Rassegna stampa 11 agosto

 

Dopo-indulto: 7mila detenuti in più, "stretta" sulle scarcerazioni

 

La Repubblica, 11 agosto 2007

 

Sono arrivati a quota 45mila i detenuti nei penitenziari italiani, circa 7.000 in più rispetto a un anno fa, quando si raggiunse il "minimo storico" di 38.300, a seguito dell’indulto. Stabile il numero degli arresti, i carcerati stanno rapidamente aumentando perché c’è una "stretta" sulle uscite: lo rivela una ricerca del Centro Studi di "Ristretti Orizzonti".

Un anno dopo sono 45 mila, un limite ancora "compatibile" con i 215 istituti di pena italiani. Sedicimila in meno di quello che - nel luglio 2006 - fu il record storico (61 mila) di affollamento carcerario dal secondo dopoguerra. Circa settemila in più rispetto al minimo storico, quando il termometro dei detenuti a fine settembre 2006 si posizionò a 38.300 "ospiti".

Per fissare un numero che valga per tutti gli altri, significa che sono tornati in carcere il 20 per cento dei detenuti che erano usciti un anno fa, 5.500 recidivi su 26 mila scarcerati. La fotografia del carcere un anno dopo l’applicazione del contestatissimo indulto certifica che la misura non sembra essere stata quel "fallimento" di cui la Lega e alcuni sindacati di agenti di polizia penitenziaria (Sappe) vanno parlando.

I dati ufficiali sono stati elaborati dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti, agenzia di stampa dal carcere diventata negli ultimi anni punto di riferimento per tutti coloro che operano nel settore, sulla base dei dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

La ricerca, che sarà resa pubblica a giorni, chiarisce alcuni abbagli circolati in questi giorni di anniversario: "Quando si parla del 65% dei recidivi non ci si riferisce ai recidivi che hanno beneficiato dell’indulto. Quel dato, che ha fatto non poca confusione, riguarda la proiezione degli ultimi cinque anni".

La ricerca produce anche alcune sorprese. Non previste. E non immaginabili. Che spiegano come mai la popolazione carceraria sta comunque galoppando in fretta verso nuovi record di affollamento. Il fatto è che "i penitenziari si stanno riempiendo di nuovo, non tanto perché aumentano gli arresti, ma perché non esce più nessuno. O meglio, sembra essersi chiuso il canale dei permessi e delle misure alternative al carcere, arresti domiciliari e affidamenti".

Anche il carcere ha il suo sistema di pesi e contrappesi. E la bilancia degli ingressi e delle uscite più o meno ogni anno si equilibra tra arresti e uscite in semilibertà o affidamenti in prova, benefici e sconti di pena.

Più o meno ogni anno entravano circa 88-90 mila detenuti e ne uscivano, per contrappeso, circa 86-88 mila. Un sistema che, fino al momento dell’indulto, produceva un saldo netto di circa duemila detenuti in più ogni anno.

"Adesso invece, solo negli ultimi tre mesi - spiega il Centro Studi di Ristretti Orizzonti - abbiamo registrato duemila presenza in più". Un numero da capogiro e non giustificato dal numero degli arresti, che sono invece rimasti costanti. Una ricerca nelle pieghe della contabilità carceraria ha svelato una nuova tendenza: non sono aumentati gli arresti - come si potrebbe pensare - per via di leggi come la Bossi-Fini sull’immigrazione clandestina o della Fini-Giovanardi sulla droga. Sono invece crollate le uscite. "Si sono inceppate le uscite dei detenuti in libertà provvisoria, o i tribunali di sorveglianza non concedono più misure alternative". Colpa delle norme della ex Cirielli - che, se da una parte accorcia i tempi di prescrizione dei reati, dall’altra aumenta le pene per i recidivi -, e di una stretta repressiva successiva all’indulto.

Il risultato è che la popolazione carceraria ha raggiunto nuovamente il limite dei posti previsti (44 mila) e galoppa velocemente verso nuovi record. Come quello dei suicidi. Nei primi dieci giorni di agosto sono morte in carcere sette detenuti di cui due stranieri: due suicidi, uno per un cocktail di farmaci e droghe (ma come ci sono arrivate in cella?), quattro per cause naturali non meglio precisate. L’età media dei detenuti morti è di 35 anni.

Si va da R. B., 35 anni, 56 chili ma era compatibile con la detenzione, morto nel carcere di Velletri per "arresto cardio-circolatorio"; a E. F., 30 anni, ex tossico, ex alcolista, in attesa di giudizio, anche lui stroncato da infarto nel carcere di Regina Coeli. Da T. L., 27 anni trovato cadavere nella sua cella nel carcere di Pavia a O. R. (Bolzano), tunisino, 31 anni, nel suo sangue "un’alta concentrazione di cannabis e metadone".

Da A. C., 65 anni, uomo di punta del clan Cordì di Locri a I. A., 32 anni, egiziano: era in isolamento e sorvegliato speciale nel carcere di Brescia (teste per l’accusa del traffico di cocaina tagliata con atropina) ma ha trovato il modo di impiccarsi alla porta della cella con il cordino della tenda. Un altro detenuto si è impiccato a Vigevano in infermeria dove era ricoverato per un malessere. Ecco, sette morti in dieci giorni.

