Rassegna stampa 16 dicembre

 

Giustizia: condannare il crimine, non l’indulto

di Clemente Mastella (Ministro della Giustizia)

 

Il Mattino, 16 dicembre 2006

 

Caro direttore, sono stato molto contento di aver trovato, sulla prima pagina del Mattino, la riflessione del professor Francesco Paolo Casavola il quale giustamente si chiede a quale montatura mediatico-giudiziaria avremmo assistito ancora una volta qualora il preteso autore della strage di Erba si fosse trovato in Italia e non in Tunisia.

Ha ragione infatti l’insigne giurista quando scrive che "si è pronti a sostituire la realtà con una verosimile e fittizia sceneggiatura". Eppure è così: il verosimile, spesso, piace e serve di più del reale. Ma tra i compiti della politica c’è anche quello di "educare alla civile convivenza", come afferma ancora Casavola riferendosi all’informazione. Ed è per questo che ci ostiniamo, nelle cose che facciamo, a ricercare la moderazione, il buon senso e la responsabilità, rispetto alle strumentalizzazioni, al sensazionalismo, all’emotività.

In questa chiave va inquadrata la vicenda della strage di Erba e la conseguente ennesima colpevolizzazione dell’indulto, quasi non si aspettasse altro per ribadire il nesso permanente tra la criminalità e il provvedimento di clemenza votato da due terzi del Parlamento, quindi da Ceppaloni ma anche da Arcore. Troppo facilmente dimentichiamo che quello criminale è un fenomeno radicato nella nostra realtà; così come spesso siamo portati a sottovalutare le tante ricerche sulla microcriminalità, specialmente urbana, che si sono accavallate dagli anni ‘80 in poi, e i vari risvolti della criminalità organizzata di cui diffusamente parlano libri, giornali e atti giudiziari.

E in questo Napoli è stata oggetto di approfondite analisi. Ebbene, se si ha presente questa radicata devianza sociale, non si può non rilevare che fare dell’indulto l’origine della criminalità piccola o grande è puramente strumentale e non contribuisce in alcun modo a risolvere i problemi reali della sicurezza dei cittadini. Per quanto mi riguarda, pur convinto di ciò, mi sono anche adattato al ruolo di capro espiatorio delle tensioni che ruotano intorno all’indulto, provvedimento del resto che non ho emanato come mio personale regio decreto, come ha ben ricordato ieri Casavola. Ma credo che sia giusto invitare opinione pubblica, giornalisti, operatori della giustizia a non scaricare sull’indulto ogni male e sia piuttosto doveroso applicarsi a risolvere i complessi problemi della lotta alla criminalità, del funzionamento della giustizia e della situazione nelle carceri. Il mio personale contributo sarà quello di presentare, alla scadenza del suo primo anno di applicazione, i dati sulla "recidività degli indultati" in modo da consentire a tutti una riflessione partecipata e non emotiva. Confermo quell’impegno nella convinzione che il mio compito di politico sia anche quello di contribuire all’educazione alla civile convivenza e nella speranza che gli "addetti ai lavori", a partire dall’informazione, facciano altrettanto.

Giustizia: dopo Erba esame di coscienza per tutti i giornalisti

di Francesco Paolo Casavola (Presidente Comitato nazionale per la Bioetica)

 

Il Mattino, 16 dicembre 2006

 

La strage efferata di Erba è occasione di un auto esame di coscienza collettivo dei giornalisti che informano sull’accaduto, di coloro che costituiscono il pubblico del luogo e degli altri innumerevoli lettori e spettatori dei media. Perché, a badar bene, tutti costoro siamo noi, con i nostri pregiudizi, pronti a sostituire la realtà con una verosimile e fittizia sceneggiatura.

Se tutto il castello di fantasie non fosse immediatamente crollato perché il preteso autore del delitto era altrove, in Tunisia e non in Italia, chissà quale montatura mediatica-giudiziaria sarebbe entrata stabilmente nelle nostre cronache nere. Analizziamo i tratti essenziali della invenzione romanzesca. Le vittime sono la moglie, la suocera, il piccolo figlio, due vicini di casa del presunto assassino.

La prima tessera del mosaico ricostruttivo ha questo significato: che è verosimile una cruenta tragedia endofamiliare, tanto siamo ormai assuefatti a omicidi consumati tra le pareti domestiche con autori e vittime legati da vincoli di sangue o coniugali. Che possa trattarsi di gesta di estranei sembra meno probabile. Non è questo il sintomo acuto di una perdita di senso della famiglia come luogo elettivo della tranquillità della vita?

