Rassegna stampa 4 settembre

 

Indulto: verso una strategia di inserimento per gli ex-detenuti

 

Redattore Sociale, 4 settembre 2006

 

Domani, 5 settembre tutti gli assessori regionali alle politiche sociali si incontreranno con il ministro alla Solidarietà, Paolo Ferrero per dare adeguate risposte all’emergenza che si è venuta a creare con l’indulto. All’incontro, oltre ai rappresentanti di altri ministeri interessati (Giustizia, Lavoro, Salute) e a quelli di Comuni e Province, parteciperanno anche i rappresentanti del mondo dell’associazionismo, protagonisti del primo incontro svoltosi all’inizio di agosto sempre nel ministero di via Fornovo.

Un appuntamento atteso, soprattutto perché bisognerà valutare quali saranno le risorse messe a disposizione dal Governo per l’attuazione dei vari progetti che dovrebbero comporre quella "rete di supporto" agli ex-detenuti che Ferrero aspira a coordinare. A tal proposito c’è da dire che il ministro della Solidarietà sociale attende a sua volta risposte dall’Economia, per potersi presentare al confronto non solo per ascoltare e proporre ipotesi concrete di lavoro, ma per mettere a disposizione un minimo di risorse economiche. Restano intanto valide le ipotesi già elaborate nei giorni scorsi. Tra queste, la possibilità di far ricorso alla "Cassa ammende", fondo costituito da anni presso l’amministrazione penitenziaria, di fatto destinato al reinserimento lavorativo, ma nella pratica mai utilizzato a questo scopo.

Le Regioni intanto si stanno muovendo per comprendere le rispettive situazioni sul loro territorio. In Puglia, ad esempio, in previsione di questo appuntamento alla fine della scorsa settimana si è tenuta a Bari una riunione di lavoro, sollecitata dall’assessore Elena Gentile.

L’incontro è stata l’occasione per fotografare la dimensione del fenomeno nella regione, sulla base dei dati di dettaglio che tutte le amministrazioni invitate hanno portato: sono 1.412 in tutta la Puglia i detenuti che hanno beneficiato del provvedimento di indulto e sono usciti dagli istituti penitenziari, a cui occorre aggiungere altre 1.750 persone che si trovavano in regime di esecuzione della pena non detentiva quando hanno beneficiato dell’indulto. Quindi complessivamente si parla di 3.160 persone detenute in Puglia o qui sottoposte a provvedimenti non detentivi di esecuzione della pena, che hanno riavuto la libertà per effetto dell’indulto. Si tratta di un numero di persone molto elevato, e che richiede molta attenzione per almeno due ordini di ragioni: circa 850 dei 3.070 che hanno già beneficiato dell’indulto, e di cui sono stati analizzati i rispettivi fascicoli, hanno problemi di dipendenza patologica e circa 280 sono coloro che presentano disturbi psichici o patologie psichiatriche.

"Abbiamo concordato - sintetizza l’assessore Gentile - sulla opportunità di considerare l’emergenza indulto come una occasione da non perdere per avviare una nuova consuetudine di collaborazione tra istituzioni diverse e per collocare in un quadro di ordinarietà la costruzione di una rete di servizi capaci di accogliere gli ex-detenuti nella società pugliese e nelle comunità locali". Quello che manca in Puglia è un canale dedicato per l’accesso degli ex-detenuti al mondo del lavoro, costruito non tanto e non solo da sportelli di intermediazione lavorativa, di orientamento e di valutazione delle competenze, ma soprattutto un sistema di incentivi per le realtà produttive pugliesi che devono accettare di accogliere ex-detenuti tra i propri lavoratori, e centri socio-educativi e di inserimento lavorativo per detenuti ed ex-detenuti che possano insegnare un mestiere e orientare verso nuove motivazioni le persone sottoposte a misure restrittive.

L’Assessore Gentile ha chiesto a tutte le Amministrazioni partecipanti di assicurare la piena collaborazione già nell’immediato perché le priorità individuate costituiscano anche il filo rosso su cui effettuare le scelte di investimento che la Puglia dovrà assumere per mettere a sistema una rete di strutture e di interventi in favore dell’inclusione sociale degli ex-detenuti e delle loro famiglie, nell’ambito del Documento Strategico 2007-2013. "Rappresenteremo le priorità di intervento che abbiamo individuato insieme alle Amministrazioni incontrate - ribadisce la Gentile - nel corso dell’incontro con il Ministro Ferrero, auspicando un impegno diretto e con risorse aggiuntive da parte del Ministero della Solidarietà. Da parte nostra non lasceremo da soli i Comuni, ma è anche necessario che i Comuni non disconoscano questa importante area di bisogno nelle rispettive programmazioni".

Indulto: Federsolidarietà; subito Decreto Legge per reinserimento

 

Vita, 4 settembre 2006

 

Così Vilma Mazzocco, presidente di Federsolidarietà che chiede anche "un decreto che estenda le categorie di soggetti svantaggiati, ai sensi dell’art. 4 della legge 381/91".

