena pecuniaria sul modello tedesco, cioè determinazione della stessa in ragione delle effettive capacità contributive del condannato; abrogazione delle misure di sicurezza personali detentive per gli imputabili; introduzione dell’istituto della sospensione con messa alla prova da parte del giudice della cognizione; e previsione di nuove pene sostitutive, come il lavoro di pubblica utilità, nei confronti dei condannati che se non diversamente sanzionati, finirebbero in carcere ad allargare le fila della detenzione sociale.

Chiunque si interessi da tempo della questione carceraria in Italia non può che salutare con soddisfazione queste indicazioni di riforma. Certo, si poteva, volendolo, operare anche con più intransigente radicalità, ma considerando gli equilibri politici del presente governo e come questi si siano poi inevitabilmente tradotti nella composizione della commissione, credo che di più non fosse realistico attendersi. Ciò doverosamente riconosciuto, vorrei costruttivamente avanzare alcune osservazioni critiche di carattere generale alle scelte operate in materia di sanzioni.

Mi domando se non sarebbe stato più utile operare in favore di un modello bifasico di giustizia penale, con relative separate giurisdizioni: da un lato un giudice del fatto e della colpevolezza e dall’altro lato un giudice della pena. Certo questo avrebbe comportato un stretto raccordo con la Commissione di riforma del codice di procedura penale, ma non credo questo fosse un ostacolo insormontabile. La scelta verso un modello bifasico di giustizia penale diventa infatti sempre più apprezzabile, tanto più il sistema di commisurazione della pena nel giudizio sul fatto si allontana dall’effettiva determinazione della pena in fase esecutiva. E la scelta correzionalistica operata dalla presente Commissione rende ulteriormente ancora più divergenti queste due fasi.

La scelta di introdurre come sanzioni principali molte di quelle oggi accessorie rischia di decarcerizzare prevalentemente se non esclusivamente quelli per cui il carcere non è mai stato un destino inevitabile. Infatti le pene interdittive, inabilitative, ecc. si attagliano alla sola criminalità dal colletto bianco e poco altro, quella appunto che ben raramente è finita e finirà dietro le sbarre.

Nei confronti invece della detenzione sociale, quella appunto che in carcere ci finisce comunque, anche per reati di lieve entità, si ripropone il lavoro di pubblica utilità, pena sostitutiva che in altri contesti nazionali ha incontrato un notevole successo, come in Francia e in Inghilterra, ma che in Italia semplicemente non ha mai funzionato e nulla lascia sperare che possa funzionare in futuro.

Lo sfavore poi nei confronti della categoria positivistica della pericolosità sociale è evidente, se si pensa che le misure di sicurezza per imputabili vengono abrogate e che nei criteri commisurativi della pena, alla capacità a delinquere del condannato si potrà fare ricorso solo per attenuarne il castigo. Però alla crisi delle valutazioni di pericolosità in fase di determinazione della pena, senza altrimenti disporre in fase esecutiva, ne conseguirà inevitabilmente un incremento della discrezionalità da parte della giurisdizione di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria.

Lettere: tre condannati che in galera non dovrebbero stare

 

www.radiocarcere.com, 31 agosto 2007

 

La mamma con il bambino

 

"Sono una delle mamme chiuse in carcere con il proprio bambino. Se fossi detenuta da sola sarei meno preoccupata. Ma io sto qui dentro con mio figlio. Mio figlio ha 2 anni e mezzo. Con lui stiamo in una grande cella, con altre 9 donne e altrettanti bambini. Le sbarre alle finestre, la cella che si chiude la sera, per riaprirsi la mattina, l’ora d’aria, le perquisizioni.

