Rassegna stampa 19 febbraio

 

Palermo: 56enne arrestato per mafia si uccide al "Pagliarelli"

 

Il Giorno, 19 febbraio 2006

 

Era indicato come un fedelissimo dell’ex capomafia Nino Giuffrè, oggi pentito, che gli avrebbe fatto avere lavori in subappalto, proteggendolo dalle richieste estorsive. Era stato arrestato giovedì scorso, perché accusato di associazione mafiosa, nel corso del maxi blitz di Trabia (Palermo) che aveva portato in carcere anche politici e imprenditori.

Andrea Anello, 56 anni, di Caccamo, questa notte si è suicidato nel carcere Pagliarelli di Palermo. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno trovato impiccato con un lenzuolo a una sbarra della cella. Era stato interrogato venerdì ed era apparso sereno e risoluto nel respingere le accuse. Anello era indicato come un imprenditore fedelissimo dell’ex capomafia Nino Giuffrè, oggi pentito, che gli avrebbe fatto avere lavori in subappalto, proteggendolo dalle richieste estorsive.

La morte dell’imprenditore legato alla mafia, Andrea Anello, è stata immediata, secondo quanto ha accertato il medico legale. Il suicidio, per la direttrice del carcere Pagliarelli, Laura Brancato, "potrebbe essere legato a una forte depressione: forse - afferma - non ha saputo superare l’impatto con una nuova realtà. Non aveva mai conosciuto il carcere e ora vi era stato catapultato dentro. Evidentemente, non ha saputo superare un momento di debolezza".

Esclude la direttrice, invece, ogni legame con un altro suicidio, avvenuto nei giorni scorsi: "Sono fatti diversi - spiega - in quel caso si trattava di un giovane con problemi psichiatrici. Il nostro è un carcere moderno, che presta molta attenzione ai detenuti".

Biella: domani sit-in degli agenti davanti alla casa circondariale

 

La Stampa, 19 febbraio 2006

 

Riprendono le manifestazioni di protesta degli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Biella che contestano l’operato del comandante di reparto. In un comunicato firmato da tutte le organizzazioni sindacali si parla di "cattiva gestione dei poliziotti... eccesso di provvedimenti disciplinari... malcontento generale" con conseguente "forte tensione nei luoghi di lavoro". Per questo i rappresentanti dei lavoratori chiedono l’allontanamento immediato del comandante. I sindacati informano che da oggi a sostegno della loro azione di protesta scatterà l’astensione dalla mensa obbligatoria di servizio. Domani, inoltre, un’ottantina di agenti daranno vita tra le 10 e le 14,30 a un pacifico sit-in davanti al carcere. La protesta del personale è stata appoggiata dal senatore di An Roberto Salerno che ha scritto al sottosegretario alla Giustizia Vitali e al Provveditore regionale del Piemonte per sollecitare "una serie verifica di una situazione che ha portato a un irrimediabile deterioramento dei rapporti interni e a uno scadimento di qualità della gestione del servizio".

Savona: animalista taglia un filo spinato, il pm chiede il carcere

 

La Stampa, 19 febbraio 2006

 

Ha rischiato di finire in carcere per aver tagliato un filo spinato. È la storia di Ottavio Rossi, 55 anni, di Millesimo, amante degli animali (difeso da Francesco Ruffino). Tutto comincia con il sequestro di un box dove tiene tre cavalli, per irregolarità edilizie. La zona è cintata con un nastro bianco e rosso, di plastica, Rossi è nominato custode giudiziale. I nastri, per due volte di seguito, sono rimossi. Interviene la Forestale, che contesta l’episodio. Rossi si difende: sono stati i cavalli. Le guardie dispongono intorno all’area sotto sequestrato un filo spinato, ma Rossi si oppone: è pericoloso per gli animali, e gli impedisce di dare loro da mangiare. Così, lo taglia davanti alle guardie stesse. Il pm Danilo Ceccarelli chiede un’ordinanza di custodia in carcere, ma il gip Emilio Fois la nega, sostituendola con l’obbligo di dimora nel comune di Millesimo. Ieri l’interrogatorio di garanzia.