Certo, la famiglia è stata fin dalla Grecia antica letta e rappresentata come luogo della tragedia. Ma proprio per rabbrividire e reagire dinanzi a vicende anomale, delle quali occorre rifiutare un perverso effetto di suggestione imitativa.

Oggi il funesto ricorrere di assassinii e massacri domestici induce a supporre, dinanzi a un non ancora decifrato scenario di luttuosa violenza, una causale familiare. Secondo tassello ricostruttivo è quello della estraneità etnica e culturale del preteso omicida. È l’antica paura dello straniero, che la modernità, malgrado la più intensa e diffusa relazionalità tra persone di varia nazionalità, lascia nel fondo di storiche eredità psicologiche.

La parola che serviva a esorcizzare la diffidenza istintivamente percepita per lo straniero valeva a indicarlo come ospite, con cui intrattenere un rapporto amichevole. Ebbene mutò significato e identificò il nemico contro cui combattere. Ancora per noi, quando le pulsioni istintive prevalgono sulla ragione, lo straniero è nemico.

Il vicinato è sempre pronto a fornire contraddittorie affabulazioni sugli interni familiari. Per gli uni risuonano di litigi, per gli altri di lieti e pacifici conversari. Infine, in condimento della particolare congiuntura italiana della vicenda, assume valore di suggello il fatto che il preteso congiunto omicida è uscito dal carcere in virtù del recente indulto, sgradito alla maggior parte dell’opinione pubblica, ma votato dai due terzi del Parlamento, e al quale si imputa un aumento (da verificare con i numeri) della criminalità.

Morale da ricavare è questa: i fatti accaduti, soprattutto della gravità della strage di Erba vanno lasciati a chi deve indagare sulle responsabilità di chi li ha prodotti. I media che li descrivono dovrebbero tenersi lontani dall’imbastire romanzi. E soprattutto, se informazione è anche educazione alla civile convivenza, far meno spazio possibile alle inclinazioni dell’immaginario collettivo per interpretazioni affrettate e di comodo di quanto accade.

Giustizia: Di Pietro; se continua così lasceremo l’Unione

 

Apcom, 16 dicembre 2006

 

"Basta, se continua così lasceremo l’Unione": al presidente dell’Italia dei valori e ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, non è propria andato giù il comma salva reati contabili contenuto nel maxi-emendamento alla Finanziaria licenziato ieri al Senato con il ricorso alla fiducia.

In un’intervista all’Unità, Di Pietro chiede al premier Romano Prodi l’apertura di un tavolo di maggioranza sulla giustizia perché "vogliamo discontinuità dalla Cdl". Io e l’Italia dei valori - dice - abbiamo combattuto per cinque anni le leggi ad personam del governo Berlusconi e con un sotterfugio viene introdotta questa norma che di fatto impedisce allo Stato di recuperare le somme di cui funzionari e dipendenti corrotti dello Stato si erano appropriati". Di Pietro avverte gli alleati: "Se le cose stanno così, allora per noi tanto vale passare all’opposizione".

Giustizia: Stefano Mogini capo di gabinetto del ministero

 

Apcom, 16 dicembre 2006

 

È Stefano Mogini il capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia indicato dal Guardasigilli, Clemente Mastella. Attualmente magistrato di collegamento a Parigi, Mogini sostituirà, dopo la delibera di collocamento fuori ruolo del Csm, Ettore Ferrara nominato capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Nato a Perugia il 3 gennaio 1958, consigliere di Cassazione, Mogini è già stato al ministero della Giustizia come direttore del Servizio di coordinamento affari internazionali del Gabinetto, negli anni 1998-1999. È stato componente del comitato scientifico del Csm, ha partecipato come delegato alla conferenza diplomatica per l’adozione dello statuto della Corte penale internazionale. È stato nominato cavaliere dell’Ordine nazionale della Legione d’onore da Jacques Chirac.

Giustizia: reati contabili, governo prepara un decreto

 

Ansa, 16 dicembre 2006

 

Di Pietro torna ad alzare la voce contro il suo stesso governo e chiede, subito dopo l’approvazione della Finanziaria, "un chiarimento politico sul tema della legalità e della giustizia". Bersaglio del ministro, già protagonista di una dura battaglia contro l’indulto, "un provvedimento disastroso per la credibilità dell’Unione", ovvero la norma inserita in finanziaria sulla "prescrizione di fatto per i reati contabili". In queste ore, anche su invito dei Verdi, il governo sta pensando ad un decreto legge per cancellare l’anticipo della prescrizione.

