Rassegna stampa 22 maggio

 

Napoli: 44enne si uccide in cella, si proclamava innocente

 

Il Mattino, 22 maggio 2006

 

"Anna, bada ai bambini, lo farò anch’io a mio modo": è il disperato testamento di un padre sussurrato alla moglie incinta del terzo bimbo nel parlatorio del carcere di Secondigliano. Lucio Addeo, 44 anni di Palma Campania, incensurato, titolare di una delle più floride aziende di frutta secca, è stato trovato due giorni fa a ora di pranzo con un lenzuolo stretto alla gola. Si è impiccato nella cella in cui era recluso da solo perché accusato di tentata estorsione per conto del clan Cava, un gruppo criminale attivo nella zona del Vallo di Lauro. Lui si era sempre proclamato innocente, anzi aveva spiegato di essere stato lui vittima di degli estorsori del clan. La famiglia ora sta valutando di sottoporre il suo caso all’attenzione del ministero della giustizia.

"Si è ucciso per dimostrare a tutti che era una persona pulita - spiega la moglie Anna Imblema - per dare un futuro ai figli. La vergogna di essere accusato di essere vicino alla camorra lo aveva portato alla disperazione. Ultimamente mi ripeteva sempre di badare ai bambini e ora so cosa voleva dirmi". Arrestato lo scorso 27 marzo era stato rinchiuso prima a Poggioreale e poi trasferito a Secondigliano. Il tribunale del riesame aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare e così era rimasto dietro le sbarre. Non è riuscito a vedere i primi passi del più piccolino, di appena un anno, che pochi giorni fa ha cominciato a camminare da solo, non conoscerà mai il bambino che Anna porta in grembo.

"Ha sostenuto sette interrogatori - spiega il suo legale Carmine Del Genio - e il momento più duro è stato quello del confronto. Sentiva molto la pressione di questi lunghi incontri, non era abituato, come non era abituato al carcere. Ha spiegato tutto e aspettava che la giustizia gli andasse incontro, invece non è andata così. Anzi lo avevano messo in cella da solo". La Dda fa sapere che gli interrogatori erano finiti solo sabato scorso, la vicenda non sembrava del tutto chiarita, non c’era nulla che facesse prevedere l’intenzione dell’indagato di suicidarsi e comunque nei giorni successivi non erano state presentate istanze di scarcerazione. Addeo era titolare della Ital Nocciole, un’azienda che, secondo quanto riferito dal legale di famiglia, fattura ogni anno decine di milioni di euro fornisce aziende di rilievo nazionale e internazionale come la "Ferrero" e la "Panforte Sapori".

Ragusa: il caso di Giovanna Franzò; non si muore per un ascesso

 

La Sicilia, , 22 maggio 2006

 

Il giudice unico Ciarcià in 24 pagine ricostruisce e ripercorre passo dopo passo il calvario della detenuta siracusana morta per un "ritardo diagnostico e terapeutico" "La mediastinite necrotizzante discendente, una suppurazione del tessuto mediastinico derivante da patologie infettive del collo, è una condizione patologica di raro riscontro, gravata da una elevata mortalità legata principalmente al ritardo diagnostico e terapeutico". È quanto dichiarato nel maggio 2005 nel corso di un importante congresso dal dott. Antonio Pinto, dell’Unità operativa di pronto soccorso dell’ospedale Caldarelli di Napoli. Il 6 aprile scorso, a distanza di sei anni, si concludeva, in un’aula del tribunale di Ragusa, dopo numerose udienze, il processo a carico di ben undici medici, chiamati a rispondere di omicidio colposo in concorso per la morte, il primo maggio del 2000, di una giovane detenuta, la siracusana Giovanna Franzò, ricoverata in ospedale per un ascesso dentario.