Rovigo: il detenuto serbo è evaso perché sono sospese le ronde

 

Il Gazzettino, 19 febbraio 2006

 

Ronde sulle mura del carcere sospese per carenza di personale. Una circostanza che potrebbe avere contribuito non poco al successo della rocambolesca evasione della quale si è reso protagonista, venerdì mattina, Smail Krasnic, 25 anni, serbo arrestato alcuni giorni prima per tentato furto in una casa. Un’evasione sulla quale sta cercando di fare luce la procura, alla ricerca di eventuali responsabilità o mancanze.

La libertà di Krasnic è durata poco. Il tempo di raggiungere Loreo dopo essersi procurato con una serie di furti prima una bici, poi un furgone, infine una Seat Cordoba, per poi schiantarsi contro una seconda auto e finire, in condizioni gravissime, alla casa di cura di Porto Viro, piantonato da due carabinieri. Al momento è in coma profondo e la sua prognosi è "riservatissima".

A suo carico la magistratura ha formulato le ipotesi di reato di evasione, furto e rapina. Una contestazione, quest’ultima, formulata perché il furto della Cordoba è avvenuto nonostante il proprietario, che stava scaricando la spesa, abbia tentato di opporsi, frapponendosi tra il giovane serbo e l’auto, per ritrarsi all’ultimo, vista la determinazione del ladro.

Secondo la ricostruzione sulla quale sta lavorando la procura, Krasnic, poco dopo le 9 di mattina, avrebbe scalato il muro di cinta posto sul lato est del carcere, sfruttando la mancanza di sorveglianza. Una volta all’esterno ha rubato una bicicletta, con la quale ha raggiunto Villadose. Qui si è appropriato di un furgone di un cantiere edile. Gli operai, però, lo hanno visto mentre saliva a bordo e lo hanno inseguito.

Krasnic si è diretto verso il Delta, ma arrivato nelle vicinanze di Loreo, è finito fuori strada. Ha proseguito la sua fuga nei campi, da dove ha raggiunto proprio Loreo e rubato l’auto, per poi schiantarsi poco dopo. Il direttore del carcere, Fabrizio Cacciabue, ha subito avviato tutte le verifiche del caso per fare chiarezza sull’episodio. Al momento non risultano sospensioni o provvedimenti a carico delle guardie penitenziarie.

Dalla procura, intanto, è partita una lettera proprio alla direzione del carcere, con la richiesta di fornire tutti i dettagli utili sulla vicenda. Importante sarà capire come, considerata la mancanza di personale, fossero stati organizzati i servizi di sorveglianza. Se, cioè, fosse proprio indispensabile eliminare la ronda sulle mura.

Immigrazione: Gradisca; pronti a bloccare fisicamente accesso a Cpt

 

Il Gazzettino, 19 febbraio 2006

 

Un centinaio davanti al Cpt di Gradisca d’Isonzo: questo il numero dei partecipanti alla manifestazione organizzata ieri dai movimenti pacifisti, Rifondazione comunista, Verdi, associazioni e cittadini. Una manifestazione pacifica e tranquilla che ha voluto ribadire la contrarietà all’apertura di quello che da più parti è stato definito un lager, all’indomani del comunicato del Sindacato italiano lavoratori di polizia che dava per quasi certo il varo del centro il 28 febbraio prossimo (data poi smentita dal questore di Gorizia, Emilio Rocco, che ha dichiarato di non conoscere ancora la data di apertura).

Ma tant’è, davanti ad un ipotesi così imminente i manifestanti hanno deciso di prendere ulteriori provvedimenti per fare tutto il possibile affinché il Cpt non apra. Primo fra tutti il presidio permanente nelle giornate del 27 e 28 febbraio. "Dopo esserci battuti affinché il Centro di permanenza temporanea non sia aperto ­ ha spiegato il segretario regionale di Rc, Giulio Lauri ­ qualora non fosse stato abbastanza siamo disposti a passare ai fatti. Invito tutti ad impedire fisicamente l’apertura del Cpt, anche stazionando distesi davanti agli ingressi. Per fare questo è indispensabile coinvolgere la popolazione, riaprire il dialogo con i cittadini e la comunità".