"È un emendamento - dice Di Pietro - che porta l’Unione a comportarsi alla Berlusconi. Io e l’Italia dei Valori abbiamo combattuto per cinque anni le leggi ad personam del governo Berlusconi e con un sotterfugio viene introdotta questa norma che di fatto impedisce allo Stato di recuperare le somme delle quali funzionari e dipendenti corrotti dello Stato si erano appropriati. È grave soprattutto perché questo emendamento carpisce la buona fede di chi come me al governo si è fidato del fatto che il maxi-emendamento governativo fosse nel pieno rispetto del programma dell’Unione e che oggi si trova ad avere una responsabilità oggettiva per un emendamento non concordato, non voluto, che mai avremmo approvato e che mai approveremo".

"Chiediamo - spiega Di Pietro - un chiarimento politico al governo e alla maggioranza, non per questa Finanziaria che ormai è agli sgoccioli e di cui il Paese ha bisogno e che approveremo. Ma per rimanere noi stessi dell’Italia dei Valori all’interno di una maggioranza, che sui temi della giustizia scimmiotta troppo il Centrodestra". Il ministro Bersani commenta: "Non so da dove sia sbucata questa cosa, spero che vi sia posto rimedio".

"Vi posso assicurare che vi sarà posto ben presto rimedio", risponde ai giornalisti il presidente del Consiglio Romano Prodi al Senato. In precedenza il relatore di maggioranza della Finanziaria, Gianfranco Morgando dell’Ulivo, aveva spiegato che la norma che ha sollevato anche le critiche della Corte dei Conti, dovrebbe essere cancellata con un decreto ad hoc. "Credo sia l’unica soluzione possibile - ha detto - e rappresenta anche una decisione incontestabile visto che c’è già un precedente. Due o tre anni fa, infatti, una norma della Finanziaria venne abrogata per decreto prima che la finanziaria stessa entrasse in vigore".

Giustizia: Erba; nuova svolta, forse il killer è un italiano

 

Affari Italiani, 16 dicembre 2006

 

Un uomo, italiano, nessun altro con lui. È l’ ultima ipotesi che sta facendosi largo fra gli investigatori impegnati da quasi una settimana per individuare chi lunedì sera ha compiuto il massacro di Erba uccidendo quattro persone, tra le quali un bimbo di appena due anni.

Una convinzione che sarebbe nata dopo quel poco che pare abbia raccontato l’unico superstite dell’eccidio, Mario Frigerio, ora in pericolo di vita e non solo per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Almeno ufficialmente, dall’ospedale Sant’Anna di Como si ribadisce che il quadro clinico è particolarmente grave.

L’uomo, in ogni caso, è sorvegliato a vista. A suffragare questa ipotesi, però, ci sarebbero anche gli esiti dell’autopsia che avrebbe stabilito in due tempi le modalità del massacro: prima Raffaella Castagna, la mamma Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini sarebbero state colpite violentemente con un pesante corpo contundente che avrebbe fracassato loro la testa. Un oggetto non molto affilato come ad esempio una vecchia accetta mezza arrugginita. Successivamente sono state poi prese a coltellate e, infine sgozzate. Solo il piccolo Youssuf è stato risparmiato dal pestaggio mentre Frigerio dopo essere stato picchiato con inaudita violenza, è stato ripetutamente accoltellato.

Lo sgozzamento finale non è riuscito solo per la particolare conformazione del collo che gli ha protetto le vene. In ogni caso appare difficile che solo una persona abbia potuto commettere una mattanza di simili proporzioni; non è stata opera di una lucida, ragionata follia omicida, ma di professionisti. Gente pagata per uccidere. Specialisti nel settore del delitto che poi hanno tentato di cancellare ogni sua traccia appiccando l’incendio.

Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto alla mattanza, rischia di perdere la memoria dell’accaduto. Lo ha detto l’avvocato Manuel Gabrielli, incaricato dai due figli,: "Secondo i medici c’è il pericolo che Frigerio, per una forma di autoprotezione, si chiuda in se stesso, finendo per cancellare" il ricordo dei tragici fatti a cui ha assistito.

