Rassegna stampa 29 maggio

 

Da volontari e operatori penitenziari lettera-aperta a Mastella

 

Comunicato stampa, 29 maggio 2006

 

Da volontari e operatori penitenziari una lettera al ministro Mastella per chiedere incontro su urgenze e priorità del carcere e sulle nomine dei vertici Dap.

 

Venerdì 26 maggio 2006 nel carcere di Padova si è tenuto un convegno nazionale sul tema del carcere e informazione, cui hanno partecipato circa 400 persone, tra cui molti detenuti, operatori penitenziari, volontari.

All’incontro, oltre a redattori-detenuti di "Ristretti orizzonti" e rappresentanti dei vari giornali carcerari, sono intervenuti volontari ed esponenti di associazioni (tra cui Stefano Anastasia, Ornella Favero, Sergio Cusani e Sergio Segio); funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria (Emilio Di Somma, vice capo del Dap), giuristi e magistrati (Alessandro Margara, già Capo del Dap; Francesco Maisto, sostituto procuratore generale di Milano); giornalisti (Gerardo Bombonato, Presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, Claudio Santini, consigliere nazionale dell’Ordine, Mauro Paissan, dell’Ufficio del Garante della Privacy, Daniele Barbieri, collaboratore di "Carta" e "il Manifesto", Stefano Arduini di "Vita"); docenti (Giuseppe Mosconi dell’Università di Padova, Marco Capovilla dello Iulm di Milano), politici e parlamentari (Marco Boato, Franco Corleone, Antonio De Poli).

Al termine, l’assemblea ha approvato all’unanimità il documento di cui sotto, indirizzato al nuovo ministro della Giuustizia, Clemente Mastella. Nella lettera, che è stata inviata stamattina al ministro, si avanzano proposte, si richiamano prorità e si richiede un incontro urgente.

 

Appello al Ministro della Giustizia dal Convegno Nazionale sul carcere

 

L’assemblea dei detenuti, operatori, magistrati, lavoratori in ambito carcerario, volontari, cappellani e giornalisti, che si è tenuta nel carcere di Padova il 26 maggio 2006, sui temi del carcere e dell’informazione, sottopone al ministro della Giustizia, on. Clemente Mastella, alcune osservazioni propositive in ordine ai tanti, gravi e annosi problemi che affliggono le condizioni di vita e di lavoro dentro gli istituti penitenziari e nell’area penale esterna.

Esiste una proposta organica di riforma strutturale dell’ordinamento penitenziario, elaborata da. Alessandro Margara, già a capo dell’Amministrazione penitenziaria e presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, e da Francesco Maisto, sostituto procuratore generale della Repubblica di Milano, e già presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. Tale riforma, oltre che l’organicità, ha il pregio di non comportare costi aggiuntivi a carico dell’Amministrazione. In molte sue parti, inoltre, potrebbe divenire operativa senza necessità di percorsi parlamentari. Quindi, fondamentalmente, potrebbe trovare avvio semplicemente a partire dalla volontà e responsabilità politica, in tempi brevi e dunque adeguati alle necessità.

Tra le urgenze, ormai drammatiche, che vivono le carceri perdura quella del gravissimo sovraffollamento, che mortifica le condizioni di vita dei detenuti e umilia la dignità professionale di operatori, assistenti sociali, educatori, agenti di polizia penitenziaria, direttori e anche dei volontari. Per affrontare concretamente tale problema si impongono decisioni legislative e parlamentari, in ordine a provvedimenti deflativi. Ma una misura di rafforzamento, ampliamento e rispetto delle piante organiche del personale, nelle sue varie funzioni e articolazioni, potrebbe, nel frattempo, contribuire a migliorare la situazione. Così pure vanno ampliate e rese più celeri le possibilità di misure alternative alla detenzione, rafforzando gli organici dell’area penale esterna. Lo stesso vale per una maggiore e migliore destinazione di risorse finalizzate alle attività trattamentali, a quelle formative e culturali, al lavoro penitenziario.