Il verdetto del giudice monocratico Michele Ciarcià era di condanna, a otto mesi di reclusione, per tre imputati (Giovanni Occhipinti, Franco Cannì e Giuseppe Campione), e di assoluzione, perché il fatto non costituisce reato, per gli altri otto imputati (Concetta Brugaletta, Ignazio Ruffino, Giovanni Rizza, Giuseppe Moscuzza, Giovanni Campo, Giuseppe Moltisanti, Salvatore Criscione ed Emanuele Boncoraglio). Ora dal dott. Ciarcià è stato depositato il dispositivo di sentenza. In ben 24 pagine vengono ricostruiti minuziosamente i fatti concretasi tragicamente quel primo maggio del 2000 all’Ompa, dopo un ennesimo tentativo di salvare la paziente, affetta proprio da mediastinite necrotizzante discendente. Il dott. Ciarcià sottolinea, ripercorrendo passo dopo passo il calvario della Franzò, il "ritardo diagnostico e terapeutico".

"L’esame del diario clinico in atti - è detto nel dispositivo della sentenza - evidenzia come esso si concretizzi in una mera esposizione di sintomi e di farmaci somministrati. Non vi è traccia di approfondimenti diagnostici di alcun genere. Sussiste però un’indicazione di base circa la situazione della Franzò con specifico riferimento all’apparato della masticazione dopo una estrazione dentaria ". E il giudice aggiunge che "a fronte di nuovi episodi ascessuali, nessuna indagine, strumentale o di laboratorio, viene posta in essere, pur dovendo e potendo la stessa essere tranquillamente effettuata". "Occorreva - ribadisce il magistrato - intervenire tempestivamente in modo da evitare che la patologia degenerasse e desse luogo a gravi complicanze. Questo è il momento eziologico cruciale! Sarebbe bastato il trasferimento della paziente presso un centro clinico attrezzato per eseguire un approfondimento diagnostico per il quale ricorrevano i presupposti, l’ortopantomografia facilmente praticabile che avrebbe consentito un’adeguata delimitazione del focolaio e, conseguentemente una corretta gestione dell’infezione odontogena".

Lodi: ho visto rinascere la vita in carcere, di Luigi Morsello

(Ispettore generale dell’Amministrazione Penitenziaria in pensione)

 

Agenda Lodi, 22 maggio 2006

 

L’impressione che ho avuto nel leggere sulla stampa quotidiana, cartacea ed online, articoli sul rifiorire delle iniziative dei volontari del carcere lodigiano è quella della visione della pioggia vivificatrice che fa rinascere la vita nel parco nazionale del Serengeti in Tanzania, una immagine di straordinario effetto visivo ed emozionale.

Avevo visto forse una - due volte la dr.ssa Carla Santandrea, quand’era in servizio a Busto Arsizio con il dr. Michele Rizzo, direttore, quindi non posso affermare di conoscerla bene, ma avevo sentito tessere sue lodi sia dallo stesso dr. Rizzo sia in sede provveditoriale.

La settimana scorsa, su invito del comandante di reparto Raffaele Ciaramella, casualmente incontrato la precedente domenica mattina, ho deciso di raccogliere l’invito (non vi ero mai più stato dall’arrivo della dr.ssa Caterina Ciampoli e da quell’unico colloquio, casuale, avuto con la stessa), sono andato e mi sono fatto accompagnare dal comandante per far visita al neo direttore reggente in missione.

Anch’io, che qualche contatto, casuale, con qualcuno del personale, ivi compreso lo stesso Ciaramella, l’avevo avuto, nel recarmi nell’ufficio del comandante notavo volti sorridenti e distesi, un’atmosfera di allegrezza, come nemmeno quando ero io il direttore e come d’altra parte mi aspettavo di trovare.

Il colloquio con Carla Santandrea, che non aveva memoria di me ed io stesso per averla vista anni addietro una - due volte ho avuto difficoltà a ricordarla, è stato gradevole, scorrevole, ho trovato un giovane funzionario direttivo dal tratto gentile, dalla voce piane e quieta, che esprimeva con semplicità e sincerità le proprie impressioni sul carcere di Lodi e sul ruolo del direttore del carcere, tant’è che mi lasciavo indulgere a chiederle se gradiva leggere un mio intervento sull’argomento, pubblicato un anno addietro o giù di li, sia sulla stampa locale che sulla rivista di informazione giuridica Diritto & Giustizia della Giuffrè, ottenendone una riposta positiva.