Dalle parole ai fatti, quindi, come ha più volte ribadito anche il consigliere regionale dei Verdi, Alessandro Metz che ha colto l’occasione di ieri per rispondere ancor una volta al presidente della Regione Riccardo Illy in merito al suo giudizio negativo sul picchetto ai danni della cooperativa Minerva di qualche giorno fa: "Illy ha definito deplorevole quegli atti. Io rispondo al presidente con una legge regionale che preveda l’abrogazione degli articoli delle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini sulla regolamentazione dei Cpt. Così si capirebbe davvero chi è contro a queste carceri mostruose".

Metz ha speso anche due parole sulla cooperativa gestore del Cpt: "La Minerva è l’anello debole di questa catena. Tutti noi dobbiamo incidere su questo anello debole. Dobbiamo moltiplicare le iniziative anche in questo senso". E sulla legge Turco-Napolitano è tornato anche l’assessore regionale Roberto Antonaz, ricordando che la politica della non accoglienza, del non rispetto e della non solidarietà umana nacquero proprio con quella legge. "Bisogna combattere la clandestinità, non i clandestini ­ ha osservato Antonaz -. Per quanto mi riguarda la Regione continuerà a dire e a fare quanto possibile per evitare l’apertura del Centro di permanenza temporanea. Sembra vicino il giorno dell’apertura. Io sono ancora fiducioso. Aspettiamo anche il verdetto del Tar, il 23 febbraio. Qualora il tribunale esprimesse parere negativo al ricorso noi andremo avanti nel condannare l’apertura di strutture simili".

Sull’apertura del Cpt se ne sono dette di tutti i colori ipotizzando tutto ed il contrario di tutto sulle strategie politiche del governo che potrebbe anche attendere le elezioni del 9 aprile per passare la patata bollente al prossimo mandato, sia esso di centrodestra che di centrosinistra. "Nel programma dell’Unione si parla di superamento dei Cpt ­ ha spiegato l’assessore regionale - È un termine "morbido" per strutture che sono a tutti gli effetti illegali, anticostituzionali ed immorali, anche per il costo smisurato di realizzazione".

I manifestanti si sono susseguiti negli interventi per dare spazio alle proposte d¹azione delle prossime settimane. Una discussione ordinata che non ha creato alcun tipo di problema, tanto che nell’intera durata del presidio i partecipanti hanno "convissuto" con un numero esiguo di agenti di polizia e guardia di finanza che hanno presenziato a margine dell’iniziativa.

Usa: in California il più alto numero di condannati a morte

 

Associated Press, 19 febbraio 2006

 

Negli ultimi sei anni, il numero dei detenuti colpevoli di assassinio e perciò condannati a morte è stato è stato il più esiguo di ogni altro periodo a partire dal 1977. Lo ha scritto il giornale "The sacramento Bee", secondo il quale, negli anni novanta, in California è stata condannata a morte una media di 35 detenuti ogni anno. Ma, a partire dal 2000, tale media è calata a 21 per ogni anno, una diminuzione pari al 40 per cento. Attualmente, nelle carceri californiane ci sono 648 detenuti condannati alla pena capitale, il numero più alto di tutti gli Stati uniti, a quanto hanno reso noto fonti ufficiali.

Germania: nel carcere di Amburgo torture come ad Abu Ghraib

 

Secolo XIX, 19 febbraio 2006

 

Non sapremo mai se le guardie della prigione di Amburgo si sono ispirate alle immagini delle torture inflitte ai prigionieri iracheni dai militari americani nell’ormai famigerato carcere di Abu Ghraib, dove gli sventurati detenuti erano stati spogliati e costretti ad accavallarsi gli uni sugli altri, nudi come vermi. Singolare è il fatto che anche ad Amburgo alcuni detenuti riottosi siano stati trattati con metodi altrettanto spicci e costretti a trascorrere la notte completamente nudi e legati alle brande. La denuncia, che sta facendo molto rumore in Germania, è arrivata da un organo di stampa particolarmente autorevole come il settimanale "Der Spiegel". Nel numero in edicola domani dedica ai fatti un’intera pagina sotto l’eloquente titolo "Lächelnde Guillotine", la ghigliottina che ride, soprannome attribuito al ministro della Giustizia della città-Stato, Roger Kusch (Cdu), 51 anni.