In sette anni sono morti più di 1.100 detenuti, di cui 400 suicidi. Un tasso di mortalità preciso e costante: in carcere, un giorno sì e uno no, qualcuno muore.

Giustizia: il "pugno di ferro" e il "pugno di latta" dello Stato

 

La Repubblica, 11 agosto 2007

 

Dice in latino una celebre massima di Cicerone: "Summum ius, summa iniuria". Diritto estremo, estremo torto. E il motto si può applicare oggi alla decisione del Tribunale di Torino, tanto rigorosa sul piano formale del diritto quanto sconcertante su quello sostanziale della giustizia.

Sarà pur vero che l’automobilista-killer di Pinerolo, guidando in stato di ebbrezza, non era perfettamente cosciente delle sue azioni e quindi non ha ucciso volontariamente la povera ragazza all’uscita di una discoteca.

Ma a parte il fatto che per lo stesso motivo gli era stata ritirata già tre volte la patente, e in questo senso era senz’altro recidivo, la sua responsabilità risale proprio all’atto prima di bere e poi di prendere il volante, mettendo così a repentaglio la propria e soprattutto l’altrui incolumità. È in quel lasso di tempo, tra un bicchiere di troppo e l’accensione del motore, che va valutato il suo comportamento sotto il profilo giuridico e morale.

Se non c’è dolo, cioè la volontà di compiere un delitto, c’è però la colpa più che grave di ripetere un rituale pericoloso e irresponsabile, una sfida alla vita che questa volta culmina purtroppo nella tragedia e nella morte. Rimettere in libertà l’autore di un tale gesto, seppure con tutte le argomentazioni e i sofismi che il diritto consente, equivale in pratica a giustificare non solo quel caso specifico, ma anche gli altri che più o meno consapevolmente lo replicano. Come l’ultimo di ieri a Genova, dove una donna ubriaca ha falciato due malcapitati pedoni.

Ne sono morti ottomila, negli ultimi dieci anni in Italia, vittime inermi di una motorizzazione incivile e violenta, quasi che camminare per strada fosse diventata per sé una colpa, trasformando i pedoni - in particolare i più anziani - in bersagli di una guerra non dichiarata. Per il solo fatto di trovarsi alla guida, protetto dal suo guscio a quattro ruote, l’automobilista si sente autorizzato ad assumere il ruolo dell’aggressore, con licenza di investire e perfino di uccidere.

Sono state apprezzabili e tempestive le misure adottate dal governo con il mini-decreto dei giorni scorsi contro la carneficina stradale. A cominciare dalla pena supplementare di assistenza obbligatoria in un centro traumatologico ospedaliero, per rendersi conto personalmente dei danni prodotti alle vittime della strada.

E auguriamoci che il Parlamento, tra una chiacchiera e l’altra, alla ripresa dei lavori dopo le ferie estive trovi il tempo di approvare definitivamente il provvedimento entro ottobre.

Ma evidentemente ancora non basta. Né per fermare le "stragi del sabato sera" né per respingere l’assalto dei piromani estivi, come il pastore scoperto ieri alle porte di Roma con un arsenale di micce e poi rimesso subito in libertà. Il "pugno duro" - invocato giustamente da più parti - contro l’alcol e il fuoco, deve essere di ferro, non di latta. Le parole, gli annunci, le minacce non sono più sufficienti a rassicurare i cittadini nella dimensione della loro vita quotidiana. Tanto meno quando provengono da chi ha la responsabilità di governare e il dovere di fare leggi utili ed efficaci.

A ben vedere, la crisi della Giustizia nel nostro Paese è innanzitutto una crisi di credibilità. Una giustizia ingiusta e inefficiente, per cui nessuno paga mai fino infondo per le proprie responsabilità e i propri errori. Una crisi che compromette la stessa autorevolezza della magistratura. E minaccia di estendersi a tutta la politica, quando questa non è capace di risolvere i problemi più elementari della convivenza civile.

Giustizia: Mastella chiede accertamenti su "scarcerazioni facili" 

 

La Repubblica, 11 agosto 2007

 

Torna in cella, a poche ore dalla scarcerazione, il pastore piromane di Fondi. Questa volta con lui è stato arrestato anche il complice, che era stato invece denunciato in stato di libertà.

