Rassegna stampa 5 giugno

 

Giustizia: il ministro Mastella annuncia proposta di amnistia

 

Ansa, 5 giugno 2006

 

Il ministro di Giustizia proporrà un provvedimento di amnistia per sfoltire le carceri. Lo ha annunciato lo stesso Mastella parlando ai detenuti del carcere romano di Regina Coeli. "Vi parlo con molta sincerità. L’amnistia - ha detto Mastella - non è un atto mio, solitario. Fosse stato così l’avrei già fatto. Posso però promuoverlo e lo farò. Se finora non l’ho fatto è perché serve la pienezza delle commissioni parlamentari" a cui la proposta deve essere presentata. Le parole di Mastella sono state accolte da grandi applausi dei detenuti. Il ministro allora ha invitato a non coltivare facili entusiasmi, facendo osservare che i tempi potrebbero essere più lunghi di quanto lui stesso vorrebbe. "L’impegno c’è - ha comunque assicurato Mastella -.

C’è l’impegno del ministro, come quello delle forze di governo ed anche di alcune dell’opposizione. Ci muoveremo in questo senso perché è giusto farlo. Assicuro la mia volontà e spero che si raggiunga l’unità nella diversità. Unità per amnistia e indulto e distinzione nell’azione politica quotidiana". Mastella dopo avere sottolineato che la popolazione carceraria è eccedente al limite del sovraffollamento delle carceri, ha ricordato come amnistia e indulto siano state oggetto di un forte appello di papa Woytjla quando visitò il parlamento italiano. E qui Mastella ha espresso una sorta di mea culpa a nome di tutta la classe politica: "Ci siamo emozionati in Parlamento a quel richiamo, ma quell’emozione è caduta nel vuoto, svanendo nei rapporti politici antagonisti". È prematuro dire se l’iniziativa di una amnistia e indulto sarà presa personalmente dal ministro di Giustizia Clemente Mastella o dal governo o, ancora, con una proposta di iniziativa parlamentare. In altre parole è presto per dire se ci sarà un disegno di legge (quindi ministro o governo) o una proposta di legge (iniziativa di uno o più parlamentari). Lo ha precisato lo stesso Mastella dopo l’annuncio fatto al carcere di Regina Coeli. "Ascolterò le forze politiche - ha spiegato - per vedere se loro ritengono che la strada debba essere parlamentare e in questo caso sarà il governo a concorrere. Oppure se il governo avvierà il processo e allora saranno le forze parlamentari a concorrere. Non ho motivi di egoismo e di vanità: importante è che si arrivi ad una conclusione operativa". Successivamente Mastella ha precisato che la sua proposta non riguarderà le persone che si sono rese colpevoli dei delitti più gravi: "Lungi da me che il provvedimento - ha detto il ministro - possa valere per estinguere reati come la pedofilia e la criminalità organizzata. Per il resto se ne discuterà con le forze politiche e i gruppi parlamentari.

La concessione dell’amnistia proposta e avanzata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, potrebbe essere uno dei terreni su cui si sviluppi il dialogo e il confronto pacato tra le forze politiche. Lo afferma il presidente della Repubblica parlando brevemente con i giornalisti al Quirinale dopo aver passeggiato nei giardini del palazzo. La proposta di concedere l’amnistia crede possa essere un’occasione per il dialogo tra i poli? Chiedono i giornalisti al presidente. Credo che così abbia inteso proporla il ministro della Giustizia", risponde Napolitano aggiungendo che "d’altra parte ha detto che si riserva una iniziativa quando sarà completato l’insediamento dei due rami del Parlamento, quando saranno costituite le commissioni competenti. Se ne parlerà allora". In ogni caso, afferma il capo dello Stato, "io mi auguro che si trovino diversi terreni di dialogo. In ogni caso di confronto pacato nella ricerca di possibili convergenze".

Giustizia: D’Ambrosio; no all’amnistia, sarebbe un errore

 

Corriere della Sera, 5 giugno 2006

 

Senatore D’Ambrosio, si parla di amnistia.

"Troppo presto".

 

Scusi?

"L’amnistia è un provvedimento che fino ad ora è servito solo a differire i problemi della giustizia".

 

Da sola non basta?

"Così è un palliativo, un errore addirittura. Il problema del sovraffollamento delle carceri va affrontato con gli altri problemi della giustizia".

 

Quali?

"A partire dai tempi dei processi. C’è bisogno di una profonda riforma del diritto penale, di informatizzare e riorganizzare gli uffici. Mettere sul tavolo solo l’amnistia oppure l’indulto è sbagliato. Se ne potrà parlare quando si saranno trovate soluzioni accettabili per tutto il resto".

 

Altrimenti cosa accade?

"Quello che è successo le altre volte: dopo due mesi le carceri saranno di nuovo superaffollate. Basta guardare i dati. Il numero dei detenuti è aumentato al ritmo di mille all’anno e negli ultimissimi anni anche di duemila. Vuol dire che c’è qualcosa che non funziona nel sistema. Da anni sono state studiate forme alternative al carcere".

 

Cosa suggerisce?

"Ad esempio, si potrebbe eliminare la carcerazione preventiva per i tossicodipendenti che, se accettano un programma di recupero, vanno agli arresti domiciliari in comunità. Molte celle si svuoterebbero di colpo e la permanenza in comunità varrebbe come scomputo dalla pena finale. Si potrebbe rivedere l’impostazione degli illeciti penali e di quelli amministrativi che ricadono sul penale. È un problema grosso. Molte pene detentive potrebbero essere trasformate in lavoro sociale o in pene pecuniarie grosse. E se su queste ultime si toglie la sospensione condizionale, cioè se le si fanno pagare davvero, questo diventerebbe un deterrente superiore allo spauracchio del carcere. E si tornerebbe al problema italiano di sempre".

 

Quale?

"Che bisogna ripetere i provvedimenti di clemenza ogni tre- quattro anni perché in poco tempo molti di quelli che escono tornano a delinquere e finiscono di nuovo dentro". Se proprio si deve, che amnistia pensa si possa fare? "Amnistia breve e solo per quei reati che si vuole depenalizzare".

Roma: Regina Coeli, il coro dei detenuti per Giulio Andreotti

 

Corriere della Sera, 5 giugno 2006

 

Quando si alza dal tavolo riservato alle autorità, il senatore a vita Giulio Andreotti è investito da un breve ma potente coro da stadio scandito dai detenuti riuniti nella gelida rotonda di Regina Coeli per celebrare il 60°anniversario della Repubblica. "Daje Giulio! Forza Roma Sempre", urla ma con rispetto un carcerato con la canottiera nera e i tatuaggi sul braccio che poi porge al sette volte presidente del Consiglio il "Dizionario di democrazia" di Carlo Azeglio Ciampi: "Senatò, un autografo per favore". E lui, che davanti al "Forza Roma" sorride compiaciuto, non si sottrae. E poi si lascia circondare da questa umanità dolente ma comunque deferente davanti agli abiti blu del ministro, del sottosegretario e dei capi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La Festa del 2 giugno a Regina Coeli inizia con il coro dei detenuti che canta l’inno di Mameli meglio dei calciatori azzurri. L’organizzazione della cerimonia repubblicana voluta da Emilio Di Somma, vice capo del Dap, ruota intorno alla figura di Alcide De Gasperi che tra queste mura fu spedito da un tribunale fascista nel 1927 con la matricola 9777 e la branda nella La figlia di De Gasperi con Andreotti. Sotto: De Gasperi a Regina Coeli nel 1927 cella 753 del III Raggio. Così il senatore Andreotti, testimonial di un concorso letterario per i detenuti insieme con la figlia dello statista, Maria Romana De Gasperi, diventa subito il beniamino della rotonda quando pronuncia le due parole magiche: "Amnistia e indulto". A quel punto la parte destra dell’emiciclo, quella separata dal settore ospiti da un cordone discreto di agenti penitenziari, si spella le mani ("Bravo Giulio", "Sei forte") ma il senatore fa subito cenno con le mani di raffreddare tanto entusiasmo: "Io applaudirei solo quando il Parlamento avrà varato il provvedimento, non prima".

