Rassegna stampa 17 febbraio

 

Croce Rossa si candida a gestire le carceri; reazioni favorevoli

 

Ansa, 17 febbraio 2006

 

Spazi ristretti, sovraffollamento, diritti sanitari non adeguatamente rispettati: la pena per i detenuti italiani ha una dose di disumanità che - secondo gli addetti ai lavori - non ha a che vedere con lo stato di diritto. Di fronte all’emergenza carceri, la Croce Rossa Italiana lancia una proposta: è disponibile a trasformare in istituti di pena, edifici abbandonati (del demanio o mettendone a disposizione fra quelli di proprietà della stessa Cri) assicurandone la gestione, chiavi in mano, con tanto di militari, personale civile e volontari. Il tutto, nel rispetto della persona e dei diritti umani. Del progetto parla all’Ansa il presidente, Massimo Barra, che si dice pronto a predisporre, anche a breve qualora ci fosse un interesse delle istituzioni, un progetto di fattibilità.

L’ipotesi prevede la gestione, chiavi in mano, di strutture inutilizzate da destinare a carceri a carico e responsabilità della Cri, che metterebbe a disposizione anche il personale; la Cri ha fra le sue componenti anche i militari. Sarebbe un progetto-pilota con l’obiettivo primario di sperimentare un nuovo approccio di convivenza nelle carceri. Il primo e principale intervento sarebbe decongestionare le carceri, rispettando il numero dei detenuti e quello dei posti letto. "L’invivibilità delle carceri - dice Barra - è un dato oggettivo.

Non vogliamo entrare nelle questioni politiche, il nostro criterio è puramente umanitario. Di fronte alle condizioni di vita degli istituti di pena, i detenuti sono persone vulnerabili. Sono loro il nostro interesse. La pena che devono scontare è nella limitazione della libertà, questo basta ed avanza. Cosa c’entra col non avere bagni dignitosi, strutture idonee, personale umano? Cosa c’entra con la disattenzione sui loro problemi sanitari? Tenuto conto che il 30% della popolazione detenuta, ed è un dato patologico, è tossicodipendente e spesso sieropositiva o malata di Aids? La qualità della vita, anche nelle carceri, non può essere messa in discussione. Ricordo che il rispetto dei diritti umani, compresi quindi quello dei detenuti, rientra nella nostra mission".

La proposta della Croce Rossa ha ricevuto commenti favorevoli, anche se da ambienti del Dap si fa notate che ci sono alcuni nodi da sciogliere a monte, in particolare problemi di natura legislativa che potrebbero essere superati solo con una volontà politica. Secondo Don Antonio Mazzi, la proposta della Croce Rossa "è buona, varrebbe la pena di approfondirla. Può essere una soluzione complementare ed alternativa per quei detenuti che hanno bisogno di strutture di appoggio". Per don Mazzi, sarebbe opportuno predisporre una sorta di "prototipo" di queste strutture che potrebbero essere gestite dall’organizzazione di volontariato e destinate a quei detenuti che devono ancora scontare una pena ma godono di misure alternative.

"Potrebbero essere strutture protette, luoghi per un passaggio intermedio del detenuto, ossia dallo stato di detenzione alla liberta"‘. In questo quadro, è importante, suo avviso, soffermarsi sulla formazione degli operatori. Leo Beneduci, segretario generale dell’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria ha commentato: "perché no? La proposta della Croce Rossa, potrebbe andare bene per alcuni detenuti, per esempio quelli a basso indice di pericolosità, a custodia attenuata e soprattutto per chi sta dentro per problemi di tossicodipendenza. Ovviamente - ha aggiunto - le strutture avrebbero bisogno di una supervisione della polizia penitenziaria, con funzioni di coordinamento, anche perché ci sono atti, come le notifiche ed alcuni accertamenti, che possono essere fatti soltanto dalla polizia giudiziaria.