Sono solo alcuni momenti che segnano il tempo della detenzione mia e di mio figlio. Un bambino di due anni e mezzo, detenuto senza colpa. Quando siamo entrati in carcere io e mio figlio siamo stati trattati in modo uguale. Perquisita io e, in un’altra stanza, perquisito lui. Poi è iniziata la nostra vita di detenuti. Certo, il carcere fa quello che può per attenuare la pena soprattutto per mio figlio. Ma sempre carcere è. Durante il giorno, ora che è estate, mio figlio gioca nel cortile del carcere, circondato da alte mura e da sguardi vigili.

Mi si stringe il cuore saperlo qui. La sera lo stringo a me e prego che non gli rimanga neanche l’idea del carcere. Purtroppo temo che lui abbia capito che questo è un posto brutto. Certo la colpa è mia e di un mio passato che mi ha raggiunto quando la mia vita si era rimessa in piedi. Anni fa ho commesso alcuni reati. Ero giovane e incosciente, e in più finita in un giro sbagliato. Mi hanno processato e condannato a piede libero per diversi reati, poi non ho saputo più nulla. Nel frattempo ho cambiato vita, mi sono messa a lavorare e ho avuto questo bel regalo della maternità. Sei mesi fa, quando alla condanna non ci pensavo più, sono arrivati a casa i Carabinieri e mi hanno arrestato. Io vivevo sola con mio figlio e non potevo lasciarlo a casa. Me lo hanno fatto portare con me. Così, dopo diversi anni dalla condanna, mi sono trovata in carcere con mio figlio. Ora ho fatto un richiesta per una misura alternativa al carcere. Misura di cui potrei beneficiare. Ma il magistrato di sorveglianza ci sta mettendo mesi per decidere e io nel frattempo resto in carcere con mio figlio".

 

Annalisa, 28 anni

 

In carcere per un abuso edilizio a 67 anni

 

"Da poco sò uscito da Rebibbia, o King Bible, come certi la chiamano. Sò stato dentro 7 mesi. A Rebibbia ho compiuto il mio 66 esimo compleanno. Nà festa. Il fatto è che da giovane ho fatto un pò dè stronzate. Una rissa, un furto, due volte m’hanno beccato che guidavo senza patente. Insomma cose del genere.

Reatucci che però, condannina su condannina, m’hanno consumato la sospensione condizionale di due anni che ognuno può avere. E non solo perché mi presi preso pure una candanna a 10 mesi per assegni a vuoto. Poi, anche grazie a un cugino, ho messo la testa a posto, e quelle stupidaggini non l’ho più fatte. Così abbiamo aperto un negozio di ferramenta. Che è diventato un negozietto bello avviato. Se non chè 6 anni, ho fatto, anche per ignoranza, un abuso edilizio a casa mia.

Cioè ho chiuso senza permessi una terrazza che prima era scoperta. Sò arrivati i vigili e m’hanno sequestrato tutto, ma non solo. M’hanno fatto pure il processo! "Caro Osvaldo" - mi disse l’avvocato - "al processo ci penso io, lei se lo dimentichi e si occupi del negozio!". S’è preso un pò de soldi e non l’ho più visto né sentito. Quando l’ho chiamato allo studio mi hanno detto che se n’era andato e non sapevano dove. Morale: m’hanno condannato in contumacia a 4 mesi di carcere. L’avvocato s’è scordato di fare appello e dopo un pò di anni mi sò venuti a pià al negozio e portato a Rebibbia. Ora né so uscito, ma a 66 anni andà il galera pè 7 mesi, e in più per un abuso edilizio, che senso c’ha?".

 

Osvaldo, 67 anni

 

Lo spacciatore tossicodipendente

 

"M’hanno arrestato per detenzione di droga a fine di spaccio. In poco tempo è arrivata la condanna: 4 anni di carcere per due pezzi di fumo. Ora sto in carcere. E questa è la pena per un drogato e piccolo spacciatore come me. La colpa non è del Giudice che mi ha condannato. Io, come molti, siamo stati condannati dalla legge ex Cirielli sulla recidiva. Tanti sono recidivi, ovvero sono stati condannati più di una volta per droga.