Andreotti - che è affiancato dalla signora De Gasperi, dal Guardasigilli Clemente Mastella ("Quando mi hanno offerto la Giustizia ho chiesto consiglio a Giulio e lui mi ha detto: "Vai"") e dal sottosegretario Luigi Manconi - non sembra a disagio davanti ai detenuti che lo sfiorano, che si alzano in piedi per battere le mani ogni volta che viene pronunciato il suo nome. E lui, che di storia ne ha masticata tanta, inizia da lontano: "L’amnistia più incredibile, un vero atto di coraggio, fu quella di Togliatti. Pensate, erano inclusi un po’ tutti i reati tranne le sevizie particolarmente efferate, il che voleva dire che le sevizie così così rientravano nel condono". Risate, altri battimani che rimbombano su per i raggi. Andreotti, che ha visto da vicino il tribunale e la corte d’Assise, davanti a chi è finito dentro per ordine di un giudice si toglie un sassolino dalla scarpa. Sempre lo stesso dopo la conclusione, a suo favore, dei processi che lo hanno visto imputato a Palermo e a Perugia: "I magistrati? Credevo che fossero dei sacerdoti civili anche se poi tra i sacerdoti c’è sempre chi esce dal seminato". E qui l’applauso dei detenuti è prolungato e non disinteressato. "Non voglio attaccarvi un bottone", si scusa il senatore che però sa toccare le corde giuste: "Non ci sono buoni e cattivi, non ci si divide per concorso, ecco perché abbiamo bisogno di un provvedimento di clemenza. Un tempo, si fiutava l’aria dell’amnistia quando una principessina era al terzo mese di gravidanza. Oggi, invece, è tutto più difficile: bisogna superare i condizionamenti dell’opinione pubblica e affrontare il problema della potenza della televisione: se parlo al Senato nessuno se ne accorge, se vado a Porta a Porta poi tutti mi chiamano e lo stesso vale per le notizie di cronaca nera che tutte le sere entrano nelle nostre case". Per varare l’amnistia e l’indulto, il senatore a vita cita ai detenuti, apparentemente rapiti davanti all’uomo che per loro ancora incarna il potere, De Gasperi, Togliatti, La Pira e Dossetti: "Quando scrivevano la Costituzione, ogni articolo era il frutto di un intenso lavoro comune pur nelle profonde diversità che c’erano tra i partiti. Ecco, dobbiamo tornare a dialogare, a quello spirito di 60 anni fa che ci ha regalato la Costituzione: un punto fermo che non va toccato. Dopo 60 anni io, anche se a qualcuno potrà dispiacere, sono ancora qua a sostenerlo". E qui scatta l’ennesimo applauso dei detenuti che sembra il più sincero.

Giustizia: "Il male minore", articolo di Carlo Federico Grosso

 

La Stampa, 5 giugno 2006

 

Il Guardasigilli Mastella, intervenendo davanti ai detenuti di Regina Coeli, ha dichiarato di essere favorevole all’emanazione di un provvedimento di amnistia ed indulto. Tale provvedimento, ha giustamente precisato il ministro, deve essere votato dal Parlamento, per cui non gli è possibile far altro che dichiarare la sua disponibilità a promuovere tale iniziativa al momento opportuno, senza nessuna pretesa di primazia o di monopolio.

Se il Parlamento dovesse chiedere al governo di elaborare un progetto, egli sarà lieto di assumerne l’iniziativa; se fosse il Parlamento a voler predisporre il disegno di legge, offrirà la più ampia disponibilità a collaborare. Si dovrà comunque attendere che il Parlamento si trovi nella pienezza delle sue funzioni con la composizione delle commissioni parlamentari. Soltanto allora sarà possibile passare dalle parole ai fatti e mettere concretamente mano all’elaborazione di un progetto. Non è la prima volta che il nuovo Guardasigilli rivela equilibrio e intelligenza nell’affrontare temi spinosi. Di fronte alle asprezze e alle rigidezze alle quali ci aveva abituato il suo predecessore, l’aria nuova, fatta di misura mista a sano buon senso, non può che rallegrare ed essere di buon auspicio per il futuro della giustizia. Con riferimento al tema specifico dell’amnistia e dell’indulto si tratterà, ora, di vedere se il ventilato provvedimento di clemenza riuscirà davvero ad ottenere il consenso della maggioranza politica richiesta dalla Costituzione, ed in caso affermativo su quali linee politico-criminali verrà elaborato. Entrambi i profili non sono di poco conto.

Dell’amnistia si era parlato, senza successo, il Natale scorso. Allora il governo ed una parte consistente delle forze politiche erano stati piuttosto freddi. Sulla spinta di una forte aggregazione trasversale di politici e uomini di cultura, si era arrivati alla convocazione di una specifica sessione del Parlamento. Qui il rito aveva tuttavia prevalso sulla sincerità delle dichiarazioni politiche e l’iniziativa si era spenta nella melassa di un dibattito e di un voto parlamentare tristemente contraddistinti da assenze e vuoti. Personalmente ho già manifestato più volte la mia opinione sul problema. Di fronte alla lentezza dei processi penali, al sovraccarico degli uffici giudiziari e soprattutto all’affollamento ormai straripante delle carceri non è razionalmente possibile continuare ad opporsi ad un provvedimento di clemenza che la situazione di fatto rende indispensabile; tanto più indispensabile, se si considera che una delle leggi approvate dalla maggioranza parlamentare negli ultimi mesi della passata legislatura è destinata ad incrementare ulteriormente il numero già abnorme dei carcerati. In astratto sarebbe preferibile che le scarcerazioni anticipate avvenissero sulla sola base di valutazioni individuali della personalità di ciascun detenuto e con atti giudiziari personalizzati. In concreto ciò non è possibile, dato che il rapporto posti carcere/detenuti ha superato ogni limite di sopportabilità, l’esecuzione penitenziaria è diventata un supplizio e non si può pertanto risolvere la situazione attraverso il solo impiego degli strumenti predetti.

Ammesso che la maggioranza delle forze politiche si orienti in senso favorevole al provvedimento, nodo cruciale diventerà il suo specifico contenuto. Io ritengo che sarebbe sbagliato prevedere soltanto l’indulto e non l’amnistia, come avevano suggerito in passato alcune forze politiche: i due istituti sono stati, storicamente, sempre abbinati, anche perché, se non lo fossero, si rischierebbe di celebrare processi per reati non amnistiati le cui pene sarebbero comunque cancellate dall’indulto, con un inutile spreco di esercizio di attività giudiziaria. Temo, per altro verso, che l’occasione del provvedimento di clemenza si possa trasformare nel tentativo di allargare le maglie del provvedimento in modo da coinvolgere condannati che nessuna amnistia e nessun indulto ha mai ritenuto di beneficiare, data la gravità o il tipo di reato commesso: corrotti, corruttori, ladri di Stato, imprenditori e finanzieri d’assalto devono comunque essere esclusi dal provvedimento di amnistia, come lo sono sempre stati.

Sui dettagli ci sarà comunque tempo e modo di discutere. Al momento mi sembra importante che un ministro della Giustizia non abbia avuto timore di esprimersi sul problema e si sia espresso con semplicità e chiarezza. Mi pare d’altronde molto significativo che il nuovo Capo dello Stato, interpellato sull’iniziativa del ministro, non abbia esitato a cogliere l’occasione per affermare che il provvedimento di amnistia ed indulto potrebbe essere l’occasione per un inizio di dialogo tra politici oggi schierati su sponde contrapposte. Sostanzialmente, un avallo autorevolissimo.

