Rassegna stampa 30 gennaio

 

Livorno: caso Lonzi; archiviata la denuncia contro il pm Pennisi

 

Il Tirreno, 30 gennaio 2005

 

Caso Lonzi (il giovane trovato cadavere in una cella delle sughere l’11 luglio 2003), ennesimo atto. Il Gip di Genova, Fenizia, ha archiviato la denuncia presentata dalla madre di "Marcellino" contro il Pm Roberto Pennisi, magistrato di turno la notte del decesso, il medico legale Bassi Luciani che eseguì l’autopsia e un agente di polizia penitenziaria. Il cui nome non risulta chiaro negli atti (Giudice o Nobile Nicola).

Articolata la motivazione che sembra lasciare aperto uno spiraglio per riaprire il caso, nonostante l’archiviazione e un evidente giudizio positivo sull’operato del Pm e del medico legale ("gli accertamenti autoptici - si legge nel provvedimento - sono stati definiti dal Gip di Livorno come "approfonditi, mirati e chiari""). Una porta socchiusa, là dove il Gip, Fenizia, a proposito della consulenza depositata dalla madre del ragazzo sulle foto del cadavere del figlio, scrive: "Anche la consulenza del dottor Salvi, mentre potrebbe eventualmente avere una qualche rilevanza ai fini della riapertura delle indagini a norma dell’articolo 414 del codice penale, nessun apporto conferisce al presente procedimento". Un’ipotesi, sia pur ventilata a fine di un ragionamento complesso, che conferma i dubbi sollevati dalla madre di Marcellino, Maria Ciuffi, in questi anni a proposito della morte del figlio sempre definita "naturale" dai giudici labronici.

Duro il commento dell’avvocato della signora Ciuffi, Vittorio Trupiano, che definisce "abnorme" il provvedimento del Tribunale di Genova. E spiega: "Il Gip sostiene che Maria Ciuffi non avrebbe mai fatto accenno a "dolo" a proposito degli atti di Pennisi o Bassi Luciani relative alla morte del figlio. Eppure, proprio Pennisi è stato denunciato anche "per aver ostruito in ogni modo ogni indagine, ostacolando l’accertamento della verità sulle cause del decesso". Più dolo di così, davvero non si può". Per la prima volta in questa tormentata storia - conclude Trupiano - "viene pronunciata la parola "magica": riapertura delle indagini. E in questo senso lavoreremo".

Cagliari: il direttore; questo carcere non è un inferno...

 

Sardegna Oggi, 30 gennaio 2005

 

È una fredda mattina di fine gennaio quando le porte del penitenziario del carcere di Buoncammino, a Cagliari, si aprono. Ad attendere il dott. Gianfranco Pala, direttore dell’istituto di pena cagliaritano dal 1999. Un’intervista durata per l’intera mattinata. Un mondo lontano, di cui la gente si disinteressa, è il carcere, commenta il dott. Pala. Si è discusso di ex-Cirielli, dell’inadeguatezza della galera per la maggior parte dei suoi detenuti: tossico-dipendenti ed extracomunitari. Amnistia ed indulto palliativo alle carceri che scoppiano. Risponde il direttore a quanti definiscono l’istituto un inferno. Certo non è l’ottava meraviglia del mondo, "ma si chieda ai medici, volontari come si vive qui dentro".

Buoncammino: 480 detenuti, sebbene la capienza regolamentare sia di 316. Celle anguste, dai 9 ai 16 metri quadri la loro grandezza. Lì dentro, per mancanza di spazi, si sta perfino in sei. 40 i sieropositivi, 170 detenuti sono affetti da epatite B o C, ed altri 180 soffrono di patologie psichiche. 288 extracomunitari che vivono dietro le sbarre. 230 gli agenti penitenziari. Numeri, un elenco infinito che esplica, senza bisogno di commenti.

 

Che cosa è il carcere? E cosa, eventualmente, dovrebbe essere?

Il carcere è un luogo di "segregazione" dove i condannati non possono uscire per non danneggiare la società e nel mentre devono essere recuperati, perché migliorino.

 

Cosa dovrebbe essere?

Teoricamente questo, praticamente si innesta un dilemma: nessuno può essere rieducato se non vuol esserlo, per mancanza di volontà o perché condizioni psichiche non lo consentono. Spiace dirlo, ma una buona fetta di reclusi non ha nessuna proposito ad essere recuperato.

 

Non crede che la scarsa partecipazione al recupero sociale sia imputabile alle condizioni di vita all’interno dell’istituto? ad esempio il sovraffollamento, o gli spazi ridotti?