La svolta nella vicenda del piromane fermato ieri notte a Fondi, paese del sud pontino, mentre appiccava il fuoco ad una zona boschiva e trovato in possesso di 17 inneschi, e rimesso in libertà ieri dopo poche ore dal pm Luigia Spinelli, è arrivata su decisione del procuratore capo di Latina Giuseppe Mancini e del sostituto di turno Giuseppe Milano, dopo le polemiche e la richiesta di chiarimenti al Procuratore generale presso la Corte d’Appello annunciata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Gli accertamenti. Questa mattina il ministro della Giustizia Clemente Mastella aveva infatti dato mandato ai suoi uffici di acquisire, attraverso procuratori generali presso le corti d’appello di Genova e Roma, ogni elemento di informazione relativo ai procedimenti delle scarcerazioni "facili" trattati dalle procure della Repubblica di Latina e di Genova. L’iniziativa, aveva spiegato in una nota il ministro, serviva "a valutare l’eventuale sussistenza di condotte rilevanti dal punto di vista disciplinare da parte di magistrati del pubblico ministero". Oggetto degli accertamenti proprio la vicenda del piromane di Fondi, scarcerato dopo poche ore, e dei fatti di Sanremo, dove un uomo ha ucciso la sua ex fidanzata dopo essere stato già inquisito per un altro omicidio.

Per Mastella, le vicende "sono casi che lasciano il segno - ha dichiarato il ministro al Tg5 - Ma non sono per la giustizia del Colosseo. Certo, sono cose che lasciano perplesso anche me. Ma tra il lasciare perplessi e l’interferire, per quanto mi riguarda, ce ne corre. La giustizia deve riflettere le leggi". E quindi "è giusto valutare se le leggi sono efficaci".

Le polemiche. E monta la polemica sulla "facilità" con cui vengono scarcerati criminali o presunti tali. Per il capogruppo della Lega al Senato Roberto Castelli, lo stupore suscitato dalle vicende è "incomprensibile". "Le leggi - ha spiegato - per tenere in carcere chi ha commesso i reati ci sono già. Sta alla discrezionalità dei giudici lasciare in libertà o meno queste persone". L’unico modo per evitarle, prosegue l’ex ministro della Giustizia, "è cambiare la mentalità dei magistrati, affinché si cambi una cultura incomprensibile al cittadino e contro il comune buonsenso. Insisto: la possibilità di cambiare atteggiamento c’è già ed è nelle mani della magistratura".

Giustizia: Mastella; rispetto l'autonomia dei magistrati, però...

 

La Stampa, 11 agosto 2007

 

"Bisogna rispettare la discrezionalità e l’autonomia dei magistrati, ma certo alcune decisioni lasciano anche me col fiato sospeso". Clemente Mastella è a Ischia, in vacanza da amici. Sull’isola viene raggiunto dalle polemiche politiche sulle "scarcerazione facili": "Sono pronto - annuncia il Guardasigilli - a chiedere ai procuratori generali una relazione su quanto si è verificato".

 

Ministro, che ne pensa della storia del piromane di Latina arrestato con 19 inneschi pronti e subito scarcerato?

"Ne ho parlato al telefono anche col ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Va detto, innanzitutto, che la decisione rientra nella discrezionalità del magistrato. Dipende insomma dalla valutazione effettuata dal singolo giudice".

 

Eppure c’è chi - come il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli - le chiede di verificare i motivi della scarcerazione. Lo farà?

"In questi casi non si possono disporre ispezioni o altro, perché va rispettata l’indipendenza e la potestà dei magistrati. Però..."

 

Però?

"Farò chiedere ai Procuratori Generali un chiarimento su quanto si è verificato. Il mio sarà, insomma, un intervento cautelativo: chiederò loro conto dell’accaduto".

 

Cos’altro può fare la politica?

"Deve tenere senz’altro presente la sensibilità crescente dell’opinione pubblica su questi fatti. Se perfino il vescovo di Locri, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arriva a dire che gli incendiari vanno scomunicati, noi politici dobbiamo dare una risposta".

 

In concreto, quale?

"Rispondere allo sconcerto crescente con fattispecie penali ancora più forti e cogenti, perché ampie maglie si aprono a volte alla discrezionalità dei magistrati e c’è chi le utilizza a proposito, chi a sproposito".

 

A far discutere, ieri, è stata anche la scarcerazione dell’uomo che, lo scorso 15 luglio a San Secondo di Pinerolo, ha ucciso una sedicenne, mentre era ubriaco alla guida. Qual è la sua opinione su questa decisione?

"Anche questo singolo caso rientra nella valutazione dei magistrati, che devono sempre decidere secondo coscienza. Il ministro della Giustizia non può certo intervenire perché un giudice ha declassato da doloso a colposo il reato d’omicidio compiuto da un imputato. Ma è pur vero che qualche decisione lascia anche me col fiato sospeso. Comunque, sul fronte dei reati stradali abbiamo già approvato un decreto legge che inasprisce e pene. Io poi resto favorevole a una ancora maggiore severità tanto verso i piromani, tanto verso chi si mette alla guida ubriaco o drogato".

 

Molti accusano oggi i giudici per queste decisioni, ma i magistrati applicano solo la legge, non rispondono all’opinione pubblica e devono rispettare anche le garanzie dell’imputato.

"Certo. Severità, non vuol dire arrivare a un regime che metta in discussione il diritto alla difesa e alla libertà delle persone. Non si risolve insomma tutto, invocando solo galera e galera".

