Rassegna stampa 24 novembre

 

Indulto: un atto di "decenza", più che un atto di "clemenza"

 

Il Nuovo Giornale, 24 ottobre 2006

 

Nel giugno scorso le carceri italiane contenevano un numero spropositato di persone - 61.246 - quasi il doppio di quelle previste; in alcuni istituti si dormiva su materassi di gomma piuma poggiati direttamente sul pavimento. C’erano numerosi casi di scabbia e Tbc, una situazione sanitaria ai limiti della civiltà. Impossibile pensare alla "rieducazione" prevista dalla Costituzione; pochissimi educatori costretti al lavoro di ufficio non erano in grado di fare colloqui, né, tanto meno, di pensare a un "trattamento personalizzato". La legge dello Stato che disciplina l’esecuzione penale evasa in quasi tutti i suoi articoli. I richiami ufficiali del Comitato Europeo di Prevenzione della Tortura senza esiti positivi.

Si poteva fare meglio? Con tempi più ragionevoli? Probabilmente sì ma l’impressione è che tanti sarebbero stati comunque scontenti-arrabbiati. Quasi che l’indulto fosse un torto fatto personalmente a ciascuno di loro.

Questo provvedimento non è sicuramente una soluzione al male delle carceri italiane ma era un passaggio inevitabile. Credo, onestamente, che non fosse ipotizzabile null’altro in tempi ragionevoli.

Dall’indulto in poi l’informazione si è scatenata, sollevando in modo spesso scorretto e distorto, paure e ansie dei cittadini, senza produrre dati concreti, affidandosi a sentimenti e rivalse, allontanando la riflessione dall’ambito utile della razionalità, regalando legittimità a qualsiasi parere raccolto un po’ ovunque. Proponendo sondaggi tanto viziati nella forma quanto inattendibili nella sostanza.

Ora la serietà del tema, il forte coinvolgimento che ha sulla vita di persone reali, siano esse vittime o autori di reato o familiari e amici, avrebbe richiesto una maggiore sobrietà e competenza. Insomma vorrei che passasse il concetto che l’indulto non ha lo stesso peso dello scandalo del calcio italiano o dell’isola degli aspiranti famosi. È altro. Anche a livello di pensiero.

Credo sia per questo che risulta così difficile mettere ordine sulle tante - troppe - cose dette scritte e raccontate. Perché dietro all’attualità del provvedimento, a mio avviso, si agitano pensieri più profondi e complessi, dubbi, valori e convinzioni radicate nell’intimo delle persone, forse mai discusse o affrontate con chiarezza. La pena, la certezza della pena, la pena come punizione-vendetta o come strumento di rieducazione. Una Costituzione molto avanzata e molto civile, formalmente condivisa dai più ma poco assimilata e ancora estranea al modo di sentire di gran parte dei cittadini, a prescindere dall’ orientamento politico.

I toni e le parole che abbiamo sentito in questo periodo rinviano all’idea di vendetta, il verbo-chiave è "pagare". Il concetto educativo che supporta questo modo di pensare è quello delle botte, del castigo, dell’angolo buio. Ben lontano dall’idea di riabilitazione, responsabilizzazione, crescita personale su cui poggia tutta la legislazione degli ultimi vent’anni; dalla legge Gozzini in poi.

E il carcere stesso risente in modo evidente di questa contraddizione; al mandato di rieducare difficile e impegnativo non sa rispondere, per cui si impegna soprattutto a punire. Con l’inevitabile conseguenza di rimettere in libertà persone distrutte, demotivate, sconfitte e molto arrabbiate. Come una giostra infernale.

Sbagli, paghi, soffri, stai male e soffri e poi, mi raccomando, inventati una vita nuova. Con quali risorse non è chiaro, avendo spesso esaurito quelle fisiche e mentali per resistere a una reclusione fatta di ozio, noia, immobilità e attese interminabili di tutto; dal medico al lavoro che non c’è quasi mai o, se c’è, dura lo spazio di un mese.

Forse di questo sarebbe opportuno parlare. Forse una riflessione più seria e rispettosa darebbe frutti migliori. Per tutti.