Giustizia: Caruso (Prc); aboliamo il 41bis, è una tortura bianca

 

Ansa, 5 giugno 2006

 

Nell’annunciare un provvedimento di amnistia da presentare alle Camere, il Guardasigilli Clemente Mastella ha dimostrato "coraggio". È il commento del deputato del Prc e leader No Global, Francesco Caruso, che oggi ha compiuto una visita da parlamentare al reparto 41-bis del carcere di Viterbo. "Finora, dal giorno dell’elezione, ho visitato più di venti carceri - dice Caruso - sto preparando un dossier per Mastella sulla situazione nelle carceri, anzi, lo inviterei a venire con me in visita a Poggioreale, nei gironi più infernali di quel penitenziario".

"Chiedo l’abolizione del 41-bis - sottolinea Caruso - oggi ho visitato il reparto 41-bis di Viterbo: la situazione è da tortura bianca, più che reinserimento sociale, si tratta di tortura bianca". "Le carceri - continua Caruso - sono sul punto di esplodere. I detenuti sono esasperati e mi chiedono quando fare la rivolta. Io gli spiego che bisogna dare fiducia perché - sottolinea - questo governo è differente da quelli precedenti quando nessuno ebbe il coraggio, come ha fatto oggi Mastella, di affrontare il tema senza ambiguità e giri di parole. Chi ostacola l’amnistia e gioca sulla pelle dei detenuti per mere ragioni elettorali evita di affrontare questa situazione drammatica e se ne deve assumere una grande responsabilità politica e morale".

Giustizia: Antigone; sì all'amnistia, ma servono anche più fondi

 

L’Unità, 5 giugno 2006

 

Lo considerano un primo passo. Giusto per evitare che le carceri continuino a scoppiare. La proposta del ministro della Giustizia Clemente Mastella di presentare in Parlamento un provvedimento per l´amnistia e l´indulto non cade nel vuoto. Anzi. Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri non ha dubbi. "Un provvedimento congiunto di amnistia e indulto ovviamente non risolve il problema delle carceri né del sovraffollamento, ma senza questo non si può nemmeno iniziare ad affrontare il problema del carcere, quelle politiche che riguardano riforme radicali". Manconi, che in passato ha seguito i problemi del mondo carceri ricorda che: "le direzioni sono tante, gli strumenti sono diversificati e vanno utilizzati tutti, non uno solo". E mentre Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria Ds fa sapere che la proposta del ministro Mastella: "Si può prendere in considerazione, basta che questo non significhi un colpo di spugna per i reati più gravi".

I rappresentanti delle associazioni che si occupano del mondo carceri lanciano un appello perché "non sia l´ennesima illusione per le migliaia di detenuti". Anche perché le carceri, dati alla mano, scoppiano e la situazione è tutt´altro che confortante. "Dietro le sbarre ci sono complessivamente 63mila detenuti - denuncia Riccardo Arena conduttore di Radio Carcere, la trasmissione che si occupa dei diritti dei detenuti ogni martedì su Radio Radicale - e questo su una capienza che oscilla tra 43mila e 44mila posti a disposizione". Il risultato è presto spiegato. "È chiaro che le ventimila persone in più devono stare in questi spazi che, quindi si riducono - prosegue Arena - naturalmente a discapito della salute e della rieducazione e non ci sono i soldi per le attività di recupero, per l´assistenza sanitaria e tutto quello che consegue".

Secondo i dati elaborati da Ristretti orizzonti, dati consultabili anche sul sito www.ristretti.it, negli ultimi cinque anni dietro le sbarre sono morte 1191 persone. Di queste, 450 per suicidio mentre gli altri per malattia o, in alcuni casi, per cause da accertare. I dati forniti poi dalla Funzione pubblica della Cgil non sono più confortanti. Soprattutto se si pensa che l´80 per cento della popolazione carceraria è recidiva, e solo il 12 per cento di questi sconta condanne per fenomeni di criminalità organizzata. Senza dimenticare poi i detenuti per droga che, a leggere il dossier preparato dalla funzione pubblica della Cgil interessa il 30 per cento dei detenuti mentre il 32 per cento dei detenuti sconta condanne per reati contro il patrimonio e il 33 per cento reati legati allimmigrazione. "In questo scenario veramente allarmante - denuncia Fabrizio Rossetti responsabile dipartimento carceri della Funzione pubblica Cgil - c´è da ricordare che attualmente e dall’entrata in vigore della Bossi-Fini si è registrato un aumento di diecimila detenuti l´anno". Dati che, a sentire il sindacalista, sono destinati a lievitare ancora. "L´applicazione della Bossi-Fini e della Giovanardi-Fini - prosegue Rossetti - ci porta ogni due mesi almeno 1000 detenuti in più, siamo veramente allo sfascio".

Senza dimenticare poi i tagli alle spese. "Per mantenere un detenuto in carcere si spendono 17 euro al giorno. Per garantirgli l´assistenza sanitaria - prosegue ancora Rossetti - se ne spendono appena 4,5, pensare di rendere strutture vivibili è veramente impossibile". Patrizio Gonnella, responsabile di Antigone, l´associazione che si occupa della difesa dei diritti dei detenuti sulle cause non ha dubbi. "Chi ha governato in questi anni pensava che il problema si potesse risolvere con l´edilizia penitenziaria - dice - e per questo motivo è stata costituita pure la società che poi è partita con i piedi sbagliati e il piano è stato bocciato dalla Corte dei conti". Risultato? "Sono stati fatti solamente atti legislativi per aumentare la popolazione pubblica - replica - mentre le carceri inaugurate sono state pensate e progettate dal governo precedente".

Giustizia: Di Pietro; l'amnistia? Mastella pensi ai processi...

 

Il Giornale, 5 giugno 2006

 

La polemica nell’Unione era nell’aria, ma l’annuncio di Mastella sull’amnistia nel carcere di Regina Coeli la fa esplodere. Il ministro della Giustizia precisa che la sua è un’iniziativa di tutto il governo Prodi e il premier deve correre a confermarlo, ma un ministro di quello stesso esecutivo accentua i toni accesi del suo no al provvedimento generalizzato di clemenza. È Antonio Di Pietro, "padre" di Mani pulite, leader dell’Italia dei valori e ora titolare delle Infrastrutture.

L’ex-magistrato ha sempre detto che non è così che si risolve il problema del sovraffollamento delle carceri e non è così che si affrontano i mali della giustizia. E ora rincara la dose: "Ho preso atto che il collega di governo Mastella, come primo atto, ha pensato a un provvedimento di grazia, come secondo all’amnistia, forse domani penserà all’indulto e poi alla prescrizione. Lo inviterei a cominciare dalla testa, anziché dalla coda". Cioè, a far funzionare la macchina della giustizia. Per Di Pietro l’amnistia "ha un senso se è l’atto finale di un processo in cui si è eliminata la ragione per cui vi si ricorre", facendo sì che ci siano meno reati e meno detenuti. Altrimenti, avvisa, tra 2 mesi "siamo punto e a capo".

Dichiarazioni che spaccano l’Unione e provocano reazioni dure. Il capogruppo dell’Udeur alla Camera, Mauro Fabris, ritiene incomprensibile l’opposizione di Di Pietro, ministro del governo Prodi, all’iniziativa "preannunciata, a nome dello stesso governo, dal Guardasigilli quando tale proposta è prevista dal programma dell’Unione firmato dallo stesso Di Pietro".

Eppure, Di Pietro non è il solo da quella parte a pensarla così.

