Rassegna stampa 3 aprile

 

Giustizia: il piccolo Tommaso e la politica

di Sergio Cusani e Sergio Segio

 

Redattore Sociale, 3 aprile 2006

 

Sergio Segio e Sergio Cusani richiamano la responsabilità dei politici nel cavalcare l’onda delle emozioni e nel dimenticare la battaglia per l’abolizione del carcere a vita.

"La vicenda del piccolo Tommaso è così terribile da lasciare sgomenti. Il dolore dei genitori e dei parenti vede l’abbraccio di tutto il Paese, rimasto senza parole. Davanti a fatti di tanta gravità, comprensibilmente tra la gente si alzano voci che chiedono il taglione, il rigore senza appello. È una reazione naturale, uno sfogo per allontanare da sé un male così orrendo e feroce. Ma le leggi e la politica giudiziaria, per fortuna, non si fanno (non si dovrebbero fare) sull’onda delle emozioni e delle indignazioni, per quanto fondate e da tutti condivisibili siano". Sergio Cusani e Sergio Segio, in una nota, ricordano la tragedia di Parma ma invitano a non perdere di vista la situazione reale del carcere. Per i due, infatti, "meno comprensibili sono le invocazioni di taglioni e rigori da parte della politica, cui spetta la responsabilità, anche, di aiutare i cittadini a incanalare indignazione e rabbia in modo razionale. Ancora meno comprensibili sono certe voci che si sono levate da autorevoli esponenti delle forze politiche della sinistra, in particolare dei Comunisti italiani, nonché dal segretario dei Verdi, che hanno invocato una pena dell’ergastolo, senza possibilità di sconti. E chissà cosa ne pensa il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, che inaugurò la legislatura che lo vide ministro della Giustizia con solenni e ripetute dichiarazioni e promesse di abolizione della pena dell’ergastolo; abolizione considerata addirittura come una priorità. Ma chissà anche cosa ne pensano i 107 senatori (a fronte dei 51 contrari e 8 astenuti) che il 30 aprile 1998 votarono a favore dell’abolizione di questa pena, che la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile solo perché, in effetti e in concreto, non sarebbe una pena perpetua (ovvero, nella misura in cui siano applicabili, sia pure discrezionalmente, quelle riduzioni per buona condotta previste dalla legge per tutti i detenuti)".

"Dopo il voto positivo al Senato - ricordano Segio e Cusani -, la legge si arenò alla Camera. Ciò non toglie che molti di quei 107 senatori siano ancora in Parlamento. Sanno e vogliono dirci come la pensano e cosa eventualmente sia cambiato? L’onorevole Rutelli sa spiegare meglio perché vorrebbe pene ancor più rigide di quelle attuali? Cosa c’è dopo l’ergastolo, se non la pena di morte? Naturalmente, non abbiamo certo la pretesa che queste spiegazioni siano dovute a noi, che, se pure da tempo impegnati nel volontariato e sulle questioni carcerarie, in passato abbiamo avuto responsabilità gravi, seppure diverse, nella lesione delle regole e delle leggi. Se prendiamo parola è solo perché ci è parso che vi sia un preoccupante e generalizzato silenzio sugli aspetti che qui rimarchiamo".

E continuano: "Pure, per la propria natura pubblica, la politica deve essere chiamata a motivare pubblicamente posizioni e proposte, non potendosi limitare a lanciare dei sassi, a fingere di nulla e a cavalcare l’emotività del momento per raccogliere, forse, qualche consenso. Si assiste in questi anni al fatto che, prescindendo evidentemente dalle posizioni di alcuni, cambiata, di sicuro e in generale, è la politica: sempre più indirizzata a promuovere e assecondare paure e insicurezze nei cittadini, anziché adoperarsi per il loro governo e per la rasserenazione sociale. Una politica che si contenta dell’effetto annunciò e della navigazione a vista, senza più sapere proporre una visione del mondo, una coerenza tra valori dichiarati e programmi perseguiti. Una politica che dovrebbe, in alcune occasioni, sapere anche tacere. La morte del piccolo Tommaso probabilmente è una di queste". "Mentre la cronaca ci consegna altri episodi, che invece richiederebbero interventi decisi e precisi - continuano -. Quale quello che ha visto un ragazzo di 19 anni colpito a Como alla testa da un proiettile esploso da un vigile di una delle pattuglie speciali istituite dal sindaco e dall’amministrazione cittadina per contrastare i giovani writer. Rumesh, il giovane cingalese ferito, ora è in coma e lotta contro la morte, mentre in città diverse manifestazioni gli testimoniano solidarietà, ma anche chiedono che i responsabili politici che hanno voluto quel contestato nucleo speciale ne rispondano con le dimissioni. Qui invece la politica tace. E di nuovo abdica al suo ruolo e alla sua funzione alta. Una funzione di cui si sente sempre di più la mancanza. Specie adesso, sotto elezioni, quando bisognerebbe poter capire per sapere scegliere".