Il miglioramento, possibile in tempi immediati, delle condizioni di detenzione passa anche attraverso l’applicazione in tutte le sue previsioni del Regolamento penitenziario, varato nel 2000. Importanza particolare va attribuita a misure e strutture che garantiscano l’affettività delle persone recluse e dei loro congiunti, come già si sperimenta positivamente in alcuni, rari, istituti.

Drammatica è la questione della salute in carcere. La carenza di fondi e la riforma "inceppata" hanno determinato una grave situazione, tale per cui mancano a volte gli stessi farmaci salvavita e la copertura del personale sanitario, sia a livello medico, sia a livello infermieristico. A tale situazione occorre porre mano con decisione, per garantire un diritto costituzionalmente rilevante, considerando anche il grande numero di persone tossicodipendenti, alcoliste o portatrici di disagio psichico ristrette.

Sul piano legislativo crediamo vadano radicalmente riviste le leggi sulle droghe, sulla recidiva (cd. "ex Cirielli") e sull’immigrazione. Sono proprio queste le normative responsabili da sole della maggior parte degli ingressi nel sistema penitenziario, spesso per reati di poco conto (sugli 89.887 ingressi nel corso del 2005, ben 9.619 hanno riguardato cittadini stranieri, ristretti in carcere senza aver commesso reati che non siano la violazione delle norme sull’immigrazione). Viceversa, nuove leggi vanno introdotte, a partire dall’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Naturalmente, se queste sono le priorità, molti altri sono i provvedimenti legislativi che auspichiamo il nuovo parlamento vorrà affrontare nel corso della legislatura, a partire dal varo del nuovo codice penale.

Infine, vi sono leggi approvate nella penultima legislatura, proposte dall’allora governo di centrosinistra, che vanno finalmente e integralmente applicate (legge "Smuraglia", legge "Finocchiaro", legge di riforma della sanità in carcere, etc.).

Se queste sono solo alcune delle necessità e delle urgenze (molte altre, infatti, si potrebbero enumerare), non di meno appare centrale e rilevante che la, o le, figure che verranno a breve nominate ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, abbiano caratteristiche, professionali e umane, di attenzione, sensibilità, competenza, che ci facciano sentire garantiti riguardo i punti su esposti.

Nel rispetto delle prerogative, ci pare dunque necessario rivolgerLe anche questa esortazione: che al vertice del Dap vengano insediate figure che abbiamo queste caratteristiche.

Le chiediamo, in questa occasione, la disponibilità a incontrare una delegazione che meglio, con maggiore organicità e nel dettaglio, possa esporLe le nostre proposte e osservazioni, che proprio nell’occasione di questa partecipata assemblea abbiamo potuto raccogliere, definire e condividere.

Padova: l’amnistia? sì, ma prima aiutateci a riabilitarci…

 

Avvenire, 29 maggio 2006

 

benvenuto per i nuovi arrivati è lungo quanto i centosessanta passi di un corridoio cadenzato da finestre strette e affreschi che i detenuti di ieri hanno lasciato in dote a quelli di oggi. Paesaggi, famiglie al pic-nic e donne bellissime. Poi un gigantesco urlo di Munch a ricordare che il "Due Palazzi" non è la Biennale, ma la cittadella del castigo. In tutto 750 detenuti, il doppio della capienza, e solo tre educatori. Sezione unica maschile, tutti condannati a pene pesantissime.

Come Donato Bilancia, il serial killer taciturno e cordiale che non è voluto scendere in palestra dove l’associazione "Ristretti" ha ospitato il convegno sulle "notizie da galera", ovvero carcere e informazione. "Non ci basta più parlare di sconti di pena. Noi - ragiona Sandro - veniamo presi in giro ad ogni campagna elettorale ". Sta dentro da un bel po’ Sandro. E da qui ne ha visti di governi. Amnistia, indulto, indultino, sono parole entrate nel gergo della "buiosa". È così che i ristretti chiamano la galera, ma nella loro lingua c’è anche la parola "camuffo".