Il suo attacco fa il paio con quello di un altro protagonista di Tangentopoli passato alla politica: Gerardo D’Ambrosio. Anche per l’ex toga milanese ora senatore Ds, è "troppo presto" per parlare di amnistia. È un errore, un palliativo. Finora "è servito solo a differire i problemi della giustizia", mentre il sovraffollamento delle carceri va affrontato in un quadro più ampio. Tante cose si potrebbero fare: dalla riforma del diritto penale all’informatizzazione e riorganizzazione degli uffici; dall’eliminazione del carcere preventivo per i tossicodipendenti che accettano il programma di recupero alla revisione degli illeciti penali e amministrativi che ricadono sul penale alla trasformazione di molte pene detentive in lavoro sociale o in pene pecuniarie, togliendo la sospensione condizionale per farle diventare "un deterrente superiore allo spauracchio del carcere". Ma se proprio s’insiste sull’amnistia, per D’Ambrosio dovrebbe essere breve e ristretta ai reati che si vogliono depenalizzare. E poi, ci si chiede nel mondo politico: amnistia o indulto, o tutt’e due? Una cosa è parlare, un’altra è trovare in Parlamento la necessaria maggioranza dei due terzi per varare il provvedimento.

Su questo aspetto insiste Franco Monaco della Margherita. Prodi ha detto che l’amnistia la vuole il governo dell’Unione, ma lui che è prodiano di ferro avverte: "È doveroso non indulgere all’ennesimo tormentone di annunci e promesse prima di avere accertato che vi siano le condizioni politiche e la larga maggioranza parlamentare, onde non aggiungere sofferenza a sofferenza ai detenuti, alimentando in loro nuove illusioni". Non è pregiudizialmente contrario all’amnistia, Monaco, ma ritiene che per il sovraffollamento delle carceri è più appropriato ricorrere all’indulto. E sempre escludendo i reati più gravi. Anche Marina Sereni dell’Ulivo sottolinea che la base di un discorso serio in materia è il dialogo con l’opposizione. "L’impegno di tutti - dice - deve essere quello di non alimentare inutili speranze nelle carceri, ma anche di saper individuare, nel rispetto delle vittime, i campi d’intervento dell’amnistia".

Amnistia; Marziale; Mastella chiuda le carceri minorili

 

Agi, 5 giugno 2006

 

"Ogni anno, mediamente, entrano nelle carceri minorili circa 1.500 soggetti in età evolutiva, con reati alle spalle di diversa natura. L’Osservatorio sui diritti dei Minori non propone per loro l’impunibilità, però la sanzione non può continuare a configurarsi come repressione fine a sé stessa, volta a soddisfare solo ed esclusivamente il senso di vendetta collettivo". Così Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, interviene nel dibattito sull’amnistia. Rivolgendosi al ministro Mastella, Marziale afferma: "lavori per una seria riforma della giustizia minorile che contempli strutture di recupero altamente specializzate e debitamente sorvegliate, al posto delle vetuste ed alquanto inutili carceri. Intanto è auspicabile che il processo di amnistia contempli anche i minorenni detenuti per reati cosiddetti - minori -".

Secondo Marziale "ad un reo minorenne non si può non concedere una via di riscatto ed un pieno recupero sociale. È un suo diritto, anche perché i suoi comportamenti delinquenziali sono anche la conseguenza di gravi omissioni familiari, scolastici e della società adulta più in generale". Secondo il parere del sociologo "il carcere minorile, così come è oggi concepito, non agevola la capacità di recupero. Basti considerare le rivendicazioni del legale di Erika De Nardo, preoccupato per l’incapacità della propria assistita a ricostruirsi un’identità nell’attuale regime carcerario. Erika tra qualche anno sarà restituita alla società e nessuno sa con quali garanzie di sicurezza".

Giustizia: Cicchitto (Fi); un passo giusto e uno sbagliato

 

Ansa, 5 giugno 2006

 

"Per evitare l’ennesima commedia degli equivoci sul tema che suscita tante giustificate emozioni quale l’amnistia e l’indulto riteniamo necessario precisare alcuni punti. Il ministro Mastella è partito con un passo giusto ed uno sbagliato: è bene per tutti, in primo luogo per lui, evitare la disarticolazione sul piano fisico e la schizofrenia sul piano comportamentale. Siccome il provvedimento deve avere una maggioranza di due terzi è bene che esso sia di iniziativa parlamentare, anche se con il concorso sostanziale di un ministro che ha avuto il merito di aver riaperto una questione così delicata e difficile". Lo afferma il vice coordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto.

"È evidente che questo provvedimento, che richiede un così vasto consenso, non può essere preso mentre sulla stessa materia, su altre questioni, infuria una guerra durissima derivante dal tentativo di smantellare leggi come quelle sull’inappellabilità, sull’ordinamento giudiziario, sulla ex Cirielli. Non si tratta di pregiudiziali, ma di logica. Infatti su tutto ciò occorre una riflessione complessiva della stessa maggioranza, che non può essere schizofrenica e così opportunista e cinica dallo svolgere contemporaneamente due politiche per la giustizia: una garantista ed un’altra iper giustizialista. Infine, dal tavolo va tolto un altro equivoco. Noi stessi abbiamo subito sottolineato - ed oggi vediamo che il ministro Mastella ha ripreso questa indicazione - che dall’amnistia vanno esclusi i reati di pedofilia e di criminalità organizzata. Punto.

Una volta stabilito un riferimento ragionevole - prosegue Cicchetto - agli anni di pena suscettibili dei provvedimenti di amnistia e di indulto non si può, a nostro avviso, introdurre la discriminante su altri reati, magari per mantenere viva la polemica su tangentopoli e sulla questione morale. Infatti qualcuno ci sta tirando per i capelli rilevando che per un settore della sinistra forse è eticamente superiore chi ha sparato e ucciso, magari in nome degli ideali del marxismo-leninismo, a chi ha commesso reati di corruzione e di finanziamento irregolare in nome del proprio partito o della propria corrente".

Giustizia: Mastella; niente amnistia per pedofili e mafiosi

 

Ansa, 5 giugno 2006

 

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella a Napoli ritorna a parlare di amnistia. Dice di riconoscersi "nelle parole intelligenti del presidente della Repubblica Napolitano", ma puntualizza anche che la sua proposta non riguarda affatto casi come quelli della pedofilia o del crimine organizzato. La proposta del ministro su amnistia e indulto ha riaperto, negli schierementi politici, il dibattito sui provvedimenti di clemenza.

"Come si sa sono a favore di questo provvedimento da tempo perché bisogna sgomberare le carceri italiane perché c’é un sovraffollamento pazzesco", ha affermato Oliviero Diliberto. Quanto alla vicenda Sofri e all’ipotesi di un imminente provvedimento di clemenza, Diliberto ha rilevato: "Hanno pagato con un comportamento processuale ineccepibile. Potevano starsene fuori, potevano scappare e hanno invece accettato d’idea di stare, anche per lunghi anni, in carcere. Sono passati - ha concluso - 30 anni, sono persone diverse da allora. Credo che sia un provvedimento giusto".

"Il sì della Democrazia Cristiana all’amnistia è consapevole e certo: non si tratta solo di un gesto di carità cristiana, ma di un atto politico che risponde ad questione posta con forza e profondità al Parlamento da Giovanni Paolo II", ha dichiarato Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia cristiana. "La politica risponde a quell’appello forse con tempi tardivi - ha aggiunto - ma la nostra coscienza di uomini e il nostro dovere di politici impone di dare questa risposta".

"Alleanza nazionale - interviene Maurizio Gasparri - nello scorso dicembre disse alla Camera chiaramente no ad amnistia e indulto. Si tratta di una posizione che deve trovare in questa rinnovata occasione di dibattito un’ampia convergenza in Parlamento e nella società. An dirà 10, 100, 1000 volte no a provvedimenti che farebbero aumentare il numero dei reati e che, come sempre accaduto, vedrebbe dopo pochi mesi tornare in galera le migliaia di persone che sarebbero scarcerate".