"Quando cesseranno le grida e sarà passato il momento del voto - concludono Segio e Cusani -, forse verrà il tempo per riflessioni serie (e politiche) all’altezza su questi delicati problemi. Ma, intanto, altre tossine e culture negative saranno state irrimediabilmente introdotte nel corpo sociale, dove sedimentano producendo danni che poi diventano quasi irreversibili".

 

Sergio Cusani e Sergio Segio

Giustizia: ora c'è uno scontro elettorale sulla pena di morte

 

La Stampa, 3 aprile 2006

 

Lo choc entra di prepotenza nelle case, negli stadi, nei blog; un mese di speranze svanite in un battito, e gli italiani reagiscono, ciascuno alla propria maniera: "Arrestarli? Non è il caso, date a noi gli assassini di Tommaso", scrivono i tifosi del Napoli; su uno striscione allo stadio di Firenze: "Pena di morte"; durante un’altra partita, poi, a Udine, i giocatori del Parma portano il lutto e i tifosi di casa li accolgono con applausi, "Tommy vive".

 

I messaggi

 

Sì, qualcosa accade nell’animo degli italiani. In poche ore sono giunti sul sito Internet dedicato al bambino rapito un migliaio di messaggi. Raffiche di parole.

"Sono indignata - scrive una signora - appena l’ho saputo mi si è gelato il sangue. L’unica mia speranza adesso è che venga fatta giustizia e che gli "artefici" di questo fatto vengano puniti giustamente, anche se speranze ne ho poche visto che col bel governo che ci troviamo uccidi una persona e dopo 6 mesi sei fuori".

Un altro: "Ai giudici vorrei dire: pene più severe e non mettete in libertà quei demoni dopo 5 anni appena di carcere come avete fatto con quella bestiaccia". Oppure: "Spero che quando andranno in carcere, quello sia l’ultimo luogo che vedranno. Spero che i detenuti facciano giustizia anche loro. Non uccideteli. Torturateli".

 

Diviso il centro-destra

 

È davvero un’Italia profonda quella che trova a fatica le parole per commentare l’accaduto.

Gli uomini politici, impegnati per la campagna elettorale, se ne accorgono presto. Pier Ferdinando Casini, il presidente della Camera, dice: "Se non fossi cristiano...". Ed è forte la proposta di Mario Baccini, anch’egli dell’Udc: "Non parliamo di pena di morte, ma i lavori forzati, quelli sì". E però proprio l’incombenza della campagna elettorale un po’ li frena. Sulla pena di morte, ad esempio.

 

"Molta gente ci penserebbe bene prima di infierire sui bambini", afferma Luca Romagnoli, della Fiamma tricolore. Nella piccola arena dell’estrema destra gli fa eco la concorrente Alessandra Mussolini: "Vanno giustiziati. Occorre subito un referendum per chiedere al popolo italiano l’istituzione della pena di morte per chi uccide i bambini". Ma curiosamente si nega proprio Adriano Tilgher, il suo alleato: "Una civiltà evoluta non risponde alla morte con la morte".

Anche tra i leghisti c’è chi va subito alla carica. Il senatore Ettore Pirovano, ad esempio ("Ma a titolo personale"). E Roberto Calderoni, che certo non è uno dei più moderati, pur comprendendo la rabbia del collega, dice: "Mi accontenterei di una condanna a morte sociale per i colpevoli, ovvero metterli in galera e gettar via le chiavi". Maurizio Gasparri prova a spingere sull’acceleratore delle emozioni. Ma soltanto un pochino e con accenni obliqui: "Visto che siamo di fronte alla confessione dell’assassino, l’Italia vorrebbe una pena che il nostro ordinamento non prevede".

La sua proposta è "un giudizio che lo condanni all’ergastolo già lunedì. Non c’è bisogno di nessuna lungaggine burocratica". Gianni Alemanno è più chiaro: "Io sono sempre stato contrario alla pena di morte perché è contraria sia al diritto naturale sia alla dottrina della Chiesa. Mi auguro che la magistratura li condanni con rapidità".

 

"Pene severissime"

 

Anche dalla barricata opposta avvertono che l’emozione popolare è forte. Scende in campo Marco Rizzo, eurodeputato dei Comunisti italiani: "Resteremo sempre contrari alla pena di morte, ma in questi casi orribili e tragici occorre la certezza di un ergastolo senza sconti di pena". O Salvatore Buglio, l’ex diessino, passato alla Rosa nel Pugno: "Per questa gentaglia non c’è pietà e non c’è redenzione. Bisogna metterli in cella e buttare via la chiave: carcere a vita".