Giustizia: Di Pietro; la "tolleranza zero" va prevista per legge

 

La Stampa, 11 agosto 2007

 

"Basta con i politici che chiedono tolleranza zero e controlli ai magistrati che hanno solo applicato la legge. Cambino le leggi invece di volere ispezioni", dice il ministro alle Infrastrutture Antonio di Pietro.

 

Ma Di Pietro che dice, scusi, proprio lei?

"Lo ripeto. Basta con i politici che chiedono tolleranza zero ad ogni occasione ma in realtà lo fanno solo per farsi belli sui giornali visto che poi in parlamento non si comportano di conseguenza".

 

E chi sono?

"Niente nomi, dovrei farli tutti o quasi. Perché a centinaia, deputati ma anche ministri che hanno chiesto rigore, fermezza e poi nulla".

 

Un esempio?

"Tutti quelli che hanno firmato l’indulto. Tanto per fare un esempio recente.

 

Ma adesso si parla di magistrati che hanno scarcerato piromani e automobilisti ubriachi.

"A criticare, a dire che le cose non vanno sono tutti bravi e capaci. La realtà è che ognuno ha le sue competenze".

 

Competenze diverse, e allora?

"La questione è questa: se il magistrato ha messo fuori il piromane o il responsabile di un omicidio colposo non è colpa del magistrato, ma della norma che lo consente".

 

Vanno cambiate le leggi?

"Esatto"

 

E come?

"Ci vogliono norme che prevedano la tolleranza zero, e non chiedere ai magistrati di fare quello che non possono, che la legge non gli consente. Non se la possono mica inventare".

 

Cosa propone?

"In questo caso l’arresto, la custodia cautelare in carcere per chi viene sorpreso ubriaco o drogato alla guida".

 

In ogni caso, a prescindere?

"Per dare un senso di maggior rispetto della legge bisognerebbe prevedere la custodia cautelare in base alla gravità del fatto e basta".

 

Perché ora com’è?

"Ora è prevista la custodia cautelare in carcere solo se vi è anche la pericolosità sociale o la possibilità di reiterare il reato o di fuga".

 

Come dire?

"Che un marito ammazza la moglie e si costituisce non va in cella perché non è scappato e visto che la donna è morta non può ripetere il reato".

 

Quindi vorrebbe l’arresto in base alla gravità del fatto?

"Sì, ora è già possibile in alcuni casi".

 

Quali?

"Parlando di guidatori ubriachi che uccidono passanti, ad esempio, si può considerarlo omicidio volontario. Perché è come se la persona al volante con il suo comportamento - l’assunzione di alcol e droga - avesse accettato il rischio di causare la morte altrui. È un’ipotesi prevista dal codice penale, è una norma di origine romana in vigore da duemila anni".

 

Da duemila anni?

"È l’idea latina è che se uno si mette in condizioni di non poter ragionare, di impazzire, io, legislatore, anticipo le sue responsabilità al momento in cui era nel pieno possesso delle sue facoltà, quando sapeva quello che faceva e ha deciso di ingerire o fare qualcosa che lo ha portato a perdere il senno".

Anti-terrorismo: Amato convoca Comitato di Analisi Strategica

 

Asca, 11 agosto 2007

 

Sarà dedicato al contrasto del terrorismo il ferragosto del ministro dell’Interno. Come da tradizione, infatti, il 15 agosto sarà per il Viminale una giornata pienamente operativa. E il ministro Giuliano Amato ha voluto approfittare di questa occasione per convocare una riunione straordinaria del Casa, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, che per l’occasione sarà da lui presieduta. "Il ministro intende - si spiega in una nota diffusa dal Viminale - così confermare e ribadire la necessità di mantenere sempre alta la vigilanza delle Forze di Polizia e degli organismi d’intelligence contro i rischi del terrorismo esterno ed interno".

Amato, nell’occasione della festività ferragostana, saluterà anche alcuni rappresentanti delle Forze dell’Ordine autori di recenti operazioni contro il terrorismo, come quella che ha portato all’identificazione e all’arresto di una cellula jihadista vicino a Perugia. Il Viminale ha reso noto anche il programma completo della giornata: alle 9.30 il ministro Amato, accompagnato dal viceministro Marco Minniti, dal sottosegretario Ettore Rosato e dai vertici delle Forze dell’Ordine, incontrerà al Viminale una rappresentanza di donne e uomini della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, del Corpo Forestale dello Stato, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile, delle Capitanerie di Porto e della Polizia Municipale di Roma.

Successivamente, il ministro parteciperà a una riunione del Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, nell’ambito del quale si farà il punto sulla situazione della criminalità organizzata e straniera, anche alla luce dei recenti arresti, e alla riunione del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (Casa).

Livorno: brucia baracca in un campo rom, morti quattro bimbi

 

Affari Italiani, 11 agosto 2007

 

Quattro bambini hanno perso la vita in un incendio che si è sviluppato nella notte in una capanna in un campo rom a Livorno. La baracca in legno dove i quattro bambini sono morti si trova sotto un cavalcavia lungo Pian di Rota, alla periferia industriale di Livorno, vicino alla raffineria di Stagno.