Comunque - ha concluso - potrebbe essere un’utile soluzione al problema del sovraffollamento, che il ministro Castelli non ha voluto e saputo risolvere". La proposta di Barra ha un precedente nella storia internazionale del movimento. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha contribuito a gestire nel 1995, in fase di emergenza, alcune strutture penitenziarie in Ruanda. "È ovvio - osserva Barra - che la nostra situazione non è a quel livello ma se rapportata al fatto che siamo uno dei paesi più industrializzati del mondo, l’emergenza c’è eccome. La Cri non entra nel merito delle questioni politiche, né partecipa al dibattito sull’amnistia. Per noi si tratta di un intervento umanitario". Al momento, secondo i dati del Dap, nei 207 penitenziari italiani ci sono 59.911 detenuti, contro un massimo di circa 43 mila posti.

Croce Rossa: Don Mazzi; potrebbe essere prototipo, dateci edifici

 

Ansa, 17 febbraio 2006

 

La proposta della Croce Rossa Italiana di gestire carceri realizzati in edifici dello Stato abbandonati "è buona, varrebbe la pena di approfondirla. Può essere una soluzione complementare ed alternativa per quei detenuti che hanno bisogno di strutture di appoggio". Lo dice, in relazione all’ipotesi avanzata dal presidente della Cri, Massimo Barra, don Antonio Mazzi, il prete impegnato nel settore e schieratosi a favore dell’amnistia. Per don Mazzi, sarebbe opportuno predisporre una sorta di "prototipo" di queste strutture che potrebbero essere gestite dall’organizzazione di volontariato e destinate a quei detenuti che devono ancora scontare una pena ma godono di misure alternative. "Potrebbero essere precisa strutture protette, luoghi per un passaggio intermedio del detenuto, ossia dallo stato di detenzione alla liberta"‘. In questo quadro, è importante, suo avviso, soffermarsi sulla formazione degli operatori.

Messina: detenuto morto dopo una presunta aggressione

 

Ansa, 17 febbraio 2006

 

Salvatore Caruso, il detenuto di 67 anni che giovedì scorso era finito nel reparto di Rianimazione del Policlinico dopo una presunta aggressione è morto dopo tre gironi di coma. La procura aveva accusato del ferimento l’ergastolano Giuseppe Mulè. Il Gip Massimiliano Micali non ha però accolto la richiesta dei pm in quanto la prima ricostruzione dei fatti non ha trovato riscontri: si pensava che Caruso fosse stato colpito da Mulè con una stampella in quanto non intendeva dare la precedenza al boss per fare la doccia all’interno del carcere. Secondo alcuni testimoni, però, Caruso sarebbe scivolato da solo battendo la testa contro un gradino del box doccia.

Messina: detenuto morto, l’autopsia non risolve il giallo

 

Ansa, 17 febbraio 2006

 

L’autopsia non risolve il giallo sulla morte del detenuto del carcere di Gazzi morto domenica sera al Policlinico di Messina. Il medico legale Mario Previtera non ha potuto stabilire se il trauma cranico di Salvatore Caruso, 67 anni, di Noto (Siracusa), sia dovuto ad una caduta accidentale o sia state provocato dal boss Giuseppe Mulè al culmine di una lite. Mulè è indagato dalla Procura per omicidio preterintenzionale, per aver provocato la morte del compagno di cella che non voleva dargli la precedenza per farsi una doccia calda. Mulè, malato di Aids, lo avrebbe colpito con una stampella. Alcuni testimoni scagionano il boss di Villa Lina, sostenendo che Caruso è invece scivolato a causa del pavimento bagnato battendo la testa.

Parma: reinserimento sociale, tre detenuti al lavoro in Provincia

 

Emilia Net, 17 febbraio 2006

 

Offrire uno spazio di reinserimento sociale. Questo l’obiettivo di una collaborazione stretta fra la Provincia e gli Istituti penitenziari di Parma che ha portato a concretizzare tre percorsi lavorativi attualmente in corso presso gli uffici provinciali.

Tre detenuti sono oggi impiegati in funzioni svolte dall’Ente ed in particolare presso l’assessorato provinciale ai Parchi, dove un detenuto sta svolgendo un’esperienza di tirocinio, presso l’assessorato provinciale ai Servizi sociali dove sono state attivate due borse lavoro sostenute dal Comune su finanziamento della Regione.

Il lavoro che viene svolto è soprattutto di segreteria con mansioni che aiutino queste persone a "riconquistare" un contatto con il mondo esterno e a ricollocarle in un ambiente lavorativo.