Sta per fregatura. E vuol dire delusione. Aspettavano novità già ai tempi del Giubileo. Niente. "Io ho una condanna a 15 anni. Ho sbagliato, ho rovinato della gente. Per sempre". Mario non racconta la sua colpa, la lascia immaginare. "Se anziché uscire tra 15 anni, mi fanno tornare a casa fra 14 e sei mesi, io sono contento. Perché qui si vive in fondo di piccole cose".

Quelle che spesso mancano. Nella palestra auditorium ci sono anche Sergio Cusani e Sergio Segio, il manager dalle bustarelle facili e l’intellettuale che praticava la rivoluzione a mano armata. Hanno pagato il loro debito. Oggi chiedono "una riforma del sistema penitenziario". Cusani afferra un microfono malconcio e tra gli applausi dice: "Non è solo questione di indulto. Dobbiamo chiedere proprio a questo nuovo governo cambiamenti veri". Sono tutti d’accordo. "Siamo pronti a firmare una petizione nazionale - annuncia un gruppo di reclusi -.

Abbiamo sbagliato, ma devono darci un’altra possibilità". A Padova possono dirsi fortunati, perché al massimo si vive in due per cella. "Ci sono però delle carceri che fanno davvero schifo. Andrebbero chiuse". Non sono parole di un volontario dal cuore tenero. Emilio Di Somma è il vicedirettore dell’amministrazione penitenziaria. "Per chiudere i penitenziari fatiscenti e sostituirli con altri più decenti - spiega - servono soldi. Però nel 2005, tanto per fare un esempio, il fondo del ministero non è stato alimentato neanche con un euro". E non è la sola cattiva notizia: "In 32 anni - osserva - mai abbiamo avuto una popolazione carceraria così alta, è stata superata quota 60mila". La tensione tra i raggi dei penitenziari italiani è a livello di guardia.

Al Due Palazzi ci sono solo tre educatori: "Come si fa - s’amareggia il direttore Salvatore Pirruccio - a parlare di rieducazione se non si assumono gli operatori?". Non resta che il volontariato, ma anche qui si procede all’italiana . A Padova - dove si può apprendere un mestiere da cuoco, orafo, meccanico e perfino giornalista - si lavora nella redazione del giornalino da mattina a sera e senza che sia necessariamente presente un volontario, basta la normale sorveglianza. "Nel resto d’Italia non è così - denuncia Ornella Favero, coordinatrice di "Ristretti Orizzonti" - .

Ci vuole sempre un educatore o un volontario, e questo quando va bene può accadere una volta alla settimana ". Per il resto la rieducazione "si fa in branda". L’ironia di Tallin, albanese dentro da tre anni e con una condanna di 12, serve a spiegare che si sta in cella 24 ore su 24. Le attività lavorative infatti non sono aperte a tutti. "Non abbiamo la sveglia e se non si ha un lavoro da svolgere non si fa nulla per tutto il giorno". Una sgranchita al pomeriggio per la socializzazione.

Per il resto è ozio. "E dopo 10 o 15 anni così come volete che uscendo io riesca a reintegrarmi?". Giovanni sa cosa vuol dire Tallin. Lo sa perché al Due Palazzi c’è tornato. "Mi avevano scarcerato, ero euforico". Fuori nessun lavoro decente. Nessun sostegno. "Non c’è l’ho fatta psicologicamente. E ho ricominciato da dove avevo lasciato". Indulto o no dovrà restare qui per un bel pezzo. "Io la pena la sconto tutta. Non chiedo favori, ma aiutatemi a non tornare mai più".