Il governo deve farsi promotore in Parlamento del provvedimento di amnistia. È quanto ha chiesto il ministro per l’ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, parlando a margine del Consiglio federale dei Verdi. "I verdi - ha ricordato il ministro - chiedono da tempo un provvedimento di clemenza, amnistia e indulto. Chiediamo che davvero il governo questa volta porti avanti questa norma e che il Parlamento non la blocchi utilizzando una sorta di ostruzionismo".

L’ex sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi e il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, sostengono l’iniziativa del Ministro della Giustizia. "Invitiamo il ministro Mastella ad andare avanti sul tema dell’amnistia. L’auspicio è che riesca a realizzare la volontà del Papa che è quello che Casini non riuscì a fare. Il Guardasigilli, vada oltre una adesione politica e chieda una adesione etica. L’amnistia, infatti, è un tema etico. La prigione, anziché migliorare, peggiora gli uomini e le donne. Proprio in nome dei valori della religione, dell’adesione alle tesi del cardinale Ruini, la destra non faccia una sterile opposizione".

"L’auspicata grossa Coalizione si realizzi non sul piano politico ma su quello etico, proprio sull’amnistia, sostenendo il ministro Mastella, quale componente moderato del centrosinistra. Non si può portare il Papa dove conviene, ed essere con lui quando conviene. La destra non dimentichi di avere un debito con il Pontefice".

Giustizia: Margara; l’eterno ritorno del "carcere di polizia"...

 

Il Manifesto, 5 giugno 2006

 

Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci di Fiesole e storico magistrato di sorveglianza, è stato a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dal ‘97 al ‘99. Da sempre alfiere di una visione "critica" e "non custodialista" del carcere, ha accettato di commentare le ultime notizie sulla rete di sorveglianza nelle carceri prevista da alcune circolari riservate del Dap.

"Dietro iniziative come quella che avete reso nota - commenta Margara - mi pare ci sia una vecchia idea di fondo: che il carcere tutto sommato è un ambiente che può sempre servire ad operazioni di polizia. Ora, questa non è un’idea nuova, già durante gli "anni di piombo" le carceri speciali erano state usate come una fonte di informazioni più che un luogo di nascita per eventuali collaborazioni, anche perché in quel contesto non è che ne nascevano molte. Ma all’epoca almeno il discorso si limitava a un’area di detenuti ben specifica, come oggi potrebbero essere quelli sottoposti al 41bis.

 

Procedure di quel tipo le sembrano legali?

Assolutamente no. Ci sono sempre stati forti sospetti, se non timori, che controlli e intercettazioni di qualche genere si estendessero a tutto l’ambito penitenziario, compresa l’alta sorveglianza dove ci sono molti reclusi per reati mafiosi. Ma il controllo dei detenuti o di determinati ambienti già oggi è possibile con strumenti che possono ben prescindere da quelli descritti negli ordini di servizio da voi resi noti. E comunque usare strumenti tecnologici di tipo "americano" ha bisogno di una giustificazione che venga da fonti ben più alte di quella di un particolare dirigente di un determinato ufficio. Serve comunque il controllo della magistratura: che tutto nasca così, quasi con naturalezza, attraverso disposizioni impartite neanche dal direttore del Dipartimento ma da un semplice dirigente mi pare molto grave.

 

Che tipo di ufficio è quello ispettivo?

È molto strano che di controlli simili si occupi l’ufficio ispettivo, perché una volta era un compito svolto all’interno dell’ufficio detenuti. L’ispettivo, per definizione, interviene solo di fronte a precise difficoltà, con disposizioni e responsabilità ben determinate. Avergli dato compiti di intelligence è come averlo messo in tenuta permanente effettiva, sempre sul piede di guerra. Se fosse così, sembrerebbe una sorta di Ufficio per il controllo democratico che rievoca memorie davvero infelici.

 

Mentre il carcere è sull’orlo del disastro…

Guardi, questa mi pare un’iniziativa in un contesto in cui di iniziative non ce ne sono più. Quello che sconcerta è che il carcere diventi un settore di polizia: la nostra Costituzione dice ben altro.

 

Ma sull’altare della "sicurezza", in Italia e non solo, si sono sacrificati diritti ben più generali...

È vero che il momento è molto delicato. Ma soprattutto quando vedo che si parla di controllare settori di "movimento" (le direttive impartite da Leopardi avrebbero coinvolto non meglio precisati "settori anarco-insurrezionalisti", ndr) mi sembra siamo più in un contesto da ministero dell’Interno che da ministero della Giustizia. Via Arenula può essere sempre interessata istituzionalmente da altri dicasteri ma non può stabilire un vero cordone ombelicale con tipici interventi di polizia.

Giustizia: Rizzo; no a nuove carceri, affrontare tema recupero

 

Apcom, 5 giugno 2006

 

"Bene i provvedimenti di clemenza ad eccezione di alcuni reati. Ma immediatamente dopo, il governo deve procedere alla cancellazione ed alla riscrittura di tutte le norme introdotte dal centrodestra, dalla Cirami in poi, di tutte le cosiddette leggi ad personam". Lo afferma in una nota l’euro parlamentare del Pdci Marco Rizzo in una nota. "E poi - prosegue - bisognerà mettere mano alla situazione esplosiva delle carceri, non per costruirne di nuove come dice sbagliando Gasparri, ma per affrontare il tema del recupero e della funzione rieducativa della pena. O rimarremo sempre il fanalino di coda d’Europa".

Giustizia: Caniato; un'amnistia? stavolta non si illudano i detenuti

 

Il Gazzettino, 5 giugno 2006

 

Il capo dei cappellani delle carceri, monsignor Giorgio Caniato, "benedice" l’iniziativa del ministro della Giustizia, Clemente Mastella che nei giorni scorsi ha annunciato di promuovere un provvedimento di amnistia e di indulto "quando il Parlamento sarà nel pieno delle sue funzioni con l’istituzioni delle commissioni parlamentari"."Giudico assai favorevolmente l’iniziativa del ministro e mi auguro che possa andare avanti. Spero solo che almeno stavolta non si voglia illudere il mondo carcerario. L’iniziativa dell’amnistia parte da un ministro cattolico ma spero che possa trovare accoglienza presso tutti gli uomini di buona volontà che siedono in Parlamento poiché le sofferenze del mondo carcerario interrogano tutti, credenti e non".Monsignor Giorgio Caniato ricorda che in questi anni la Chiesa ha più volte levato la voce per sollecitare un "segno di clemenza" da parte dello Stato. A partire dal discorso di Giovanni Paolo II durante il Giubileo del carcerato, nel luglio del 2000, al discorso pronunciato a Montecitorio nel novembre del 2002 fino agli ultimi appelli del cardinale Camillo Ruini (in apertura dell’assemblea della Cei, due settimane fa) e del cardinale Renato Martino mentre era in visita al carcere di Arezzo. "La Cei è favorevole ad un provvedimento di clemenza, tenendo conto delle esigenze di sicurezza dei cittadini. Nel pensiero dei vescovi italiani c’è anche un implicito invito alla comunità cristiana a farsi accogliente nei confronti di coloro che usciranno dal carcere".

Lettera di Sergio D’Elia al Presidente

e ai colleghi della Camera dei Deputati

 

Roma, 3 giugno 2006

 

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati, a seguito delle dichiarazioni rese il 1° giugno 2006 dall’onorevole Giovanardi su di me e sulla mia storia personale e politica, desidero offrire questo mio contributo di conoscenza, che ritengo utile anche al fine di un più generale dibattito sulla giustizia, la civiltà del diritto e il senso della pena nel nostro ordinamento.