I quattro bambini deceduti, di nazionalità romena, sono tre maschi e una femmina: Eva, 10 anni; Danchiu, 8; Lenuca, 6; Nengi, 4. Sarebbero legati da vincoli di parentela diversi tra loro. Si tratterebbe di tre fratellini e di un loro parente. Erano tutti di origine rumena e, da quanto si apprende, erano arrivati da circa due mesi. Un piccolo campo rom fatto solo da quattro o cinque capanni.

I primi ad intervenire sono stati i vigili del fuoco che non hanno potuto fare altro che estrarre i piccoli corpicini ormai carbonizzati. Le indagini sono affidate alla questura livornese e coordinate dal dirigente responsabile della sezione anticrimine della polizia Paolo Rossi.

Il sostituto procuratore Antonio Giaconi sta ascoltando ora i due genitori e gli altri abitanti del piccolo insediamento. Da quanto si apprende i nomadi chiedevano l’elemosina ma non avevano mai dato fastidio a nessuno. Sul luogo dell’incendio c’è la polizia scientifica che cerca di far luce sulle origini del rogo.

Treviso: lettera; caro Gentilini, le tue parole sono pietre...

 

Affari Italiani, 11 agosto 2007

 

Caro Gentilini, ho amici a Treviso, uomini e donne, non sono omosessuali, anzi a dirla con te non sono "culattoni". Quando parlo con loro sento una tristezza profonda per la situazione che vivono ormai da anni. Questa arrogante schiettezza da veneti rifatti, pieni di soldi e di egoismo, spavaldamente dimostrata in ogni occasione, con una volgarità che ha perso le delicatezze di "Signori e signore" per diventare solo disprezzo delle diversità e dei diritti altrui sta diventando insopportabile.

Tollerato altrove come "macchietta veneta" non rappresenti quella gente tollerante, aperta al nuovo, che ha fatto la fortuna della Serenissima.

La libera repubblica di Treviso è una vergogna, tenuto conto del contesto. Ma perché non è possibile, al contrario, fare di Treviso un punto d’incontro colto e libero, proprio perché non c’è problema di povertà, almeno apparentemente? A Treviso i giornalisti anni fa riuscirono a mettere insieme la carta dei diritti dei minori, tanto per fare un esempio concreto.

È ancora oggi un punto di riferimento per la tutela dell’immagine e dell’informazione. Dove sarebbe il posto giusto per un quartiere "a luci rosse". E in che cosa consisterebbe la "pulizia etnica"? Lo sai che le parole sono pietre, e per un vicesindaco come te ci possono essere dieci ragazzotti pronti a mettere in pratica.

La tua è la cultura deteriore della Lega, perché nella Lega per fortuna ci sono anche persone aperte, moderne, pratiche, che vivono nel mondo. Spero solo che la gente di Treviso prima o poi reagisca e ti dica di smetterla. Spero che il vento prima o poi cambi, sennò questo Paese diventa sempre meno abitabile, non solo a Treviso.

 

Franco Bomprezzi

Genova: triplicati processi per guida sotto effetto sostanze

 

Notiziario Aduc, 11 agosto 2007

 

Sono quasi triplicati i procedimenti iscritti presso la Procura di Genova per guida sotto l’effetto di stupefacenti considerando che, da 65 iscritti nel 2005 e 93 nel 2006, si è passati a 101 solo dal primo gennaio al 31 luglio 2007. La tendenza a crescere è rilevata anche per i procedimenti riguardanti la guida in stato di ebbrezza alcolica: 1013 nel 2005, 996 nel 2006 e 705 nei primi sette mesi di quest’anno.

I dati sono stati forniti dal procuratore aggiunto Francesco Cozzi che coordina, tra l’altro, il settore dei reati in materia di codice della strada. Per quanto riguarda i procedimenti riferiti a persone denunciate per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica vi è un aumento del 25-30% effettivo su base annua con una media mensile dell’84,4% nel 2005, dell’83% nel 2006 e del 100,7% nel 2007. La considerazione è che l’aumento è sì dovuto ai maggiori controlli ma se questi ultimi dovessero aumentare si avrebbe, di conseguenza, un’impennata dei procedimenti.

Per quanto riguarda la guida sotto l’ effetto di stupefacenti Cozzi ha detto che i dati rilevati destano preoccupazione considerando una media mensile di procedimenti iscritti del 5,4% nel 2005, 7,8% nel 2006 e 14,4% nei primi sette mesi del 2007.

A questo proposito Cozzi ha spiegato che dovrebbero essere migliorate le procedure di controllo e che "la Regione Liguria e l’Asl dovrebbero fare in modo di dotarsi di strumentazioni più precise per questo tipo di esami che consentano di accertare la quantità e la qualità dello stupefacente".

Sono in aumento anche i procedimenti relativi a denunce per guida in stato di ebbrezza alcolica e stupefacenti: dai 1089 del 2006 si è passati a 806 nei primi sette mesi del 2007 con una media mensile del 90,8% dell’anno scorso e di 115,1 dal primo gennaio al 31 luglio 2007 ed un aumento complessivo di 26,7%. La media mensile è comunque di un centinaio di procedimenti tra guida in stato di ebbrezza alcolica e di quella sotto l’effetto di stupefacenti.