 

I leader in campo

 

A sera intervengono i leader. Ed è subito campagna elettorale. Berlusconi chiede "senza indulgenze le pene severe previste dal nostro ordinamento". Prodi si sente "in uno stato di profondo dolore e incredulità". Fassino si dice scosso: "Ci vuole una giustizia ferma verso chi ha tolto barbaramente la vita a un bambino innocente". Bossi ricorda che "persino le tribù più primitive rispettano i bambini. Noi invece abbiamo cancellato questo tabù e la pazzia si insinua nella testa della gente".

Ma s’innesca presto anche la polemica. Rutelli se la prende con il centrodestra: "Hanno fatto una serie infinita di leggi a tutela di Berlusconi e dei suoi amici, mai a tutela dei più deboli". Cicchitto s’offende: "Dichiarazione semplicemente ignobile". Castelli precisa: "È previsto l’ergastolo con isolamento diurno, pena oltre la quale c’è solo la morte. Forse è quello che Rutelli auspica".

Sull’argomento interviene anche la Comunità di Sant’Egidio con un comunicato dove definisce "barbarie inaccettabile" la sofferenza imposta al piccolo Tommaso. Ma al tempo stesso ribadisce come "nessuna morte inflitta dallo Stato restituisca mai la vita, anzi fa crescere una cultura di morte".

Giustizia: Romagnoli (Fiamma); serve la pena di morte

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Se nel nostro ordinamento fosse prevista la pena di morte, molta gente ci penserebbe bene prima di infierire sui bambini". Lo ha detto oggi a Potenza il segretario nazionale della Fiamma Tricolore, Luca Romagnoli, a margine di una iniziativa elettorale. "Il nostro programma - ha continuato Romagnoli - prevede che i delitti efferati contro l’infanzia, le pratiche pedofile, le libidini violente sui bambini, siano sanzionati con il carcere a vita, senza la possibilità di sconti di pena". Secondo Romagnoli, "la società deve però prevedere anche la pena di morte, perché la stessa società non si può far carico di delinquenti che, con sconti di pena o con falsi pentimenti, possono poi tornare in circolazione".

Giustizia: Unione; le televisioni parlino della "questione sicurezza"

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Auspichiamo che i telegiornali e le tv nelle prossime ore affrontino la questione sicurezza avendo attenzione a quanto è stato fatto, o meglio non fatto, sul tema dalla maggioranza in questi cinque anni". Lo chiedono in una nota a nome dell’Unione i parlamentari Mario Cavallaro (Margherita), Valerio Calzolaio (DS) e Tommaso Sodano (PRC). "Al dibattito sulla pena capitale sì o no - aggiungono a proposito del dibattito dopo l’uccisione del piccolo Tommaso Onofri - dovrebbe sostituirsi piuttosto una riflessione in punto di fatto su una intera legislatura sprecata su questi temi, con il Parlamento costretto per mesi e mesi ad occuparsi dei problemi giudiziari del premier e della sua ristretta cerchia". "Paradigmatico - secondo i tre parlamentari del centro sinistra - il caso della ex-Cirielli che ha aperto sì le porte del carcere a chi si macchia di reati gravissimi; non per entrare, però, ma per uscire. Da una valutazione spassionata della attività della maggioranza sui temi della sicurezza e della giustizia in questi 5 anni - aggiungono - emerge la totale assenza di provvedimenti efficaci, capaci di assicurare certezza della pena e sicurezza dei cittadini". "Ci auguriamo - concludono Cavallaro, Calzolaio e Sodano - che il dibattito televisivo su questi temi parta da questi fatti, e si attenga a quanto è stato fatto in Parlamento, precisando responsabilità e latitanze, come quelle della CdL, nel dare risposte ai cittadini".

Giustizia: La Russa (AN); no all’abolizione dell’ergastolo

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Io non sono favorevole alla pena di morte, come qualcuno che oggi chiede il cambiamento della legge in relazione alla tragedia del piccolo Tommaso Onofri. Credo che la pena peggiore per una persona sia dovere stare in carcere a lungo, se non tutta la vita, a riflettere sul male che ha fatto. Penso però alla sinistra che di fronte ad episodi sempre più efferati addirittura si preoccupa che non ci debba nemmeno essere scritta la parola ergastolo sulla sentenza, quando già l’ergastolo vero non c’è più per nessuno". È il commento alla morte del piccolo Tommaso del presidente dei deputati di An Ignazio La Russa, intervenuto all’hotel "La Piroga" di Selvazzano Dentro (Padova) ad un incontro elettorale organizzato dalla federazione di Padova del suo partito. "Con l’abolizione dell’ergastolo - ricorda La Russa - Mario Alessi potrebbe essere scarcerato dopo dieci o dodici anni. Il che mi sembra una pena davvero ridicola di fronte ad un reato efferato come questo".