Ma, riprendendo le fila del discorso sull’indulto, occorre fare un po’ di chiarezza anche sui numeri che, probabilmente, tranquillizzano più dei ragionamenti. Alla fine di agosto delle 21.000 persone "liberate" ne erano tornate in cella 340; cioè l’1,6% di quante avevano usufruito del provvedimento. Al 18 settembre il numero era salito a 609, di cui 271 stranieri. Tra loro 118 unicamente perché sprovvisti di permesso di soggiorno, quindi non per azioni criminose ai danni dei cittadini liberi.

"Dal 1 agosto al 1 settembre 2006 sono entrate in carcere 6.337 persone, fra le quali quelle beneficiarie dell’indulto, mentre nello stesso periodo del 2005 erano state 6.923" dal sito "A Buon diritto"

Questi sono i numeri dell’indulto a tutt’oggi. Forse è effettivamente prematuro l’allarme che si respira tra la gente; forse è tempo di alzare la qualità della riflessione.

 

Carla Chiappini

Indulto: nei commenti manca una semplice virtù, la misericordia

 

Il Foglio, 24 ottobre 2006

 

Clemente Mastella ha riferito ieri al Parlamento sull’indulto, ridimensionando i guasti sociali provocati dalla messa in libertà di un gran numero di detenuti, senza negarli. Ha fatto il suo dovere di uomo di stato, né più né meno. Ma non è del numero delle scarcerazioni e delle recidive che adesso vogliamo parlare. È della misericordia, che forse anche i vescovi italiani dovrebbero onorare con la loro parola in tempi così grami, visto che quel provvedimento è tra l’altro il tardivo esaudimento di una promessa fatta, tra gli applausi, a Papa Giovanni Paolo II nel corso della sua storica visita alla Camera. Gesù Cristo e Don Chisciotte sono celebrati nei secoli per il loro attaccamento alla condizione carceraria, sacrario del dolore in ogni civiltà fondata su una giustizia che comprenda la virtù sovrana e divina della clemenza. Gesù, concreta persona storica e Persona della Trinità, considerava un dovere d’amore visitare i carcerati e consolare gli afflitti, e se non li scarcerava è perché la sua predicazione superava i confini della legge.

L’Hidalgo di Cervantes li liberava con foga dalle loro catene, solo per esserne poi malmenato, come gli accadeva spesso e, dato il suo spirito cavalleresco, volentieri. E qui siamo già più vicini al concetto di grazia, amnistia e indulto, concetto giuridico che lacera la giustizia retributiva, esponendoci al dubbio e alla paura delle conseguenze della misericordia, ma solo per rendere più forte e autonomo il potere di irrogare le pene e, a scelta, di revocarle quando sia opportuno. La clemenza non si spiega solo con i numeri e i codici, ma con la cultura e la relativa, rara ma indispensabile, benevolenza della natura umana. Qualcuno lo dica alle persone cattive che trasformano ogni giorno la paura, nei giornali e in tv, in risentimento e spirito di vendetta.

Giustizia: da Uil Penitenziari auguri buon lavoro a Ferrara

 

Ansa, 24 ottobre 2006

 

"Diamo il benvenuto al nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con gli auguri di buon lavoro, certi che saprà rivitalizzare un’amministrazione alla deriva. Diamo atto al ministro Mastella di avere colmato un vuoto di potere". Così Eugenio Sarno della Uil penitenziari commenta la nomina di Ettore Ferrara a capo del Dap. "Auspichiamo comunque che si mantenga sempre alta l attenzione sul sistema penitenziario e sugli annosi problemi che gravano sulle spalle degli Operatori Penitenziari. In tal senso il nuovo Capo del Dap dovrà marcare una discontinuità con l’insensibilità del passato - sostiene Sarmo - potendo contare, su queste basi, su un costruttivo rapporto con la nostra Organizzazione Sindacale

Giustizia: Tenaglia (Margherita); da Ferrara impulso attività Dap

 

Ansa, 24 ottobre 2006

 

"La scelta di Ettore Ferrara quale capo del Dipartimento Affari Penitenziari del Ministero della Giustizia costituisce un’indicazione di alto livello professionale ed istituzionale che consentirà di dare un impulso notevole e positivo all’attività di quel dipartimento in un momento di particolare delicatezza per il settore penitenziario in Italia . È quanto ha dichiarato il responsabile Giustizia della Margherita, Lanfranco Tenaglia, a proposito della nomina decisa oggi dal Consiglio dei ministri. "L’organizzazione penitenziaria va ammodernata e vanno realizzate condizioni di umanità e civiltà del trattamento carcerario. Sono certo che Ettore Ferrara sarà in grado di lavorare con efficacia - ha concluso Tenaglia - affinché ciò si realizzi".