Il procuratore ha detto di essere d’accordo sulle modifiche previste dal decreto-legge emanato recentemente in materia di codice della strada soprattutto per quanto riguarda l’inasprimento di pena finale graduato a seconda del tasso alcolico rilevato e dell’eventuale incidente provocato. "È positivo - ha affermato - sul piano della prevenzione generale tenendo conto della scarsa efficacia delle sanzioni precedenti. Preoccupa però che le sanzioni del decreto-legge puniscano lo stato di alterazione da stupefacenti meno gravemente (la pena è al massimo di 3 mesi) rispetto alla guida per alcool che arriva a 6 mesi quando si supera il tasso alcolico di 1,5".

Cozzi si è augurato "che il Parlamento, nel momento di convertire in legge il decreto, si adegui alla linea sanzionatoria ‘anche per quanto riguarda la possibilità di una sostituzione immediatamente efficace della pena dell’arresto con misure alternative quali i lavori di pubblica utilità visto che l’arresto non diventa mai effettivo. Inoltre che introducano la possibilità di fermare il conducente nei casi più gravi".

Droghe: sulle tracce dei 5 milioni di euro per le Comunità

 

Panorama, 11 agosto 2007

 

Don ut des, così può cambiare il motto latino: tu dai a me e forse, un giorno, Dio te ne renderà gloria. Ovvero quando l’abito talare non basta, ma aiuta. Aiuta a metter su centri di assistenza per tossicodipendenti. Aiuta a restaurare locali donati da privati o enti pubblici e a trasformali in case di accoglienza, aiuta a realizzare progetti di prevenzione. Aiuta, insomma, a metter su quel business dell’assistenza sociale che prende il nome di "comunità di recupero".

Più ti fai vedere, più conti sui giornali, più qualcuno ti darà retta. Come i politici, ad esempio. Di destra e di sinistra. Perché la droga è un problema e perché la droga, che la si voglia abolire o liberalizzare, è un tema che conta nelle scelte elettorali. Ma per mandare avanti baracca e burattini servono soldi. Tanti soldi. E quando ci sono di mezzo gli euro, la mia comunità è sempre meglio della tua.

Sarà un caso infatti, ma a settembre il Ministero della Solidarietà Sociale dovrà decidere a chi assegnare la bellezza di 5 milioni di euro. Soldi che vengono da lontano, dal dicembre del 2005, quando il Governo Berlusconi tirò fuori dal cilindro il "Fondo nazionale per le comunità giovanili" per "favorire le attività dei giovani in materia di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno delle tossicodipendenze". In molti si chiesero cosa fossero esattamente le comunità giovanili e a più di qualcuno, soprattutto negli ambienti antiproibizionisti e dell’associazionismo di sinistra, venne il sospetto che il finanziamento fosse stato tagliato su misura per qualche abito, talare. Tanto più che la spiegazione su cosa e quali fossero esattamente le "comunità giovanili" fu rimpallata a un comitato nuovo nuovo: l’Osservatorio per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze; appositamente istituito presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga.

Entro 60 giorni dall’approvazione della Finanziaria, quella 2006, un decreto del Presidente del Consiglio avrebbe dovuto fornire gli elenchi delle comunità che sarebbero state giubilate della pioggia di denaro pubblico. Ma di giorni, ormai, più che 60 ne sono passati 600: l’Osservatorio è rimasto solo sulla carta e l’albero della cuccagna è ormai maturo.

Alla fine dei conti, quanti sono i tossicodipendenti a vario titolo in cura presso strutture pubbliche o convenzionate? Secondo la Federazione italiana dei servizi pubblici delle dipendenze (Federserd) e la Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), non più di 180 mila persone; assistite da circa 6.500 operatori pubblici, circa la metà di quelli previsti, e sei mila dipendenti privati. Tutti uniti nella convinzione che le risorse non bastano.

Alla fine dello scorso giugno, in un tavolo di confronto con il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, Federsed e Fict hanno denunciato la parziale scomparsa del fondo nazionale per la lotta alla droga. Disperso sul fronte dei tagli alla spesa. Il 75% del fondo, assegnato alle Regioni, non è più vincolato nella destinazione ed è stato speso anche per interventi sociali non strettamente legati alla droga. Senza dimenticare che le Regioni spendono per il settore dipendenze una cifra in media pari allo 0,8% del Fondo sanitario nazionale. C’è poi il problema delle differenze tra regioni per i rimborsi corrisposti alle Comunità: le rette per ogni tossicodipendente assistito possono andare dai 40 euro agli 80 euro al giorno. Quasi che un ragazzo della Basilicata sia differente da uno del Veneto.