Sono stato uno di Prima Linea, trenta anni fa. Accetto che si dica ancora oggi di me: un "terrorista di Prima Linea", mi rifiuto però di credere che qualcuno pensi davvero che sia il termine giusto, vero o esatto per dire, non solo quello che sono io oggi, ma anche quello che sono stato ieri. La mia identità politica e la mia lotta degli anni Settanta possono forse essere approssimate alle idee "libertarie" (il che non vuol dire: nonviolente) di un anarchico dell’Ottocento, non certo assimilate al terrorista suicida e omicida degli anni Duemila.

Insieme ai miei compagni, ero cresciuto con l’idea che fosse possibile cambiare il mondo, tutto e subito. Subivamo l’effetto di una sorte di frenesia: dopo i volantinaggi alle 6 di mattina davanti alle fabbriche, le proteste organizzate nella mensa degli studenti, i comitati di lotta nei quartieri popolari, pensavamo che fosse a portata di mano la realizzazione del paradiso in terra. Ritenemmo la lotta armata come mezzo necessario per accelerarne l’avvento o, comunque, verificarne la probabilità. Una sorta di "demone della verifica" ci ha spinto all’azione estrema e irreparabile.

Il fine che giustifica i mezzi a cui molti aderivano culturalmente e filosoficamente, per noi è stata linea di condotta coerente e pratica. Che fosse vero il contrario, cioè che i mezzi prefigurano i fini, per me c’è voluta l’esperienza della lotta armata e del carcere e poi, quand’ero ormai pronto, l’incontro con Marco Pannella. Voglio dire che Marco Pannella c’era già, e da una vita, su quella semplice verità; lui era pronto, non ero pronto io e come me, quelli che lui chiamava i "compagni assassini", che lo avrebbero ri-conosciuto dieci anni dopo.

In quegli anni, i radicali erano gli unici a non considerarci dei mostri e quando Marco Pannella diceva "violenti e nonviolenti sono fratelli" capivamo il senso di quelle parole: violenti e nonviolenti avevano in comune la voglia di cambiare l’esistente, senza cedere all’indifferenza e alla rassegnazione. Noi, violenti, con la forza dell’odio; loro, nonviolenti, con la forza del dialogo e dell’amore.

Nel momento della rinuncia alla violenza come forma di lotta politica era quindi naturale – volendo mantenere il nostro impegno politico e sociale dalla parte dei più deboli e indifesi – che incontrassimo e ri-conoscessimo il partito del diritto e della nonviolenza.

I due anni di lotta armata mi avevano ampiamente dimostrato che la nostra lotta era vana rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati e che le ragioni e le speranze di quella lotta erano andate distrutte dai mezzi usati per affermarle. Avevo accettato interiormente la verità della sconfitta, ancor prima della sua evidenza storica e politica. E quindi aspettavo il momento dell’arresto come un epilogo necessario. Giunse in una bella giornata di maggio del ‘78, e fu una liberazione.

Personalmente non ho mai sparato a nessuno, anche se è stato solo un caso. Sarebbe potuto accadere a me, esattamente, come è successo a molti miei compagni, con cui ho condiviso tutto, di uccidere e/o essere uccisi. In quegli anni, solo una serie di – posso dire col senno di poi – fortunate circostanze mi hanno impedito di diventare un assassino.

Sono stato condannato in base a uno dei postulati della dottrina emergenzialista dell’epoca, per cui il responsabile di un’organizzazione terroristica andava considerato responsabile dei crimini commessi nel territorio in cui operava. Agli occhi dei giudici non valeva il principio costituzionale della responsabilità penale personale ma quello ben più politico del concorso morale. È agli atti del processo che ero lontano da Firenze al momento del fatto, che non ero stato tra gli ideatori e gli esecutori materiali della tentata evasione dal carcere delle Murate. Ciò nonostante, ero da considerare a tutti gli effetti responsabile dell’omicidio; per l’esattezza, di essere stato a conoscenza del piano di evasione e di non aver fatto nulla per impedirla, l’evasione evidentemente, non l’omicidio, che non era certo l’obiettivo di quell’azione, ma l’esito tragico di un fatto imprevisto. Una logica perversa che in futuro non sarebbe più stata applicata.

Peraltro, durante il dibattimento in aula, avevo sorpreso i miei stessi giudici rivendicando la giustezza del principio del concorso morale come il metodo più adeguato a descrivere le mie responsabilità di dirigente di Prima Linea, le cui azioni mi sono assunto in toto, che le avessi decise o meno, eseguite o meno, sapute o meno. Senza alcun spirito di autodifesa, intendevo evidenziare la contraddizione nella quale poteva cadere - e secondo molti cadde - un tribunale che applicasse in chiave giuridica il principio della responsabilità morale, per non dire chiaramente politica.

Sono stato condannato in primo grado a trenta anni di carcere, poi ridotti in appello a venticinque, infine dimezzati con l’applicazione della legge sulla dissociazione dal terrorismo e altri benefici di legge. Sono uscito dopo aver scontato dodici anni di carcere e, nel 2000, sono stato completamente riabilitato con sentenza del Tribunale di Roma, riabilitazione richiesta dallo stesso procuratore generale e sostenuta anche da decine di lettere di vittime dei miei reati, tra cui quella che mi ha fatto più piacere del capo della Digos di Firenze.

Avevamo sciolto Prima Linea nei primi anni Ottanta e, nell’86, insieme a moltissimi miei compagni di detenzione, mi ero iscritto al Partito radicale e, dopo poche settimane, il giudice di sorveglianza mi aveva concesso il permesso di uscire dal carcere per recarmi al congresso del partito, dove mi accolsero tra gli altri Enzo Tortora e Mimmo Modugno, parlamentari e presidenti del partito stesso. Era gennaio del 1987 e, davanti ai congressisti riuniti all’Ergife, consegnai simbolicamente Prima Linea, me stesso e la mia storia violenta, al partito della nonviolenza. Non si trattò di un bagno purificatore, di una catarsi nella folla del popolo radicale. Fu un vero e proprio evento politico: l’approdo definitivo alla democrazia e alle sue regole di chi la democrazia e le sue regole le aveva così tragicamente violate. Difficilmente un altro partito avrebbe avuto il coraggio di compiere un fatto al tempo stesso così concreto e simbolico.

Nel 1993, con la mia compagna Mariateresa Di Lascia, già deputata radicale e poi autrice del romanzo "Passaggio in ombra", Premio Strega postumo del ‘95, fondammo Nessuno tocchi Caino, l’associazione radicale che in questi anni ha contribuito a 42 tra abolizioni e moratorie della pena di morte che hanno salvato la vita a migliaia di condannati in varie parti del mondo.

Ora, sono stato eletto deputato della Rosa nel Pugno al Parlamento italiano assumendo un ruolo anche di responsabilità: credo che sia questo un altro fatto politico che può essere letto, non come la vergogna che denuncia il collega Giovanardi, ma - forse, anche - come la parabola felice di una storia, che è storia di cittadinanza democratica e di accoglienza umana e civile di cui, non solo Marco Pannella, ma anche lo Stato italiano può andare fiero... se ha senso l’articolo 27 della nostra Costituzione, se hanno senso le parole lì scritte sulla rieducazione e il reinserimento sociale del condannato.

Se qualcuno, ancora oggi, dopo trenta anni, vuole cristallizzare la mia vita nell’atto criminale di allora (che non ho materialmente commesso) e non tener conto della semplice verità che l’uomo della pena può divenire un uomo diverso da quello del delitto, rischia di non cogliere il senso profondo della giustizia, del carcere e della pena descritto dalla nostra Costituzione.