 

Quando sono triste mi riempio di tagli. Cresce il disagio, tra suicidi ed autolesionismo

 

Li chiamano kamikaze. Con il terrorismo non hanno nulla a che vedere. Kamikaze perché quando non sanno come fare afferrano una lametta o un pezzo di vetro per infliggersi ferite insopportabili. "L’ho fatto perché sono disperato e stufo di questa vita spietata, vedo tutto buio. Il mio cervello non mi dà tregua, non vuole cancellare l’immagine di mio figlio nemmeno per un attimo. Fino ad oggi non ho nessuna sua notizia, spero che non passi ancora molto tempo". Di racconti come quelli di Ezzeddine, tunisino arrivato 23 anni fa, i volontari di "Ristretti orizzonti" (www.ristretti.it) ne raccolgono di continuo. A Padova gli extracomunitari sono quasi il 50% della popolazione carceraria. E i nordafricani quando non riescono ad ottenere qualcosa, o semplicemente quando sono disperati prendono a tagliarsi. Sono i più assidui frequentatori delle infermerie.

Asir Mohamed la prigione l’aveva conosciuta a casa sua, in Tunisia. "Agli interrogatori mi tagliavo per evitare le botte e le torture dei poliziotti". Una volta arrestato anche in Italia, ha ricominciato: "Ci si taglia dalla rabbia di aver subito un torto e di non poter reagire, o anche per aver ricevuto una brutta notizia e persino per il tradimento della propria ragazza o della propria moglie ma in carcere ci si taglia soprattutto per disperazione e per solitudine". Per il personale penitenziario è una lotta senza tregua. Ogni anno ci sono in tutta Italia almeno 800 casi di suicidi tentati, mentre sono migliaia (stime non ufficiali parlano di 6 mila episodi) gli atti di autolesionismo.

Da gennaio ad oggi i suicidi accertati sono arrivati a quota 17. L’anno scorso furono 58. Ma i kamikaze sempre più spesso sono anche italiani. "Non mi sono mai pentito di essermi "tagliato", anche se non so nemmeno io perché l’ho fatto - ha raccontato Cristiano -. Forse perché mi sono trovato in una situazione dove mi sono reso conto che per il sistema non ero niente, non contavo nulla".

 

L’appello

 

Una "carta" per l’informazione giudiziaria "Chiediamo a giornalisti autorevoli della carta stampata, della televisione, della radio,di Internet, delle Agenzie di Stampa di darci un contributo formativo ed informativo". La richiesta arriva dal Coordinamento dei giornali delle carceri.Cronisti dietro le sbarre che ai "colleghi" fuori chiedono anche l’approvazione di una "Carta di Padova", a modello di quella di Treviso sui minori, che definisca la deontologia e i criteri irrinunciabili con i quali produrre informazione sul carcere.

"Esistono già regole e principi per l’informazione giudiziaria, ma è utile la proposta di una specifica Carta dove far confluire tutte le indicazioni che, in modo non organico, sono presenti nel nostro sistema". Lo ha affermato Mauro Paissan, componente dell’ufficio del Garante della privacy. "L’approvazione di una Carta - ha sottolineato Paissan - oltre al valore di un impegno dei giornalisti sul piano della deontologia professionale sarebbe anche una utile occasione per sensibilizzare il mondo dell’informazione al rispetto dei diritti di chi si trova esposto, insieme ai propri familiari, alla cruda esibizione dei propri fatti di vita di fronte alla pubblica opinione e spesso alla pubblica curiosità".

 

Nello Scavo

Giustizia: Pisapia; cambiamo la "Cirielli", teniamo la "Pecorella"

 

Corriere della Sera, 29 maggio 2006

 

"Riconosco a Clemente Mastella una grande capacità di mediazione politica e un’anima da garantista: lui può far bene se si circonda, come mi pare stia facendo, di persone competenti visto che non è un tecnico". L’avvocato Giuliano Pisapia, responsabile giustizia di Rifondazione comunista e candidato per settimane ad occupare la poltrona di via Arenula prima che il manuale Cencelli lo escludesse dal governo, parla per la prima volta del ministro della Giustizia scelto da Prodi.

