Rassegna stampa 17 ottobre

 

Ergastolo: schiavitù perpetua che non garantisce sicurezza

di Gennaro Santoro (Dipartimento Giustizia Prc)

 

Liberazione, 17 ottobre 2006

 

È partita con successo a L’Aquila la campagna per l’abolizione dell’ergastolo. Una battaglia di civiltà per le 1.250 persone attualmente recluse in carcere a vita, ma anche una battaglia culturale rispetto alla idea di giustizia e sicurezza che popola le fila della sinistra.

Significativo è che tra i relatori del convegno di ieri vi sia un ergastolano, Sandro Padula, che nell’incipit della sua relazione apre una riflessione che lascia pubblico e relatori attoniti: "Quello che noi chiamiamo ergastolo, Cesare Beccarla lo definì nel 1764 come pena di schiavitù perpetua, come pena più dolorosa e crudele della pena di morte in quanto non concentrata in un momento ma estesa sopra tutta la vita". Il tema è ripreso poi da Domenico Gallo, Magistratura democratica, secondo il quale l’ergastolo non è una pena assimilabile alla reclusione in quanto da essa qualitativamente diversa e assai più assimilabile alla pena di morte. La ragione profonda per la sua abolizione, a parere del giudice, risiede nei principi supremi della Costituzione, nel principio "personalista", secondo il quale la persona è il fine ultimo del nostro ordinamento e la dignità umana non può essere calpestata fino a prevedere una pena disumana quale è l’ergastolo.

Fine pena: mai, ovvero vita senza speranza, senza un progetto. La riflessione parte da lontano, con Imma Barbarossa della segreteria nazionale del Prc, che scomoda Pietro Ingrao che nel 1975 esortava i compagni a non avere un atteggiamento repressivo perché la mano forte non è sinonimo di sicurezza. E lo stesso filo rosso verrà poi ripreso da tutti i relatori fino alle conclusioni del segretario che invita i presenti a soffermare l’attenzione su quegli ordinamenti, come gli Usa, dove pur esistendo la pena capitale non sono in diminuzione i crimini commessi e i tassi di detenzione sono di 8 volte superiori a quelli riscontrabili in Italia.

In altre parole, la forza deterrente della pena capitale e dell’ergastolo non portano ad un maggior grado di sicurezza per i cittadini: repressione e prevenzione del crimine camminano su binari separati. È quindi illusorio - ricorda Arturo Salerni, responsabile nazionale carceri del Prc - partire da una visione secondo cui l’applicazione e la minaccia della sanzione penale risolvono, da soli, tutti i conflitti sociali. Per avere maggiore sicurezza bisogna attuare un diritto penale minimo che circoscrivendo la sfera dell’illecito permetta alla giustizia di funzionare più efficacemente e in tempi ragionevoli; ma vi è bisogno anche di un diritto penale mite, ovvero di un minor ricorso al carcere perché il carcere alimenta la devianza.

Insomma, dai diversi interventi che si sono alternati, da Massimiliano Bagaglini dell’Associazione Antigone al segretario federale di L’Aquila Giulio Petrilli, ciò che traspare è la consapevolezza di voler ridisegnare l’intero sistema delle pene cambiando il paradigma culturale di riferimento: dal diritto alla sicurezza alla sicurezza dei diritti di tutti, da quelli liberali a quelli sociali, che dovrebbero caratterizzare lo Stato moderno di diritto.

D’altronde non abolire la pena dell’ergastolo è in aperta collisione con quanto previsto dal programma dell’Unione in tema di giustizia e col lavoro della commissione Pisapia. Tale preoccupazione è ben presente nell’intervento del segretario Giordano quando mette in guardia il partito dal desistere dal portare avanti questa battaglia culturale "impopolare", per evitare gli scivoloni verso destra che si sono avuti in passato in tema di giustizia e sicurezza, dove pezzi di sinistra hanno cavalcato il giustizialismo in maniera quasi indistinguibile dalle destre. Quelle destre che negli ultimi 5 anni hanno "inventato" nuovi crimini in tema di immigrazione e consumo di sostanze stupefacenti.

Linda Santilli, del Forum delle donne del Prc, invita a riflettere anche sui limiti delle leggi premiali tutte fondate sulla discrezionalità del giudice e che ledono col diritto alla libertà interiore della persona. La cultura della nonviolenza, conclude Giordano, deve insegnarci che anche in terreni scomodi dobbiamo imparare a costruire alternative di sinistra.