Giustizia: Vietti (Udc); apprezzamento per nomina Ferrara al Dap

 

Ansa, 24 ottobre 2006

 

Apprezzamento per la nomina di Ettore Ferrara a capo dell’Amministrazione Penitenziaria viene espressa da Michele Vietti, portavoce dell’Udc. "Conosco e stimo le doti di magistrato preparato e equilibrato di Ettore Ferrara e sono certo che saprà ben guidare un organismo delicato ed impegnativo come il Dap" dice Vietti, che dà atto al ministro Mastella "non solo di una scelta ineccepibile nel merito, ma anche correttamente partecipata all’opposizione nel metodo, a differenza di quanto altri hanno appena fatto per le delicate nomine ai vertici dei servizi".

Giustizia: Brutti (Ds); Ferrara è persona di grande equilibrio

 

Ansa, 24 ottobre 2006

 

"Con la nomina del dott. Ettore Ferrara viene posto al vertice del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria un magistrato di elevata professionalità che ha già ricoperto incarichi rilevanti, tra gli altri quello di componente del Csm, dando sempre prova di competenza, di grande equilibrio e di capacità di direzione". Così Massimo Brutti, responsabile Giustizia dei Ds commenta la nomina del magistrato fatta dal governo e rivolge al prescelto gli auguri di buon lavoro della Quercia

Giustizia: violenza sulle donne, le vittime sono 10 milioni

 

L’Unità, 24 ottobre 2006

 

Sono 10 milioni le donne tra i 14 e i 59 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 900mila i ricatti sessuali che avvengono sul lavoro e 500mila gli stupri o i tentati stupri. Questi dati drammatici emergono dall’ultima indagine dell’Istat, in occasione della giornata parlamentare contro la violenza alle donne. Le molestie fisiche sessuali avvengono solitamente da parte di estranei (58,2%), per la strada (19%), sui mezzi di trasporto pubblico (31,6%), sul posto di lavoro (12,1%), in pub o in discoteca (10,5%). Invece gli stupri e i tentati stupri avvengono ad opera di familiari. Solo il 3,5% avviene per mano di estranei. Più frequentemente si tratta di amici (23,8%), conoscenti (12,3%), fidanzati o ex fidanzati (17,4%), mariti o ex mariti (20,2%).

I luoghi più a rischio sono i più familiari. Solo il 21% delle violenze sessuali avviene per strada e il 14% in auto. Per il resto si tratta di casa propria, di case di amici, di parenti o dell’aggressore. I ricatti sessuali sul lavoro sono 900mila all’assunzione o per fare carriera. Centomila donne hanno subito ambedue le violenze.

Sabbadini sottolinea che quando avviene la violenza sessuale, questa è spesso violenza ripetuta e le donne non se la sentono di denunciarla nel 90% dei casi, o perché hanno paura di essere giudicate male (28,6%), o per vergogna (22,1%) e mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine (11,6%). "Un terzo delle donne non parla con nessuno dell’accaduto e ne ha parlato per la prima volta con noi". Il governo da parte sua ha annunciato una nuova iniziativa legislativa per tutelare maggiormente il "sesso debole" a fronte di studi condotti in ambito comunitario che, come ha reso noto il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, dicono che in Europa la violenza subita rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età compresa tra i 16 e i 50 anni.

Il ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, ha annunciato entro 15 giorni la presentazione di una proposta di legge "contro la violenza alle donne che tuteli ancora di più le donne e sia un appoggio per coloro che volendosi liberare dalle persecuzioni e dalle molestie, possano trovare un punto di riferimento". La Pollastrini sottolinea che la nostra è "una società avanzata, eppure in Italia come in tutti i paesi europei, la violenza contro le donne e sulle donne continua, attraverso le molestie, anche gravi, le percosse, fino allo stupro e all’assassinio.

Io credo - sostiene - che contro la violenza, la tolleranza debba essere zero". Gli esponenti di maggioranza sollecitano un maggiore impegno e chiedono che si passi dalle parole ai fatti. Il vice capogruppo dell’Ulivo alla Camera, Marina Sereni, osserva: "La cronaca quotidiana e i dati statistici confermano che la violenza contro le donne è lontana dall’essere sconfitta e che bisogna ancora fare molto a cominciare dall’educazione nella famiglia e poi nella scuola e nei luoghi di socializzazione. Ma per prevenire bisogna conoscere".