Giustizia: Erba; per inquirenti Marzouk sa nome del mandante

 

Affari Italiani, 16 dicembre 2006

 

Nuovo lungo interrogatorio per Azouz Marzouk. Da lui gli investigatori coordinati dal procuratore Capo Alessandro Maria Lodolini e dal sostituto Simone Pizzotti sperano di trovare la chiave di volta per risolvere il giallo sul ferocie eccidio di Erba. Gli inquirenti sono convinti che lui sappia il nome del mandante. Con quello di stanotte è il terzo interrogarlo cui viene sottoposto il giovane marito di Raffaella Castagna, una delle quattro vittime. Cosa abbia raccontato non è dato da sapere. Per ora nulla filtra dal muro eretto in Procura. Di sicuro nei suoi confronti nessun provvedimento. In queste ore è pure circolata la voce di un fermo, ma non vi sono riscontri.

Giustizia: Erba; il procuratore; sullo sfondo una storia di droga

 

Affari Italiani, 16 dicembre 2006

 

"Stiamo seguendo due piste, una in particolare". Lo dice il procuratore capo di Como, Alessandro Maria Lodolini, confermando anche che "Marzouk ha fornito alcune indicazioni su come muoversi" per arrivare agli autori della strage di Erba considerati dallo stesso capo della Procura lariana "veri killer professionisti". Pur sottolineando che "nessuna pista viene esclusa", Lodolini, circondato dai giornalisti, oggi pomeriggio ha ammesso che "sta prendendo forma una pista preferita", quale non l’ha spiegata "per ragioni investigative" come neppure è entrato nel merito delle "utili indicazioni fornite da Azouz" che proprio stamani agli stessi giornalisti aveva detto "non c’entro nulla, nulla so" ma soprattutto quella criptica frase: "Non ho paura di nessuno".

E se Lodolini non si sbilancia a parole, indiscrezioni lasciano intendere che è proprio nel mondo della droga che bisogna cercare per trovare "quegli animali che hanno distrutto la mia famiglia", come definiti stamani dal 25enne tunisino inizialmente sospettato di essere l’autore del massacro.

Giustizia: Erba; il criminologo Lavorino, sono killer non italiani

 

Affari Italiani, 16 dicembre 2006

 

"Soggetti che hanno la stessa cultura del padre. Lo scenario della vendetta indiretta verso Marzouk, nell’ambito dello spaccio e delle vendette trasversali etniche, è la più probabile". Il criminologo Carmelo Lavorino, intervistato da Affari, tende ad escludere la matrice della criminalità italiana per la strage di Erba.

 

Come si spiega questo feroce accanimento sul corpo del bambino?

"È probabile che lo abbiano torturato per indurre la madre o la nuora ad avere notizia di qualcosa che è poi l’oggetto del contendere".

 

Che idea si è fatto della mattanza di Erba anche tenendo conto dei risultati delle autopsie da cui emerge un accanimento feroce sui corpi delle vittime, soprattutto sul corpo del bambino?

"Ci troviamo di fronte a soggetti sadici che hanno perso il controllo. Sicuramente fanno parte di un gruppo criminale che ha agito o per vendetta visto che hanno sterminato una famiglia. Soggetti con un forte spessore criminale, persone pregiudicate, verosimilmente uno di loro si è ferito ed è per questo che hanno bruciato tutto per cancellare tracce biologiche e digitali. Per quanto riguarda l’accanimento sul piccolo c’è una spiegazione..."

 

Quale?

"O l’obbiettivo primario era il bambino stesso, oppure lo hanno torturato per indurre la madre o la nuora ad avere notizia di qualcosa che è poi l’oggetto del contendere".

 

La madre in tutto questo c’entra qualcosa?

Fermo restando che lo scenario della vendetta indiretta verso il padre nell’ambito dello spaccio e delle vendette trasversali etniche è la più probabile c’è anche l’ipotesi che i killer volessero vendicarsi nei confronti dei parenti della madre viste le sue frequentazioni".

 

Che origini avrebbero i killer?

"Soggetti che hanno la stessa cultura del padre, anche se non va dimenticato che la madre spaziava sempre in quel tipo di contesto e di ambienti. Potrebbe esserci una sovrapposizione di aree e di moventi".

Milano: riprende serie tv "Belli dentro" girata a San Vittore

 

Corriere della Sera, 16 dicembre 2006

 

Torna la sitcom Belli Dentro con le puntate inedite della seconda stagione. La divertente serie, nata da un’idea dei detenuti del carcere di San Vittore (Milano), sotto la guida di Emilia Patruno, mette in scena storie di ordinaria quotidianità carceraria con ironia e leggerezza e racconta la vita dietro le sbarre senza stereotipi tipici quali la sofferenza e l’isolamento.