Mi sono affrettato ad inviarglielo presso la segreteria del carcere con posta elettronica. Ho avuto l’impressione che la dr.ssa Santandrea abbia ricevuto a sua volta una impressione positiva del carcere che è stata chiamata a dirigere.

A mia volta non ho fatto mistero dei lati positivi del trovarsi a dirigere un carcere di piccole dimensioni, che da una parte consente contatti a misura d’uomo con il personale civile e di polizia penitenziaria e con i detenuti, dall’altra si avvantaggia della presenza di un nutrito ed agguerrito nugolo di assistenti volontari, fra quelli storici da me trovati nel 1997 e quelli che si sono aggiunti durante la mia permanenza alla sua direzione, ai quali io avevo dato la mia fiducia ed affidato tutte le iniziative che via via sono state vissute e che sono diventate di pubblica conoscenza tramite la stampa locale.

Si tratta proprio di quei volontari che hanno reagito ad una dimensione eccessivamente letterale di applicazione della legge e si sono fatti interpreti del disagio non solo proprio ma anche del personale e dei detenuti con iniziative di protesta solo raramente improvvide e sempre dettate da autentica passione civile e leale comportamento pubblico.

Ho anche detto che un carcere come quello di Lodi, che, lo ricordo, è sede dirigenziale dal 2002, per un giovane funzionario voglioso di imparare a fare bene il proprio lavoro di direttore (lavoro difficile, complesso, dalle mille sfaccettature e che comporta mille esperienze e la confidenza con mille diverse professionalità) è una ideale piattaforma di lancio verso traguardi, di carriera e di soddisfazioni lavorative, per diversi motivi.

Il primo, la sua dimensione umana, che, come ho già detto, consente proficui e gratificanti rapporti con i detenuti e le loro famiglie, i loro affetti, le loro ansie, paure, preoccupazioni.

Il secondo, la presenza di personale qualificato a tutti i livelli, ad iniziare dal Comandante di Reparto - vice commissario Raffaele Ciaramella.

Questa miscela di fattori positivi consente ad un giovane funzionario di imparare veramente il proprio mestiere, senza correre grandi rischi ed incorrere in incidenti di percorso che hanno punteggiato in passato numerose volte la storia delle carceri italiane ed i suoi sfortunati ed infelici direttori, ivi compreso che sta scrivendo.

Un carcere come quello lodigiano è stato utilizzate più volte in passato dall’Amministrazione penitenziaria per destinarvi funzionari anziani di fine servizio (aborro la parola carriera) e, talvolta, la loro presenza è stata un vantaggio reciproco che non mi appare necessario spiegare. C’è solo da augurarsi di poter dire, fra breve, buon lavoro al direttore reggente, non più in missione, dr.ssa Carla Santandrea.

Bergamo: Verdi e Rnp; assicurare assistenza medica a detenuti

 

Ansa, 22 maggio 2006

 

La Regione dovrebbe garantire ai detenuti l’assistenza farmaceutica e specialistica attraverso le Asl e le Aziende ospedaliere. Lo sollecitano il consigliere regionale dei Verdi, Marcello Saponaro, e l’esponente della Rosa nel Pugno, Giorgio Myallonier che stamattina, a Bergamo, hanno presentato la proposta di modifica della legge regionale approvata il 14 febbraio dello scorso anno. L’ipotesi di riforma, che sarà depositata al Pirellone nei prossimi giorni ed è firmata anche dal consigliere dei Verdi Carlo Monguzzi, punta a superare, secondo Saponaro e Myallonier, lo stallo nel passaggio delle competenze in materia, a livello nazionale, dall’amministrazione penitenziaria a quella sanitaria.