"È un progetto che abbiamo particolarmente a cuore e che speriamo di estendere al più presto perché la situazione nelle carceri italiane sta diventando sempre più tragica, soprattutto per il sovraffollamento. L’espiazione della pena in forme alternative, quando la legge lo prevede, come dimostra anche l’esperienza che stiamo conducendo in Provincia, offre opportunità e speranze concrete di reinserimento" osserva l’assessore provinciale Tiziana Mozzoni.

Anche l’assessore Gabriella Meo sottolinea la scelta della Provincia di procedere in questo senso: " Siamo soddisfatti del lavoro fin qui svolto e che vorremmo poter non solo ripetere ma allargare attraverso la promozione di percorsi rientranti nell’ambito della giustizia riparativa. Mi riferisco in particolare alla possibilità, che stiamo verificando, di poter utilizzare detenuti per i cosiddetti lavori di recupero ambientale così come previsto dall’accordo stipulato fra il ministero di Grazia e Giustizia e quello all’Ambiente. La Provincia ha inoltre predisposto un progetto, approvato dalla Direzione del carcere di Parma, per realizzare un’edizione particolare di "puliamo il mondo" il prossimo 22 aprile, giorno in cui una decina di detenuti sistemeranno un’area golenale nel comune di Polesine.

Is Arenas: Castelli; su colonia penale pericolo di speculazioni edilizie

 

Agi, 17 febbraio 2006

 

Il ministro della Giustizia Roberto Castelli non esclude che, in un futuro lontano, la colonia penale di Is Arenas torni alla Regione Sardegna, se e quando l’Italia avrà un sistema di giustizia federale, ma teme speculazioni edilizie sulla zona. A chi gli chiede se ritiene che qualcuno abbia interessi in questo senso, Castelli risponde: "Sono convinto di ciò. Ci sono stati anche dei sorvoli alquanto sospetti su queste zone. Sono anche un convinto ambientalista e per quanto mi riguarda combattere fin quando avrò forza perché questo spazio, che fra l’altro ricade all’interno della zona del cervo sardo, resti intatto". Su un’eventuale restituzione di Is Arenas alla Regione, Castelli conferma che finché sarà ministro non c’è alcuna possibilità: "Io sono un convinto federalista.

Credo che alla lunga se un giorno avremo un sistema giustizia federale, questo spazio dovrà tornare alla Regione", afferma Castelli, in tenuta casual, durante un’intervista televisiva durante una visita privata a Is Arenas, dove in passato ha trascorso le vacanze estive. "Però ricordo che ci sono mille polemiche soprattutto che nascono nell’ambito della sinistra, cui appartiene anche questa giunta regionale, che dicono che andiamo a preparare spazi invivibili per i detenuti", ha aggiunto il ministro, in riferimento all’amministrazione guidata da Renato Soru, che rivendica Is Arenas alla Sardegna. "Ora non si può lavorare per chiedere al ministro di rendere vivibili spazi di detenzione e dall’altro cercare di portare via quelli che appunto fra i migliori. Io credo semplicemente ai sardi di avere pazienza.

Il rovescio della medaglia è che abbiamo tenuto intatto un meraviglioso angolo della meravigliosa Sardegna. La scorsa settimana Castelli aveva smentito il suo sottosegretario, Vitali, che in occasione della firma di un protocollo d’intesa con Soru non aveva escluso la restituzione della colonia penale alla Regione. "È un vero gioiello ambientale, alienarla andrebbe contro corrente rispetto all’unanime volontà di migliorare le condizioni ambientali dei nostri penitenziari", aveva scritto il ministro in una nota ufficiale. "Vedo in giro in Sardegna troppi lupi speculatori travestiti da agnelli ambientalisti. Di essi non mi fido".

E oggi Castelli l’ha ribadito: "Bisogna stare attenti ai falsi agnelli che poi si rivelano lupi". Ma ha aggiunto: "Non la metterei sul fatto che non verrà ceduta alla Sardegna, io preferisco dire che verrà preservata. Naturalmente questa zona merita uno sviluppo turistico ma c’è tanto spazio. Ci sono alcune zone bellissime, penso al centro minerario, penso al porto di Buggerru che avrebbe un problema che andrà sicuramente risolto. Quindi bisogna intervenire dove c’è già la possibilità di farlo. Non capisco perché gli appetiti si debbano proprio scatenare sugli ettari di Is Arenas".