Il sovraffollamento è un dato di fatto oggettivo. In una cella dove dovrebbero essere in quattro sono in sei. È una questione di vivibilità ed ha poco a che fare con la rieducazione. Certo mancano gli educatori, ma il problema è uno solo: si rieduca chi ne ha voglia. Spesso chi non ha volontà di farlo si aggrappa alle strumentalizzazioni, addossando le responsabilità ad altri. Pensi, molti dei corsi scolastici, o di computer, devono essere sospesi a causa della scarsa partecipazione, in particolare fra le 30 detenute. Con i maschi è più semplice, sono 480 e c’è più scelta. I più facili da gestire, che partecipano ai programmi di rieducazione sono quelli che hanno pene medio - alte. Uno ammazza la moglie per gelosia, ad esempio. Non si tratta di un delinquente nel vero senso della parola. Ha delle regole, ha una propria morale e sente di dover espiare la pena.

 

La rieducazione, dunque ha a che fare con la responsabilità personale?

Assolutamente sì. Perché, intanto 1/3 dei detenuti in Italia è tossicodipendente, a Cagliari lo è il 60%. Capisce bene che, generalizzando, l’unico pensiero una volta uscito da qui è quello di drogarsi. In assenza dello stupefacente, per stordirsi inalano il gas delle bombolette usate per i fornellini tipo campeggio presenti in ciascuna cella. Il 99% dei decessi in carcere avviene per avvelenamento. Oppure con il metadone che accumulano e spesso sottraggono ai compagni. Si tratta di detenuti con pene brevi, dai 3 ai 6 mesi, troppo poco per un percorso di recupero. Secondo poi, un altro terzo dei detenuti in Italia è extracomunitario. A Buoncammino il 3-4%. Esclusa la sessione femminile che sono il 60%. L’extracomunitario ha bisogno solo dei soldi per vivere. Se lo si mette in condizioni di lavorare è la persona più tranquilla del mondo.

 

Il carcere per chi è stato creato?

Per i delinquenti con la "D" maiuscola, hanno pene medio-alte, e con loro si può intraprendere un percorso di rieducazione. Si comportano bene perché hanno l’interesse a farlo, possono andare permesso premio a metà pena; prima di metà pena possono andare in semi-libertà, e negli ultimi tre anni di condanna possono essere affidati agli assistenti sociali. A Cagliari il loro numero è ridotto, si trovano in netta minoranza rispetto agli altri carcerati per il quale il carcere non è la risposta migliore, come per tossicodipendenti, extracomunitari e malati psichiatrici.

 

Quale alternativa per loro?

Per i tossicodipendenti sicuramente le comunità, dove devono lavorare, dove seguono un percorso, ma non si possono costringere ad entrare. Il tossico, nella maggior parte dei casi, ci va solo per non entrare in prigione, ci trascorre un breve periodo di tempo e poi è di nuovo fuori. La creazione di sessioni speciali, ad esempio, non serve a nulla. Il galera non è la struttura idonea per tenerli, perché non è stato creato per questo genere di persone e di problematiche. E non si può modificare in base alle loro esigenze. Ad esempio a Firenze, si stanno creando delle sezioni apposite, ma i tossicodipendenti sono selezionati e si prestano a quella alternativa, e se sgarrano tornano in gattabuia. Io al massimo posso cambiarli di braccio o di cella. Ma il problema non si risolve. Ed a Cagliari sono loro a creare i problemi, condizionano la vita dell’istituto, del personale, anche per le importanti patologie, come Hiv, epatiti, deficienze mentali di cui soffrono. L’85% dei ricoveri va agli infettivi o in psichiatria. Il carcere non li aiuta, e lo Stato non spende per loro. Per il Ministero della Giustizia le carceri sono l’ultimo dei pensieri.

 

Un problema politico, dunque?

Certo. Al momento si vive in un limbo. Non si è trovata alcuna soluzione. Da decifrare politicamente anche la questione extracomunitari. Da Firenze in su rappresentano il 70% della popolazione carceraria, e sono in aumento. Hanno problemi di vivibilità, perché non lavorano in carcere e non hanno supporti esterni. Il sovraffollamento è da imputare agli extracomunitari, 20 anni fa erano mosche bianche. Cosa fare? Campi di lavoro, espulsione immediata, esilio. Lo Stato dovrebbe studiare delle alternative, ma al momento non c’è stata nessuna risposta. Alternative valide anche per i malati psichiatrici, e certo non i manicomi.

 

Nell’attesa cosa si può fare? Aspettare che qualcosa cambi? Per il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, il nodo delle carceri che scoppiano si risolve con la creazione di altri istituti di pena...