Non dobbiamo "gettare le chiavi", ma creare le condizioni di integrazione e prevenzione dei conflitti che ci permettano di avere una giustizia finalmente efficace perché mirata alla neutralizzazione dei reati che realmente offendono beni giuridici meritevoli di tutela. Quando tali strumenti non dovessero dimostrarsi idonei ad evitare la commissione di crimini, l’unico intervento statuale legittimo potrà essere quello della sanzione penale non disumana e tendente al cosiddetto "reinserimento sociale" del reo; tale strumento è rappresentato non certo dal fine pena mai quanto piuttosto nelle misure alternative perché le statistiche ci dicono che il tasso di recidività è di quattro volte superiore per chi esce dal carcere rispetto a chi ha terminato una misura alternativa. E i numeri sono parziali indicatori di una tendenza che deve farci riflettere.

Vibo Valentia: apre officina "Efesto", al lavoro sei-otto detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 17 ottobre 2006

 

Il percorso riabilitativo e di reinserimento lavorativo, che già presenta difficoltà nella maggiora parte del territorio nazionale, risulta molto più disagevole in Calabria dove "si aggiungono aspetti da sempre discriminatori", per i soggetti che hanno pagato il loro debito con la giustizia. E proprio in tale situazione l’inserimento lavorativo, per la persona con pregiudizi penali, assume un valore ancora più forte poiché soltanto attraverso l’attività lavorativa questa può concretamente cambiare lo stile di vita finalizzato "alla non reiterazione dei reati per il futuro". In questa direzione allora si è mosso l’Istituto penitenziario vibonese che ieri ha inaugurato le Officine metalliche "Efesto".

Hanno preso parte alla cerimonia di presentazione, tra gli altri, il presidente della Commissione carceri della Camera dei deputati Enrico Buemi, il senatore diessino Nuccio Iovine, e l’europarlamentare Armando Veneto.

"Siamo riusciti a concludere l’allestimento delle officine - ha detto la direttrice del penitenziario Rachele Catalano - quattro mesi prima della previsione. Le officine, che prendono il nome dal dio greco del fuoco e del ferro, appunto "Efesto", sono venute a costare 750 mila euro, serviranno per la lavorazione metallica sia dei laminati sia dell’alluminio. Lavoreremo - ha aggiunto - insieme all’Istituto di Rossano, dove verrà lavorato il legno. Abbiamo dovuto operare non come dirigenti pubblici, bensì come privati impresari. Adesso stipuleremo la convenzione con il consorzio "Magna Grecia" che aderisce a questo progetto di solidarietà e che, oltre a gestire completamente queste officine, assumerà dai sei agli otto detenuti inizialmente con l’impegno, ovviamente, poi aumentando la produzione, di accrescere il numero dei detenuti assunti".

Con la realizzazione delle officine "Efesto", dunque, la direttrice Catalano ha cercato di assicurare il mandato istituzionale, cioè quello della rieducazione e del reinserimento dei detenuti, cercando appunto di dare a questi ultimi un’offerta formativa e lavorativa che all’esterno non avevano. L’importanza di questa iniziativa è anche quella di mettere a disposizione dei detenuti, una volta espiata la loro pena e, quindi, rimessi in libertà, di poter continuare a lavorare da dipendenti esterni all’interno dell’Istituto. Le carceri, un tempo separate dalla società civile, per necessità, tradizione e cultura, si aprono così al mondo esterno, al territorio, facendo emergere una nuova visione della pena indicata come "cultura del dialogo", capace di garantire un reinserimento, aiutando chi ha sbagliato. Quindi, "rispetto pur nelle diversità", come ha ribadito Armando Veneto nel suo intenso intervento, teso a sottolineare l’importanza di assicurare alla popolazione detenuta concrete opportunità di scelta diversa da quella criminale. Queste officine, infatti, secondo quanto affermato da Nuccio Iovene, concludono un percorso, avviato anni fa, per l’inserimento lavorativo dei detenuti a dimostrazione del fatto che anche in Calabria le cose si possono fare. A conclusione della cerimonia, prima del consueto buffet, l’orchestra giovanile di Fiati di Delianuova ha trattenuto tutti i presenti con musiche di Verdi, Puccini, Ofburg e altri artisti di fama internazionale.