Il direttore centrale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini ha ricordato l´esigenza di poter disporre di statistiche disaggregate per sesso per legge, senza doversi affidare alla sensibilità di chi dirige l’istituto di statistica o di chi siede ai ministeri preposti. Sulla stessa posizione i Verdi. Paola Balducci, responsabile Giustizia del Sole che ride, plaude all’"ottimo discorso del presidente della Camera Bertinotti sulle donne, ma il rischio - sottolinea - è che di queste donne vittime di violenza psicologica e fisica nel lavoro e nella vita familiare, se ne parli tanto e spesso senza poi però passare ai fatti". "Dire che bisogna partire dalla scuola per sconfiggere la violenza contro le donne e contro i soggetti deboli in generale - aggiunge Balducci - significa anche che le istituzioni si devono far carico di questa verità attivando normative e strumenti concreti che vadano in questa direzione".

Secondo la deputata Verde, tra l’altro, "nell’era di internet, una strategia delle politiche giovanili per prevenire la cultura della violenza deve essere legata a un uso corretto di questo strumento. Serve una guida per i bambini e i ragazzi che navigano quotidianamente e questa guida deve essere la scuola stessa intervenendo in questo senso sui programmi scolastici. Internet, se usato male - conclude - può essere una vera e propria giungla mediatica, e i giovani non devono rimanere soli in questo loro viaggio".

Linda Laura Sabbadini fa infine notare come a subire i ricatti sessuali sono "più le disoccupate che le occupate; più le impiegate che le operaie, perché le prime hanno più opportunità di carriera delle seconde e quindi sono più esposte al rischio; più le lavoratrici indipendenti che le dipendenti: l’ingresso diffuso di donne in settori tradizionalmente maschili è fenomeno recente ed è stato dirompente in un mondo così maschile come quello delle imprese. Quando le donne cercano di concludere un affare, effettuare una vendita, acquisire un cliente si creano i presupposti per i ricatti sessuali sulle donne".

Roma: il Garante; detenuto autolesionista con chiodo in fronte

 

Comunicato stampa, 24 ottobre 2006

 

Il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Roma, Gianfranco Spadaccia, ha deciso di richiamare l’attenzione dell’Amministrazione Penitenziaria sulla necessità di un’adeguata assistenza psicologica e psichiatrica e su un uso attento dell’isolamento e dei sistemi di controllo delle persone a rischio di autolesionismo estremo.

"Ho visitato ieri nel carcere di Regina Coeli, un detenuto rumeno, che si trovava da alcuni giorni in isolamento con un chiodo infilato sulla fronte, la bocca cucita con un filo di ferro e un paio di forbici legate al collo, dal momento che i medici non potevano obbligarlo ad un intervento sanitario di pronto soccorso. Questo detenuto è un soggetto altamente a rischio che già nel mese di agosto aveva commesso un analogo gesto di autolesionismo e che si trovava per questo sotto osservazione.

Ieri si è fatto infine convincere a farsi curare dal chirurgo del carcere. Ora cercheremo di occuparci del suo caso per quanto possibile sia sotto l’aspetto legale (il detenuto rumeno è in carcere per un lieve reato) che sotto quello medico sanitario. È tuttavia necessario rivolgere particolare attenzione a queste situazioni estreme che, mostrando gli aspetti più duri del carcere, ne evidenziano le gravi mancanze che possono porre a serio rischio la vita e la salute delle persone".

Trento: a 4 mesi dall’indulto il carcere è di nuovo pieno

 

L’Adige, 24 ottobre 2006

 

C’erano le più alte cariche civili e militari ieri mattina in Regione per la festa del corpo di polizia penitenziaria. Un corpo di polizia a tutti gli effetti, ha ricordato il direttore del carcere di Trento Gaetano Sarrubbo, che svolge i suoi impegni non solo dentro le strutture penali ma anche sul territorio: "Ringrazio tutti gli agenti - ha spiegato - per l’impegno e il rigore che profondono nel lavoro". Lo stesso direttore ha voluto premiare con un riconoscimento di merito Maurizio La Porta ed Emilio Visciano per aver delimitato un incendio scoppiato nel carcere; Antonio Spinelli, Nicolò Di Miceli, Riccardo Bruno e Vito Amatulli per aver impedito un gesto tragico da parte di un detenuto; Benedetto Caldararo, Raffaele Ciaramella, Marco Guasti e Pasquale Marrocco per aver proceduto al sequestro di sostanze stupefacenti dentro il carcere.