In uno Stato di diritto, è bene che il luogo del giudizio sia innanzitutto quello dei tribunali e che il tempo della pena sia stabilito secondo legge e Costituzione.

Ho pagato con 12 anni di carcere il conto che lo Stato e la legge italiana mi hanno presentato per ciò che ho fatto o non fatto. Non sono il solo a ritenere di aver compiutamente e consapevolmente pagato – in quel periodo per più versi "emergenziale" - anche l’altrimenti non necessario, il "sovrapprezzo" dovuto a leggi, tribunali, procedure e regole, opzioni politiche che si imposero come necessarie, carceri e detenzione speciali. Da libero, mi è accaduto anche di scontare la pena extra-giudiziale e per me pesantissima che il tribunale della vita, il destino, mi ha voluto riservare con la morte di Mariateresa, uccisa a quaranta anni da un male improvviso e incurabile, sicché ho dovuto far fronte al mio impegno morale, civile e umano inizialmente più solo e poi, grazie a tanti anche di voi, colleghe e colleghi, a portarlo avanti fino al punto in cui siamo di una decisione - ormai prossima, credo - della Assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali .

Ora, sono disposto ad accettare anche il giudizio inappellabile di quel severissimo tribunale della storia che è l’opinione pubblica. Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho fatto trenta anni fa.

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati, grazie per la attenzione e - ne sono certo - le riflessioni che vorrete dedicare a queste mie considerazioni.

 

Sergio D’Elia, Deputato della Rosa nel Pugno

Napoli: allarme dalle carceri, Poggioreale scoppia

 

Il Mattino, 5 giugno 2006

 

Il caldo afoso d’estate, il freddo gelido d’inverno. E l’ossessione dell’uomo sull’uomo, la puzza delle feci e dell’urina, gli insetti che corrono lungo i muri. In un carcere la pena può avere l’aspetto di una folla che preme sul tuo corpo, che preme sulle tue cose, che preme sulla tua stessa aria. E ti fa maledire perfino il futuro. Quando si parla di amnistia e di indulto, viene in mente Poggioreale. Da sempre considerato il male assoluto in fatto di disagio e di sovraffollamento, la casa circondariale napoletana è tornata a toccare livelli record di presenze. Ecco le statistiche ufficiali del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Le cifre sono riferite al 31 dicembre 2005. Alla fine dell’anno scorso il carcere di Poggioreale ospitava 2174 detenuti a fronte di una capienza prevista di 1387: ossia, circa il 60 per cento in più di quanti ne potrebbe accogliere. Basta un semplice calcolo per capire che una simile enormità non può che produrre insopportabili conseguenze anche sul piano della vivibilità nelle celle, sull’uso dei servizi comuni, sui rapporti umani tra reclusi e agenti, infine sui concetti stessi di pena e di espiazione.

Dei 2174 detenuti di Poggioreale, solo 669 risultano già condannati, mentre gli altri 1505 (i due terzi della popolazione carceraria) restano in attesa di giudizio. A parte la presunzione di innocenza, ciò vuol dire che i reclusi che andranno poi assolti avranno subìto un trattamento disumano che nessuno potrà mai risarcire. Ma non c’è solo Poggioreale. Le cifre allarmanti sul fronte del sovraffollamento riguardano anche altri istituti di pena della regione. Alla fine dell’anno scorso le carceri della Campania ospitavano in tutto 7310 detenuti a fronte di una capienza prevista di 5247: circa il 40 per cento in più. 3061 in attesa di giudizio. In particolare, 450 in più a Secondigliano: 1475 reclusi invece di 1028. Tossicodipendenti il 30 per cento dei detenuti.

Napoli: vivono come bestie… e non credono alle promesse

 

Il Mattino, 5 giugno 2006

 

Luisa Bossa, consigliere regionale ds ed ex sindaco di Ercolano, ha presentato una proposta di legge regionale per l’istituzione della figura del garante dei detenuti. La Bossa si è recata ieri pomeriggio in visita al carcere di Poggioreale accompagnata dalla sua assistente, Candida Carlino, e dal presidente dell’associazione "Antigone", Dario Stefano Dell’Aquila.

 

Signora Bossa, che situazione ha trovato rispetto all’ipotesi di amnistia?

"I detenuti sono disincantati. Sperano in un provvedimento di clemenza, ma non credono più alle promesse".

 

Ne hanno già ricevute troppe?

"Hanno ricevuto troppe promesse, ma hanno ricevuto anche molte visite di politici durante la campagna elettorale".

 

Che cosa l’ha colpita di più in questa visita a Poggioreale?

"Tante cose".

 

Ne dica una.

"La folla. Nel padiglione Napoli ho visto anche 9 persone in una cella pensata per 4 detenuti. E altri letti potranno essere occupati fino a ospitare 13 reclusi".

 

In cella non ci si muove più?

"Quando siamo entrati noi, accompagnati dal vice direttore e dagli agenti, alcuni reclusi si sono dovuti stendere sui letti per farci spazio".

 

Che clima ha trovato?

"Un clima di grande sofferenza e spirito di sopportazione. Non si può vivere in quelle condizioni, peggio delle bestie".

 

L’igiene?

"Pessima. I detenuti cucinano nel bagno con delle tavolette sistemate accanto al water. Se qualcuno ha bisogno di fare i suoi bisogni, l’altro deve uscire, ma rientra subito dopo e riprendere a cucinare. Quando c’ero io, facevano il pollo".

 

Le suppellettili?

"Tutte rotte. E i letti arrugginiti. Le cassette di plastica che noi donne usiamo per la frutta, loro le utilizzano come degli armadietti per riporre i loro abiti".

 

La biancheria?

"Alla finestra le solite corde con i calzini stesi, ma tutta la biancheria viene mandata a casa per il lavaggio".

 

Che altro l’ha colpita?

"I sieropositivi. Sono reclusi nel padiglione Roma, che è quello dei tossicodipendenti e dei transessuali, ma i sieropositivi devono rinunciare anche all’ora d’aria, perché tutti sanno della loro condizione e non li vogliono intorno. Li considerano come degli appestati".

 

Quanti ne ha visti?

"Erano sette in una cella. Non hanno le medicine, perché dovrebbero essere portati al Cotugno, ma se non c’è la scorta saltano il protocollo della terapia".

 

Protestano?

"Protestano anche perché la sera gli danno una busta di wurstel per cena, mentre loro avrebbero bisogno di una dieta speciale".

 

E come fanno?

"Chi può, se la fa portare da casa".

 

Di che altro si lamentano i detenuti?

"Si lamentano delle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere, ma anche della ex Cirielli, una legge che li rimanda in galera anche per piccoli reati quando stanno provando a ricominciare".

 

Lei ha raccolto una storia?

"Sì, la storia di Antonio. È un cocainomane, sposato, due figli, ha la licenza elementare ma non sa né leggere né scrivere".

 

Come mai?

"È un analfabeta di ritorno".

 

Che cosa le ha detto Antonio?

"Ha detto che aveva fatto domanda per essere trasferito in comunità, ma se l’è vista respingere perché il Sert ha trasmesso in ritardo la sua documentazione".

 

Anche la burocrazia?

"La burocrazia è un male del carcere. Ma anche l’ignoranza".

Giustizia: Mantovano (An); ma l’amnistia non arriverà mai…

 

Il Mattino, 5 giugno 2006

 

"Dalle riserve e dalle eccezioni che vari esponenti del governo e della maggioranza stanno ponendo all’ipotesi di amnistia e di indulto avanzata dal ministro Mastella, e sostenuta dal presidente del Consiglio, emerge con chiarezza che non sarà possibile neanche avvicinarsi alla soglia dei 2/3 dei voti del Parlamento". Lo afferma Alfredo Mantovano (An). "Per questo - prosegue - l’insistenza del ministro della Giustizia è da irresponsabile: oggi si alimentano attese e illusioni nella popolazione dei detenuti; domani chi e come gestirà la loro delusione, la loro protesta e le loro immaginabili rivolte?".