È la cosa più semplice, ma due i problemi: soldi ed i tempi tecnici di realizzazione. Mi domando se lo Stato dispone concretamente di finanziamenti per assumere nuovo personale? Una casa di detenzione come quella che si dovrà costruire ad Uta, necessita di 350 agenti solo per il servizio di istituti più quelli del nucleo. Il doppio rispetto a quelli presenti a Buoncammino. In caso contrario potrebbe accadere, come per l’istituto Bollate di Milano, che il funzionamento sia a regime ridotto, perché gli agenti penitenziari non sono bastevoli.

 

I quattro nuovi istituti di pena saranno realizzati in Sardegna, uno a Tempio Pausania, uno ad Oristano, uno a Cagliari ed uno a Sassari, perché?

Perché sono fuori norma, non ci sono spazi per la socialità, magazzini, percorsi per disabili, per automezzi, aule scolastiche. Spazi che non si potrebbero recuperare. Il carcere di Tempio risale al 1830, quello di Lanusei è un convento del Cinquecento. Nel nord della Penisola sono tutti nuovi. Quattro nuovi istituti di pena sono più che sufficienti per i detenuti sardi, quelli, cioè, che hanno commesso reato in Sardegna. Sono il 65% dell’intera popolazione carceraria presente nell’isola (1800 ndr). Il 35%, in particolare extracomunitari, arriva dal continente.

 

13 il numero dei suicidi a Buoncammino nel 2005…

Suicidi?, neppure uno nel 2005. Anzi da anni non se ne registrano.

 

Cosa può portare un detenuto al gesto estremo? - Nella mia esperienza ventennale le posso dire che per il 99% dei casi il suicidio dipende dall’abbandono dei familiari, moglie o fidanzata. Chi è dietro le sbarre è fragile, e questa condizione si amplifica se chi sta fuori non si preoccupa del parente detenuto. È capitato, che nel 1993 ad Is Arenas un giovane si sia impiccato dopo che la madre ha respinto il permesso premio. Non lo voleva in casa. Poi, cosa ben diversa sono i decessi. Nel 2005 due detenuti sono morti, ma non c’è da stupirsi con le patologie che circolano. Questi soggetti non possono avere differimento pena perché in ospedale non li tengono, nessuna assistenza dei familiari, perché non ce li hanno oppure non perché possono tenerli.

 

Il restante 1% perché si toglie la vita?

Difficile da stabilire. Sicuramente il gesto inconsulto è compiuto dai soggetti cosiddetti "normali", che lavorano, hanno una famiglia, una casa e l’impatto con il carcere non è mai dei migliori. Per la vergogna, per una carriera troncata come accade ai colletti bianchi. Per chi entra ed esce dal carcere l’impatto è meno traumatico. Conoscono il sistema, familiarizzano. Il carcere, per alcuni di loro, è meglio della vita fuori. Contesti familiari degradati, nessuna assistenza medica, nessun posto dove dormire. Qui se qualcuno sta male, anche se finge, lo si porta immediatamente dal medico.

 

Legge ex Cirielli, di recente approvazione, cosa ne pensa?

Prima di parlarne occorrerà vederne l’applicazione concreta. Per adesso non c’è stata nessuna ripercussione, se dovesse essere applicata alla lettera avremmo tanti rientri e tante mancate uscite. I 20 mila detenuti in più sono solo previsioni.

 

L’aumento delle pene per i recidivi?

Si sta scimmiottando l’America, dove c’è un sistema penale, sociale, completamente diverso dall’Italia ed importarlo non può che provocare incongruenze. Negli Stati Uniti accade che il primo reato non si paga, il secondo si può non pagarlo, il terzo lo si paga poco, al quarto si da l’ergastolo a chi ha sempre rubato una mela. La legge, che punisce i più deboli, può esser stata creata a scopo elettorale. Ancora si deve capire che fine vuol raggiungere. A Cagliari la maggior parte dei detenuti commette reati di microcriminalità, piccolo borseggio, furti d’auto.

 

Associazioni per la difesa dei diritti umani e politici definiscono Buoncammino un inferno…

Strumentalizzazioni. Pontificare è la cosa migliore, strumentalizzare è lo sport nazionale. Bisognerebbe sentire medici, psicologi per smentire quanto fuori si dice. È pur vero che il numero degli educatori, quattro e non due, sono insufficienti, ce ne vorrebbero almeno 15 per poter seguite tutti i detenuti. Ma possiamo contare su volontari, 30 divisi in associazioni, ci sono i testimoni di Geova, le suore di madre Teresa di Calcutta, il direttore, il comandante delle guardie che fanno colloquio. I medici presenti tutti i giorni sono 10, e non sono dei marziani, arrivano dalle Asl.