"La cooperazione sociale è pronta a impegnarsi, grazie al know how acquisito negli anni, ai tavoli di progettazione che il Governo sta attivando per il reinserimento degli ex detenuti. Chiedo, quindi, al Presidente del Consiglio dei Ministri l’adozione urgente di un decreto che estenda le categorie di soggetti svantaggiati, ai sensi dell’art. 4 della legge 381/91, a tutti coloro che hanno usufruito del provvedimento di indulto per un periodo di due anni".

A dirlo è Vilma Mazzocco presidente di Federsolidarietà - Confcooperative. "Questo provvedimento - spiega Mazzocco - consentirebbe all’intero universo dei detenuti beneficiari dell’indulto di partecipare a programmi mirati di inserimento lavorativo e di formazione delle cooperative sociali. L’azione di reinserimento e di riqualificazione - conclude il presidente di Federsolidarietà - permetterebbe percorsi di inclusione sociale organizzati che consentirebbero una concreta riduzione del ritorno a delinquere".

Ravenna: indulto; per Udc locale così concepito non va

 

Corriere Adriatico, 4 settembre 2006

 

Contrario all’indulto come è stato concepito, Gianfranco Spadoni prende spunto dalla recente visita alla casa circondariale di Ravenna da parte di una delegazione della Rosa nel pugno per chiedere misure più incisive per la risoluzione del problema del sovraffollamento al carcere di Ravenna.

"La visita effettuata conferma un dato inconfutabile che evidenzia chiaramente come il risultato prodotto dal provvedimento dell’indulto sia davvero modesto - spiega in una note l’esponente dell’Udc-Lista per Ravenna -. Questo provvedimento di clemenza mostra tutta una serie di limiti oggettivi che sono sotto gli occhi di tutti, oltre a rivelarsi profondamente sbagliato per i tempi e le modalità d’attuazione.

Infatti, la legge ha perseguito l’obiettivo di alleggerire le carceri rendendo più vivibili le condizioni dei detenuti, ma si è trattato di un provvedimento zoppo in quanto avrebbe dovuto contestualmente affrontare la situazione insostenibile dei penitenziari insieme ad una riforma del Codice di procedura penale. Soprattutto avrebbe dovuto mettere in campo una serie di attività alternative alla reclusione puntando su percorsi formativi e rieducativi. Quella che, in altri termini, la Conferenza dei vescovi non esitava ad indicare come recupero sociale dei detenuti riportando le carceri a situazioni di maggiore vivibilità.

L’espiazione della pena, intesa come percorso alternativo basato sulla formazione e sulla rieducazione, va celermente definito assieme agli enti locali i quali, di fatto, hanno in questo senso compiti e funzioni molto precise. Ci uniamo, quindi, alle giuste preoccupazioni provenienti da più parti per sollecitare il Governo ad adottare decreti attuativi affinché il provvedimento riguardante la concessione dell’indulto possa attuarsi in modo compiuto, risolvendo le numerose questioni logistico-organizzative che discendono dall’atto di clemenza. Solo attraverso la realizzazione della seconda parte della legge sull’indulto e con il coinvolgimento più incisivo degli enti locali - conclude Spadoni -, si potranno raggiungere i risultati che stanno alla base del provvedimento in questione".

Vibo: indulto; esce e scopre di essere senza la sua famiglia

 

Ansa, 4 settembre 2006

 

Dopo tre anni di carcere, un nomade torinese è uscito dalla casa circondariale di Vibo Valentia grazie all’indulto ed ha scoperto che la sua famiglia, moglie e cinque dei suoi sei figli, è andata a vivere in Norvegia e che addirittura il Tribunale dei minori di Torino gli ha tolto la potestà genitoriale per il primogenito di 14 anni e la possibilità di vederlo. Una decisione contro cui l’uomo ha ora presentato ricorso attraverso l’avvocato torinese Domenico Peila.

Il nomade contesta non tanto l’affidamento alla famiglia, quanto la possibilità di non poterlo vedere e di non poter essere considerato il padre del bambino. Protagonista della vicenda è Giuliano H., 31 anni, nato a Torino ma di origine bosniaca, domiciliato nel campo nomadi di strada dell’aeroporto. Uscito lo scorso 4 agosto dall’istituto di pena calabrese, Giuliano è tornato nella città subalpina per ricongiungersi con la famiglia, che nel frattempo per la tradizione Rom era stata affidata al padre dell’uomo, ma non ha trovato nessuno.

La moglie e cinque dei suoi sei figli si erano infatti trasferiti in Norvegia per divergenze con il suocero, mentre il primogenito era scappato dal campo nomadi nel novembre dello scorso anno, anche lui per litigi con il nonno, considerato un uomo molto violento. Ritrovato dai vigili urbani ed affidato ad una comunità, nel frattempo il giovane è stato affidato ad una famiglia dal Tribunale dei minori di Torino, che ha anche tolto al padre la potestà genitoriale con il contemporaneo divieto di vederlo. Il giovane ha detto che il padre era in carcere, ma l’uomo era detenuto con un nome diverso e così non è stato rintracciato.