Il ministro teme anche una volta ceduta alla Regione l’area della colonia penale finisca in uno stato di semi abbandono. "Ho visto, per esempio, Pianosa che ha seguito la sorte di Asinara. Oggi abbiamo fatto un accordo per cui i detenuti a basa pericolosità, alcuni detenuti vanno a cercare di manuntenere l’isola che, andato via il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è caduta nel degrado", ha detto il ministro. "Andrò a visitare anche l’Asinara per rendermi conto, se naturalmente l’ente parco me lo consentirà, se l’isola sta seguendo la stessa sorte. E sarebbe un peccato, perché è un gioiello non soltanto della Sardegna ma direi mondiale. Sarebbe un peccato che andasse al degrado. Mi dicono anche che ci sono problemi per l’asinello bianco. Io ricordo che anche qui ne abbiamo portati alcuni per cercare di salvare la razza".

Civitavecchia: rappresentazione scritta ed interpretata dai detenuti

 

Redattore Sociale, 17 febbraio 2006

 

A Civitavecchia va in scena il carcere: presso il teatro interno alla casa di reclusione, in via Tarquinia 20, domani alle ore 11 si terrà una rappresentazione teatrale che vedrà i detenuti protagonisti dello spettacolo. La rappresentazione è frutto dell’attività di laboratorio teatrale svolta nel periodo ottobre-dicembre dello scorso anno, diretta da Aldo Colindri, promossa nell’ambito delle attività di formazione permanente previste dal progetto finanziato dalla Provincia di Roma, Assessorato alla Scuola, promosso dall’Upter (Università Popolare di Roma) in collaborazione con il Gisca (Gruppo Italiano Scuola Carceraria).

Prende quindi "forma" un corso durante il quale, insieme ad altre iniziative di formazione, i detenuti hanno avuto una partecipazione attiva e lavorato all’acquisizione delle tecniche teatrali e delle abilità espressive. "Il metodo teatrale è stato concepito nella sua nobile funzione catartica e terapeutica – spiegano gli organizzatori -. Difatti, attraverso le metodologie e le tecniche teatrali impartite, quali l’arte della parola, della mimica, dell’improvvisazione, della simulazione, dell’hic et nunc, il detenuto ha avuto la preziosa possibilità di conoscere meglio il suo corpo, di scoprirne i limiti, di far emergere paure e timidezze personali; è stato in grado di raggiungere una nuova consapevolezza del proprio Sé tramite la tecnica e l’esercizio teatrale svolto".

In scena andranno "Tutto è relativo", testo scritto da uno dei detenuti che hanno partecipato al laboratorio: una riflessione ironica e autoironica su alcuni momenti della vita carceraria; "Teatro off", rielaborazione di testi radiofonici comico-brillanti degli anni ‘70 e riadattamento per la rappresentazione teatrale; "La purga", rivisitazione di un testo di avanspettacolo degli anni ‘60. Negli intervalli gli attori reciteranno poesie e sonetti di Trilussa e Totò, monologhi tratti da Pirandello; inoltre interpreteranno brevi pantomime. Interverranno all’iniziativa Daniela Monteforte, Assessore alle Politiche per la Scuola della Provincia di Roma; Silvana Sergi, Direttrice della Casa di Reclusione di Civitavecchia; Francesco Florenzano, Presidente dell’Upter; Angelo Ruggieri, Presidente del Gisca.

Libri: viaggio nel regno dell’insensatezza, parla Daniela de Robert

 

Redattore Sociale, 17 febbraio 2006

 

Entrare nel carcere e parlare con chi abita al suoi interno significa innanzitutto scoprire, giorno dopo giorno, le "assurdità" che governano quel mondo: il carcere è il regno dell’insensatezza, delle regole inspiegabili e inspiegate, dell’impossibilità di comunicare, della difficoltà di sopravvivere. Daniela de Robert conosce bene questo mondo, dopo oltre 20 anni di volontariato presso il carcere di Rebibbia. Oggi le tante storie ascoltate, le domande rimaste senza risposta, la rabbia e l’indignazione di fronte a tante sofferenze immotivate sono diventate un libro: "Sembrano proprio come noi. Frammenti di vita prigioniera", pubblicato da Bollati Boringhieri e disponibile dal 23 febbraio in libreria.