Giustizia: Ardita (Dap); colpevoli andranno in un carcere protetto

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

I colpevoli del sequestro e dell’uccisione del piccolo Tommaso Onofri rischiano il linciaggio da parte degli altri detenuti - perché il crimine che hanno commesso è uno dei più esecrati dal "codice d’onore" dei reclusi - e per questo saranno sempre tenuti in una sezione protetta del carcere dove espieranno la condanna, e non entreranno mai in contatto con nessuno. Lo rende noto Sebastiano Ardita, responsabile del trattamento dei detenuti al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "Appena saranno finiti gli interrogatori di garanzia e verrà convalidato il fermo - ha detto il dirigente - provvederemo all’assegnazione penitenziaria delle persone coinvolte in questo terribile delitto e li metteremo nelle sezioni protette per garantire la loro incolumità e l’esecuzione della pena alla quale non devono essere sottratti". Il carcere di Parma ha le aree protette. Questo meccanismo di assegnazione scatta a tutela di chi ha compiuto crimini di "particolare riprovazione sociale". Proprio stamani in un comunicato, l’Associazione detenuti non violenti, ha espresso "rabbia, indignazione e dolore" per la morte di Tommy, di appena diciotto mesi. "Siamo vicini alla famiglia del piccolo Tommaso, i loro carnefici meritano una giusta punizione e - ha scritto il presidente Evelino Loi - non potranno sfuggire all’ira ed alla rabbia di tutti i detenuti delle carceri italiane". Per i funerali del bambino, i detenuti osserveranno una giornata di lutto e, per chi vuole, anche di raccoglimento con i cappellani delle carceri.

Giustizia: Calderoli; Rutelli è ignorante su leggi della giustizia

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Rutelli è un assoluto ignorante della materia, proprio non conosce alcunché o viceversa non ha frequentato troppo il Parlamento e quindi non sa che queste leggi non sono cambiate per quello che riguarda la pena. Io credo che il problema non sia la pena ma quella soggettività che lascia al magistrato la possibilità di ricorrere a pene alternative e a riti abbreviati che determinano il fatto che la certezza della pena diventa un’assoluta incertezza". Così Roberto Calderoli, coordinatore delle segreterie della Lega, nel corso di un’intervista al Gr3, commenta le dichiarazioni del leader della Margherita che ieri hanno suscitato le polemiche della Cdl. La pena di morte non passerà ma voi della Lega vi impegnate a proporre nel prossimo parlamento il carcere duro come ai mafiosi per chi massacra o sevizia un bambino? "È gia presente nel nostro programma proprio l’impossibilità ad accedere a tutti i benefici di legge nel caso di reati contro la persona, in particolare delle donne e dei bambini".

Parma: "Non li vogliamo", i detenuti minacciano gli assassini

 

Il Giornale, 3 aprile 2006

 

Gli articoli di questo codice nessuno li ha mai scritti, ma sono rigidissimi e insindacabili. Al primo comma: i bambini non si toccano. È la legge interna del carcere, dove si possono portare tante colpe, ma non questa. Se ne sono resi subito conto gli assassini di Tommy, l’altra notte. Un semplice assaggio di quel che li aspetta, oltre al conto dello Stato supremo. Il testimone che racconta l’arrivo dei due manovali infanticidi al carcere di Parma, nel cuore della notte, subito dopo le confessioni e i sopralluoghi con gli inquirenti, è uno dei cappellani, padre Celso. "S’è creata subito tanta agitazione. I detenuti hanno capito dalle sirene che stavano arrivando gli assassini di Tommy...". Padre Celso è ancora incredulo. "Io sono abituato alla vita nelle carceri. Ma una cosa così non l’avevo mai vista. All’improvviso dalle celle sono partite le prime urla, quindi è stato un crescendo di invettive e di clamori". Che cosa urlavano, i carcerati? "Urlavano che questa gente non doveva entrare nel loro carcere. Non li vogliamo, non li vogliamo. Sono andati avanti un’ora, si sentivano da lontano...". E minacce, ne sono volate? Padre Celso abbassa gli occhi, lo dice a malincuore, ma lo dice: "Sì, hanno promesso vendetta. Li hanno accolti a male parole. Purtroppo". Padre, la rabbia è forte. "Sì, però l’unica strada possibile è ricominciare". Ma corrono rischi seri, gli assassini di Tommy? "Nel carcere di Parma sono garantiti. Spero che prevalga il buonsenso".

Ci parlerà, con i due? "Certo, andrò a trovarli.

Parlerò solo di redenzione, dirò loro che tutti hanno una possibilità per rinascere. Nel tempo, è possibile riabilitarsi e ricostruire una vita nuova". Padre Celso confessa che criminali di questo genere non ne aveva mai conosciuti. Infierire su un bambino di diciotto mesi, una cosa impossibile da sopportare. Per questo, spiega, i detenuti di Parma "sono molto emozionati e commossi". Tanti di loro, aggiunge, "sono padri di famiglia". Dopo aver sperato a lungo nel rilascio, "adesso si stanno già organizzando per fare qualcosa".