 

Amnistia ed indulto, palliativi o risoluzioni al problema?

Palliativi. Piuttosto che curare occorrerebbe prevenire, ma per farlo servono i soldi, con un piano Marshall. Attività sul territorio per attenuare il disagio sociale, ad esempio. I problemi sono strutturali e politici. Le due misure ci farebbero proprio comodo, per un anno le carceri si svuoterebbero, ma dopo tutto sarebbe come prima. A Cagliari la maggior parte dei detenuti commette reati di microcriminalità, piccolo borseggio, furti d’auto. Entrano ed escono di continuo.

 

Direttore del carcere? Chi è?

Oggi non è quello di 30 anni, la realtà è diversa. Deve conciliare, l’ordinamento penitenziario con i diritti e doveri dei carcerati ed i diritti e doveri degli agenti, oggi prevalgono più i diritti. Tener sotto controllo la spesa, compito difficile. Aumentano i detenuti, e le esigenze ma diminuiscono i fondi. E spesso si fanno i salti mortali per far quadrare il bilancio. Lo Stato ci da 15 milioni di euro da dividere in 40 capitoli di spesa.

Caserta; nel carcere militare il progetto "sorgente educativa"

 

Caserta News, 30 gennaio 2005

 

L’On. Sandra Lonardo Mastella, Presidente del Consiglio Regionale della Campania, lunedì 30 gennaio 2006 dalle ore 16,00 sarà presente al Carcere Militare per una visita informale che s’inserisce nel novero delle attività previste dall’operante progetto "sorgente educativa".

Non è la prima volta che l’illustre ospite si reca al Carcere Militare. Già nello scorso ottobre, infatti, in occasione della partita inaugurale del campionato di 3a categoria provinciale tra la squadra del Carcere Militare e quella rappresentata dal Football Club Procura Santa Maria Capua Vetere, l’On. Lonardo Mastella diede "il calcio d’inizio", in qualità di madrina della squadra. In quella circostanza espresse lusinghieri apprezzamenti per il lavoro svolto dagli operatori penitenziari a favore di un disegno – unico in Europa - di recupero del personale recluso.

Nella visita di domani il Presidente del Consiglio Regionale della Campania incontrerà il personale quadro del Carcere Militare, i volontari e le volontarie VFP1, i detenuti militari ed appartenenti alle Forze di Polizia, e coglierà l’occasione per consegnare dei regali ai figli dei detenuti, oltre a condividere, sia pure per poche ore, il clima di simbiosi che si è creato all’interno dell’infrastruttura carceraria militare tra il personale recluso e quello di vigilanza finalizzato, appunto, al recupero della cultura della legalità. L’attività s’inserisce nell’ottica globale delle attività trattamentali e di reinserimento sociale che vengono svolte a favore dei detenuti ed al fine di concepire la restrizione come "iter di rieducazione e rivalutazione dei vissuti personali". "È l’esempio di come una simbiosi, tra educatori/vigilatori e reclusi uniti nell’attività sportiva - afferma il tenente colonnello Antonio Dello Monaco Direttore del Penitenziario - possa essere realizzata nel comune disegno di recupero". Gentili ospiti della Magistratura, della Amministrazione Locale, Provinciale e Regionale, nonché dell’ambiente sportivo e militare, saranno presenti all’evento.

Verona: il Pm attacca la ex Cirielli e la legge sull’inappellabilità

 

L’Arena di Verona, 30 gennaio 2005

 

Più violenza e più omicidi. È questa la preoccupazione del procuratore Guido Papalia che, nella sua relazione inviata alla procura generale a Venezia in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha scritto che questa situazione "suscita attenzione e allarme". Ieri, a palazzo Grimani, nella sede della Corte d’appello, giudici, procuratori e sostituti iscritti all’Associazione nazionale magistrati non c’erano. Hanno voluto protestare così contro la riforma dell’ordinamento, i tagli ai fondi destinati alla giustizia e le variazioni in materia normativa che hanno reso quasi impossibile, secondo loro, celebrare cause e processi. Anche il procuratore di Verona è stato critico nei confronti di alcune leggi. Ha contestato la legge ex Cirielli sulla prescrizione, ritenendo che "è destinata a determinare una sorta di amnistia generalizzata e non si può ridurre i termini impedendo che venga affermata e accertata la responsabilità di autori di gravi fatti delittuosi". Ha espresso giudizio negativo sulla proposta di legge che non consente più al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione in primo grado e sulla nuova norma che regolamenta la legittima difesa. Ha poi lanciato l’allarme sulla riforma dell’ordinamento giudiziario che limita l’autonomia dei magistrati e sulle complicazioni che stanno provocando le nuove procedure per gli avvisi e le comunicazioni per le udienze preliminari. E sullo scenario dei reati a Verona ha esordito proprio con gli omicidi, spiegando che si tratta di fenomeni non legati alla criminalità, ma provocati da reazioni istintive che "dimostrano una situazione di degrado generalizzata e un sempre minor rispetto per la vita e l’incolumità degli altri".