Reality show in carcere: garante chiede garanzie per i detenuti

 

Market Press, 4 settembre 2006

 

Una cosa è l’informazione sulla realtà carceraria, tutt’altra cosa la spettacolarizzazione di situazioni di disagio. È questo il concetto base della risposta del Garante privacy al Ministero della Giustizia che lo aveva interpellato sul progetto di una trasmissione televisiva stile "reality" da realizzare, nel carcere di Viterbo, a cura di Maurizio Costanzo per Italia 1. Sedici ore di registrazione in cella al giorno, dalle quali estrarre una puntata quotidiana di mezz’ora.

La relazione di Mauro Paissan, fatta propria dal Collegio del Garante, afferma come assoluta la tutela della dignità del detenuto nel rendere noti drammi e momenti del tutto privati della vita carceraria. "Il consenso degli interessati è importante, ma non è di per sé sufficiente: rappresenta soltanto uno dei presupposti da tenere presente, per il quale ci si dovrà peraltro assicurare che si tratti di una manifestazione di volontà realmente libera e basata su un’adeguata informazione preventiva, volta a spiegare bene anche gli effetti di una prolungata esposizione al pubblico. Occorre quindi che il Ministero valuti l’iniziativa nel suo insieme, senza limitarsi alla pur necessaria disponibilità dei singoli detenuti e degli altri soggetti coinvolti".

Paissan evidenzia in particolare alcuni aspetti problematici che vanno attentamente considerati. Innanzitutto, i luoghi delle riprese. "L’installazione di telecamere fisse all’interno di locali angusti rende necessario salvaguardare spazi irrinunciabili di intimità delle persone ristrette in cella, legati, ad esempio, a particolari stati di disagio o di malattia, oppure al decoro e all’igiene della persona". E le stesse cautele devono essere usate per le riprese negli ambienti e nelle aree destinate alle attività ricreative o di ritrovo dei detenuti (cortili, mense, ecc.).

Un’ulteriore riflessione, afferma ancora il Garante, dovrebbe riguardare le concrete modalità e la durata delle riprese, visto che si prefigura un massiccio utilizzo di telecamere accese in modo continuativo per un prolungato arco di tempo (16 ore quotidiane, secondo la tipologia del cosiddetto "reality"), che potrebbe risultare, malgrado i possibili tagli nel montaggio, eccessivo e sproporzionato rispetto alle finalità di informazione e di documentazione. La relazione di Paissan pone, infine, al Ministero la questione di ciò che nel corso delle riprese può essere detto su altre persone: "Dovrebbero essere fornite adeguate garanzie rispetto ai diritti dei terzi oggetto di racconti e commenti durante le registrazioni, con particolare riguardo al diritto all’oblio e alle vittime dei reati".

Cassino: agente arrestato, passava un telefonino ai detenuti

 

Il Tempo, 4 settembre 2006

 

L’agente è stato tratto in arresto dai suoi stessi colleghi in servizio presso il carcere di Cassino, sabato mattina mentre era sul posto di lavoro. Erano mesi che l’indagato veniva tenuto sotto stretto controllo oltre dai poliziotti di via Sferracavalli che lo osservavano quotidianamente, anche dagli uomini della Squadra Mobile di Frosinone che hanno coordinato l’intera indagine. In pratica, l’indagato accusato di corruzione, secondo gli investigatori avrebbe noleggiato un telefono cellulare ad alcuni detenuti previo corrispettivo di denaro.

Denaro che partiva dalle cento alle 500 euro, a seconda di chi detenuto doveva chiamare. Se la telefonata, tanto per intenderci era di quelle "scottanti" il prezzo saliva alle stelle. L’agente carcerario non disdegnava nemmeno di passare bigliettini contenenti messaggi delle mogli o delle fidanzate. Insomma per la popolazione carceraria era diventato una sorta di factotum. Numerosi sarebbero gli episodi criminosi accertati; sembra proprio che si trattasse di un’abitudine che l’agente e alcuni detenuti avevano preso. È chiaro che le indagini che proseguono a pieno ritmo anche dopo l’arresto, avvenuto a luci spente la cui notizia è passata sotto traccia, saranno orientate ad accertare oltre che il tenore e l’ampiezza dell’ipotesi di corruzione anche il contenuto delle telefonate che i detenuti facevano segretamente con l’ausilio della guardia carceraria.

Pochi gli elementi investigativi che trapelano in un’indagine quanto mai blindata dal segreto istruttorio; bocche cucite sia dagli ambienti della questura che dalla casa circondariale cassinate in cui si sarebbe consumato il reato. Ad ogni modo, sembra accertato che ad usufruire del cellulare incriminato sarebbero alcuni detenuti cassinati, ma soprattutto detenuti da vecchia data del casertano che potrebbero aver continuato a comunicare con emissari della malavita campana. L’agente, stando alle attuali risultanze investigative, sembra che abbia sempre agito da solo, non vi sarebbero quindi altri indagati nella vicenda. Nei prossimi giorni l’agente di polizia penitenziaria verrà interrogato dal magistrato inquirente.