Io pure sono recidivo, e la Cirielli ha imposto al giudice pene severissime per noi. Aumenti di pena senza scelta. Sei recidivo? E invece di 2 anni il Giudice ti deve dare 4 anni di galera. Io lo so di non essere nel giusto. Il reato l’ho fatto. Ma so anche che mi trovo in grande difficoltà nell’uscire dalla droga. Io spacciavo solo per comprarmi la droga per me. È come entrare in un circolo vizioso.

Ti droghi, perdi il lavoro, la famiglia e per continuare a drogarti: spacci. Ti beccano vai in galera, dopo un po’ esci peggio di prima e ricominci a drogarti e a spacciare. Vivi in libertà provvisoria, perché sai bene che intanto prima o poi ti riarrestano. E più vai avanti e peggio è. Più ti droghi, più spacci e più condanne avrai, tanto che ti sarà impossibile andare in comunità per disintossicarti.

La Cirielli in questo girone è stata benzina sul fuoco. Anche perché la gente deve sapere che stando in carcere uno come me continua a drogarsi. Il metadone che ti danno spesso non aiuta, e poi in carcere la droga gira e come! Le siringhe mancano, ma la droga c’è. Io solo l’altra settimana mi sono fatto una canna col mio compagno di cella! E non mi sono fatto di eroina solo perché non l’ho trovata! Non confesso questo con orgoglio. La mia vita è buttata. È solo la verità della mia galera e di tanti altri drogati in carcere."

 

Paolo, 29 anni

Trentino: 226 detenuti, ma solo 53 condannati in via definitiva

 

L’Adige, 31 agosto 2007

 

Centoquarantanove euro al giorno: è il costo giornaliero calcolato dal Ministero di Grazia per ciascun detenuto nelle carceri italiane nel corso del 2006, anno in cui le prigioni sono state parzialmente "svuotate" per effetto dell’indulto. Il numero dei detenuti è stato mediamente inferiore a quota 52mila con un sensibile calo rispetto all’anno precedente (quasi 60mila). In pratica, con il primo grande (e contestato) atto del governo Prodi (votato tuttavia a larga maggioranza) l’affollamento delle prigioni è sceso ai livelli del 2000. L’impennata della popolazione carceraria risale ai primi anni ‘90 quando da oltre 32.000 persone, le celle finiscono con l’ospitarne (fine ‘93) quasi 45mila.

In realtà, secondo il Rapporto sulla situazione degli istituti penitenziari relativa al 2006, "appena" il 39,66% dei detenuti risulta condannato; il 56,77% è imputato ed il restante 3,57% è internato. Dei 226 detenuti in regione (tre le case circondariali: Bolzano, Trento e Rovereto) al 31 dicembre dello scorso anno solo 53 erano condannati in via definitiva, praticamente un quarto del totale mentre mediamente circa il 40% è in carcere con una sentenza non più contestabile. Tredici risultavano ricorrenti, 41 appellanti e 118 in attesa di primo giudizio. Nessuno doveva scontare l’ergastolo (1.237 lungo l’intero stivale), uno ne aveva per oltre vent’anni e tre (fra i quali una donna) tra i 10 ed i 20. La maggior parte (30) ha una pena fino a 24 mesi da scontare.

Oggi, però, nessuno fra i detenuti in regione ha un debito con la giustizia che supera i 10 anni: in due devono restare in carcere ancora fra gli 8 ed i 9 anni. Dovrebbe preoccupare, invece, il dato sui giovani: quasi il 6% dei detenuti ha tra i 18 ed i 20 anni (ma nessuno studente è fra questi) mentre la media nazionale è della metà circa. Il 53% dei "galeotti" delle prigioni della regione vanta almeno una istruzione minima (licenza elementare o media superiore), in linea con l’Italia (54,5%).