Secondo Saponaro e Myallonier il decreto legislativo aspetta di essere attuato dal 1999 e intanto la situazione nelle carceri si aggrava di giorno in giorno: mancano farmaci e medici specialisti. "Persino la struttura di via Gleno a Bergamo, fino agli anni Ottanta tra le migliori d’Italia, soffre ormai problemi cronici", affermano Saponaro e Myallonier che hanno puntato il dito contro la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, responsabile di ‘aver fatto crescere in maniera esponenziale la popolazione carcerarià e anche contro la legge Fini sulle droghe. A proposito di quest’ultima hanno anzi chiesto che venga attuata almeno nella parte in cui prevede che, per pene fino a 6 anni, il detenuto tossicodipendente possa chiedere di essere assegnato ad istituti di cura. La proposta di legge, che prevede modalità di intervento regionale concordate con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e il Centro per la giustizia minorile, punta ora ad ottenere, in consiglio regionale, il consenso trasversale dei gruppi per uscire - hanno concluso Saponaro e Myallonier - da una situazione sempre più allarmante.

Giustizia: magistrati; sì all’amnistia, stop alla riforma Castelli

 

La Provincia di Como, 22 maggio 2006

 

Riforma castelli da bloccare e un timido "sì" alla proposta di amnistia: i magistrati "presentano il conto" al neonato governo Prodi. E la risposta arriva subito: un decreto legge che sospenda quelle parti della riforma Castelli in grado di produrre "effetti irreversibili" e che entreranno in vigore entro giugno; e che nello stesso tempo stabilisca un termine breve entro cui varare un nuovo ordinamento giudiziario è l’impegno che il responsabile Giustizia dei Ds, Massimo Brutti, ribadisce davanti ai magistrati. Brutti parla al congresso di Unità per la Costituzione, la corrente di maggioranza dell’Anm.

E rassicura le toghe preoccupate perché stanno per entrare in vigore le norme più contestate della riforma: quelle sulla "gerarchizzazione delle procure", sul sistema disciplinare e su accesso, trasferimenti e promozioni. "È possibile bloccarne l’entrata in vigore con un decreto legge", dice Brutti che sottolinea la necessità di "impedire che la legge Castelli metta in circolazione tossine impossibili da riassorbire".

Obiettivo ultimo è arrivare entro "un anno o al massimo un anno e mezzo a un nuovo ordinamento giudiziario alternativo a quello varato dalla Cdl; una riforma che sia "ragionevole e condivisa" e che sia fatta anche "allargando i consensi rispetto alla maggioranza di centrosinistra". Parole che fanno piacere ai magistrati, decisi però a mantenere alta la guardia, sapendo che quella in corso è una partita difficile. E intanto c’è da registrare un "sì" condizionato dai magistrati all’ipotesi di un’amnistia. Il sovraffollamento nelle carceri è un problema reale, che va affrontato, ma da un provvedimento di clemenza vanno certamente esclusi i reati di maggiore allarme sociale.

Così come non si può prescindere da un contestuale intervento di riforme per sveltire il processo penale. Pur se con sfumature diverse, è questa la posizione maggioritaria tra le toghe di Unità per la Costituzione. "È una scelta che appartiene alla politica - premette innanzitutto Marcello Matera, segretario di Unicost -. Sicuramente il sovraffollamento delle carceri è un problema reale e impone interventi articolati, ma non si può prescindere dall’esigenza di garantire la certezza della pena". Secondo il leader di Unicost, un provvedimento di clemenza dovrebbe riguardare solo i "reati bagatellari" non certo quelli che destano "allarme sociale".