Caserta: indulto; reinserimento sociale per gli ex detenuti

 

Il Mattino, 4 settembre 2006

 

Il reinserimento sociale degli ex detenuti che hanno beneficiato dell’indulto passa anche per il Comune di Caserta. È quanto è emerso nel corso dell’ultimo incontro tenuto in Prefettura con le Asl, le forze dell’ordine, gli istituti giudiziari e i rappresentanti degli enti locali che rientrano nell’ambito C7. La riunione era stata promossa infatti dall’Ufficio territoriale del Governo, all’indomani dell’entrata in vigore della legge 241/2006 che prevede lo sconto di pena fino a tre anni per i reati commessi sino allo scorso mese di maggio, con l’intento di codificare un piano organizzativo in grado di fronteggiare eventuali emergenze.

Emergenze che, almeno fino ad ora, non si sono verificate grazie anche all’ottima sinergia esistente fra tutte le strutture preposte. Il Comune, che già dal 2004 dispone infatti di un segretariato sociale (così come tutti i Comuni del Piano di zona sociale C7), in base a quanto previsto dalla legge 328/2000, si fa carico - attraverso il front-office - di informare e orientare i cittadini che ne fanno richiesta su tutti i servizi socio-assistenziali esistenti sul territorio per poi indirizzarli, in base alle rispettive esigenze, verso le strutture più adatte, siano esse i Sert dell’azienda sanitaria locale, i centri di accoglienza, o i servizi informa immigrati.

Extracomunitari privi di permesso di soggiorno che necessitano di prestazioni medico-sanitarie, barboni, stranieri e senza fissa dimora in cerca di un alloggio (a tal fine è attivo da un anno in via Santagata un centro di accoglienza in grado di ospitare fino a dieci persone, seppur per un lasso di tempo non superiore ai quindici giorni, alle quali garantisce pernottamento, cena e prima colazione), anziani e disabili bisognosi di assistenza, nonché tossicodipendenti ed ex detenuti che necessitano di aiuto per reinserirsi nel tessuto sociale.

Sono in tanti a rivolgersi quotidianamente a questo sportello informativo, che si avvale dell’operato di un assistente sociale oltre che di due operatori - fanno sapere dal settore Politiche sociali - e da qualche settimana abbonda anche il numero degli ex detenuti ai quali, va tuttavia precisato, il Comune non può elargire alcun contributo economico perché la legge in materia non lo prevede. Il segretariato sociale ha sede in piazza Ruggiero ed è aperto al pubblico tutte le mattine dalle 8.30 alle 13. Visibilmente soddisfatto l’assessore alle Politiche sociale, Adriana D’Amico, che ha elogiato l’efficienza delle strutture e la validità degli operatori.

Pesaro: indulto; sono oltre cento i detenuti scarcerati

 

Il Messaggero, 4 settembre 2006

 

Oltre 23 mila detenuti scarcerati per effetto dell’indulto, di cui ottomila stranieri. Il dato è Aldo Di Giacomo segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, secondo cui, il numero maggiore di detenuti è uscito dalla Lombardia (3 mila detenuti), Campania, Lazio e Sicilia (ognuna con oltre duemila detenuti). Sottolinea Di Giacomo: "Le cifre vanno oltre ogni previsione iniziale, che prevedevano dodicimila detenuti, nella nostra regione, ad oggi, sono stati scarcerati 295 detenuti di cui il 44% stranieri 130 scarcerazioni, nello specifico Ancona Montacuto 74, Ancona Barcaglione 16, Ascoli 39, Camerino 6, Fermo 43, Fossombrone 18, Pesaro 86, Macerata Feltra 13. A questi vanno aggiunti ulteriori 208 che ne hanno usufruito dalle misure alternative di cui 119 dal distretto di Ancona, 89 da quello di Macerata in questo caso 20 detenuti sono stranieri, per un totale di 503 in tutta la regione".

"La portata dell’atto di clemenza - continua Di Giacomo - è di portata storica, nelle Marche come nel resto d’Italia le scarcerazioni continueranno ancora fino alla fine dell’anno. Per non rendere vano questo provvedimento è necessario che governo e parlamento pensino ad interventi strutturali che ripensino la carcerazione quali il potenziamento dell’area penale esterna, un maggior ricorso alle misure alternative, una legge che faciliti l’espulsione degli extracomunitari piuttosto che la loro detenzione in Italia".

Siracusa: indulto; ex detenuti dal sindaco a chiedere lavoro

 

La Sicilia, 4 settembre 2006

 

Da qualche giorno c’è un via vai di gente al comune che insiste in maniera vibrata per farsi ricevere dal sindaco Albino Di Giovanni. Si tratta degli ex detenuti che, liberati in seguito al recente provvedimento di indulto, fanno pressione perché convinti di poter contare nell’immediatezza su una corsia preferenziale che consenta di accedere a posti di lavoro, alcuni, addirittura, pretendono dei sussidi economici.

Di fronte al diniego dell’usciere che fa da filtro e rappresenta la necessità di un appuntamento preventivo con il primo cittadino, qualcuno è andato in escandescenza per cui è stata intensificata la sorveglianza con il supporto degli agenti di polizia municipale. Il disagio delle famiglie è evidente, ma non si può trascurare la difficoltà di fronteggiare una simile situazione che finisce con lo scaricare sugli enti locali problematiche complesse.