I laureati in carcere sono invece 3 (448 nel Belpaese). Sociologicamente vale la pena di rilevare come, in una regione in cui il tasso di disoccupazione è fra i più bassi d’Italia, in carcere avviene il contrario: coloro che avevano e non hanno più un lavoro sfiorano il 28% del totale mentre la media nazionale è del 18%. In Italia, sempre nel 2006, il 48% dei nuovi "ingressi" (la statistica ministeriale li definisce così) riguarda gli stranieri; il dato relativo alle donne è decisamente superiore: appena il 40% sono italiane. In regione, i detenuti che non sono nati in Italia sono quasi il 70%. Se il parametro è la residenza effettiva all’estero, il dato scende al 61%.

Alla fine dello scorso anno erano 28 i detenuti nelle prigioni del Trentino Alto Adige nati fra il Brennero e Borghetto ma 139 quelli residenti entro i confini regionali. Il 95,6% di chi sta dietro le sbarre è maschio, in linea con la media nazionale. Appena 10 le donne rinchiuse. Una settantina (il 40% delle donne) quelli che sono riusciti a trovarsi un’occupazione, anche non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria: il 31,4% del totale contro una media nazionale del 30,8%.

Fra coloro che hanno scelto di frequentare un corso professionale, il 62,4% degli italiani ed il 75,2% degli stranieri ha superato gli esami conclusivi:il dato è inferiore alla media per i connazionali (64,6%) ma superiore per gli altri (69,3%). In regione, pur essendoci un’incidenza relativamente bassa di tossicodipendenti (15% del totale contro una media del 21,4%), appare piuttosto elevata l’incidenza di quelli che necessitano di trattamenti metadonici (il 4% del totale rispetto ad una media del 3,3%).

Anche peggiore è la situazione relativa agli alcol dipendenti che, in regione, sono quasi il 5%, più del doppio della media italiana che si attesta al 2%. Il Trentino Alto Adige è al terzo posto dietro Liguria (9,6%) e Friuli VG (6,6%). I benefici sono relativamente limitati: in 4 (un solo straniero) godono della semilibertà, 80 sono stati affidati ai servizi sociali (l,18% del totale nazionale) e 52 sono agli arresti domiciliari (2,7%). Nel corso del 2006 non sono stati segnalati nuovi casi di Aids.

Roma: a Rebibbia nove trans semi-isolate chiedono attenzione

 

Liberazione, 31 agosto 2007

 

Un carcere doppio per le nove trans e il ragazzo omosessuale detenuti nel braccio G8 di Rebibbia. Semi-isolate all’interno del penitenziario, hanno chiesto di rimanere separate dalle donne perché non hanno ancora completato l’operazione da uomo a donna, e allo stesso tempo faticano a condividere gli spazi maschili per timore di venire ghettizzate o molestate. L’isolamento è anche dall’esterno: otto di loro sono originarie dal Sudamerica, non ricevono mai visite da parte dei famigliari e faticano a contattarli a causa dell’ostracismo delle rispettive ambasciate.

"Le detenute si lamentano perché manca una attenzione sanitaria specifica per le loro esigenze e un supporto psicologico e psichiatrico adeguato" ha detto il presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso al termine della visita, ieri mattina, con l’assessore al Bilancio regionale del Lazio Luigi Nieri (Prc) e Gennaro Santoro di Antigone, nonché responsabile carceri di Rifondazione.

Poca socializzazione, qualche ora di scuola e corsi di formazione, attività proposte dal circolo omosessuale Mario Mieli e da Antigone: alle trans non basta. "Serve maggiore attenzione nei confronti dei detenuti transessuali, hanno bisogno di particolare assistenza", spiega Nieri. Santoro specifica: "Manca un endocrinologo, devono poter continuare a prendere le cure ormonali".

Il Lazio è la prima regione ad aver approvato una legge che coinvolge la sanità esterna per i penitenziari. Il discorso poi si è allargato alla condizione delle carceri: "Il 40% dei detenuti di Rebibbia sono stranieri, bisogna modificare la legge sull’immigrazione e sulle droghe perché molti non dovrebbero stare in carcere" assicura Nieri.