E dice la sua sul programma dei primi 100 giorni, segnalando innanzitutto un errore tattico: "Mettere ora le mani sulla legge Pecorella, quella sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento di primo grado, sarebbe assai grave perché questo è un argomento che divide. E un’accelerazione farebbe solo scoppiare la rivolta degli avvocati con conseguente paralisi dei tribunali per molti mesi". In autunno, poi, sulla "Pecorella" si dovrà esprimere la Corte costituzionale, che darà delle indicazioni ben precise di intervento, in modo che ci possa essere un provvedimento sul quale confrontarsi e non scontrarsi. Per ora è saggio attendere, perché altre sono le emergenze".

 

Quali, professor Pisapia?

"Dobbiamo concentrarci sulla modifica di quelle leggi che non comportano uno scontro tra magistratura e avvocatura: Mastella lo ha capito anche se, forse, dovrebbe dedicare più attenzione all’avvocatura e ai lavoratori del settore giustizia. La priorità è la legge Cirielli che non riguarda solo la prescrizione ma anche la recidiva: se si riempiono le carceri, infatti, si entra in un vortice che renderà impossibile qualsiasi intervento riformatore".

 

Basterà cancellare la "Cirielli"?

"No. Servirebbe un provvedimento che anticipi la riforma del codice penale e che affronti il problema della celerità dei processi: penso alla prescrizione, alla recidiva e alle sanzioni alternative al carcere da modificare con un ddl condiviso da gran parte del Parlamento".

 

Poi c’è la modifica della riforma Castelli?

"Un momento. Io penso che venga prima la legge sulla droga perché non si possono mettere sullo stesso piano spacciatori e consumatori. Da quando è entrata in vigore la "Fini-Giovanardi", sono stati 1.800 a settimana i ragazzi fermati o arrestati per il possesso di pochi grammi di hascisc: di questo passo saranno 80 mila all’anno i processi contro i consumatori. Ecco, bisogna intervenire se non vogliamo paralizzare i tribunali. Inoltre, bisogna avviare un intervento sul civile che riguarda 12 milioni di cittadini".

 

I magistrati, però, premono affinché il governo congeli la riforma Castelli.

"Intanto, prendo atto che anche l’Anm oggi ha cambiato opinione: rendendosi conto che nell’ordinamento giudiziario ci sono anche norme utili per il buon funzionamento della giustizia".

 

L’Anm teme la "gerarchizzazione" delle Procure e i mille concorsi cui verrebbero sottoposti i magistrati.

"Credo che su questi due punti ci voglia una sospensione dei decreti, e 8 mesi sembrerebbero più che sufficienti, perché ci sono problemi di costituzionalità sui nuovi assetti delle Procure. Il "concorsificio", così come è stato pensato, getterebbe nel caos le aule di giustizia".

 

E il giro di vite sulle sanzioni disciplinari?

"La norma è molto seria perché permette di sapere con certezza quali sono i limiti deontologici rispetto ai comportamenti dei magistrati. E questo aumenterebbe la fiducia dei cittadini perché per certi comportamenti inammissibili dei magistrati ora vi è una sanzione".

 

Ma l’Anm chiede di congelare pure di questo decreto.

"Ci sono aggiustamenti che potrebbe fare il ministro nei primi 3 anni senza l’intervento del Parlamento. Invece, una sospensione del decreto provocherebbe uno scontro politico aspro".

 

C’è qualche priorità che l’agenda non contempla?

"Vedrei urgente un provvedimento drastico per limitare gli incarichi extragiudiziali dei magistrati. E credo che ci sarebbe il consenso di tutti i partiti".

 

Secondo questa impostazione, che forse è all’origine del veto sulla candidatura Pisapia, Mastella dovrebbe evitare strappi con gli avvocati e con la Cdl. Ce la farà?

"Se non si riparte dai punti condivisi, nell’interesse degli utenti della giustizia, si torna allo scontro degli anni passati che ha impedito di fare qualsiasi riforma della giustizia".

 

Però tra le priorità del governo c’è la "Pecorella"…

"Intanto, quelle sono proposte e non delle certezze".