Con oltre trent’anni da dirigente alle spalle, Gaetano Sarrubbo è il direttore con maggiore esperienza in Italia e commenta liberamente le sue impressioni sull’indulto che ha fatto uscire dalle carceri migliaia di detenuti. "Il carcere di Trento era sovraffollato, ospitavamo 170 detenuti invece dei 90 previsti. Dopo l’indulto verso agosto ospitavamo 60 detenuti, ora sono saliti a 90, e per Pasqua ne prevedo, anzi, ne ho la certezza matematica, 150".

Una manovra inutile? "Nella mia carriera ho vissuto molti indulti e posso dire che, senza interventi strutturali, l’indulto rappresenta solo una manovra transitoria, un breve attimo di respiro". Tra i detenuti che hanno lasciato il carcere grazie all’indulto quanti ne sono rientrati? "A Trento pochissimi, due, forse tre".

Televisione: "Altrove", perché la tv sul carcere non sfonda

 

Il Giornale, 24 ottobre 2006

 

Tra i misteri ricorrenti della nostra televisione ce n’è uno particolarmente insondabile, e riguarda l’ambiente carcerario che, visto dall’esterno, sembra calamitare una certa dose di comportamenti masochistici. Ci sono ad esempio, sempre più spesso, i parenti di vittime di atti delittuosi che decidono di andare a far visita agli assassini del proprio figlio sotto l’occhio impietoso della telecamera, non si capisce se per cercare una qualche forma di catartica rivalsa o per trovare la forza altrettanto improbabile di perdonare.

Ci sono poi i condannati all’ergastolo che, non bastasse la pena di dover scontare in carcere il resto della vita, accettano quella ulteriore di sottoporsi alle interviste della conduttrice di Storie maledette Franca Leosini, che li incalza per ore rigirando il coltello in una piaga offerta fin troppo generosamente al suo sguardo e a quello degli spettatori.

Ci sono infine i detenuti del carcere di Velletri che hanno accettato di farsi riprendere nella loro già costipata esistenza quotidiana da un numero non precisato di telecamere poste nelle celle, per dare vita alla trasmissione Altrove (venerdì alle 23,30 su Italia Uno e tutte le sere alle 0,40 in forma di striscia quotidiana) ideata e voluta da Maurizio Costanzo.

La motivazione del programma è piena di tante cosiddette "buone intenzioni", fin troppo: mostrare la vita carceraria nella sua routine monotona e soffocante, dare visibilità a chi non ne ha, consentire a chi è detenuto di recuperare - grazie alla potente autorevolezza del mezzo televisivo - una parte di quell’esistenza che non può più avere.

Fatto sta che la sovrabbondanza di buone intenzioni non si traduce in una resa televisiva capace di coinvolgere gli spettatori, e non solo per la imbarazzata ritrosia di ognuno di noi di stare davanti a situazioni disturbanti come quelle carcerarie, ma perché l’intrusione televisiva sotto la forma non dichiarata del reality non aggiunge nulla a quanto già si può immaginare della vita penitenziaria: gesti lenti, tempi morti, una sensazione disperante di malinconia e di vuoto che le telecamere non colmano ma anzi accentuano.

Il talk show del venerdì cerca di dare forma e senso a quelle immagini che poi si vedranno nel corso della settimana, attraverso una discussione tra persone competenti direttamente coinvolte nella vita del carcere. Ma intanto lo spettatore scappa, e non gli si può dare torto. Ci siamo abituati alla presenza delle telecamere in tanti ambiti più o meno irreali , dalle case del Grande Fratello alle fattorie e alle isole dei famosi, ma vederle frugare tra i gesti al rallentatore della concretissima vita carceraria, senza alcuna valvola di fuga nemmeno per l’immaginazione, fa sentire in galera anche chi guarda.

Droghe: Ferrero; i dati Oedt devono far riflettere la politica

 

Redattore Sociale, 24 ottobre 2006

 

"I dati presentati dall’Osservatorio di Lisbona, che evidenziano una forte crescita dell’offerta delle sostanze stupefacenti, devono far riflettere in maniera profonda la politica italiana". Così il ministro della Soilidarietà sociale Paolo Ferrero, che ha commentato il Rapporto dell’Oedt.