"Bisogna affrontare senza ipocrisie la legge sulla prostituzione", conclude Mancuso. "Non basta una legge vecchia di 50 anni, né le case chiuse. Il fenomeno è cambiato, c’è la schiavitù. Non si tratta di un tema di destra o di sinistra, ma di buon senso".

Messina: incontri con 300 indultati, partono i corsi formativi

 

Redattore Sociale, 31 agosto 2007

 

Continua la collaborazione tra enti locali e Italia Lavoro. Legacoop e Confcooperative si sono impegnate a sollecitare le proprie imprese a mettere a disposizione i posti per i tirocini.

Non basta uscire di galera, bisogna anche avere una possibilità di ricominciare. Questo è il principio che anima il progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", coordinato tra Comune, Provincia, cooperative sociale e Italia Lavoro. Il progetto nazionale, presentato nell’agosto dello scorso anno, coinvolge complessivamente quattordici aree metropolitane nazionali e mira a promuovere il reinserimento lavorativo di ex detenuti beneficiari dell’indulto, attraverso la possibilità di seguire tirocini formativi della durata di sei mesi. I corsi sono portati avanti proprio da Italia Lavoro, l’Agenzia che per conto del Ministero del Lavoro, della Previdenza Sociale e del Ministero della Solidarietà Sociale gestisce il progetto.

In questo caso, i potenziali destinatari degli interventi sono circa 300 indultati, residenti nel territorio messinese e sono stati già avviati gli incontri operativi per l’inizio delle attività; in tale quadro Legacoop e Confcooperative si sono impegnate a sollecitare le proprie imprese a mettere a disposizione i posti per i tirocini.

La legge denominata "Concessione di indulto" risale al 31 luglio 2006: ha introdotto uno sconto di pena di tre anni per i reati commessi fino al 2 maggio 2006. Per ogni beneficiario è previsto un contributo al reddito di 2.700 euro, concesso secondo queste modalità: o 450 euro al mese per un massimo di sei mesi; o 675 euro al mese per un massimo di quattro mesi. Per le aziende disposte ad accoglierli è previsto: un contributo di 1.000 euro per la formazione in caso di assunzione a tempo indeterminato o a tempo determinato (almeno 12 mesi); la capitalizzazione della parte restante della dote in caso di assunzione anticipata; il cumulo con altre agevolazioni stabilite a livello nazionale e locale.

Parma: 70 detenuti in "41-bis", è arrivato il boss Bagarella

 

Gazzetta di Parma, 31 agosto 2007

 

"Settanta detenuti col 41 bis: in arrivo un centinaio di poliziotti" I boss Bagarella e Santapaola trasferiti in gran segreto e contestualmente. In un primo momento sembrava dovesse arrivare a Parma nei prossimi giorni. E invece il boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina e capo dei corleonesi, si trova nel carcere di via Burla già dalla fine dello scorso luglio. Sottoposto al regime del 41 bis, il "carcere duro per i mafiosi", Bagarella è stato trasferito dall’Istituto penitenziario di Spoleto ed ha preso a Parma il posto di Nitto Santapaola, trasferito a sua volta nel carcere di Tolmezzo. Il capomafia catanese Santapaola, detto Licantropo, tra i mandanti della strage di Capaci, per la verità doveva inizialmente essere trasferito proprio a Spoleto, dopo la sua permanenza in via Burla durata sette anni.

Ma all’ultimo momento la sua destinazione è cambiata per disposizione del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria). Pare che i due avessero intenzione di scambiarsi le proprie fedi nuziali, lasciandole nelle rispettive celle, come possibile segno di una nuova unione tra i clan corleonesi e catanesi. È Silvio Di Gregorio, direttore dell’Istituto penitenziario di via Burla dal 1997, a confermare che l’arrivo di Bagarella è avvenuto lo scorso mese e a garantire che la fede di Santapaola non è rimasta nella cella di Parma.