Padova: il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere

 

Il Gazzettino, 22 maggio 2006

 

Carcere e scuola: due mondi lontani anni luce, spesso sconosciuti l’uno all’altro. Realtà che la seconda edizione del progetto "Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere" si sono per un avvicinate, abbattendo pregiudizi, schemi e muri mentali e invitando alla riflessione personale e alla rielaborazione scritta e grafica. Il progetto di prevenzione e informazione, promosso dalle associazioni di volontariato Granello di senape e Tangram, con i Servizi sociali del Comune, la Casa di Reclusione e la rivista Ristretti Orizzonti ha visto la partecipazione di 14 istituti superiori tra città e provincia e il coinvolgimento di 24 classi, 480 ragazzi, 97 detenuti, 20 operatori volontari, con incontri e attività nelle classi, e dentro la casa di reclusione.

E sabato mattina nella sala dell’Mpx in via Bonporti gremita di studenti e insegnanti, si è svolta la giornata conclusiva del percorso, caratterizzata dalla proiezione del film "Sulla mia pelle" e dalla premiazione degli elaborati più significativi. La giuria presieduta da Carlo Lucarelli, presente all’incontro con i ragazzi, ha sottolineato la buona qualità dei lavori di scrittura prodotti, molti dei quali saranno raccolti prossimamente in un volume. I migliori racconti sono stati quelli realizzati dalle studentesse Francesca Peruzzi (Fusinato) e Chiara Campagnaro (Scalcerle). Premiate anche le composizioni grafiche di Elisa Banzato, Ester Sireci (Selvatico) e Monica Ponchia."

Conoscere la realtà del carcere - ha spiegato Ornella Favero - è importante come è fondamentale creare percorsi di educazione alla cittadinanza nei quali si affrontino con i giovani temi come la devianza, il disagio l’illegalità". "Si è trattato - ha precisato il direttore della casa di reclusione Salvatore Pirruccio intervenuto con la direttrice della casa circondariale Antonella Reale - di un ‘esperienza positiva perché non va dimenticato che la realtà penitenziaria fa parte del territorio, un territorio che deve attrezzarsi per il reinserimento dei detenuti una volta scontata la pena". "E proprio per integrare le diverse realtà - ha ricordato l’assessore Claudio Sinigaglia - stiamo elaborando in rete con le associazioni e le istituzioni del privato sociale un "Piano permanente cittadino sul carcere".

Giustizia: amnistia; il "sì" di Marini. Fini: si liberano i delinquenti

 

Provincia di Sondrio, 22 maggio 2006

 

"Non ho dubbi che si debba fare". Lo ha dichiarato il presidente del Senato, Franco Marini, rispondendo ad una domanda sull’amnistia a margine della festa nazionale della "Piccola Grande Italia" a Castel del Monte in Abruzzo. "Non ho dubbi: - ha risposto Marini - ho davanti agli occhi il grande entusiasmo che la visita di Giovanni Paolo II suscitò alla Camera dove ero io allora. E il giudizio mi pare unanime: i modi della costruzione di questo provvedimento di clemenza, non sta a me indicarli. Li discutano: ci sono il ministro e le forze politiche, ma che si debba fare non ho dubbi". "Se vuole un mio giudizio - ha concluso - sono d’accordo che questa risposta nella maniera più seria e più attenta bisogna darla".

Ma l’ipotesi di un provvedimento di clemenza solleva dure polemiche da parte del centrodestra. Particolarmente incisivo il leader di An Gianfranco Fini secondo il quale "non si difendono i cittadini se il primo atto di un governo è l’amnistia che porterebbe fuori dalle carceri tanti delinquenti che non si meritano di essere riportati agli onori della società". "In questi anni - ha concluso Fini - abbiamo lavorato molto proprio sul principio che chi sbaglia paga". L’altro ieri era arrivato un sì condizionato dai magistrati all’ipotesi di un’amnistia. Il sovraffollamento nelle carceri è un problema reale, che va affrontato, ma da un provvedimento di clemenza vanno esclusi i reati di maggiore allarme sociale.

Giustizia: caso "Novi"; Erika esce dal carcere per un permesso

 

Il Gazzettino, 22 maggio 2006

 

Ci voleva lo sport, una partita di volley a schiudere le porte del carcere per Erika De Nardo cui la Cassazione il 7 maggio scorso aveva respinto il trasferimento in una comunità per ricevere le cure psicologiche di cui, secondo la difesa, ha bisogno. Quella era stata anche la prima e unica richiesta di uscire dal carcere.