Napoli: troppi morti in cella, appello al ministro della giustizia

 

Il Mattino, 29 maggio 2006

 

"Due suicidi in pochi giorni nell’Istituto di Secondigliano. Morti annunciate che si aggiungono altre nell’indifferenza di tutti". È l’intervento del penalista Riccardo Polidoro, esponente del progetto "carcere possibile" dopo le due morti nel carcere di Secondigliano. Nel 2005, sono 57 i detenuti che si sono tolti la vita in cella. In un anno, ogni sei giorni un morto: un’"epidemia". L’uomo quando varca la porta del carcere perde, di fatto, ogni diritto, diventa oggetto di un’arbitraria violenza, a volte evidente, a volte invisibile. Queste due morti sono il segnale di una comunità sofferente rivolto al ministro Clemente Mastella.

Pescara: ciak, si gira "Cantieri" e il carcere diventa set

 

Il Messaggero, 29 maggio 2006

 

"Avrei voluto rinchiudere la troupe nel carcere per tutta la durata del film, perché penso che per capire questo mondo ti ci devi immergere dall’interno". Così, tra il serio ed il faceto, Maurizio Fiume, regista di "Cantieri", il cortometraggio che vede come attori protagonisti sette detenuti del carcere di San Donato impegnati in un corso di formazione professionale nella scuola edile, ha introdotto il film-documentario presentato in anteprima nella sala cinematografica dell’istituto penitenziario di Pescara. Più che una semplice battuta, in queste parole c’è l’essenza della pellicola: nata all’interno di un progetto per il reinserimento dei detenuti nella società, cerca di entrare nella loro quotidianità fatta di speranze, aspettative e tanta paura nel futuro.

Un futuro che per alcuni sarà meno buio, visto che in cinque hanno ottenuto un’assunzione a tempo indeterminato, merce rara in tempi di precariato. Prodotto da Carlo Angelozzi, il "corto", nato dalla collaborazione tra la Casa circondariale di Pescara, l’assessorato alla cultura del Comune e la scuola edile, dura mezz’ora ed è preceduto da un backstage girato da Francesco Calandra. "Ho paura - dichiara nel film Raffaello, detenuto originario di Andria - di ricommettere gli stessi errori del passato senza una concreta opportunità di lavoro. Puoi non mangiare uno due tre giorni, ma al quarto ti ritrovi a compiere gli stessi reati di prima". Il cortometraggio finisce con i detenuti a pranzo in un ristorante. Emilio, che sogna di fare il ristoratore, viene invitato dal proprietario del locale a cimentarsi in cucina.

Pescara: i detenuti registrano dei cd per non vedenti

 

Il Messaggero, 29 maggio 2006

 

"L’apertura di un passaggio tra il mondo chiuso del carcere e la società civile nell’ottica del reinserimento dei detenuti". Così l’assessore alla Cultura ed ai Servizi sociali, Betti Mura, ha definito il progetto che ha visto 15 detenuti della casa di Reclusione di Sulmona impegnati in un percorso formativo finalizzato ad educarli alla lettura espressiva per registrare libri parlati per non vedenti.

I risultati del primo laboratorio di lettura espressiva sono stati illustrati, questa mattina, a Pescara, nella sede della Regione di viale Bovio, nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno preso parte, oltre all’assessore Mura, la responsabile dell’Agenzia di promozione culturale di Sulmona, Rosa Giammarco, il presidente provinciale dell’Aquila dell’Unione italiana Ciechi, Americo Montanaro, il presidente della Comunità Montana Peligna, Antonio Carrara, il Direttore della casa di Reclusione di Sulmona, Giacinto Siciliano, e l’educatore della casa di Reclusione, Frank Mastrogiuseppe.

"L’iniziativa stimolata dall’Agenzia di promozione Culturale e portata avanti da tutte queste istituzioni" ha dichiarato Betti Mura "si colloca in un contesto particolare che ha visto il gruppo di Rifondazione Comunista presentare in Consiglio regionale la proposta di legge sul Garante delle carceri ed in un momento in cui riteniamo non sia più rinviabile il ricorso all’amnistia per liberare le carceri dal sovraffollamento che rende estremamente difficile la vita dei detenuti". Intanto, in occasione della prossima Giostra Cavalleresca, in diversi negozi del centro storico di Sulmona si potranno acquistare manufatti realizzati proprio dai detenuti.