Dal primo luglio 2004 al 30 giugno 2005, gli omicidi sono aumentati rispetto all’anno precedente. Da undici a quindici, anche se negli ultimi mesi c’è stata una nuova escalation, ha spiegato il magistrato. E viene ricordata l’inchiesta sulle due donne sudamericane uccise (martedì l’indagato Enrico Zenatti affronterà l’udienza preliminare). Ma anche la sparatoria del 21 febbraio dell’anno scorso, nella quale persero la vita i due agenti di polizia e la donna straniera, assassinati dal detective privato Andrea Arrigoni.

Convinto che l’aumento del dieci per cento dei reati commessi da cittadini stranieri sia una conseguenza dell’immigrazione clandestina, il procuratore è convinto che molti immigrati si siano perfettamente integrati nel Veronese. "Ma proprio per le difficoltà legate alla regolarizzazione e all’occupazione", ha aggiunto, "si creino sacche di emarginazione, prima sconosciute in contesti sociali come quelli del Veronese, che facilitano la spinta alla scelta delinquenziale".

Poi, il razzismo. "È sempre presente in questa provincia", ha affermato Papalia, citando la condanna inflitta all’assessore regionale Flavio Tosi e agli altri cinque leghisti. Sui reati di corruzione, invece, ha usato la frase riportata nella relazione dell’anno scorso: "Il fenomeno, mai completamente debellato, appare in costante progressione e coinvolge sia burocrati di alto livello sia personaggi con incarichi politici di prestigio".

Sta poi prendendo piede la piaga delle assunzioni in nero di immigrati che sono impiegati soprattutto nei cantieri edili e da piccole imprese di costruzione gestite da pregiudicati.

Il procuratore ha elogiato il lavoro della polizia giudiziaria, ma, sul piano organizzativo, ha ricordato che mancano i magistrati. Una nota dolente è dedicata alla tecnologia: "È necessario provvedere al rinnovo di tutte le apparecchiature informatiche di questo ufficio che sono ormai obsolete e non più soggette a manutenzione perché è scaduto il relativo contratto". Ma l’ultima finanziaria del governo ha tagliato drasticamente i fondi. Questo vuol dire che l’80 per cento dei computer della procura non sono più "in sicurezza". Da un momento all’altro, migliaia di dati rischiano di essere perduti per sempre.

Anno giudiziario: l’Anm diserta le cerimonie in tutta Italia

 

Tg Com, 30 gennaio 2005

 

L’assenza degli esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati ha caratterizzato in tutta Italia le cerimonie per l’apertura dell’Anno Giudiziario nei distretti di Corte d’Appello. La protesta è stata attuata come forma di dissenso contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e, più in generale, contro le leggi approvate dal Parlamento "che aggraveranno le difficoltà della giustizia e non risolveranno il problema della durata dei processi".

A Roma lo stesso presidente della Corte d’Appello, Giovanni Francesco Lo Turco, ha fatto notare le quattro sedie vuote riservate all’Anm. Lo Turco ha auspicato che "tutti facciano un passo indietro", e i problemi della giustizia siano affrontati "in una prospettiva meno politica e più tecnica". A Milano il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, ha definito "uno schiaffo l’assenza dei magistrati". Il presidente della Corte d’appello ha fatto notare che mentre diminuisce il numero dei detenuti imputati "aumenta in misura molto maggiore il numero dei definitivi". A Bologna, il ministro per i rapporti con il parlamento ha lasciato la cerimonia ancora in corso e ha criticato la relazione "per i toni offensivi nei confronti di un Parlamento sovrano" riferendosi alle critiche "assolutamente immotivate" alle leggi varate in materia di giustizia.