Secondo Padre Celso, la morte di Tommy è servita almeno a questo: a smuovere del bene. "Stanno facendo collette per pagare una corona da inviare al funerale. Ma la cosa più bella, voglio dirlo, è la messa della domenica mattina. Placata la rabbia della notte, abbiamo partecipato ad una cerimonia raccolta. Carica di dolore. I detenuti sono riusciti a pregare con intensità e commozione per Giuseppe, il figlio dell’assassino. Non dimentichiamolo: sulle sue spalle, porterà tutto il peso di questo delitto...".

Giustizia: Sappe; dopo elezioni riforma polizia penitenziaria

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Tra le riforme che dovranno essere messe tra le priorità del dopo-elezioni, indipendentemente da chi vincerà, bisogna prevedere ed attuare quelle che si riferiscono al Corpo di polizia penitenziaria". A chiederlo è Donato Capece, confermato segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria a conclusione del IV congresso del Sappe, a Fiuggi. Confermata per acclamazione dagli oltre cento delegati provenienti da tutti i penitenziari italiani anche gli altri componenti della segreteria generale uscente: i quattro segretari generali aggiunti, Gianni De Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli e Umberto Vitale, il presidente Nicola Caserta e il vice presidente Franco Marinucci. Nella sua relazione Capece ha posto l’accento sul sovraffollamento delle carcere italiane, che ospitano un numero sempre maggiore di extracomunitari: ‘Sono circa ventimila gli stranieri oggi in carcere in Italia e ciò fa emergere nuovi problemi per l’amministrazione penitenziaria, soprattutto per la presenza negli istituti di tante razze, etnie, nazionalità, lingue e religioni diverse dalla nostra, problemi che non sono stati valutati in tutta la loro gravità né sono state intuite le conseguenze che potrebbero derivarne nel nostro sistema penitenziario". Per il segretario generale è tempo di "chiedersi se il vigente ordinamento penitenziario sia ancora adeguato ai tempi oppure se necessiti di una rivisitazione".

Tra i cambiamenti proposti dal Sappe ci sono l’ampliamento dell’area penale esterna al carcere, "creando valide alternative alla detenzione, specie dopo il fallimento dell’ introduzione del braccialetto elettronico; fallimento - ha affermato Capece - dovuto al mancato coinvolgimento della Polizia penitenziaria nella gestione e nell’organizzazione di tale servizio". Al governo e al parlamento prossimi il Sappe chiede di "affrontare i problemi" del carcere e di risolverli: "Allo stato, per la polizia penitenziaria - ha sottolineato Capece - nell’ultima Finanziaria non si sono recuperati neppure circa i 530 ausiliari congedati nel decorso anno 2005, che avrebbero dovuto invece essere assunti definitivamente nel Corpo. Per garantire una maggiore sicurezza negli istituti, e quindi su tutto il territorio, sono necessarie maggiori infrastrutture tecnologiche negli istituti, impianti antintrusione non siamo tolleranti: sulla bassa strumentalizzazione per fini politici dei nostri anziani".

Giustizia: Vitali; su riqualificazione personale persa occasione

 

Ansa, 3 aprile 2006

 

"Spiace constatare, che l’aver accolto la tesi da tempo sostenuta da alcuni sindacati in ordine al problema della riqualificazione del personale dell’ Amministrazione della Giustizia, non sia servito a risolvere il problema": lo afferma Luigi Vitali, sottosegretario di Stato alla Giustizia, a proposito della posizione della Rdb che non ha firmato un accordo per la riqualificazione del personale "facendo di fatto far venire meno le condizioni di un’ intesa altamente rappresentativa". "Mi ero illuso che forzando la mano si sarebbe potuto dare risposta concreta al personale che aspetta da anni, troppi anni, quello che gli è dovuto - osserva il sottosegretario -. Sono, comunque, a posto con la mia coscienza e mi impegno in caso di mia permanenza nell’incarico, dopo il 10 Aprile, a ripartire da lì dove ho lasciato. Mi spiace per i miei dipendenti, non per i loro rappresentanti sindacali, che perdono una grande occasione: quella di dare senso e valore alla loro funzione".

Giustizia: protocollo d'intesa tra ministeri giustizia e beni culturali

 

Age, 3 aprile 2006

 

Teatro e audiovisivo negli istituti penitenziari. L’azione di recupero sociale ed il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, affidato dall’art. 27 della Costituzione all’Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia, passa anche attraverso le attività culturali e la formazione ai "mestieri" dello Spettacolo.