Grazie alla bravura dei comici di Zelig, la sitcom trasmessa dalla rete ammiraglia Mediaset ha ottenuto la scorsa stagione dei buoni risultati e, visto che cavallo vincente non si cambia, i protagonisti sono stati riconfermati per una nuova edizione ricca di gag e di situazioni imbarazzanti. L’ironia di Geppi Cucciari, di Brunella Andreoli, di Leonardo Manera, Stefano Chiodaroli, Claudio Batta e Alessandro Fullin (con partecipazioni di guest star del mondo dello show biz) è pronta a coinvolgere ancora una volta il pubblico italiano che, durante l’ora di pranzo del sabato desidera passare e talvolta riflettere per 30 minuti circa di spensieratezza.

Tornano così le vicende di Gonni, Lilli, Iolanda, Ciccio, Mariano e Eugenio: dal cucinare all’imbastire un vestito per Halloween; dal far ginnastica al riuscire a parlare con la propria moglie; anche i gesti più semplici diventano difficili in situazioni di privazione.

Lettere: da Livorno scrive Faical... candidato all’espulsione

 

Dentro e Fuori le Mura, 16 dicembre 2006

 

Sono di nazionalità tunisina e di religione islamica, vivo in Italia da 17 anni con regolare permesso di soggiorno, sposato con tre figli minori di 9 anni, 6 anni e 3 anni. Mia moglie e i miei figli vivono in una casa popolare a Cremona, i miei bambini, tre bambini, frequentano le scuole italiane. La mia felice vita con i miei familiari è stata trafugata dalla giustizia italiana che ha trasformato la mia felicità e la vita dei miei familiari in un incubo infinito.

Sono stato condannato al primo grado a 8 anni di reclusione, ho già espiato circa 4 anni di carcere, mi tocca l’indulto per una pena satellite (accessoria) con il 270 bis, ho l’intenzione di concordare la pena in appello per soli motivi di pragmaticità e non certo come riconoscimento di una qualsivoglia responsabilità che non ho mai avuto perché innocente di quanto accusato.

L’importante è ritornare alla mia famiglia a questo punto mi rimangono circa 6 mesi da espiare. In questi 6 mesi può succedere di tutto cioè la mia espulsione verso il paese d’origine, il mio grande timore è questa espulsione decretata dalla Corte d’Assise di Cremona. In questo caso mi rivolgo a voi come garantisti, la mia vita è in pericolo, come sapete la Tunisia dove non esiste il diritto, soprattutto per noi oppositori islamici, il diritto e la legge sono sospese o addirittura cancellati.

Ci sono tanti islamici espulsi dal Ministro dell’interno Pisanu. Non hanno dato segno di vita. Alcuni siamo riusciti ad avere notizie, dicono che dopo la loro consegna d parte della polizia italiana ai loro colleghi tunisini, sono stati torturati in una maniera atroce e disumana, per obbligarli a firmare dei verbali di pura fantasia e falsità.

Vari organismi umanitari nazionali e internazionali hanno già e continuano a denunciare le varie violazioni dei diritti dell’uomo per il trattamento del regime tunisino come ad esempio Amnesty Internazional e Human Right.

Di fronte a questa grave situazione della violazione dei miei diritti e la tortura psichica che subisco in caso di espulsione, più la tortura che subiscono i miei familiari in caso del mio allontanamento, vi lascio immaginare il loro stato d’animo in caso di espulsione che è in contrasto con le leggi vigenti italiane e internazionali.

 

Boughanemi Faical, Carcere di Livorno

Campobasso: caso Izzo; Maiorano tenta suicidio in carcere

 

Il Mattino, 16 dicembre 2006

 

Dopo lo scontro con Angelo Izzo avvenuto ieri in Tribunale a Campobasso, Giovanni Maiorano, padre e marito delle vittime del massacro di Ferrazzano (Campobasso), tornato nel carcere di Secondigliano (Napoli), ha tentato il suicidio ingoiando 18 pasticche di tranquillanti. A riferire l’accaduto è la madre Matilde che è riuscita a parlarci qualche ora dopo l’accaduto.

"Stava male - ha raccontato - non riusciva nemmeno a parlare. Mi ha detto che se continua così si impiccherà". La madre si è poi sfogata. "I nostri appelli sono sempre rimasti inascoltati - ha detto - chiediamo solo di prendere provvedimenti, dopo mia nuora e mia nipote stanno ammazzando anche lui". I famigliari chiedono da tempo che Maiorano possa lasciare il carcere di Secondigliano e che possa andare in un penitenziario meno duro."Non merita tutto questo - ha affermato ancora la madre - non basta quello che ha subito, ha perso la famiglia e ora lo stanno torturando". Gli stessi famigliari hanno poi voluto fornire un chiarimento sullo scontro avvenuto ieri in aula.