Non è la prima volta che il ministro occupa le cronache dei giornali per alcune sue decisioni piuttosto discutibili, come quella che mesi addietro lo aveva spinto a far visita al famigerato sceriffo americano Joe Arpaio, che nella prigione di "Madison-Street" a Phoenix, in Arizona, usa metodi alquanto discutibili tra i quali l’imposizione della biancheria intima color rosa per i detenuti. I cani pastori dei sorveglianti (americani) obbediscono a ordini impartiti in lingua tedesca.

Quel viaggio aveva creato non poco malumore anche nel governatore di Amburgo, Ole von Beust, e tra gli stessi compagni di partito del ministro. Nel frattempo Roger Kusch rischia di finire egli stesso a far compagnia ai reclusi delle galere cittadine, se avrà successo la richiesta di socialdemocratici e Verdi, volta a piegare il suo rifiuto di spiegare davanti ad una commissione d’inchiesta una serie di gravi disfunzioni registrate in un carcere minorile cittadino.

I gravi maltrattamenti inflitti dalle guardie carcerarie ai detenuti adulti, spogliati a forza e legati ai letti, potrebbe creare gravi imbarazzi al ministro. Anche perché i fatti sono stati confermati da un funzionario del suo ministero. Sembra che la prassi di denudare i detenuti scomodi e costringerli a trascorrere la notte in quello stato non sia dovuta a eccessi individuali di qualche guardia carceraria incline ad usare metodi di convinzione particolarmente ripugnanti.

L’avvocato Ernst Medecke ha rivelato allo "Spiegel" l’esistenza di una direttiva emanata dal ministero della Giustizia della città-Stato, che prevede di spogliare con la forza i detenuti particolarmente recalcitranti. Secondo la denuncia dell’avvocato, un responsabile ministeriale gli avrebbe confermato davanti a testimoni che la discutibile prassi è stata adottata in almeno tre circostanze. Henning Clasen, alto funzionario del ministero della Giustizia di Amburgo, ha invece confermato solo "due casi di denudamento forzato verificatisi in circostanze estreme". Come attenuante sarebbe stato invocato il fatto che per non far gelare i detenuti nudi legati al letto, sarebbe poi stata gettata loro addosso una coperta.

Iran: appello ad autorità; basta con pena di morte a minorenni

 

Articolo 21, 19 febbraio 2006

 

Impiccare un’adolescente, è un atto di pura barbarie. Nel caso dell’Iran, che ha firmato la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, costituisce anche un segno di arrogante dispregio nei confronti delle convenzioni internazionali che tutelano i diritti umani. Sono più di quattro anni che Tehran si è anche impegnata con l’Unione europea, promettendo di sospendere l’esecuzione capitale di minorenni, e anni fa ha pure ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che vieta torture, amputazioni degli arti, frustate e altre punizioni crudeli e disumane.

Eppure, solo nel 2005, Amnesty International ha registrato nel Paese 8 esecuzioni di adolescenti, e altre tre condanne a morte stanno per essere eseguite. Nel braccio della morte delle prigioni del Paese, sezioni femminili, vi sarebbero oggi 19 donne condannate a morte; per tre di loro, accusate di adulterio, la pena è quella della lapidazione. Lapidazione anche per Zhila Jazadi, 14 anni, condannata per una relazione incestuosa con il fratello quindicenne che l’avrebbe messa incinta. Zhila, squassata in carcere da un grave esaurimento nervoso, ha già subito 50 frustate.