Per tale ragione la Giustizia e il ministero per i Beni e le Attività Culturali sigleranno questa mattina, nell’ambito dell’VIII Settimana della Cultura, la convenzione che fissa linee generali e sinergie a sostegno delle attività trattamentali in materia di Audiovisivo e Teatro. Il Protocollo d’intesa sarà firmato alle ore 11:30, nel Salone del Ministro, presso il ministero per i Beni e le Attività Culturali, in via del Collegio Romano 27, dal capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra e dal capo Dipartimento per lo Spettacolo e lo Sport Paolo Carini.

L’accordo interministeriale, il primo del genere tra le due Amministrazioni, giunge al termine di un percorso di verifica e confronto con le maggiori istituzioni di settore, il cui contributo è necessario per promuovere le iniziative di qualità che prendono forma all’interno del sistema penitenziario e per sostenere una coerente politica di reinserimento sociale che, valorizzando le esperienze maturate e le risorse investite nell’attività trattamentale, sia capace di formare professionalmente e dare prospettiva fuori dal carcere.

È il caso della Compagnia della Fortezza di Volterra, il gruppo di detenuti-attori guidato da Armando Punzo e invitato dall’Ente Teatrale Italiano al Teatro Valle, a Roma, per uno spettacolo che inizierà alle ore 21 a conclusione di questa giornata. La Compagnia, nata nell’88 all’interno della casa di reclusione di Volterra, presenterà "I Pescecani, ovvero quello che resta di Bertolt Brecht", liberamente ispirato all’opera del drammaturgo tedesco.

Un omaggio, quindi, ad un Autore che ha segnato la storia del Teatro, fatto da un gruppo di detenuti-attori il cui lavoro fonda sulle sinergie in atto tra Giustizia e Beni Culturali e che, proprio con questo spettacolo, in tournée nei maggiori teatri italiani dal 2004, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti quali il Premio Ubu, Il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro ed il Premio Carmelo Bene.

Lo spettacolo è stato inserito nel cartellone 2006 di "Palcoscenico", la rubrica di Rai Due dedicata al Teatro e che a breve programmerà la messa in onda della riduzione televisiva.

Con I Pescecani al Teatro Valle si apre, infine, il seminario internazionale del Progetto dell’Unione Europea "Teatro e carcere in Europa. Formazione, sviluppo e divulgazione di metodologie innovative", ai cui lavori partecipano, oltre all’Italia, le delegazioni di Francia, Svezia, Germania, Inghilterra e Austria che giungeranno a Roma per l’occasione.

Brucoli (SR): diplomi di ragioniere a 6 detenuti in 41 bis

 

La Sicilia, 3 aprile 2006

 

I sacrifici di sei detenuti della casa circondariale di Brucoli, i quali, nell’istruzione hanno intravisto un’ulteriore via di salvezza, hanno ricevuto il legittimo "riconoscimento". Nei giorni scorsi, infatti, dopo cinque anni di lezioni, tenute dal professore Don Giuseppe Lombardo e dai volontari della Caritas diocesana, i detenuti hanno conseguito i diplomi di ragioniere. Nella sala teatro della casa circondariale, il professore Marco Fatuzzo, dirigente dell’istituto tecnico commerciale "Alessandro Rizza", assieme all’assistente amministrativo, ha consegnato gli "attestati" a: Massimo Scalzo; Carmelo Coco; Salvatore Licciardello; Antonino Liberto; Giuseppe Patanè; Giuseppe Coronese.

"La cerimonia di consegna dei diplomi - dice padre Giuseppe Lombardo - è stata la tangibile dimostrazione della voglia di riscatto profondamente avvertita da questi uomini. Lo studio, che, oltre a comportare un’inevitabile applicazione, induce alla riflessione, può divenire efficace strumento di crescita, maturazione".

La Caritas, non è nuova ad "esperimenti" del genere. Preso atto del processo di trasformazione intrapreso da taluni detenuti che stanno espiando pene di una certa rilevanza nella casa di reclusione di Brucoli, in cui da tempo di trovano rinchiuso con il regime del 41 bis, si sta adoperando per far conseguire loro la laurea.

Da qualche mese, infatti, quattro volte alla settimana, padre Lombardo sta tenendo, con altri docenti, delle lezioni, propedeutiche all’iscrizione all’università e della durata di tre ore ciascuna. Dopo la frequentazione di tale corso, che si protrarrà per un anno, grazie all’impegno di Giuseppe Romano, professore di filosofia, Annamaria Corpaci, psicologa, Maria Firenze, docente di letteratura religiosa, Giovanni Burgo, insegnante di latino e greco, e di Don Nisi Candido, i detenuti, il prossimo anno, potranno iscriversi all’istituto di scienze religiose San Metodio di Siracusa della facoltà teologica di Palermo. Nella stessa casa di reclusione, poi, l’associazione Russia Cristiana San Vladimir, in collaborazione con l’istituto di Scienze religiose "San Metodio" e con la Caritas, sta dando attuazione a due progetti: uno relativo ad un corso di teologia, l’altro di arte iconografica bizantina. Tra i docenti figura il docente universitario e valente medico siracusano Gaetano Zammitti, autore di alcuni saggi che hanno ottenuto vasta eco e apprezzamento negli ambienti della chiesa, nonché della cultura sia locale che in campo nazionale.