Latina: donne; l’altra metà del carcere, tra corsi e problemi

 

Il Messaggero, 17 ottobre 2006

 

Il direttore avverte: "Vi sembrerà una voliera ma ci sono detenute particolari". È l’ala femminile della casa circondariale di Latina, quella visitata ieri dalle rappresentanti della commissione pari opportunità e della consulta del Comune, guidata dalla presidente Angela Crisci e con la presenza del consigliere regionale Claudio Moscardelli. È l’occasione per fare il punto sulla situazione delle donne recluse e proporre "azioni positive, volte al sostegno e al reinserimento" - come ricorda la Crisci - ma anche per parlare della difficile situazione del carcere di via Aspromonte.

Nemmeno l’indulto ha consentito di sfoltire le presenze nell’ala maschile dove si trovano 108 detenuti contro il massimo di 85 consentito. "Facciamo i cosiddetti sfollamenti ogni mese - dice il direttore, Claudio Piccari, da 18 anni alla guida della casa circondariale di Latina - spesso siamo costretti anche a mettere i materassi per terra per poter ospitare i detenuti ma poi li mandiamo verso altre strutture". Va meglio nell’ala femminile, dove invece l’occupazione è praticamente la metà rispetto a quanto previsto. Potrebbero andarci 58 donne, ce ne sono 27, 21 italiane e 6 straniere. Sono su due piani: al primo ci sono le detenute legate a mafia, camorra e ‘ndrangheta, donne di boss, al secondo trovano posto le sette "politiche", brigatiste di prima generazione condannate all’ergastolo. Non possono incontrarsi fra loro nella "voliera", lo spazio dedicato comunque alla reclusione e a detenute che vengono mandate a Latina dal ministero.

Non sono di "passaggio" come può accadere nella sezione maschile, quando chi viene fermato a Latina è poi portato presso la casa circondariale. L’incontro di ieri è avvenuto dopo che la commissione aveva chiesto di conoscere "i bisogni formativi" e di poter "monitorare gli interventi a favore delle detenute in situazione di disagio". Un modo per poter poi rapportarsi con la direzione del carcere e decidere in che modo intervenire. "Svolgiamo già dei corsi, grazie anche all’apporto del centro territoriale permanente della scuola media Alessandro Volta - spiega Claudio Piccari - ma non abbiamo spazi sufficienti e a volte le persone disponibili".

Tutto ciò che è stato ricavato nell’ala femminile, come la palestra e l’aula di studio, è frutto dell’opera di alcuni detenuti e della "riconversione" di magazzini. Lì si fa alfabetizzazione per le straniere, c’è un laboratorio di teatro, cineforum, informatica. C’è chi vorrebbe l’inglese e chi la cucina ma non c’è posto per tutto in spazi adattati e comunque insufficienti. E poi occorrono insegnanti. La commissione si attiverà, intanto "si può pensare a interventi mirati e per progetto - dice Claudio Moscardelli - da inserire già nel prossimo bilancio regionale".

Per il momento si fanno i conti con 70.000 euro messi a disposizione dalla Regione per interventi di manutenzione. In realtà si tratta di mettere semplicemente delle "pezze" a una situazione disastrosa. "Io premetto sempre in ogni mio intervento che qui servirebbe un carcere nuovo, moderno - dice ancora Piccari - una struttura da 500 persone concepita con i sistemi di oggi e sulla quale fare anche economie di personale, mentre oggi siamo costretti a utilizzare lo stesso in ruoli diversi". Scoppia la casa circondariale come il personale. Vecchia questione quella di un altro carcere, con l’impressione che la "voliera" e tutto quello che c’è intorno difficilmente troveranno presto un’altra collocazione.

Sulmona: al penitenziario un simposio sull’affido familiare

 

Il Messaggero, 17 ottobre 2006

 

Un seminario sull’affido familiare. Il simposio, organizzato dalla direzione del penitenziario e dall’Unicef Abruzzo, si terrà nel pomeriggio di oggi presso la sala polivalente del carcere di Sulmona. L’obiettivo dell’incontro è quello di informare i detenuti sui doveri genitoriali e sulle risorse della famiglia in stato di bisogno. A relazionare sugli argomenti saranno Armando Rossini, vice presidente nazionale dell’Associazione italiana dei magistrati per minorenni e, per la famiglia, e Anna Maria Cappa Monti, presidente dell’Unicef.