Saranno invece impiccate altre due ragazze, Nizanin e Delara, che avevano meno di sedici anni all’epoca dei reati loro contestati. La prima, Nizanin, ha ucciso l’uomo che l’aveva assalita, tentando di violentarla, mentre la giovane passeggiava con la nipote di 14 anni nel parco pubblico della città di Karaj; la seconda, Delara, oggi di 19 anni, si è sempre proclamata innocente dell’omicidio per cui è stata condannata: la morte di una donna durante una rapina.

Appello e storie vengono dall’associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia, e sono al centro di una campagna di raccolta firme da inviare all’ayatollah S.A. Sayed Ali Kamenej, Jamal Karimi Rad, Hashemi Shahoudi, che verrà illustrata martedì prossimo nel corso di un’incontro organizzato presso la Sala Stampa del Senato con l’adesione di Articolo21, e la collaborazione delle associazioni Telefono Rosa e Mediterranean Women Press Network.

La campagna punta anche a sensibilizzare l’informazione ad andare aldilà dell’aspetto "militare" della questione iraniana, schiacciata tra le dichiarazioni del presidente Mamhoud Ahmadinejad da una parte e quelle del presidente George Bush dall’altra, per aprire una finestra informativa anche sulle condizioni di vita quotidiana nell’Iran degli ayatollah. Sulla violazione sistematica dei diritti umani. Sulla condizione dei detenuti politici e degli oppositori del regime. Sulla libertà di espressione. Sulla violazione degli accordi internazionali sottoscritti in tema di condanne capitali ai minori, chiedendo contemporaneamente al Governo italiano, quale che sia quello che uscirà dalle prossime urne, di adoperarsi presso il governo di Terhan perchéesse cessino immediatamente. E venga accelerato l’iter della legge approvata nel 2003 dal Majles-e-Shura-ye-Eslami (l’Assemblea Consultiva islamica, sorta di parlamento), ed oggi in attesa dell’approvazione del Consiglio dei Guardiani, che stabilisce tribunali speciali per i minorenni, ed esclude per i minori di 18 anni sia la pena capitale che l’ergastolo e le frustate.

L’avvento del pasdaran Ahmadinejad alla presidenza della repubblica, comunque, ha segnato non solo un aumento delle condanne a morte (secondo i dati diffusi dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, l’opposizione in esilio, dal giugno 2005 ad oggi le condanne a morte e le esecuzioni sarebbero state 140), ma anche il numero delle persone arrestate, imprigionate, torturate, scomparse per avere manifestato il proprio dissenso nei confronti della politica al governo.

L’ultima notizia, in ordine di tempo, riguarda l’impiccagione tre giorni fa di un dissidente politico, Hojat Zamani, dirigente dell’organizzazione dei Moiahedin del popolo, e la vicenda di Elham Froutan, una giornalista di 21 anni, che sarebbe stata "suicidata" appena due giorni fa, nella prigione della città di Bandar Abbas, dove era rinchiusa insieme ad altri sette giornalisti. Elham era stata arrestata un paio di settimane fa dalle guardie della rivoluzione nella redazione della rivista Tamaddon Hormozgan, a seguito della pubblicazione di un suo articolo metaforico sulla rivoluzione del "Velayat-e-faghih, l’interpretazione komeinista del governo dello stato, base ideologica del potere assoluto della Guida Suprema, e del suo partito unico.

Nel suo articolo, "La rivoluzione e l’Aids", Elham descrive gli effetti di questa interpretazione sulla società iraniana, una sorta di malattia progressiva, subdola e mortale, che prima debilita e poi uccide. Sullo sfondo, ventisette anni di repubblica teocratica, cioè di leggi, di ordinamenti, di norme ispirate all’ortodossia secondo Komeini, ed imposte ad una società sempre più riottosa, in un crescendo di arresti e di violenza, a partire al momento in cui fatte fuori le aspirazioni democratiche che avevano sostenuto la rivoluzione popolare e la cacciata dello Shah Palevi, l’Iran si è ritrovato addosso il "virus" del Velayat.