Verona: grazie a un progetto i detenuti scoprono la poesia

 

L’Arena di Verona, 3 aprile 2006

 

Inseguendo l’obiettivo di migliorare la formazione del detenuto, la casa circondariale di Montorio, in collaborazione con l’amministrazione comunale, ha aperto le porte alla cultura portando all’interno dell’istituto il ciclo di letture "Raccontare e cantare di sé e del mondo sulle due riva del Mediterraneo". I dieci incontri, organizzati dal sistema bibliotecario urbano del comune di Verona, che hanno preso il via in alcuni dei centri di lettura scaligeri in febbraio e si concluderanno in maggio, hanno trovato ospitalità anche all’interno del carcere veronese, grazie alla disponibilità del direttore Salvatore Erminio.

"Perché oggi abbiamo scelto di far parlare la poesia? Perché è liberta, evasione e permette di uscire dalla proprie problematiche", ha affermato la dottoressa Luciana Marconcini, dirigente scolastica del VII circolo che include anche la scuola del carcere. Un’asserzione vera, vista la nutrita presenza - un centinaio - di detenuti al quinto incontro, dedicato alla poesia dell’autore iraniano, candidato al premio Nobel, Adonis, recitato dagli attori Abdelhamid Lemouda, in lingua araba, e Paolo Valerio per la traduzione italiana. "Vogliamo avvicinare i nostri detenuti alla letteratura e far conoscere loro autori importanti", ha affermato il direttore del carcere, Salvatore Erminio, "attualmente abbiamo circa 700 presenze (sono 74 quelle femminili), e per ovviare al problema dell’affollamento cerchiamo di creare momenti di svago che facciano maturare l’individuo. Questo ciclo di incontri poi fa da supporto alle attività didattiche che svolgono i reclusi".

Ai corsi di alfabetizzazione, di scuola media e professionali (con il supporto dell’istituto alberghiero Berti e dell’Agrario), organizzati proprio dal centro territoriale permanente del VII circolo didattico, partecipano un centinaio di detenuti maschi mentre sono una ventina le femmine, che non frequentano però le scuole professionali.

"Spesso noi dell’amministrazione comunale ci chiediamo cosa possiamo fare per favorire la vita dei detenuti", ha affermato l’assessore all’istruzione del Comune di Verona, Maria Luisa Albrigi, "ecco allora nascere una collaborazione con il centro territoriale educativo permanente e con il direttore del cercare di Montorio, per creare all’interno di quest’ultimo uno spazio che possa migliorare le condizioni di ogni presente. Ringrazio in particolare il dott. Raise del sistema bibliotecario urbano, una realtà piccola della nostra amministrazione ma che vogliamo veder crescere, che ha voluto avvicinare queste persone alla cultura e alla lettura. Il ciclo sta raccogliendo il successo atteso nelle nostre biblioteche cittadine, ancora più importante è l’entusiasmo che abbiamo riscontrato tra i detenuti: due luoghi diversi, la stessa umanità. Le risorse sono poche, ma abbiamo voluto dividerle equamente fra l’esterno e la casa circondariale, per dare a tutti le stesse opportunità ma soprattutto tanta più speranza a chi è tentato di perderla".

Nel carcere di Montorio le biblioteche si trovano sia all’interno della sezione maschile che di quella femminile e tutti i documenti conservati sono catalogati on-line. "I libri sono frutto di donazioni", afferma il responsabile delle biblioteche veronesi, dott. Alberto Raise, "il nostro compito è stato quello di catalogarli, ma soprattutto impostare una raccolta organica in considerazione del bacino di utenza".

Libri: dieci interviste a minorenni stranieri in carcere

 

Redattore Sociale, 3 aprile 2006

 

Dieci interviste a minori stranieri che hanno commesso un reato, dieci storie di solitudine e speranza. Da spazio alla voce degli adolescenti l’indagine promossa dalla Fondazione Ozanam - Vincenzo De Paoli di Roma e pubblicata recentemente nel volume "Minori stranieri in carcere", dalla "Guerini e Associati": racconti di minorenni in carcere, tutti maschi, provenienti da Maghreb, Est Europa ed America Latina, arrivati in Italia negli ultimi anni da soli per raggiungere familiari e amici. I colloqui erano mirati a comprendere le criticità dei percorsi penali dei ragazzi e l’adeguatezza degli strumenti a loro disposizione. "Le diverse interviste confermano che le storie dei ragazzi che entrano in Italia si differenziano in ragione di diversi progetti individuali e familiari", scrive Valerio Belotti sociologo dell’Università di Padova, che ha realizzato questo studio insieme a Alfredo Carlo Moro già presidente del Tribunale per minorenni di Roma e presidente del Centro nazionale di analisi per l’infanzia e adolescenza di Firenze, scomparso nel 2005 e Roberto Maurizio ricercatore della Fondazione Zancan di Padova.