A Palermo i magistrati hanno protestato nell’atrio di palazzo di Giustizia. La relazione ha messo in luce il nuovo rapporto tra mafia e politica: "sarebbero le cosche "a imporre le proprie strategie e a reclutare il personale politico destinato a rappresentare, nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione, gli interessi di Cosa Nostra". La "significativa protesta dei giovani di Locri" dopo l’uccisione del presidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, è stata sottolineata nell’apertura dell’Anno giudiziario a Catanzaro. A Torino, il presidente della Corte d’Appello, Francesco Novità, ha definito "punitiva verso la magistratura" la riforma dell’ordinamento giudiziario il pg Giancarlo Caselli ha parlato di "giustizia al collasso".

Droghe: Bindi e Turco; al governo abrogheremo la legge Fini

 

Il Manifesto, 30 gennaio 2005

 

"Se vinceremo le elezioni, uno tra i primi provvedimenti che prenderemo sarà quello di abrogare la legge sulla tossicodipendenza approvata ieri dal Senato". È la promessa fatta dalle deputate Livia Turco e Rosi Bondi, rispettivamente responsabili welfare dei Ds e della Margherita, nel corso della prima Conferenza nazionale dei Ds sulla Salute e le politiche sociali, in corso a Roma. "Si è capito ormai a cosa serviranno questi altri quindici giorni di governo - ha sottolineato Rosi Bindi - facendo passare provvedimenti come questi, annunciati ad inizio legislatura, e ricorrendo ancora una volta al voto di fiducia. Ritengo che questa sia una brutta pagina per i giovani del nostro paese".

"La più vergognosa delle leggi vergogna di questo governo", precisa Livia Turco, che punta l’indice contro quelle parti del provvedimento in cui "si dice che si cureranno i tossicodipendenti. È un messaggio ingannevole, i tossicodipendenti andranno solo in carcere e le famiglie saranno più sole". Pronta la replica del ministro Francesco Storace, che giudica la proposta "grave e minacciosa" perché "drogarsi è un delitto, non un diritto", e aggiunge: "Per gli elettori cattolici sarà un motivo in più per votare la destra". "Grave per i giovani, per i tossicodipendenti e le loro famiglie e per la situazione delle carceri italiane".

Droghe: Fini; è vero, ho fumato spinello, non sono un marziano

 

Ansa, 30 gennaio 2005

 

"Ho raccontato di aver fumato uno spinello anni fa in Giamaica, perché detesto l’ipocrisia. Chi nega è abbastanza ridicolo. Non sono un marziano. E poi - aggiunge - non ci trovo nulla di grave". Così il vice premier e ministro degli Esteri Gianfranco Fini intervenendo alla trasmissione di Maurizio Costanzo "Tutte le Mattine" su Canale 5 ha risposto alla domanda del direttore de Stampa Giulio Anselmi che in collegamento telefonico gli chiedeva perché avesse deciso di raccontare quell’episodio ieri alla trasmissione "Che tempo fa". Il vice premier ribadisce poi la necessità di approvare la legge sulla droga nella quale – precisa - "si sanziona anche il consumo personale. Il confine - continua Fini - non lo definirà la politica, ma il ministero della Salute. Comunque le comunità terapeutiche svolgeranno una funzione importante" in quanto con questa legge "molti tossicodipendenti usciranno dal carcere" poiché chi consuma droga non si recupera - spiega - con la reclusione.

Verona: un progetto avvicina gli studenti alla realtà penitenziaria

 

L’Arena di Verona, 30 gennaio 2005

 

Allietare le giornate di chi vive in carcere rimane tra gli obiettivi di Progetto Carcere 663. Anche quest’anno l’associazione di volontariato, nata dal centro sportivo italiano nel 1995, ha organizzato una serie di corsi ed incontri con l’obiettivo di far interagire la realtà esterna di chi non vive la detenzione con quanti invece sono al di là delle sbarre. Partendo da presupposto che lo "sport è la migliore medicina per avvicinare realtà diverse", gli organizzatori hanno dato il via all’undicesima edizione di Carcere e scuola.

Il torneo di calcio che si svolge nel campo sportivo della casa circondariale di Montorio è iniziato ancora alcune settimane fa e si concluderà a fine mese. La prima fase, come è ormai consuetudine porterà alla vittoria di una sola squadra per sezione, alla seguirà subito dopo un girone unico che coinvolgerà nuovamente tutte e quattro le sezioni. La finale è prevista per la fine di febbraio.

Non mancherà il tradizionale torneo di briscola che partirà agli inizi di febbraio e si concluderà il mese successivo. Tra le novità di quest’anno ci saranno il corso di yoga e di scrittura creativa. Anche il cinema varca i cancelli dell’istituto di pena. Il corso, cinema e letteratura, sarà legato anche ad una riflessione sull’immagine televisiva. "Ma non è solo lo svago ludico e intellettuale quello che vogliamo offrire", spiega Maurizio Ruzzenenti, attivista di Progetto Carcere 663.