Ieri, invece, è tornata per qualche ora fuori dalla cella per un’iniziativa di risocializzazione, la gara sportiva "Oltre il muro" organizzata dall’Uisp di Brescia. La partita di volley è stata giocata a Buffalora, alle porte di Brescia, contro la squadra femminile locale.

Capelli lunghi raccolti in una coda, occhiali neri, t-shirt bianca con le maniche rimboccate perché non diano fastidio giocando ma forse anche per prendere un po’ di sole, sorridente, bella, con un viso che incredibilmente non lasciava trapelare la minima ombra, Erika ha giocato con le sue compagne di squadra, come una ragazza qualunque, quantomeno una detenuta qualunque.

Erika De Nardo, insieme a Omar Favaro, il 21 febbraio 2001 uccise a coltellate la madre e il fratello Gianluca nella casa di famiglia a Novi Ligure (Alessandria). Condannata a 16 anni di reclusione, dall’aprile del 2005 è detenuta a Verziano (Brescia).

Nel carcere minorile "Beccaria" di Milano aveva sostenuto l’esame di maturità per geometra, ora si è iscritta all’Università e partecipa alle attività interne della casa di reclusione. Incontra regolarmente il padre, l’ingegnere Francesco De Nardo, che non ha mai saltato un colloquio. A farle visita arrivano spesso anche gli zii e la nonna materna. Non ha mai chiesto un permesso per tornare qualche ora a casa. La sua figura è da anni allo studio del personale del carcere, dei giudici e dei suoi avvocati. Ha una personalità dura, apparentemente implacabile, anche se l’anno scorso, quando, al compimento del 21/o anno, è stata trasferita dal carcere per minori di Milano, il Beccaria, a Brescia, in una prigione per adulti aveva detto "ho paura, ho molta paura di stare in un carcere per adulti".

E in gennaio il suo legale, l’avvocato Mario Boccassi, commentando la dichiarazione del criminologo (e suo consulente) Massimo Picozzi "Erika è ancora un guscio vuoto, come quando ha ucciso e quando uscirà dal carcere non sarà cambiato nulla", aveva lamentato che nel carcere di Brescia, "la ragazza non riceveva più un’adeguata assistenza psicologica".

L’ex fidanzato di Erika, Omar, che compirà 23 anni a giorni, invece, non è ancora mai uscito dal carcere. Per lui l’ avvocato ha chiesto più volte il permesso di trascorrere qualche ora a casa, ma il tribunale di sorveglianza si è opposto, ritenendo che mancasse un programma riabilitativo che gli consentisse di essere impegnato socialmente. Omar, condannato a 14 anni, ha ripreso in mano i libri: studia ragioneria, ha preso il patentino per computer. Lasciato il "Ferrante Aporti" di Torino, da quasi due anni è detenuto nel carcere di Asti, dove partecipa a numerose attività tra cui quelle sportive e di giardinaggio.

Caltanissetta: i detenuti non vogliono accusati pedopornografia

 

Vivi Enna, 22 maggio 2006

 

I reclusi del carcere Malaspina di Caltanissetta gridano e protestano: "Via quei torturatori di bambini dal nostro carcere, qui non c’è più posto. Riteniamo che la gente di questo genere sia priva di dignità e che per la gravità dei loro delitti, da noi inammissibili e non giustificabili sotto nessun punto di vista, siano più che delle persone, bestie da macello". Era prevedibile, contro i quattro accusati di pedopornografia, tra i quali l’assassino del piccolo Francesco Ferreri, sono insorti anche i detenuti del carcere di Caltanissetta. Come nel caso del piccolo Tommy, a Parma, dalle celle s’è levato un coro ostile per invitare le autorità giudiziarie a trasferire quegli ospiti tanto sgraditi, già fin dall’arrivo dei quattro arrestati. Una protesta resa pubblica attraverso due diverse lettere ad un quotidiano, in cui i carcerati manifestano anche solidarietà alla famiglia Ferreri di Barrafranca.