"Dobbiamo misurarci su elementi concreti e non più su schemi ideologici - continua Ferrero -, dobbiamo lavorare per costruire un piano d’azione nazionale sulle droghe che ci permetta di valutare gli interventi sulla base dell’evidenza scientifica. Si deve costruire un circuito virtuoso con il contributo della scienza, della società civile e degli operatori impegnati sul campo delle dipendenze". "Martedì 5 dicembre - annuncia Ferrero - istituiremo ufficialmente la Consulta delle tossicodipendenze e il Comitato scientifico previsti dalla legge 309, con i quali attraverseremo il paese con una discussione che terminerà con la Conferenza nazionale che si terrà nel prossimo anno. In questo processo di partecipazione allargata lavoreremo per costruire la nuova legge sulle dipendenze".

Droghe: allarme dell’Agenzia Europea; prezzi mai così bassi

 

Giornale di Vicenza, 24 ottobre 2006

 

Il consumo di droghe in Europa sembra stabilizzarsi, anche se a livelli alti. Ma a far paura è l’offerta: da un lato i prezzi stracciati (soprattutto nei Paesi di recente adesione, come la Lituania, meta di turismo "dedicato" dove si trovano pasticche di ecstasy a tre euro); dall’altro la quantità enorme di stupefacenti che invade il mercato, frutto della sovrapproduzione afghana di oppio. Nell’annuale rapporto dell’Emcdda, l’Agenzia europea per le droghe, si legge che "i prezzi delle droghe illecite in vendita nelle strade d’Europa è crollato negli ultimi cinque anni e probabilmente il livello di oggi è il più basso mai registrato". E gli esperti sono convinti che, a lungo andare, il calo dei prezzi produrrà un maggiore consumo di droghe. È aumentata sensibilmente la quantità di stupefacenti sequestrata annualmente dalle forze dell’ordine. Ma aumenta anche la droga che arriva dall’Afghanistan, che produce l’89 per cento dell’oppio.

L’eroina "va" di meno, ma in Europa uccide 7-8.000 persone l’anno. Cresce l’uso della cocaina: l’Italia resta attorno al 2 per cento per il consumo di polvere bianca, un dato che la situa al terzo posto, ma ben lontana dalla capolista Spagna e Gran Bretagna, dove si tocca una percentuale doppia. Fra quantità enormi, prezzi bassi, stupefacenti di moda o fuori tendenza, si fanno largo anche nuovi prodotti. Il più inquietante ha per ora soltanto una sigla, Mccp, ma da un anno è smerciato in pastiglie, come l’ecstasy, fuori dalle discoteche soprattutto di Spagna, Italia e Gran Bretagna. Si tratta di un prodotto della famiglia delle piperazine, che preoccupa i sanitari più dell’ecstasy, perché è al tempo stesso un antidepressivo e uno stimolante. I giovani che lo prendono, si sentono spesso male, con vomito, capogiri e svenimenti. Molto più di quando consumano ecstasy.

Intanto, 53 senatori dell’Ulivo sottoscrivono un documento a sostegno della decisione del ministro Turco sulla cannabis. Tra i firmatari del documento - nato dall’iniziativa di Marina Magistrelli e Ignazio Marino - anche Rita Levi Montalcini. Molti sono di area cattolica. "Siamo contrari all’uso di sostanze stupefacenti", si legge. "Vogliamo punire il traffico e lo spaccio; vogliamo lavorare per la prevenzione". Ma "innalzare la quantità di principio attivo di cannabis che una persona può detenere non significa liberalizzare la droga. Chi semplifica la questione in questo modo non l’ha compresa: il decreto del ministro della salute non solo non interviene in alcun modo sull’impianto generale della legge Fini-Giovanardi (che è da rivedere, ma naturalmente nelle aule del Parlamento), ma nemmeno incide sulla illiceità delle condotte di spaccio o detenzione ai fini di spaccio. Si limita ad ampliare, peraltro in misura limitata, l’area entro la quale il possesso di sostanza stupefacente "leggera" non comporta l’arresto e il carcere. La condotta non diventa per ciò lecita o indifferente: restano le procedure amministrative finalizzate al contrasto delle dipendenze, ma si vuole evitare che una persona, magari un giovane, conosca l’esperienza del carcere per avere con sé una quantità "modica" di sostanza".

 

 

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