 

Daniela, la tua esperienza in carcere continua?

Sì, regolarmente. Vado a Rebibbia almeno una volta a settimana. Ma poi ci sono i "compiti a casa".

 

All’inizio del tuo libro scrivi che il tuo viaggio "nella vita quotidiana delle carceri italiane parte dalla paura della libertà che accompagna molti uomini e molte donne nella loro prima uscita dal carcere, nei loro primi passi da persone libere". Puoi raccontarci meglio questa paura?

Il carcere disadatta alla vita, cambia la mente ma anche il corpo, disabitua alla normalità. Chi vive per 10 anni in un carcere, non conosce più la vita di fuori. Pensate a cosa accadeva negli anni ‘80: i detenuti che uscivano dal carcere non potevano riconoscere Roma, non avevano mai visto i tram, il traffico. Accade anche oggi: chi esce dopo 10 anni non sa cosa sia il kebab, guarda con stupore a tanti stranieri nella sua città. Chi esce non ha alcun punto di riferimento: se manca una famiglia solida alle sue spalle (come è nella maggior parte dei casi), non si sa davvero da dove cominciare: tanti si rivolgono a noi volontari, dopo essere usciti dal carcere, perché non hanno i soldi per comprare i biglietti dell’autobus. Sono completamente disorientati.

 

Purtroppo accade che da questo smarrimento nascano gesti drammatici, di cui i giornali spesso ci riferiscono. Cosa si potrebbe fare per ridurre questo disorientamento?

La città di Roma fa già tanto, ma purtroppo non basta. Soprattutto, occorre tener presente che per ben due terzi la detenzione in Italia è di tipo sociale.

 

Cosa intendi esattamente?

Vuol dire che la maggior parte dei detenuti presenta un disagio aggiuntivo: tossicodipendenza, malattia, disoccupazione, alcolismo. In carcere non trovi grandi criminali, ma soprattutto i poveri, i disagiati, che violano le leggi a causa di problemi sociali che il carcere non sa risolvere e che, una volta scontata la pena, sono sempre lì ad aspettarli. Un tossicodipendente in carcere non risolve niente.

 

Credi quindi che il problema sia a monte, cioè nei criteri che governano i provvedimenti di detenzione?

Sì, credo che la maggior parte di chi oggi è in carcere non dovrebbe starci. Le nostre carceri sono cassonetti sociali, pieni di persone "stonate", che come i rifiuti vengono gettati via e allontanati dalla comunità.

Nei giorni passati, sulle pagine di un quotidiano nazionale, si è accesa una polemica in merito alla figura del garante per i diritti dei detenuti. Sebastiano Messina criticava la battaglia che tante istituzioni e associazioni stanno portando avanti, per il riconoscimento istituzionale di questo ruolo.

 

Qual è la tua opinione in merito?

Messina è stato ingiustamente provocatorio: chiedeva, nel suo articolo, quando sarà istituito un garante per i diritti dei cittadini. Probabilmente crede, come la maggior parte degli italiani, che nelle nostre carceri siano garantiti i diritti e la sicurezza. Ma non è affatto così. La figura del garante, che già esiste a livello locale in diverse città, tra cui la nostra, ha bisogno di un riconoscimento giuridico e della forza istituzionale sufficiente per poter agire. Oggi non è così, spesso al garante è negato perfino il diritto di entrare nel carcere, mentre qualsiasi onorevole può accedervi senza alcuna difficoltà,. Il fatto che in Italia non si riesca a votare una legge per avere questo garante è uno dei segni di contraddizione del nostro paese.