"Le Prefetture si sono attivate e ci hanno comunicato la recente costituzione di un apposito nucleo - riferisce Di Giovanni - Ho dato l’input ai servizi sociali per predisporre progetti idonei. Come comune riteniamo di avere già uno strumento parametrato allo stato di disagio dei richiedenti. Mi riferisco alle borse lavoro, utilizzate per aiutare quei nuclei familiari che versano in condizioni di grave disagio socio economico. All’interno di questo strumento può trovare spazio la soluzione della problematica degli ex detenuti, una sorta di borse di lavoro suppletive, chiederemo un contributo in questo senso da parte della prefettura".

Brescia: indulto; senza lavoro il reinserimento è difficile

 

Giornale di Brescia, 4 settembre 2006

 

"Il problema principale per chi esce dal carcere è il lavoro: senza quello è difficile che si possa parlare di reinserimento". È molto chiaro Mario Fappani, il garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Il suo ufficio è stato istituito con un’apposita delibera del Consiglio comunale proprio all’inizio dall’anno e da allora, nella sede in via Fratelli Lombardi 2, il problema al quale si cerca di dare una risposta è sempre quello: il lavoro.

"Chi esce dal carcere e vuole reinserirsi ha bisogno di un’occupazione - ribadisce Fappani - ma trovarla non è facile, nonostante le ottime leggi esistenti in Italia". Fappani si riferisce alla legge Smuraglia e alle "Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti" che esistono, ma spesso si scontrano con la ritrosia delle imprese private ad assumere detenuti o ex detenuti. Neppure la convenzione stipulata in passato dalla Provincia di Brescia con le associazioni degli industriali e degli artigiani ha portato grandi risultati. "C’è sicuramente un ostacolo, anche di tipo culturale, da superare - sostiene Fappani -. Certo è che uno strumento fondamentale per provare a rompere questa barriera sono le cooperative sociali: già attive in tal senso sul nostro territorio, dovrebbero essere maggiormente sostenute con appalti e contratti di servizio".

L’indulto, e la conseguente messa in libertà di oltre 15 mila persone in Italia (200 a Brescia), ha solo accentuato il problema del reinserimento sociale. Fappani ricorda che proprio nei giorni successivi all’ approvazione dell’indulto i ministeri del Lavoro e della Giustizia hanno annunciato lo stanziamento di 13 milioni di euro per il reinserimento nel mondo del lavoro di 2 mila dei circa 15 mila detenuti usciti dal carcere. Un’iniziativa che prevede l’attivazione di tirocini formativi della durata di 6 mesi per i 2 mila ex detenuti ai quali sarà elargito per la durata del corso un sostegno di 450 euro e un contributo di 1000 euro per le cooperative che occuperanno i tirocinanti. Ma per il momento questi soldi non si sono smossi e ancora si tratta di capire quando saranno effettivamente a disposizione. "La prossima settimana ci sarà una riunione apposita a livello locale tra gli organismi competenti, il cosiddetto Tavolo penale, per provare a capirne di più", rivela Fappani. In quella sede si cercherà di capire anche quale potrebbe essere il coinvolgimento di altri attori. Il Comune di Brescia - ricorda Fappani - nel primo mese dell’emergenza indulto ha stanziato risorse per dare ospitalità temporanea ad alcuni detenuti, ma è evidente che non può essere solo il Comune "competente territorialmente" (le due carceri si trovano a Brescia) a occuparsi di una problematica che dovrebbe coinvolgere ben altri livelli.

 

Le Associazioni: "Scelto il momento peggiore"

 

"Il periodo che hanno scelto per fare l’indulto non poteva essere peggiore: le aziende sono chiuse e noi non sappiamo proprio come fare per metterli al lavoro". A parlare è Angelo Canori, uno dei responsabili delle associazioni "Volontariato e carcere" e "Carcere e Territorio" che in queste settimane hanno messo in campo una mobilitazione straordinaria per cercare di far fronte alla situazione determinatasi dalla messa in libertà di 200 detenuti e detenute dalle carceri di Canton Mombello e Verziano, la metà dei quali si sono rivolti allo sportello delle associazioni in via Spalto San Marco.

Ad agosto la sede di "carcere e Territorio" è rimasta infatti aperta praticamente a tempo pieno, anche per dare una risposta di emergenza e in qualche modo per supplire anche la parziale riduzione del servizio che nel periodo estivo hanno gli uffici dei servizi sociali.

"Dal punto di vista dell’alloggio qualcosa siamo riusciti a fare - spiega Canori -, ma il problema è sicuramente molto grosso". Tra l’altro, anche prima dell’indulto la situazione era precaria: i 22 posti letto a disposizione delle associazioni (una cinquantina considerando anche le convenzioni con altre associazioni a livello provinciale) erano già tutti occupati da detenuti beneficiari di misure alternative al carcere, per cui l’indulto non ha fatto altro che aggravare la situazione.