D’altronde sono state proprio le Regioni, di destra e di sinistra, a mandare all’aria l’istituzione dell’Osservatorio sul disagio giovanile. Il Governo Berlusconi aveva sottovalutato la sete di risorse degli Enti locali. Appena la Finanziaria 2006 è stata legge, le regioni hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale. Alla fine la toppa ce l’ha messa la Finanziaria del 2007, prevedendo che il decreto del Ministro della Solidarietà sociale, istitutivo dell’Osservatorio, abbia l’intesa della Conferenza Stato-Regioni. Compreso l’ok sul decreto per l’utilizzo del Fondo nazionale per le comunità giovanili: i famosi, attesi, invidiati 5 milioni di euro.

Droghe: l’affaire di Don Gelmini e la crisi delle Comunità

 

Panorama, 11 agosto 2007

 

C’è una guerra di successione dietro lo scandalo che ha travolto il fondatore della Comunità Incontro, don Pierino Gelmini, 82 anni. Le prime avvisaglie cinque anni fa. Secondo una denuncia anonima l’esuberante sacerdote non sarebbe stato solo un padre affettuoso e premuroso con gli ex tossicodipendenti della comunità di Amelia (Terni), ma qualcosa di più. La denuncia venne archiviata ma coincise con l’allontanamento di un ex sacerdote, per anni braccio destro del fondatore.

Nel frattempo cresceva il ruolo di un prete cingalese che presta servizio nella comunità, padre Bernard. Accanto a lui don Enzo Pichelli e Marco Araclea, coordinatore dei centri di accoglienza. Un piccolo staff di fedelissimi che non ha mancato di provocare le gelosie di altri operatori e volontari, in particolare quando si è cominciato a discutere su chi raccoglierà il testimone del sacerdote.

Aperta e accogliente con chi ha bisogno di aiuto, dal punto di vista organizzativo la Comunità Incontro appare invece impenetrabile. Forte di 164 sedi residenziali in Italia e 74 negli altri paesi del mondo, la galassia di Gelmini è rigidamente gerarchica. Dal fondatore passano ancora tutte le decisioni che contano. Tanto sono vivaci i rapporti di don Pierino con il mondo politico e dello spettacolo tanto sono essenziali quelli con il mondo ecclesiale. Ridotti all’ufficialità gli incontri di Gelmini con il suo vescovo, Vincenzo Paglia. Li divide un’opposta sensibilità politica.

Di fronte allo scandalo, Paglia ha scelto di non prendere posizione. Silenzio anche da parte dei vertici della Cei e del Vaticano. L’unico a pronunciarsi è stato il cardinale Francesco Marchisano che, parlando a titolo personale, ha chiesto a don Gelmini di farsi da parte, almeno fino alla fine dell’inchiesta. Al silenzio delle gerarchie si sono aggiunti gli attacchi di don Antonio Mazzi. La guerra fra "i don antidroga" svela rivalità che dividono il mondo del volontariato impegnato nella lotta alla tossicodipendenza, legato anche alla feroce concorrenza per l’accesso ai fondi pubblici. Ed è il sintomo della crisi che attraversano molte comunità terapeutiche fondate negli anni Settanta.

Sorte per far fronte al dilagare dell’eroina, ora si trovano spiazzate dalla radicale modificazione del consumo di droga nel nostro Paese, passato alla cocaina e alle sostanze sintetiche. Nel Nord Italia più del 50 per cento dei nuovi soggetti presi in cura dai Sert e dalle comunità presenta un abuso primario di cocaina, denunciano gli operatori. Secondo il Cnr i consumatori di cocaina in Italia sono 1,5 milioni ma non più di 30 mila di essi riescono a essere presi in cura dai servizi.

Nel frattempo le comunità terapeutiche chiudono o si svuotano. Il numero delle strutture residenziali per le dipendenze si è dimezzato rispetto a dieci anni fa, rivela l’Agenzia Redattore Sociale sulla scorta della Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia. Nel 1996 si contavano 1.372 strutture residenziali con circa 24 mila utenti. Oggi ce ne sono 730 residenziali e 204 semiresidenziali, con non più di 11 mila utenti. "In Lombardia, su 2.200 posti disponibili in comunità, sono occupati poco più della metà" osserva don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità Nuova a Milano. "Per i cocainomani la comunità terapeutica tradizionale è necessaria solo in casi particolari. Occorre trasformare parte di queste strutture in centri diurni capaci di offrire risposte nuove e diversificate".

Ma la crisi delle comunità terapeutiche è anche economica. "Non è una questione di destra o di sinistra. Nessun governo dimostra la volontà di definire un vero progetto per combattere le tossicodipendenze" denuncia don Vinicio Albanesi della Comunità di Capodarco. E c’è un problema generazionale: per i carismatici fondatori delle comunità terapeutiche è giunta l’ora di passare il testimone. Ha cominciato San Patrignano: Andrea Muccioli ha raccolto l’eredità del padre e la comunità punta ad adeguarsi alle nuove emergenze. Lo stesso può dirsi per il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti e il Ceis di don Mario Picchi. Ora tocca a Exodus di don Mazzi e alla Comunità Incontro di don Gelmini. Ma, a quanto pare, non sarà un cammino facile.