"Facevo la fame e vivevo in povertà. I miei genitori erano d’accordo con l’emigrazione" racconta Buci; uno zio violento e il bisogno di lavorare hanno spinto Juan in Italia: "sono andato a scuola fino alla quinta elementare. A scuola andavo bene. Mi piaceva studiare e leggere, poi è morto mio padre e la vita è cambiata". Levian è arrivato con altre persone "con il gommone e di nascosto, senza documenti, clandestino. Sono sbarcato a Brindisi e poi sono venuto a Milano". L’Italia, sottolineano gli operatori, viene percepito con il "paese delle possibilità per se e per le loro famiglie". Quando si scontrano con il sistema giuridico italiano, i sentimenti più forti sono timore e incomprensione: "Nel processo avevo il traduttore, altrimenti non avrei capito. Qua c’era una mediatrice culturale - racconta Levian -. Ci sono tante cose che ancora adesso non riesco a capire, non capisco perché sono ancora qui. Ci sono zingari, marocchini anche altri che stanno qui solo due mesi e ne hanno fatte più di me".

L’esperienza in carcere a volta aiuta a cambiare, a capire. "Per me questa esperienza è da una parte bella e da una parte brutta. - racconta Mohamed - La parte brutta è che sto chiuso, il lato bello è che ho avuto la licenza media, cosa che fuori non avrei mai fatto. Posto facendo un corso e ho conosciuto persone che vogliono sul serio aiutare altre persone. E questo è il lato bello. Persone anche italiane che mi possono e mi vogliono aiutare". "Qui in istituto ho continuato la scuola - sostiene Emilio - Ora sono al terzo anno. All’interno del carcere ho svolto corsi e laboratori. Ho imparato un po’ di tutto, (…) Il teatro mi ha dato molto perché mi ha allontanato dai pensieri, mi ha regalato la voglia di fare". E "dentro" si impara anche a pensare al futuro. Mohamed sogna di fare il giardiniere, "quello professionista che sa fare i giardini, sistemare le siepi". "Se ci fosse lavoro in Albania - spiega Levian - vorrei stare là".

Teatro: Bologna; detenuti e studenti lavorano sull’oblio

 

Redattore Sociale, 3 aprile 2006

 

Un lavoro sull’oblio per non dimenticare. Si può spiegare così la quinta edizione di "Dialoghi", progetto teatrale che coinvolge i ragazzi degli istituti superiori di Bologna Aldini-Valeriani-Sirani, Laura Bassi, Rosa Luxemburg, Manfredi-Tanari e Fermi, l’Isis Archimede di S. Giovanni in Persiceto e l’istituto penale minorile bolognese di via del Pratello. È iniziato in autunno, quando 12 classi delle superiori hanno assistito, nel teatro del Carcere minorile del Pratello, allo spettacolo "Lo stupore di Orlando", opera dell’edizione 2005 del progetto. È stato un triplice punto di partenza. Da un lato, la 3D delle Laura Bassi e la 3^A delle Aldini hanno realizzato un documentario video, con interviste e opinioni degli studenti stessi sullo spettacolo. I ragazzi delle altre scuole coinvolte hanno invece partecipato a un laboratorio di scrittura sul tema dell’oblio, insieme a una decina di giovani detenuti del carcere minorile. Questi testi sono poi stati utilizzati dai ragazzi della comunità "La sorgente" di Sasso Marconi per la realizzazione di "Non ti scordar", lettura drammatica dei vari prodotti del laboratorio che sarà presentata, insieme al video, dopodomani mattina, 5 aprile, nella giornata conclusiva del progetto "Dialoghi 2006", al locale "La scuderia" di piazza Verdi. Al termine degli spettacoli, spazio a un "dialogo" fra i ragazzi delle scuole e del carcere minorile con alcuni esponenti delle istituzioni. La vicesindaco di Bologna, Adriana Scaramuzzino, l’assessore regionale alle Politiche sociali, Annamaria Dapporto, il presidente del Tribunale per i minori, Maurizio Millo, e il dirigente del Centro giustizia minorile per l’Emilia-Romagna, Giuseppe Centomani, risponderanno alle domande dei ragazzi, sempre sul tema conduttore del progetto di quest’anno, ovvero l’oblio.

 

 

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