Arrestata insieme ai suoi colleghi, Elham sarebbe stata "suicidata" in prigione, dopo essere stata torturata. Un paio di anni fa, stessa sorte toccò alla fotografa Zaira Kazami, arrestata mentre documentava una manifestazione di parenti che, fuori la prigione di Evian, chiedevano notizie sui loro cari scomparsi. Di Zaira sappiamo che è morta dopo essere stata selvaggiamente torturata, una notizia che per mesi le autorità iraniane hanno cercato di tenere nascosta, nonostante le pressioni dell’opinione pubblica internazionale. Perché la verità venisse a galla, c’è voluta la fuga dall’Iran di un medico che aveva visto il cadavere della donna all’obitorio, e constatato sul suo corpo inerme i segni della violenza, le dita lacerate dallo strappo delle unghie, il naso rotto, il volto tumefatto di botte.

Elham come Zaira? Secondo i dati diffusi dalla rete del CNRI, il nome di questa giovane giornalista va ad aggiungersi alla lunghissima lista delle persone morte o scomparse per avere osato esprimere dissenso nei confronti del potere al governo, e la sua storia alla lunga lista delle violenze e delle violazioni con cui il regime tenta di tenere a bada una popolazione sempre più insofferente e lontana dalle stanze del potere.

Tante, forse la maggioranza, sono storie di donne. Bambine, ragazze, adulte: fragili più degli uomini, in una società dominata dalla misoginia degli ayatollah, e da quella ossessivamente violenta dei pasdaran, sono loro che pagano il prezzo più alto alla politica del "Velayat", la tutela religiosa esercitata dalla Guida Suprema. L’aumento delle fughe da casa delle adolescenti, il fenomeno delle "ragazze di strada" sorprese a dormire sui marciapiedi, l’aumento della prostituzione e della tratta delle donne, l’aumento del consumo di oppio soprattutto tra le casalinghe, sono indicatori reali di un malessere molto più forte del disagio. L’avvocata dei diritti delle donne Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, l’ha più volte denunciato. Marjam Rajavi, oppositrice storica del regine teocratico, eletta a metà degli anni Novanta presidente del CNRI, ha posto la questione dei diritti delle donne, e quella della libertà femminile nel rapporto "islam-donne-uguaglianza" al centro del suo programma politico.

Contro l’esecuzione di minori, e contro la pena di morte in Iran, si è mobilitata anche l’associazione Nessuno tocchi Caino. Una raccolta di firme destinata al Segretario generale dell’Onu, all’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, ed al presidente di turno dell’Unione europea, è stata lanciata ieri nel corso di una conferenza stampa, alla quale ha aderito anche Articolo21, presenti il presidente dell’associazione Sergio D’Elia, l’europarlamentare Emma Bonino, il sociologo Kaled Fuad Allam, il giornalista Amhad Rafat. Agghiaccianti i dati sull’Iran "secondo Paese boia del mondo nel 2005", presentati da Elisabetta Zamparutti, curatrice del rapporto di Nessuno tocchi Caino sulla pena di morte nel mondo.

Qualche dato. In Iran, la pena di morte è prevista per omicidio, rapina a mano armata, blasfemia, apostasia, cospirazione contro il Governo, adulterio, prostituzione, omosessualità, stupro, reati legati alla droga. Nel 2004, le esecuzioni capitali sono state 197. Al 16 gennaio 2006, nel carcere minorile di Tehran e in quello di Rajai-Shahr c’erano almeno 30 condannati a morte che avevano meno di 18 anni al momento del reato contestato. L’anno scorso, il comandante delle forze di sicurezza dello stato ha reso noto che su 3.969 donne arrestate nel corso degli ultimi 10 mesi del 2005, 649 erano bambine al di sotto dei 14 anni. L’8 gennaio 2005, Mina Darabvand, una studentessa di 17 anni, è stata condannata a tre anni di carcere e a 60 frustate per aver partecipato a Tehran ad una manifestazione davanti alle Nazioni unite in difesa dei diritti umani. A fine gennaio, il governo ha ordinato la chiusura del quotidiano economico Asia per aver pubblicato immagini di donne mal velate, e proibito senza spiegazioni la pubblicazione di un nuovo settimanale femminile, Nour-e-Banouvan.

 

 

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