Droghe: don Gelmini e i suoi fratelli… i "preti di frontiera"

 

Panorama, 11 agosto 2007

 

Esercitano la "Cristoterapia", sposano il movimento pacifista, predicano in tv. Accolgono tra le loro mura diseredati, drogati, prostitute sfruttate. I preti di frontiera hanno fondato comunità di accoglienza che in alcuni casi sono diventate delle multinazionali, con metodi e filosofie diverse, a volte contrapposte, ma con un denominatore comune: un giro d’affari milionario.

La creatura di don Antonio Mazzi è la Fondazione Exodus. Il primo centro nasce a Milano nel 1984 per aiutare i giovani tossicodipendenti. All’inizio l’attività è itinerante, fatta con le "Carovane", poi altre sedi si radicano nel territorio. Oggi le comunità di Exodus sono una quarantina, sparse su tutto il territorio nazionale. Gli operatori di don Mazzi hanno lavorato anche in Argentina, in Bosnia, a Sarajevo.

Don Pierino Gelmini fonda nel 1979 ad Amelia, in Umbria, il primo centro della Comunità Incontro. Oggi l’organizzazione ha 164 sedi in Italia e 74 all’estero, tra Europa, Sudamerica, Asia, Stati Uniti. Già nel ‘63 don Gelmini si occupava di emarginati a Roma. In oltre quarant’anni sono passate nei suoi centri circa 300 mila persone in difficoltà: tossicodipendenti, alcolisti, anziani, portatori di handicap.

L’associazione di don Oreste Benzi, la Comunità Papa Giovanni XXIII, opera in moltissimi campi in Italia e all’estero (alcuni Paesi: Albania, Bangladesh, Cina, Romania, Zambia). Oltre che all’assistenza dei tossicodipendenti i centri sono dedicati all’aiuto di donne e minori in difficoltà, persone sfruttate o che vivono per strada. La struttura, attiva da circa trent’anni, conta tra l’altro 200 case famiglia e 32 comunità terapeutiche.

Don Andrea Gallo fonda la Comunità San Benedetto al porto di Genova nel 1975. L’associazione può ospitare circa 120 persone in sei comunità tra Liguria e Piemonte e 14 appartamenti a Genova. Dal 1993 è presente anche a Santo Domingo con due centri. Accoglie persone in difficoltà sociale e in condizioni di disagio psichico o dipendenti da droga e alcol.

Don Luigi Ciotti è il patron del Gruppo Abele, nato a Torino nel 1965. I centri di prima accoglienza e residenziali sono aperti a tossicodipendenti, malati di Aids, ex detenuti, donne in fuga dalla prostituzione, stranieri con problemi di integrazione, persone senza fissa dimora, bambini. Dai primi anni ‘80 il gruppo è impegnato anche all’estero, in Vietnam e Costa d’Avorio.

La lotta alla pedofilia è la missione di don Fortunato Di Noto, che ha creato l’Associazione Meter, con una decina di sedi in Sicilia. Il campo d’azione comprende tutte le attività a tutela dei minori: il miglioramento delle condizioni di vita dei bambini in difficoltà, la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento sessuale dei bambini (anche attraverso la pedo-pornografia online), le iniziative che promuovono l’educazione delle famiglie al rispetto dei diritti dei più piccoli.

Don Gino Rigoldi è presidente della Comunità Nuova. Il sacerdote è da sempre impegnato nel recupero dei giovani come cappellano del carcere minorile "Beccaria" di Milano. La sua comunità, nata nel 1973 con sede sempre a Milano, si occupa in particolare del recupero di tossicodipendenti, del loro reinserimento e dell’accoglienza di ragazzi e bambini con problemi familiari. La comunità terapeutica per tossicodipendenti Villa Paradiso ospita trenta persone e si trova a Besana Brianza.

Droghe: Modena; operatore di una Comunità ucciso a coltellate

 

Modena 2000, 11 agosto 2007

 

Si è svolta ieri a Modena l’autopsia sul cadavere di Alberto Pavarani. L’uomo, 51 anni, operatore della Comunità "Lo Stradello" di Scandiano - che si occupa del recupero dei tossicodipendenti - sarebbe stato ucciso con sei fendenti, cinque all’addome e uno a un fianco, con un’arma da punta e taglio, forse un coltello o un punteruolo.

Pavarani potrebbe essere stato ucciso per una vendetta maturata nel mondo della droga. Oggi, mentre a Roteglia ci saranno i funerali, in tribunale a Reggio Emilia si svolgerà l’udienza di convalida del fermo della coppia fermata: Amedeo De Amicis, originario del foggiano di 36 anni e detenuto a Reggio Emilia, sarebbe direttamente correlato al delitto in quanto secondo il Pm Maria Rita Pantani sarebbe l’autore materiale dell’omicidio. Lei, Cecile Lebrettone, francese di 38 anni, per ora è accusata solo della rapina in una farmacia di Magreta mercoledì, quando gli inquirenti hanno scoperto in camera da letto il cadavere di Pavarani, morto da giorni.

 

 

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