Pescara: con il progetto Ametrix un lavoro per ex alcolisti e detenuti

 

Il Messaggero, 17 febbraio 2006

 

Creare opportunità, costruire occasioni. È con questo obiettivo che dopo il progetto "Streets" prende ora corpo "Ametris", area metropolitana per l’inclusione sociale, nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal II. Il progetto è volto al reinserimento nel mercato del lavoro di categorie ad alto rischio di emarginazione sociale: ex alcolisti, immigrati, ex detenuti, donne in difficoltà, ex tossicodipendenti, disabili, persone senza fissa dimora, che vivono in condizioni di estrema povertà. E dato che uno scoglio, spesso insormontabile, è rappresentato dalle imprese che tendono ad essere discriminanti nei confronti di persone che vivono un disagio, il progetto Ametris si rivolge anche a loro, in particolare a quelle presenti nell’area metropolitana Chieti-Pescara.

Grazie al programma "Aziende buone cittadine" - spiega l’assessore alle politiche comunitarie Massimo Luciani -, l’Unione industriali di Pescara si occuperà di sensibilizzare le aziende nei confronti dell’inserimento lavorativo di persone socialmente deboli e svantaggiate. Le imprese non saranno più lasciate sole, ma potranno conoscere i potenziali lavoratori grazie all’aiuto di un tutor, un operatore sociale, che farà da tramite tra azienda e lavoratore. Nel precedente progetto siamo riusciti ad istituire settantadue borse lavoro, spesso con contratti a tempo indeterminato: un vero successo. Unire produttività e solidarietà: questa la ricetta di Ametris.

Intanto sono già stati attivati sul territorio due centri per il lavoro assistito (a Pescara in via del Concilio 8), dove gli operatori incroceranno domanda e offerta di lavoro tra soggetti presenti nella banca dati e le imprese che aderiscono al progetto Ametris, favorendo l’occupabilità di persone a rischio di emarginazione sociale. Una sorta di welfare mix che per la prima volta vede la collaborazione tra le città di Pescara e Chieti. È un’iniziativa importante - ha detto l’assessore Grifone del Comune di Chieti - di integrazione sociale tra le due città.

Pesaro: troppi detenuti e pochi agenti, il sindacato dal prefetto

 

Il Messaggero, 17 febbraio 2006

 

Dell’emergenza che si è creata all’interno del carcere di Pesaro ma anche in quello di Fossombrone (troppi detenuti, pochi agenti di custodia) si interesserà il prefetto Luigi Riccio. Ieri mattina Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe (il principale sindacato autonomo della polizia penitenziaria) ha incontrato il prefetto per esporre la situazione.

"Il prefetto si è mostrato molto sensibile al problema - spiega Di Giacomo - e ha voluto sapere anche nei dettagli come stanno le cose. Abbiamo parlato per circa un’ora, alla fine il prefetto si è impegnato a segnalare il problema agli organi competenti". Di Giacomo ha ricevuto altre attestazioni di solidarietà da parte della Regione, nei prossimi giorni intende sollecitare incontri con il governatore Gianmario Spacca e il presidente della Provincia, Palmiro Ucchielli. "Noi non ci fermiamo - conclude il segretario del Sappe - e andiamo avanti con la nostra battaglia. Se non riceveremo risultati tangibili a breve, siamo pronti a forme di protesta anche eclatante". In effetti la situazione all’interno del carcere è esplosiva e, secondo il Sappe, sarebbero riconducibili al clima di tensione che si è creato a Villa Fastiggi anche i recenti casi di aggressioni subite da agenti di polizia penitenziaria (tre nel giro di due mesi). Il carcere ospita attualmente 266 detenuti, vale a dire un centinaio in più della capienza, mentre i rinforzi tanto attesi non sono mai arrivati e sono stati dirottati sul nuovo carcere di Ancona inaugurato di recente.

Immigrazione: il permesso di soggiorno ora si chiede alla posta

 

Ansa, 17 febbraio 2006

 

Niente più file alle questure, il permesso di soggiorno per gli immigrati si potrà chiedere agli uffici postali. È un altro passo verso questo traguardo il Protocollo d’intesa firmato oggi tra il ministero dell’Interno e i Patronati. Allo stesso scopo un’intesa è già stata siglata la scorsa settimana con le Poste italiane e un’altra seguirà a giorni con l’Anci. Una collaborazione messa in campo per semplificare le procedure di richiesta, rilascio e rinnovo dei permessi e titoli di soggiorno e offrire una migliore qualità dei servizi agli extracomunitari.