Giustizia: Sergio D’Elia, ex terrorista alla Camera; è polemica

 

Il Messaggero, 5 giugno 2006

 

Tornano a infiammarsi i rapporti tra i due Poli, questa volta per le nuove critiche mosse dal centrodestra all’elezione, mercoledì scorso, alla carica di segretario di presidenza della Camera, di Sergio D’Elia, esponente della Rosa del pugno e presidente dell’associazione "Nessuno Tocchi Caino", che in gioventù fece parte di Prima Linea e fu condannato per l’azione in cui morì l’agente Fausto Dionisi. La questione, rilanciata ieri dal quotidiano "Libero", nei giorni scorsi era stata sollevata dal centrista Carlo Giovanardi, che ha confermato le sue ragioni anche oggi, viene ripresa da Maurizio Gasparri e da Alfredo Mantovano di An. Il primo dà del "terrorista" all’esponente della Rosa nel Pugno, mentre il secondo chiama in causa la formazione che lo ha portato in Parlamento: "Credo che l’opportunità o meno della presenza di Sergio D’Elia in Parlamento - ha detto l’ex sottosegretario all’Interno - debba essere valutata anzitutto da chi l’ha proposto nelle proprie fila, il quale dovrebbe essere chiamato a spiegare quale sia il senso di questa candidatura".

Il centrosinistra stigmatizza le critiche dell’opposizione all’insegna di una considerazione: D’Elia ha scontato la pena inflittagli ed ha compiuto un percorso di riabilitazione morale che lo porta ad avere i requisiti per sedere alla Camera. Quest’ultimo aspetto è sottolineato sia dal ministro Emma Bonino, che dal capogruppo dei Verdi, Angelo Bonelli. Franco Grillini, dei Ds, afferma che le polemiche "sono strumentali e rivelatrici di una cultura punitiva e vendicativa della giustizia". Sarebbe quindi, "veramente disumano pensare che un detenuto una volta uscito dal carcere si porti come marchio e come condanna perenne un processo senza fine". E il senatore della Quercia Cesare Salvi, afferma che, proprio a causa di questa sua maturazione e impegno nel sociale, "D’Elia ha tutti i titoli giuridici, politici e morali per svolgere le funzioni alle quali è stato eletto dai cittadini e dal Parlamento". Salvi, peraltro, esprime parole di solidarietà ai familiari dell’agente Dionisi, così come il ds Valdo Spini che ha telefonato alla vedova della vittima, mentre il senatore della Margherita, Natale D’Amico, parla di "sciacallaggio politico".

D’Elia, da parte sua, ormai non-violento convinto, protagonista della campagna contro la pena di morte, ha scritto una lettera al presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e ai colleghi deputati, raccontando la sua militanza in Prima linea "fino a quando fui arrestato in un bella giornata di maggio del ‘78 e fu una liberazione, anche se non ho mai sparato a nessuno, certo per puro caso". Quindi, spiega che la sua elezione "non è una vergogna, ma la parabola felice di una storia di cui lo Stato italiano può andare fiero, perché dimostra che l’uomo della pena può divenire un uomo diverso da quello del delitto. Accetto che si dica ancora oggi di me, "è un terrorista di Prima Linea, mi rifiuto però di credere che qualcuno pensi davvero che sia il termine giusto, vero o esatto per dire, non solo quello che sono io oggi, ma anche quello che sono stato ieri. La mia identità politica e la mia lotta degli anni Settanta possono forse essere approssimate alle idee "libertarie" (il che non vuol dire: nonviolente) di un anarchico dell’ottocento, non certo assimilate al terrorista suicida e omicida degli anni Duemila. Ora- conclude il parlamentare della Rosa nel Pugno- sono disposto ad accettare anche il giudizio inappellabile di quel severissimo tribunale della storia che è l’opinione pubblica. Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho fatto trenta anni fa".

Avezzano: carcere, ipotizzata l'illegalità della chiusura

 

Il Tempo, 5 giugno 2006

 

Potrebbe essere illegale la chiusura del carcere di Avezzano e chi ne ha disposto la totale dismissione ne potrebbe pagare le conseguenze davanti alla Corte dei conti. L’ipotesi non è ancora ufficiale dal momento che si basa su un semplicissimo ragionamento: se la casa circondariale di pena del San Nicola di Avezzano è stata chiusa per lavori di ristrutturazione e se questi non iniziano, la parte già ristrutturata e pienamente funzionante, quella che prima era occupata dall’ex carcere femminile, non doveva essere chiusa dal momento che questo comporta un grave danno per lo Stato.

La riflessione emerge appena dopo la visita che è stata effettuata in loco dal parlamentare dei Ds Giovanni Legnini e dalla consigliera comunale dello stesso partito al Comune di Avezzano dottoressa Renata Parisse. I due hanno ipotizzato la possibilità di riaprire immediatamente quell’ala che potrebbe essere usata per il "carcere di accoglienza", come si legge in un documento diffuso dai Ds sull’argomento. Legnini e la Parisse hanno incontrato una delegazione dei dipendenti del carcere per tentare di varare questa ipotesi. Ma c’è più d’uno, tra i dipendenti, che ha avanzato la proposta di incaricare il legale di un sindacato di studiare la possibilità di portare avanti un ricorso avverso la chiusura totale ove i lavori di ristrutturazione non dovessero avere inizio. Il maggiore aggravio per lo Stato potrebbe configurarsi nel fatto che i detenuti, trasportati altrove, per le prime contestazioni, dovrebbero essere raggiunti dai magistrati con aggravio di spese per lo Stato.

Il problema è ora mettere in mora il Provveditorato alle Opere pubbliche. Se non si iniziano i lavori quell’ala del carcere deve essere riaperta altrimenti qualcuno dovrà pagare. Personalmente. Chissà se, ad esempio, il Comune di Avezzano avrà il coraggio di affidare ai suoi legali un’indagine del genere.

Atene: due detenuti evadono da prigione con elicottero

 

Ansa, 5 giugno 2006

 

Un’evasione degna di Hollywood si è realizzata nella vita reale. A compierla sono stati due detenuti per reati comuni, un greco e un albanese, che sono riusciti a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Korydallos a Atene, il più importante del paese, utilizzando un elicottero.

Lo ha reso noto la polizia. L’evaso greco, Vassilis Paleokostas, era in carcere da sette anni per una condanna per sequestro e rapina in banca. Ad organizzare la clamorosa fuga, secondo la polizia, potrebbe essere stato suo fratello Nikos, anche lui ricercato da molti anni. Paleokostas e il suo complice albanese - su cui la polizia non ha dato alcuna informazione - sono evasi salendo a bordo di un elicottero che era riuscito a atterrare nel cortile della prigione.

Era tutto organizzato: il velivolo si è poi posato in un vicino cimitero, a Schisto, nella grande periferia popolare che si estende nella zona ovest della capitale. Da lì i due evasi sono fuggiti a bordo di due motociclette insieme a altrettanti complici.La polizia ha arrestato il pilota dell’elicottero, che ha detto di essere stato costretto a partecipare all’operazione sotto la minaccia delle armi. È stata lanciata una grande caccia all’uomo per ritrovare gli evasi. Nel carcere di massima sicurezza di Korydallos, sono stipati più di 2.000 detenuti, di cui molti albanesi e romeni, invece dei 640 al massimo che potrebbe contenere. Il suo direttore e tre secondini sono stati incriminati per "omicidio per negligenza" dopo che tre detenuti lo scorso marzo erano morti in un incendio sviluppatosi nella loro cella.

 

 

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