Giuseppe Faraci, il presunto assassino, Salvatore Randazzo, Calogero Mancuso e Antonio Lo Bue sono considerati trasgressori del cosiddetto codice d’onore dei detenuti. Alfredo Maffi presidente di un’associazione di ex detenuti comunica: "I quattro sono ospitati nel primo reparto, in comunità con altri carcerati. Una circostanza giudicata inaccettabile, che gli ospiti del "Malaspina" hanno voluto evidenziare col solo mezzo a loro disposizione".

Giustizia: i magistrati; amnistia sì, ma solo per i reati minori

 

Il Gazzettino, 22 maggio 2006

 

Sì condizionato dai magistrati all’ipotesi di un’amnistia. Il sovraffollamento nelle carceri è un problema reale, che va affrontato, ma da un provvedimento di clemenza vanno certamente esclusi i reati di maggiore allarme sociale. Così come non si può prescindere da un contestuale intervento di riforme per sveltire il processo penale. Pur se con sfumature diverse, è questa la posizione maggioritaria tra le toghe riunite a Todi al Congresso di Unità per la Costituzione, la corrente di centro della magistratura.

"È una scelta che appartiene alla politica - premette innanzitutto Marcello Matera, segretario di Unicost -. Sicuramente il sovraffollamento delle carceri è un problema reale e impone interventi articolati, ma non si può prescindere dall’esigenza di garantire la certezza della pena". Secondo il leader di Unicost, un provvedimento di clemenza dovrebbe riguardare solo i "reati bagatellari" non certo quelli che destano "allarme sociale".

Una posizione sostanzialmente condivisa dal collega Giuseppe Creazzo, il pm reggino titolare dell’inchiesta sull’omicidio Fortugno. "Ben venga l’amnistia, purché non intacchi l’effettività delle sanzioni,dando un senso di impunità rispetto a reati di particolare allarme sociale". Un paletto che deve riguardare anche i reati che "toccano valori da tutelare a tutti i costi, come quelli ambientali".

"Ritengo che l’amnistia sia un provvedimento che indubbiamente potrebbe portare effettivi benefici per migliorare le condizioni di vita nelle carceri - osserva a sua volta il pm romano Luca Palamara, titolare dell’inchiesta sullo scandalo del calcio -. L’importante è, però, che non vada a influire su settori molto importanti , come quelli dei reati ambientali o di quelli legati all’edilizia, rispetto ai quali l’attenzione deve rimanere alta".

Giustizia: Sappe; per i terroristi la pena di morte o il carcere a vita

 

Comunicato stampa, 22 maggio 2006

 

"Vivo personalmente come una sconfitta dello Stato la constatazione che oggi noi commemoriamo a Genova i Caduti delle Forze dell’Ordine per mano terrorista e criminale e gli autori di questi efferati omicidi siano quasi tutti in libertà. In uno Stato davvero di diritto, questi criminali dovrebbero essere o giustiziati con la pena di morte o chiusi fino all’ultimo dei loro giorni in celle di carceri di massima sicurezza. E noi, come ogni anno, commemoriamo i valorosi Caduti di questi criminali in libertà, Caduti che sono rimasti vivi purtroppo solo nel ricordo dei familiari, degli amici e dei colleghi di lavoro. Provate a fare agli studenti delle scuole medie e superiori un solo nome dei tanti Caduti che oggi celebriamo: nessuno o quasi saprà di chi stiamo parlando. E questo è profondamente triste, immorale e vergognoso."

Lo dichiara a Genova Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - il più rappresentativo del Corpo con oltre 11mila poliziotti penitenziari, a pochi minuti dall’inizio della manifestazione - promossa dal Sindacato Autonomo di Polizia SAP, dall’Associazione Vittime della Criminalità e del Terrorismo A.VI.CRI. e dal il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - "Memorial Day - percorso ciclistico della Memoria" in atto oggi nel capoluogo ligure, che si concluderà nel tardo pomeriggio nel cimitero genovese di Staglieno.