"Cerchiamo attraverso corsi gestiti autonomamente, vale ai dire che sono sempre i volontari che mettono a disposizione il loro tempo e la propria qualifica, di invitare i detenuti a cercare nuove professioni e quindi nuove chance di vita". Ecco dunque che torna il corso di pasticceria voluto dal noto pasticcerie veronese Antonio Rossini. Le polemiche che accompagnano l’attuale situazione carceraria hanno stimolato ancora di più gli organizzatori dell’associazione nel volere cercare nuove soluzioni e nuove forme di contatto on l’esterno. Pochi giorni fa i volontari hanno accompagnato alcuni detenuti in permesso nella parrocchia di Bussolengo e presto altri saranno ospiti del gruppo giovani di altre realtà,sempre parrocchiali. "Serve un maggiore confronto e dialogo", dicono i volontari. "Da sempre cerchiamo di portare la realtà carceraria fuori da quelli che sono gli schemi convenzionali", evidenzia Ruzzenenti.

"Si fa presto a parlare e a dire che serve un maggiore coinvolgimento delle istituzioni, un cambiamento nella mentalità della gente. Ma nella realtà dei fatti per ottenere risultati significativi occorre rimboccarsi le maniche ed insegnare agli altri che cosa è in realtà il carcere. Ecco perché anche quest’anno proseguiranno le nostre iniziative con le scuole. È proprio dalla scuola che deve partire la base alla legalità, al rispetto degli altri. Da anni proponiamo agli studenti dei corsi alla legalità che vengono sempre accompagnati alle tematiche legate al sistema carcere. Lo scopo non è solo dire loro che se conosci questa realtà la eviti, ma ora anche che se la conosci puoi aiutare chi la vive a sopportarla".

Pescara: centro accoglienza per ex detenuti e tossicodipendenti

 

Prima di noi, 30 gennaio 2005

 

Una alloggio per accogliere fino a 15 persone in un ambiente confortevole e familiare. Una vera e propria casa, arredata e curata fin nei minimi particolari e dotata di ogni comodità: cucina attrezzata, una sala ricreativa, una stanza per persone con disabilità motorie, locali lavanderia, ampi locali per i servizi igienici. È il nuovo "Centro di accoglienza e promozione umana" realizzato dalla Provincia e dal Comune di Pescara in via Gran Sasso 59, nella palazzina dell’ex mattatoio comunale, che sarà inaugurata martedì 31 gennaio alle ore 11. Servirà ad accogliere -per periodi brevi e comunque non superiori ai tre mesi - utenti con particolari disagi sociali, che non hanno una dimora stabile e che sono in fase di reinserimento sociale e lavorativo: ex detenuti che hanno finito di scontare la pena, ex tossicodipendenti che abbiano concluso il loro percorso in una comunità di recupero. Il Centro, la cui gestione è stata affidata alla cooperativa sociale "Alchimia", che già da alcuni anni collabora con la Provincia nei progetti di pronto intervento sociale, sarà organizzato in modo che ogni giorno sia assicurata la presenza di una figura professionale ( psicologo o assistente sociale) e di una serie di volontari che assicureranno il sostegno psicologico e il servizio di orientamento e accompagnamento ai servizi socio-sanitari.

Il Centro sarà controllato, giorno e notte, da un custode, per il quale è stata riservata una stanza – studio nella quale potrà svolgere piccole funzioni amministrative e riposare. La cooperativa Alchimia, che gestirà la casa fino al 25 luglio 2006, si occuperà anche della "cura" dell’alloggio, con servizi di piccola manutenzione, pulizia, cambio biancheria, coordinamento e portineria. Gli ospiti, che usufruiranno non solo di locali caldi e accoglienti, ma di tutta una serie di servizi sociali e sanitari, dovranno pagare una piccola quota di compartecipazione alle spese, pari a 3 euro al giorno. La palazzina è stata ristrutturata in seguito ad una convenzione siglata tra Comune e Provincia. L’importo totale dell’intervento è stato di € 216.911,00, di cui 103.291,00 a carico della Provincia e 113.620,00 a carico del Comune. Per l’anno in corso l’amministrazione provinciale ha stanziato altri 70.000 euro che verranno utilizzati per il ristrutturare il piccolo fabbricato laterale, da destinarsi ad infermeria e sala accoglienza/colloqui, e la sistemazione dl piazzale esterno. I lavori sono stati diretti dall’arch. Alessandra Berardi. Con ulteriori fondi regionali, provenienti dal Progetto Reset III (Interventi urgenti in favore di persone in situazione di povertà estrema) sono stati acquistati gli arredi, costati 33.000 euro, ed è stata finanziata la gestione del Centro fino a luglio (44.000 euro). Trascorso questo periodo la Provincia trasferirà al Comune la totale gestione del Centro. Giunge così a termine un progetto di grande valore sociale, pensato dapprima come semplice dormitorio per i senza tetto. Trovate altre soluzioni per il problema dell’emergenza dei senza fissa dimora e individuata la necessità di favorire piuttosto il loro reinserimento lavorativo e sociale, le due amministrazioni hanno inteso sperimentare un’altra modalità di sostegno, come quella di fornire un alloggio sicuro e accogliente, in grado di mettere gli ospiti in condizioni di affrontare serenamente un nuovo percorso di vita.