"Un’apertura importante che si deve, in gran parte, alla sensibilità del sindaco La Civita" ha aggiunto l’assessore Mura "che, su questa opportunità, ha avviato da tempo un dialogo proficuo con i commercianti del posto". In relazione, invece, al progetto "Ti dò la mia parola", concluso il primo modulo, di natura più propriamente propedeutica, a settembre partirà il secondo percorso che, entro la fine dell’anno, si concluderà con la registrazione, su un CD, di "Diario di un gatto con gli stivali", un testo di favole scritto da Roberto Vecchioni, edito da Einaudi. "L’auspicio" ha concluso l’assessore "è che anche altri Istituti di pena vengano sensibilizzati da questa iniziativa perché, oltre ad essere un esempio di grande umanità da parte dei detenuti, va incontro a quel progetto di integrazione con il mondo esterno che andrebbe perseguito con sempre maggiore impegno". Il progetto, che ha richiesto un intenso lavoro di preparazione a monte, con ore ed ore di studio delle tecniche di emissione vocale, di dizione, di respirazione e di lettura didattica, ha ricevuto anche il sostegno della biblioteca nazionale del libro parlato che può contare su ben 80 mila testi e che ospiterà il libro di favole registrato dai detenuti di Sulmona.

Perugia: detenuti in rete per creare scene della Bohème

 

Redattore Sociale, 29 maggio 2006

 

Sarà seguita via internet da spettatori speciali, la prima della Bohème di Puccini in cartellone al Gaiety Theatre di Dublino per il prossimo 19 novembre. Saranno i detenuti che hanno lavorato alla realizzazione dei costumi e delle scene per l’allestimento dell’opera. Assisteranno al debutto dal carcere di alta sicurezza di Maiano di Spoleto, dove dal 2004 si lavora per l’appuntamento. Si tratta della fase finale di un percorso cominciato con lo studio dell’opera e la creazione dei bozzetti di scenografie e costumi (queste attività sono state documentate attraverso un film della regista Porzia Addobbo dal titolo "Boheme al carcere di Maiano") nella casa di reclusione della città umbra e sostenuto dalla Provincia di Perugia; poi il progetto ha varcato i confini nazionali e si è esteso al carcere irlandese di Mountjoy, alla periferia di Dublino. Forme e colori hanno preso forma in contemporanea nei due penitenziari. 46 i detenuti coinvolti, 25 gli italiani (allievi della sezione interna al carcere dell’Istituto d’arte Leoncillo Leonardi di Spoleto), in un progetto - promosso dall’assessorato alla Cultura della Provincia di Perugia e dal Dipartimento di giustizia irlandese - che culminerà nel 2007 con l’inserimento nel circuito operistico teatrale italiano (l’uscita in Italia avverrà con il sostegno dell’ente umbro, mentre la produzione a Dublino è affidata ad Opera Ireland). I detenuti delle due città hanno iniziato la costruzione delle scene ad aprile e stanno lavorando a tempo pieno sotto la guida dello scenografo e costruttore Michele Zualdi per la parte scenotecnica, che alterna 15 giorni in Italia e 15 a Irlanda per seguire tutti e due i gruppi, e quella dei docenti di tessitura dell’Istituto d’arte per la realizzazione dei costumi, con il coordinamento di Nadia Gaggiotti. Per l’intero progetto è sostanziale il contributo convinto dei due direttori delle strutture penitenziarie, Ernesto Padovani e John Lonergan.