"Genova è una città che ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane durante gli anni del terrorismo e quei morti non sono ricordati come meriterebbero. La manifestazione di lunedì è quindi importante, per non dimenticare quanti hanno immolato la propria vita in servizio vittime della follia brigatista e terrorista. Una manifestazione necessaria, per ricordare il loro estremo sacrificio a difesa delle Istituzioni democratiche e repubblicane. Una manifestazione doverosa, tanto più oggi che la stragrande maggioranza di brigatisti e terroristi non stanno nemmeno più in carcere, ammessi alla semilibertà e alle misure alternative alla detenzione, alla faccia delle responsabilità degenerative della loro follia e, soprattutto, del dolore dei familiari dei Caduti delle Forze di Polizia e delle Vittime della Criminalità."

I ciclisti, tutti appartenenti alla Polizia di Stato ed alla Penitenziaria, effettueranno un "giro della Memoria" nei luoghi della città in cui sono stati ammazzati dal terrorismo appartenenti alle Forze di Polizia e cittadini (come Guido Rossa), deponendo una corona commemorativa. Il percorso ciclistico della Memoria si concluderà nel pomeriggio al Cimitero di Staglieno, dove saranno deposte corone alle lapidi dei Caduti della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. E proprio sull’aspetto "Progetto Memoria", Martinelli auspica che il presidente della Giunta regionale ligure Claudio Burlando istituzionalizzi una "Giornata della Memoria" in ricordo di tutti i Caduti per mano della criminalità, organizzata e non.

"Per onorare il ricordo ed il valore di queste vittime e conseguentemente celebrare l’ideale della legalità" conclude.

Guantanamo: due detenuti in coma dopo tentativo suicidio

 

Ansa, 22 maggio 2006

 

Dopo la rivolta di venerdì e i tentativi di suicidio a Guantanamo, due detenuti restano tuttora in coma. Il Miami Herald fa una ricostruzione dettagliata della più grave rivolta finora nel carcere che Amnesty International ha definito "il gulag del nostro tempo" e di cui l’Onu ha chiesto la chiusura. L’agitazione, a più riprese, è durata in tutto 18 ore durante le quali i prigionieri hanno dato filo da torcere ai soldati, armati di schegge di lampade al neon, pale di ventilatori, sbarre metalliche divelte dai dormitori. A un certo punto, per sedare una rissa tra dieci detenuti e un egual numero di soldati, una task force dell’Esercito è intervenuta sparando proiettili di gomma e spray al pepe.

Gran Bretagna: 1.500 cittadini sono pregiudicati… per errore

 

Ansa, 22 maggio 2006

 

Un nuovo scandalo ha investito l’amministrazione britannica. 1500 persone sono finite per errore nel casellario giudiziario con la fedina penale sporca. Cittadini britannici sono stati scambiati per ladri, rapinatori o pornografi. In alcuni casi si sono visti rifiutare l’iscrizione all’università o posti di lavoro. "Quando ho scoperto di essere una pregiudicata - spiega una ragazza gallese - mi sono sentita una vittima. Appena si viene a sapere nessuno vuole più offrirti un lavoro".

L’opposizione conservatrice ha colto la palla al balzo per criticare l’azione del governo Blair già indebolito da altri scandali. "Il premier ha caricato di troppi compiti i successivi ministri dell’interno. Ha fatto approvare un numero di leggi inutili che hanno portato il governo ad abbandonare l’amministrazione corrente", ha detto il ministro ombra della giustizia Dominic Grieve. Già ad aprile il ministero dell’interno aveva riconosciuto di aver rimesso in libertà più di mille detenuti che dovevano essere espulsi dal Paese. L’errore è costato il posto al ministro Charles Clarke sostituito da John Reid in un ampio rimpasto di governo provocato dalla sconfitta alle amministrative.

 

 

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