Le domande per i permessi si presenteranno agli uffici postali, e in alcune città pilota, agli sportelli comunali. Ai patronati spetterà il compito di informare gli stranieri sui documenti necessari e di aiutarli nella compilazione dei vari moduli. È previsto - spiega il Cepa (che rappresenta i patronati di Cisl, Uil, Cgil e Acli) - che gli istituti di patronato tramite un canale privilegiato, anche telematico, con il Dipartimento della Pubblica sicurezza, possano preinserire i dati su un sistema informatico, in modo da poter seguire l’iter della pratica e averne anche il relativo esito, informandone il cittadino straniero.

La firma del Protocollo odierno - afferma il Cepa - rappresenta una "rivoluzione culturale: nel prossimo futuro il titolo di soggiorno non sarà più una "autorizzazione di polizia", ma una "autorizzazione amministrativa" rilasciata dai Comuni, nell’ambito delle attività proprie dei Comuni, ai cittadini stranieri che avranno titolo a vivere e lavorare in Italia".

Droghe: date retta a Berlusconi, 200 spinelli dose consentita…

 

Redattore sociale, 17 febbraio 2006

 

"La vicenda della legge sulle droghe non è, a nostro parere, terminata". È quanto affermano Riccardo De Facci e Maurizio Coletti a nome del Cartello nazionale "Non incarcerate il nostro crescere". "Il Presidente Ciampi avrebbe fondati motivi per rimandare la legge: i profili di dubbia costituzionalità sono evidenti - continuano -. Anche se il dottor Fantoma, dirigente del Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga, considera ormai chiusa la vicenda e richiama tutti al lavoro per ‘sostenere la persona tossicodipendente" (cosa che gli operatori del settore non hanno mai smesso di fare), non vi è dubbio che la grande frattura tra coloro che hanno pensato, scritto, approvato e sostenuto la legge Fini-Giovanardi e l’immensa maggioranza degli operatori e delle strutture resta tutta intera. Ragioneremo su come si andrà a porre in pratica l’articolato e sulle risposte adeguate per difendere i nostri utenti da una legge cattiva e concepita ai soli scopi elettorali. Non è, certo, verosimile che il provvedimento sia sbandierato come il "vero no alla droga". Dimostreremo come, invece, esso si trasformerà in azioni che colpiranno inutilmente e gravemente molti giovani e le loro famiglie".

"Nel frattempo - continuano Coletti e De Facci -, vorremmo capire se esiste un giudizio unanime del Governo e della maggioranza sulla legge. A fronte di tanti panegirici che vengono da esponenti di An, fanno da contro altare le dichiarazioni che il Ministro Giovanardi attribuisce al Ministro Moratti: è, avrebbe detto il Ministro, una legge "troppo lassista" ed avrebbe richiesto perentoriamente modificazioni sostanziose per evitare gli effetti di "… una legge che liberalizza le droghe". I tentativi effettuati nelle ultime ore sono stati espliciti, anche se falliti".

"Se aggiungiamo anche che il Premier ha affermato (a Matrix) che la legge è liberale e che servirà a definire uno che "acquista 200 spinelli perché deve andare in un’altra parte del mondo e così ne fumerà uno al giorno" come un normale consumatore, l’unico conseguente giudizio da dare è di "perdonarli (evangelicamente), perché non sanno quello che fanno". E quello che pensano e che dicono". "L’unica spiegazione logica - concludono - è che a nessuno interessa veramente cosa accadrà di persone con problemi di dipendenza e di persone che fanno ricorso saltuario a droghe. Nel frattempo, è stato pubblicato l’elenco dei componenti della Commissione che dovrebbe precisate tecnicamente le quantità di ogni sostanza inclusa nel "tabellone" che farà da discrimine tra le condanne amministrative e quelle penali. Prendiamo nota che abbondano gli esperti legati direttamente ad An. Suggeriamo a tutti i componenti della Commissione di seguire le indicazioni di Berlusconi: fissare la dose consentita a 200 spinelli. Altrimenti sarebbe una sconfessione in piena regola del Presidente del Consiglio."

 

 

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