Immigrazione: Roma; attivata una task-force anti-accattoni

 

La Repubblica, 31 agosto 2007

 

I suoi concittadini lo chiamano ancora "er piotta", a causa del cognome che ricorda le vecchie cento lire secondo la vulgata romanesca. Ma ieri il sottosegretario all’Economia Paolo Cento non ha incassato neanche un centesimo al semaforo di piazza San Giovanni in Laterano: solo una decina gli automobilisti che hanno accettato di farsi servire in quei venti minuti scarsi in cui il deputato dei Verdi si è messo allegramente a pulire i parabrezza.

Ma lui non s’è scoraggiato. E s’è infervorato parlando ai conducenti, per spiegare loro le ragioni della protesta contro i provvedimenti anti lavavetri presi a Firenze. "Il centrosinistra - ha dichiarato - non può avere come punto di riferimento Rudolph Giuliani. Basta con la criminalizzazione degli ultimi".

L’azione del deputato Verde è andata in scena proprio nel giorno in cui l’attenzione si è spostata dal cosiddetto racket dei lavavetri alla piaga dell’accattonaggio nel suo complesso. Con gli incroci della Capitale che, dalle dieci di mattina, sono stati battuti da 80 vigili urbani messi in strada dal sindaco Walter Veltroni per contrastare mendicanti, ambulanti e parcheggiatori abusivi: un blitz che ha portato cinquanta persone ad essere fermate, identificate e, dodici, denunciate per sfruttamento di minori.

Blazer blu e squillante polo color arancio, Paolo Cento si è allungato sui cofani impolverati per passare la spazzola insaponata. "Me l’avete pulito male..." ha detto sorridendo un automobilista. "Quello di lavavetri è un mestiere ingrato, faticosissimo, per il quale ci vuole molta destrezza", s’è giustificato il Verde Peppe Mariani, presidente della commissione regionale Lavoro, che ha organizzato la protesta portando con sé gli ex detenuti della cooperativa "Cantieri sociali": "Loro sono un esempio di come attraverso misure attive si possano affrontare le emergenze: per i lavavetri proponiamo corsi di formazione e nuove possibilità di lavoro". E a una automobilista che voleva dargli mezzo euro di mancia, Paolo Cento ha risposto con un sorriso: "No, non ci deve dare i soldi, questo è un gesto simbolico per abbattere il muro della paura. È vero che la sicurezza dei cittadini è un bene primario, ma l’emergenza non sono certo i lavavetri".

Le trenta automobili della municipale che, nel primo giorno di lavoro della task-force capitolina, hanno percorso le strade del Centro storico, via dei Fori Imperiali alcuni tratti del lungotevere, sono tornate alla base con 16 ambulanti abusivi, 13 parcheggiatori illegali e 9 lavavetri, tra cui diversi italiani. Sequestrate tutte le spazzole e i secchi, ma anche 57 scatoloni di merci contraffatte. E commutate multe - in base al codice della strada, "per attività d’intralcio" - da 600 a 1.200 euro. Africani, bengalesi e rumeni, la maggior parte delle persone identificate in questura. E tanti i ragazzetti o bambini rom, alcuni sotto i dieci anni: la loro presenza in strada, a chiedere l’elemosina o a pulire i parabrezza, ha portato alla denuncia di 12 persone per sfruttamento dei minori.

"Vorrei ricordare a tutti noi - ha detto ieri il sindaco Veltroni, commentando il blitz della municipale - che la sicurezza è sempre fatta di due aspetti, severità e capacità di ascolto sociale. Se si separano questi due elementi, si commettono degli errori". Ha spiegato il candidato alla guida del Partito democratico: "Stiamo intervenendo con gli strumenti a disposizione: abbiamo istituito una task-force che si preoccuperà di garantire che questi fenomeni vengano ridotti, e se avremo un corredo normativo adeguato, definitivamente debellati".