"Il problema principale è comunque quello dell’indipendenza economica - afferma Canori - se non si realizza quel principio, tutto il resto sono palliativi. Ed inoltre si tratta anche di avere affitti che siano accessibili agli stipendi". Canori mette il dito nella piaga ed è ancora più esplicito: se uno lavora in cooperativa o con una borsa lavoro prendendo poche centinaia di euro come fa a pagare affitti da 500 euro al mese? O ancora, il tema della precarietà: alcuni trovano il lavoro in agenzie interinali venendo assunti dal lunedì al venerdì e poi licenziati. Si pagano meno contributi, si hanno meno problemi. Una questione che riguarda soprattutto i detenuti, ma non solo, che nel giro di poche ore hanno riacquistato la libertà e che ora si trovano a dover fronteggiare una situazione particolarmente difficile nel mondo esterno. "Ci hanno buttato fuori come animali" interviene in modo lapidario un ex detenuto che si trova negli uffici dell’associazione.

 

Patrizia: aprire le porte non basta

 

Una continua tentazione accompagna la vita di Patrizia Cima dal giorno in cui grazie all’indulto è tornata in libertà. La tentazione di rimpiangere il carcere: "La libertà è bella, ma se non puoi o non riesci a condividerla i brutti pensieri iniziano ad accavallarsi nella testa e la paura di non farcela si impadronisce di te".

Patrizia, 41 anni, processata nel febbraio del 2005 dal tribunale di Cremona per "spaccio", aveva ottenuto gli arresti domiciliari. Abitava dal fratello. Un giorno decise di prendersi una boccata d’aria. "Pioveva - racconta -, ho preso la bicicletta e sono andata a fare un giro. Al ritorno ho visto l’auto della pattuglia di polizia. Non staranno cercando me - pensavo - e ho imboccato una strada di campagna alternativa. Sono caduta nell’argine del Po, gli agenti mi hanno presa e portata in questura". Tre anni e 4 mesi la condanna: evasione. Un periodo al carcere di San Vittore. "Mi si sono raddrizzati i capelli quando sono entrata", ricorda Patrizia. Poi il trasferimento a Verziano: "Un carcere vivibile".

Sabato 1 agosto alle 17.45 per Patrizia Cima e per gli altri 197 detenuti usciti dalle due carceri bresciane è iniziata una seconda vita. L’indulto ha aperto nuovi orizzonti: niente più sbarre, cancelli, chiavi, divise, ma neanche amiche, risate, scherzi e, soprattutto, lavoro. Un lavoro che Patrizia Cima svolgeva all’interno del penitenziario per una cooperativa: un’attività che le permetteva di trascorrere le lunghe giornate in modo attivo, riuscendo a mettere da parte qualche soldo ma soprattutto impegnandosi per qualcosa capace di restituirle la dignità persa lungo il cammino.

La giovane donna porta i segni della sua vita "vissuta". Segni sul viso, sul corpo, ma soprattutto nel cuore. Gli occhi no. Gli occhi sono davvero limpidi. "Avevo sentito dell’indulto, ne parlavamo tra le mura del carcere. Ci speravo. Ricordo che ho appreso la notizia da Radio Radicale - racconta Patrizia Cima ripercorrendo le giornate precedenti al primo agosto, il d-day -. Di solito prima che entri in vigore una legge passano alcuni giorni. Quelli della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - spiega minuziosamente Patrizia -. Per noi è stato diverso. Ho sentito la notizia per radio e il giorno dopo ero libera. Verso le 14 e 30 Isabella, l’assistente della sezione, ha iniziato a chiamarci. Una persona ogni tre quarti d’ora - ricorda Patrizia -. Alle 17.45 è toccato a me.

Sono rimasta sorpresa perché nessuno mi aveva detto niente. Ho preso i miei sette sacchi e sono uscita". Patrizia è salita su di un taxi ed è scesa al primo bar ("Volevo festeggiare la ritrovata libertà"), ma dopo l’iniziale entusiasmo Patrizia ha sentito il peso della libertà. "Non mi rendevo conto di essere fuori, mi sentivo spaesata e disorientata". Perché l’indulto era un sogno, ma le porte aperte, da sole, non bastano per un pieno "recupero".

Ora Patrizia dorme in una casa accoglienza di Cremona. "Divido la stanza con una ragazzina rumena", rivela. Nei giorni successivi l’uscita dal carcere Patrizia Cima dice di essersi rivolta al Sert (servizio educativo recupero tossicodipendenze) di Cremona, e di essere stata all’associazione "Carcere e territorio" di Brescia. "Anche loro fanno quello che possono", ammette.

Patrizia non nasconde il suo passato, non la spaventa la fatica e sa che la gente, nonostante tutto, continuerà a guardarla con diffidenza. "In carcere ho partecipato a un progetto intitolato Liberamente -. Un progetto che era riuscito a farmi evadere dalle mie prigioni mentali. Un progetto che parlava di tornare a essere protagonista della propria vita e a ritrovare le potenzialità e le risorse che hanno anche gli ex-carcerati. Oggi vorrei avere la possibilità di mettere in pratica ciò che finora ho solamente pensato e scritto".