Ma non finisce qui. In cantiere c’è la produzione di un cortometraggio, con sottotitoli in lingua madre, che racconti le varie fasi del progetto, in collaborazione con il Segretariato sociale della Rai e una rete televisiva irlandese. "E’ un progetto di spessore - sostiene l’assessore provinciale Pierluigi Neri - con lo scopo di restituire dignità alla pena e dare voce alla invisibile comunità delle carceri. L’iniziativa ha l’obiettivo di costruire opportunità e prospettive riabilitative, nonché di acquisire capacità professionali da parte dei detenuti delle carceri per nuovi e utili mestieri per il futuro. Inoltre con simili eventi, che vedono la partecipazione attiva dei detenuti si ha il riflesso di rendere più a dimensione umana le regole".

Genova: un libro bianco sulla situazione penitenziaria ligure

 

Redattore Sociale, 29 maggio 2006

 

Il disagio nelle carceri liguri colpisce tutti, detenuti e personale. Le strutture sono sovraffollate e gli organici preposti al controllo e alla sicurezza carenti. È questo il quadro uscito dal Libro Bianco sulla situazione penitenziari in Liguria. Il documento è stato elaborato dalla Segreteria Generale del Sappe, il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, d’intesa con le Polizie provinciali e locali della regione.

Il Libro Bianco è stato inviato a tutti i parlamentari eletti nella Regione Liguria affinché prendano atto della situazione delle carceri nel territorio regionale e preparino i necessari provvedimenti. "Il documento - ha dichiarato Roberto Martinelli, Segretario Generale Aggiunto Sappe, - fotografa la situazione penitenziaria regionale. È un dato di fatto oggettivo che tutte le realtà del Nord Italia sono in palese sofferenza in ordine alla carenza di personale di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri, nonché per strutture sovraffollate".

"La situazione ligure, però - si legge nel Libro Bianco - ha raggiunto limiti massimi oltre i quali non è possibile proseguire". Dall’analisi delle sette strutture penitenziarie della regione, su una capienza massima di 1121 detenuti, se ne registrano 1524, il 36% in più del limite regolamentare, in maggioranza tossicodipendenti e immigrati. Per contro, l’organico di Polizia penitenziaria previsto dal D.M. del 8 febbraio 2001 dovrebbe ammontare a 1264 unità, mentre sono solo 1067 i poliziotti in servizio, oltre il 15% in meno. Delle unità presenti, oltre il 17% sono distaccate in altre sedi e altre sono impiegate per assolvere compiti istituzionali presso gli uffici della Direzione.

La carenza di personale comporta, secondo il Sappe, livelli minimi di sicurezza davvero inquietanti e allarmanti e "in alcuni istituti, come Chiavari e Imperia, le unità di Polizia sono costrette a raddoppiare i turni, fino a dieci-dodici ore continuative, per sopperire alle esigenze di servizio". Da diverse settimane, la Casa Circondariale di Imperia è stata ampliata e ospita ora 110 detenuti contro i 50/60 dei mesi precedenti. Tuttavia all’aumento della popolazione carceraria non ha fatto seguito un incremento dell’organico. Nell’Istituto di Chiavari, i turni notturni sono coperti da solo tre unità, e resta scoperta la sezione con detenuti di Alta Sicurezza.

Le consuete prestazioni di lavoro straordinario, e gli agenti chiamati a coprire più posti di servizio, riducono il livello di sicurezza e impediscono l’attuazione delle misure di recupero per il detenuto. Il Sappe denuncia infatti l’impossibilità per gli agenti di Polizia Penitenziaria di accompagnare i detenuti e presenziare ai colloqui con familiari, avvocati, psicologi ed educatori, senza mettere a repentaglio l’ordine e la legalità dell’Istituto. L’attuale situazione penitenziaria, sostengono, vanifica di fatto il terzo comma dell’art. 27 della Costituzione, secondo cui "le pene devo tendere alla rieducazione del condannato". Il Libro Bianco punta il dito direttamente sul Provveditore regionale, che "non può ridursi a una illustrazione meramente espositiva dei molteplici inconvenienti, ma deve formulare soluzioni alternative per conseguire obiettivi di interesse comune". "Se - si legge ancora nel documento - come hanno scritto Voltaire e Dostoevskij, il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri, il nostro non sembra proprio essere un Paese civile".

 

 

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