Immigrazione: Trieste; ordinanza contro mendicanti e abusivi

 

Redattore Sociale, 31 agosto 2007

 

Presentata oggi da Roberto Dipiazza "l’ordinanza preventiva" che istituisce il divieto di praticare attività che recano intralcio alla circolazione di pedoni e veicoli. Previsti arresto e sequestro dell’attrezzatura.

Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza e il comandante della Polizia municipale Sergio Abbate hanno presentato oggi l’ordinanza che vieta la pratica e l’esercizio di attività abusive recanti intralcio e pericolo alla circolazione pedonale e veicolare. Il provvedimento mira a far fronte e a porre rimedio ai fenomeni dell’accattonaggio e dei venditori abusivi, sostenendo, e per questo cercando di essere meno facilmente impugnabile rispetto ad altre, che proprio l’esercizio di tali attività possono arrecare intralcio e pericolo per la cittadinanza. L’ordinanza del sindaco di Trieste istituisce fino al 31 dicembre di quest’anno, salvo ulteriore proroga in caso di necessità, "il divieto di esercitare e praticare attività abusive che in qualsiasi modo possano recare pericolo o intralcio alla circolazione dei veicoli e dei pedoni su tutto il territorio comunale".

L’inottemperanza di queste disposizioni verrà perseguita - si legge sempre nel provvedimento - "ai sensi dell’articolo 650 c.p. e con il sequestro delle attrezzature o delle merci utilizzate per lo svolgimento dell’attività abusiva". "Si tratta - ha dichiarato il sindaco Roberto Dipiazza - di un’ordinanza che mira a prevenire un fenomeno, molto forte ed evidente in altre città italiane, ma non ancora troppo rilevante a Trieste". "Questo provvedimento nasce dal presupposto che queste attività abusive creano intralcio e pericolo alla circolazione e, proprio per questo essenziale presupposto può risultare meno facilmente impugnabile rispetto ad esempio all’ordinanza di Firenze".

"Con questo atto - ha concluso il sindaco Roberto Di piazza - Trieste, da sempre città solidale, sensibile e attenta al sociale e alla cultura, realtà che nei prossimi mesi sarà chiamata a vivere concretamente con il definitivo allargamento delle frontiere europee, mette a punto un’ordinanza preventiva, nella consapevolezza che è sempre meglio prevenire che curare".

Stati Uniti: grazia per condannato a morte, sconterà l'ergastolo

 

Agi, 31 agosto 2007

 

Il detenuto "999232" ha trascorso dieci anni nel braccio della morte prima che il governatore del Texas, a sei ore dall’iniezione letale, commutasse la pena capitale in ergastolo. Nato nel ghetto nero di Austin il 22 ottobre del 1976, Kenneth Foster, figlio di una prostituta e di un tossicodipendente, andò a vivere con i nonni all’età di quattro anni a San Antonio, dove frequentò le scuole e si diplomò nel 1995.

Appassionato di musica, durante gli anni del liceo lavorò con alcune case discografiche, poi, nell’autunno del 1995 si iscrisse al Saint Phillips College dove prese il diploma di assistente sociale. Nel maggio del 1996 fondò la sua etichetta, la "Tribulation Records", si sposò e nacque la figlia, Nydesha.

La sua vita può essere divisa in due da una data: il 15 agosto di quell’anno. Kenneth, diciannove anni, stava attraversando a bordo della sua auto i quartieri alti di San Antonio, in compagnia di tre amici, tutti neri e più o meno coetanei: Mauricio Brown, Dwayne Dillard e Julius Steen. Quella sera Brown sparò a un uomo, Micheal La Hood, figlio di un ricco avvocato bianco. Al processo l’accusa sostenne che il giovane aveva voluto portare a termine una rapina progettata insieme agli amici, anche se l’unica testimone era la fidanzata della vittima Mary Patrick. I giudici erano certi che Foster non avesse sparato ma lo condannarono lo stesso a morte per complicità in omicidio il 5 maggio del 1997.

 

 

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