I disegni e le fiabe frutto del progetto Libera-mente diventeranno un libro. A rivelarlo è Nice Bonomi, la "dottoressa Takipirina", il medico clown, presidente dell’associazione Aglio e Peperoncino che ha ideato il progetto: "Solamente quando ho ricevuto la telefonata di Patrizia ho capito che il lavoro di riflessione e rielaborazione svolto in carcere non era stato inutile - rivela Nice-. Noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio; ci hanno creduto Maria Grazia Bregoli, direttrice del Verziano, il comandante Giuseppe De Blasi, e tutti i ragazzi dell’associazione, ma se Patrizia non ci avesse cercati sarebbe stato tutto inutile. Patrizia è tornata ad essere genitore di sé stessa. I suoi occhi e la sua anima meritano fiducia. Ora ci sta aiutando in associazione, ma vorremmo che lei potesse dimostrare anche ad altri che è possibile ricominciare".

Catania: indulto; un piano di interventi per gli ex detenuti

 

La Sicilia, 4 settembre 2006

 

Un piano di interventi socio-economici, con carattere d’emergenza, che consentirà l’inserimento lavorativo degli ex detenuti che hanno recentemente beneficiato dell’indulto, è stato varato, nei giorni scorsi, dall’amministrazione comunale di Piedimonte Etneo, guidata dal sindaco Giuseppe Cavallaro. Il provvedimento della giunta Cavallaro - che scaturisce dallo stato di indigenza dei beneficiari dell’indulto e delle loro famiglie - occuperà fino al prossimo mese di dicembre, impiegandoli in lavori di pubblica utilità, quattro ex detenuti residenti nella cittadina etnea.

"Il piano di reinserimento lavorativo di questi beneficiari - sottolinea il sindaco Giuseppe Cavallaro - è stato approvato dall’amministrazione comunale, sempre sensibile a problematiche di carattere sociali, per venire incontro alle esigenze di queste persone. L’atto di indulto del governo Prodi non è stato condiviso da questa amministrazione, in quanto l’esecutivo nazionale non ha previsto delle misure di aiuto a questi soggetti svantaggiati, né ha fornito gli enti locali di adeguati mezzi finanziari per poter fronteggiare tali situazioni di emergenza; malgrado ciò, pur nelle esiguità delle risorse economiche comunali, abbiamo stanziato 5 mila euro, erogando a ciascun soggetto un assegno mensile di 300 euro dietro loro prestazioni d’opera di pubblica utilità".

Gli ex detenuti saranno impiegati nella pulizia straordinaria della cittadina piedimontese, degli edifici pubblici, nel settore del verde pubblico e nella ricognizione di eventuali carenze nella manutenzione delle strade. L’attività lavorativa sarà distribuita nell’arco di cinque giorni settimanali per un totale di tre ore giornaliere. L’amministrazione comunale, inoltre, provvederà a stipulare un’assicurazione a favore dei quattro soggetti contro eventuali infortuni.

"L’obiettivo primario del progetto che ripeto abbiamo approvato con carattere di somma urgenza - conclude il primo cittadino piedimontese - è quello di migliorare la qualità della vita dei cittadini svantaggiati, per ridurre o diminuire situazioni di marginalità sociale. Il piano di interventi che abbiamo elaborato contribuisce al superamento dello stato di disagio sociale ed economico di questi soggetti ex detenuti".

Lettere: Foggia; io sono il detenuto senza... identità…

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 4 settembre 2006

 

Da un detenuto del carcere di Foggia riceviamo. "Spettabile redazione, mi sia consentito inviare questa lettera che contiene parte della mia storia che può configurarsi, da ormai cinque anni e mezzo, come "il detenuto senza identità", ma comunque colpevole come affermato dalla corte d’appello di Bari. All’anagrafe risulto essere Bruno Pietro Cataldi Neto, nato a City Acqua de Mhnino-Jungueiro, in Brasile, il 27 luglio del 1952 (come risulta dal passaporto).

Da oltre dieci anni mi sono trasferito in Europa, e ho contratto matrimonio con una cittadina dell’ex Jugoslavia, oggi Serbia; da questa unione è nata una figlia nel ‘93, registrata nel comune di Zvezdara (Belgrado). Durante un viaggio in Italia sono stato fermato con delle armi, inutilizzabili in quanto mancanti di percussori ed altre parti determinate: quelle armi erano destinate ad un amico-socio in Francia, il quale era un collezionista: commerciavamo in caffè, import/export.

Fui arrestato e internato nel carcere di Bari, ma da quel momento il mio nome si è trasformato in Latshev Stilian, cittadino bulgaro: non contenti di questo alias secondo me immotivato, mi è stato accostato un altro alias: Jean Pierre Blanc, cittadino francese. In seguito sono stato recluso a Foggia. Tante sono state le proteste: ho scontato cinque anni e mezzo di dura galera, senza fondi, senza lavoro (solo alcuni mesi nell’arco di tutto il periodo), senza ricevere comunicazioni, ma grazie alla bontà caritatevole di alcuni compagni di detenzione.