Viterbo: raccolta dei rifiuti, ci pensano i detenuti

 

Il Messaggero, 17 ottobre 2006

 

Per promuovere l’inserimento lavorativo stabile di detenuti ed ex detenuti, il progetto della cooperativa viterbese Zaffa è stato inserito tra quelli finanziati dalla Regione. L’obiettivo dell’iniziativa è il reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure restrittive, ricercato attraverso un impiego duraturo, condizione indispensabile per ridurre il pericolo di nuovi comportamenti a rischio.

"I finanziamenti - dice l’assessore Regino Brachetti - sono stati destinati a iniziative che prevedono l’impiego a tempo indeterminato di detenuti ed ex detenuti in varie esperienze lavorative. Il contributo è subordinato all’occupazione stabile dei soggetti che appartengono alle due categorie. Il progetto della cooperativa Zaffa, già titolare di un rapporto di convenzione con il carcere di Mammagialla, prevede la creazione di un sistema di raccolta differenziata e la creazione di un’impresa di lavorazione di rifiuti asciutti".

Oltre alla Zaffa a comporre la graduatoria sono cooperative romane e pontine. Il finanziamento coprirà il costo dei progetti, fino ad un massimo di 40.000 euro tenendo anche conto delle esigenze e dei problemi degli operatori carcerari.

Avezzano: confermato sit-in di protesta del personale

 

Il Tempo, 17 ottobre 2006

 

Non si sblocca la delicata vertenza del personale del carcere di Avezzano, nemmeno dopo l’incontro svoltosi ieri in municipio su convocazione del sindaco Antonello Floris, anche se si è fatto un piccolo passo avanti verso i necessari chiarimenti con l’obiettivo di raggiungere un accordo che possa eliminare i tanti disagi cui i dipendenti del carcere sono sottoposti da quando è stata decisa la chiusura temporanea per lavori di ristrutturazione. Peraltro non ancora iniziati. Al summit, insieme a Floris, hanno partecipato sindacati di tutte le sigle e dirigenti del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria regionale e nazionale.

"È stata una riunione interlocutoria - commenta il sindaco Antonello Floris - nella quale però è emerso un aspetto fondamentale: le organizzazioni sindacali dicono no a decisioni unilaterali e chiedono maggiore concertazione in situazioni del genere, che vedono tanti dipendenti sottoposti agli ovvii disagi derivanti dal trasferimento temporaneo in altre sedi. Per quanto riguarda i 13 amministrativi - prosegue Floris - si sta vagliando la possibilità di seguire un percorso a livello locale, che consenta loro di poter lavorare in uffici giudiziari di Avezzano. A tal proposito invierò al più presto una lettera al Ministero per sbloccare la vertenza. Per quanto riguarda gli agenti penitenziari già distaccati in altre strutture, il problema sta nel mancato riconoscimento di benefici economici che possano compensarli delle spese derivanti dalle trasferte.

Insomma, è stato un incontro dal quale sono emersi piccoli aspetti positivi - conclude il sindaco - pur in una situazione ancora molto complessa. Al più presto sarà convocata una nuova riunione". Insoddisfatti dell’esito globale della discussione i sindacati. In una nota della Cisl si rileva: "I dipendenti hanno chiesto di conoscere i tempi tecnici occorrenti per i lavori di ristrutturazione dell’edificio dichiarato inagibile e contestualmente il provveditore regionale ha disposto una mobilità sul territorio dei circa 70 dipendenti (personale comparto sicurezza e comparto ministeri) in assenza di preventivi accordi sindacali e senza garantire certezze, in termine temporale, ed inoltre con i costi dei distacchi in altra sede a totale carico degli stessi lavoratori.

Tranne l’impegno fattivo del sindaco, l’amministrazione penitenziaria - prosegue la nota - non ha inteso assumere impegni per il sostenimento degli oneri per detti distacchi. Pertanto i lavoratori d’intesa con le organizzazioni sindacali hanno proclamato per il 18 ottobre un sit-in per due ore all’inizio di ciascun turno. Per il 20 - conclude la nota Cisl - è proclamato uno sciopero di due ore alla fine di ciascun turno lavorativo, l’astensione dalla mensa e contestuale sciopero della fame a tempo indeterminato del personale di polizia penitenziaria".

 

 

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