"Mio figlio non voleva aggredire nessuno - ha detto la madre Matilde - Angelo Izzo ci ha provocato, è tutto falso quello che è stato detto, ci ha guardato e ci sorrideva. Giovanni è stato sempre tranquillo per un anno e mezzo è la prima volta che decide di reagire e ora sta male per quello che è accaduto, lui non voleva".

Usa: ucciso con iniezione letale, ma l’ago era fuori vena

 

Associated Press, 16 dicembre 2006

 

Un’agonia durata ben 34 minuti, provocata molto probabilmente da un ago che "non è riuscito" a trovare la vena e dunque non è stato capace di mettere in circolazione il cocktail velenoso che lo avrebbe dovuto uccidere. Non è stato un problema al fegato, contrariamente a quanto si era pensato all’inizio, a ritardare la morte di Angel Nieves Diaz, il portoricano di 55 anni la cui esecuzione è avvenuta nel braccio della morte dello stato della Florida.

Secondo i risultati preliminari resi noti da William Hamilton, medico legale che ha condotto l’autopsia sul cadavere di Diaz, l’agonia sarebbe stata provocata infatti da un’iniezione che avrebbe mancato la vena; l’ago, invece di centrare la vena, avrebbe penetrato la carne del detenuto.

"Non risponderò alle domande sul dolore e la sofferenza (provati da Diaz), almeno fino a quando l’autopsia non sarà terminata", ha detto Hamilton. Sta di fatto che il risultato ha scatenato un’ondata di polemiche tra i gruppi attivisti, ed è riuscito addirittura a convincere il governatore uscente della Florida, Jeb Bush - fratello del presidente Usa George W. Bush e figlio dell’ex presidente George H. Bush - a sospendere le esecuzioni in Florida, almeno fino a quando la commissione da lui incaricata di studiare il processo dell’iniezione letale presenterà un rapporto finale, ossia fino a marzo.

Il governatore ha motivato la propria decisione sottolineando che è importante assicurarsi che l’iniezione letale non si traduca in una punizione cruenta e dolorosa. Insieme al Texas, lo stato della Florida ha il braccio della morte più grande degli Stati Uniti; sono al momento 374 i detenuti dello stato che aspettano di morire con l’iniezione letale.

Immediata la reazione di Suzanne Myers Keffler, avvocato difensore di Diaz che, nell’apprendere quella che sarebbe stata la vera ragione dell’agonia di Diaz, ha parlato "di negligenza assoluta da parte dello stato". "Quando lo hanno visto muoversi ancora dopo la prima iniezione di farmaci, avrebbero dovuto capire che c’era qualcosa che non andava - ha detto Keffler -. Non avrebbero dovuto continuare. Questo mostra una mancanza di rispetto assoluta per Diaz. È qualcosa di disgustoso". Nieves è stato il 21esimo uomo giustiziato da quando Jeb Bush è diventato governatore dello stato della Florida, e il quarto dagli inizi di quest’anno.

Un altro duro colpo al metodo dell’iniezione legale - adottato in 37 dei 38 stati americani in cui è vigente la pena di morte (il Nebraska ricorre ancora alla sedia elettrica) - è arrivato in California, con il giudice distrettuale di San Francisco, Jeremy Fogel, che ha imposto una moratoria a tutte le esecuzioni nello Stato. Il sistema che prevede l’iniezione letale "si è inceppato", ha commentato il giudice nella clamorosa sentenza, "ma sarà possibile aggiustarlo". Il tribunale federale ha dichiarato in definitiva incostituzionale il ricorso all’iniezione letale.

Difficile prevedere quali saranno i risvolti legali in entrambi i casi. Da segnalare che la Corte Suprema americana ha lasciato irrisolto un interrogativo che ora si sta facendo strada, ossia quello che solleva dubbi sulla costituzionalità del dolore arrecato a chiunque, anche a chi è stato condannato a morte.

Molti attivisti hanno contestato la tesi secondo cui l’iniezione letale sarebbe indolore, sottolineando che, nel corso dell’iniezione del cocktail di farmaci, il detenuto accusa un dolore molto forte, che l’agente paralizzante, presente nel cocktail di farmaci, vieta a chiunque di vedere.

 

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