Oggi non ho nessun legale, così come avvenuto in passato perché i legali vogliono essere giustamente pagati, pertanto tutti coloro che si sono avvicinati al caso, dopo un po’ si sono dissolti come la neve al sole. Dovendo beneficiare dell’indulto, il 15 settembre dovrei essere scarcerato ma non so ancora con quale alias. Vorrei evitarmi di rimanere nelle mie tragiche condizioni, ancora in un carcere italiano, tant’è che ho chiesto di essere estradato in qualunque Stato che ritiene debba scontare una pena, augurandomi che almeno lì vogliano effettuare i rilievi e le indagini giuste prima di buttarmi in una cella a marcire. Le ambasciate brasiliana, quella bulgara e quella francese sono avvertite: aggiungo anche quella serba qualora ci sia qualche pendenza giudiziaria da addebitarmi, ma perché qualcuno possa finalmente acclarare la mia vera identità".

Libri: "Minori stranieri in carcere", l’integrazione fallita

 

Il Giornale, 4 settembre 2006

 

"Minori stranieri in carcere", di Valerio Belotti, Roberto Maurizio e Alfredo Carlo Moro (Guerini e Associati, pp. 280, 29 euro), affronta il tema dei giovani immigrati detenuti nelle prigioni per reati di diversa natura. Alla "doppia pena" di essere soggetti vulnerabili in quanto minorenni e di essere oggetto di processi di esclusione in quanto migranti, per gli adolescenti stranieri si aggiunge l’ulteriore pena di essere più di altri trattati come dei criminali.

La ricerca presentata in questo volume propone, con argomentazioni sostenute anche da dati statistici, un forte ridimensionamento dell’allarme sociale riferito alla delinquenza minorile straniera: il fenomeno è certamente di rilievo e non va sottovalutato, lasciano intendere gli autori, ma più che per questioni di ordine pubblico, per il risicato sostegno e il drastico insuccesso dei processi d’inclusione sociale messi in campo per sostenere la crescita delle ragazze e dei ragazzi stranieri presenti nel nostro Paese: una seconda generazione di immigrati che aspira soprattutto a sentirsi integrata.

Immigrazione: Bergamo; nasce un nuovo "magazine" indiano

 

Redattore Sociale, 4 settembre 2006

 

Nasce un nuovo giornale in provincia di Bergamo, nel comune di Telgate. Raccoglierà notizie di attualità, costume e società. Ma non lombarda. "Europe Vich Punjabi" (Punjabi in Europa), questo il nome del giornale, é un bisettimanale indiano, scritto in lingua Punjabi e redatto da giornalisti madrelingua che vivono in diversi Paesi europei. Costerà 1 euro e cercherà di fare concorrenza ai tabloid indiani presenti in Europa che sono venduti al prezzo di 1,5 euro nel paese di stampa e a 3 e 4 euro all’estero. "Europe Vich Punjabi" non è il primo magazine indiano italiano: da due anni, infatti, esiste il mensile Punjab Express, edito dal gruppo editoriale Stranieri in Italia.

Ma il progetto editoriale di Anil Kumar Sharma, imprenditore immobiliare indiano che lavora da anni in Lombardia, é più ambizioso. "Il giornale tratterà notizie di cronaca e attualità non solo europea ma anche indiana e si occuperà anche dei problemi delle diverse comunità che abitano in Italia e all’estero" spiega Sharma. Nel suo lavoro editoriale sarà affiancato da altri tre imprenditori indiani: due abitano in Italia e uno in Svizzera. Il giornale avrà un formato tabloid: grandi foto a colori in copertina, pagine in bianco e nero, titoli e immagini in evidenza e un inserto centrale in carta patinata, dedicato ai reportage sulle diverse comunità indiane. "Ci finanzieremo con inserzioni pubblicitarie- dice l’imprenditore indiano-. Siamo in trattativa con vari gruppi multinazionali che sono disposti ad inserire le loro pubblicità. E poi se il progetto dovesse avere successo potremmo cambiare il prezzo e farlo diventare un settimanale". L’unico problema per quanto riguarda i costi di produzione è rappresentato dalla stampa. "Per il momento, - racconta l’editore - dobbiamo farlo stampare in India perché in Italia non abbiamo ancora trovato l’attrezzatura adeguata. Infatti, non riusciamo a recuperare tutti i caratteri che ci servono. Inoltre abbiamo calcolato che sarebbe più costoso che non farlo stampare in India. Poi con il tempo cercheremo di risolvere il problema".

"Europe Vich Punjab" verrà lanciato il 24 settembre, a Rovato, in provincia di Brescia. "Stiamo organizzando una grande festa, che sarà anche un momento di incontro per gli indiani che vivono qui vicino - dice Sharma -. Animeranno la giornata cantanti provenienti dall’India, ballerine che abbiamo chiamato dall’Inghilterra e distribuiremo copie gratuite del giornale." La tiratura prevista per il primo numero è di 10 mila copie, ma "sono già in trattativa con alcuni distributori all’estero - sottolinea l’imprenditore - e se le cose dovessero andare per il verso giusto il numero potrebbe crescere". Alla festa sono stati invitati anche rappresentanti politici italiani e indiani. Il giornale verrà lanciato non solo in Italia: altre feste, in contemporanea, sono previste a Barcellona e a Parigi.

 

 

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