Più carceri o più… giustizia e solidarietà?, di don Bruno Oliviero*

 

Korazim.org, 30 gennaio 2005

 

Ogni volta che esplode qualche caso clamoroso riguardante qualche reato commesso contro la proprietà, ma soprattutto contro le persone, l’opinione pubblica si domanda riguardo alla certezza della pena. La risposta vera e giusta al bisogno di sicurezza?

"Così dice il Signore: Spezza il tuo pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, i senza tetto, vesti chi è nudo,.. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!" (Is.58,7-9).

 

Più carceri…

 

L’opinione pubblica è rimasta molto impressionata, dall’episodio di cronaca verificatosi il 17 Gennaio scorso a Foggia. Una giovane madre di 23 anni ha lasciato i figli in auto e si è recata in una tabaccheria per compiere una rapina. Il motivo? La disperazione, infatti, sia lei che il marito sono disoccupati. Così ha risposto, piangendo, agli agenti che l’hanno arrestata: "L’ho fatto per procurarmi del cibo per i miei figli".

 

O più giustizia…

 

L’articolo 3 della Costituzione recita così: "È compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo delle persone umane". Come la Repubblica sta attuando il dettato costituzionale? Non bene visto che i poveri sono cresciuti di ben 800.000 unità in un anno. Lo afferma l’ISTAT, vale a dire l’istituto nazionale di statistica, La rilevazione dell’Istituto, diffusa nello scorso ottobre e relativa al 2004, dice che vivono in condizione di povertà relativa ormai 2 milioni 674 mila famiglie, pari all’11,7% delle famiglie residenti, per un totale di 7 milioni 588 mila individui, il 13,2% dell’intera popolazione. Ancora più appariscente è la crescita della povertà al Sud, dove 1 famiglia su 4 risulta povera; se i figli minori sono 3 o più, l’incidenza di povertà raggiunge addirittura il 41%.

 

E solidarietà?

 

La risposta vera e giusta al bisogno di sicurezza che avverte la società civile non è costruire nuove carceri ma incrementare la solidarietà, le politiche sociali per ridurre sempre di più i confini dell’emarginazione e della povertà. Prima, e più importante, della giustizia retributiva: "Chi sbaglia deve pagare", come si sente affermare da più parti, (dimenticando che la "pena", non deve essere intesa come una vendetta, ma deve servire alla rieducazione del detenuto), c’è la giustizia distributiva: "È compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo delle persone umane".

Come cristiani davanti a Dio non possiamo non ricordare le parole di ammonimento di Gesù: "Ero carcerato e mi avete visitato" (Mt 25,31ss)

La prima riflessione che ti viene subito in mente quando vedi tanti tuoi fratelli vivere in condizioni di vita subumane per presunti reati commessi (nel caso siano veramente colpevoli) è: perché mai degli uomini che sono figli di Dio, liberati dal Figlio di Dio con il suo Sacrificio, siano costretti a inventarsi un’attività criminale per sopravvivere con dignità.

Basta guardare alle cifre per capire che nelle carceri ci restano solo i poveracci: extracomunitari, tossici, gente affetta da disturbi psichici. Molti non godono dei più elementari diritti umani. Molti escono più arrabbiati e cattivi di prima. Tanti non usciranno più perché, anche se in Italia non c’è la pena di morte, muoiono ... o perché si suicidano o per la cattiva sanità che anche in carcere fa sentire il suo peso.

 

*Il sacerdote Bruno Oliviero è cappellano della Casa Circondariale di Poggioreale (Napoli) da febbraio 2003, con il mandato dell’arcivescovo di Napoli, il card. Michele Giordano.

 

 

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