Rassegna stampa 28 aprile

 

Giustizia: un passo avanti verso la legalità, di Patrizio Gonnella

 

Aprile online, 28 aprile 2006

 

Finalmente! Il Governo italiano ha dato il proprio consenso alla pubblicazione del rapporto del comitato europeo per la prevenzione della tortura. Un rapporto stilato in occasione della visita del Consiglio d’ Europa effettuata in Italia dal 21 novembre al 3 dicembre 2004. Il Comitato ha ampi poteri ispettivi, unici in Europa. Un esempio per tutti. Nell’immediatezza della visita ha ottenuto la chiusura del Centro di assistenza e permanenza temporanea (CPTA) di Agrigento, viste le condizioni di degrado in cui versava.

Tra gli altri luoghi detentivi visitati: i centri per espellendi di Caltanissetta, di Lampedusa e Trapani, la Questura di Roma, il Commissariato di polizia di Civitavecchia, il Commissariato della polizia ferroviaria di Roma-Termini, la Questura di Verona, la caserma della Guardia di Finanza di Civitavecchia, il Comando dei Carabinieri di Verona, il Posto dei Carabinieri di Lampedusa, la Casa Circondariale di Civitavecchia e quella di Verona, la Casa di Reclusione di Parma, il Servizio psichiatrico e diagnostico e di cura dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, le Camere di sicurezza per detenuti all’Ospedale Generale di Verona.

Non sempre le autorità italiane hanno collaborato in modo proficuo. A volte si sono messe di traverso. È stata definita quasi totale l’assenza di cooperazione presso il Commissariato di polizia di Civitavecchia e presso il Commissariato della polizia ferroviaria di Roma-Termini. Proprio a Termini la prima sorpresa: la delegazione ha trovato al binario 13 un box di 2,70 m² privo di qualsiasi arredo usato quale camera di sicurezza per i fermati. Lì ci si può immaginare quanto sia alto il rischio di subire maltrattamenti.

Gli ispettori del Comitato di Strasburgo sono venuti a conoscenza di svariati episodi di maltrattamenti compiuti dalle forze dell’ordine al momento dell’arresto e del susseguente interrogatorio di giovani immigrati. In particolare ha avuto notizia di insulti rivolti a stranieri a sfondo razzista e xenofobo. Le forze dell’ordine, a differenza delle autorità penitenziarie, sono poco avvezze al controllo esterno. Non in tutte le camere di sicurezza dei commissariati e delle caserme viene compilato dalle forze dell’ordine un registro di detenzione nel quale segnalare tutto quello che accade nelle ore o nelle giornate di privazione della libertà (dal nome del fermato sino ai problemi medici riscontrati o alle persone incontrate).

Le ore immediatamente successive all’arresto sono ad alto rischio e in quelle ore tutto deve essere pubblico. Anche per questo il comitato incoraggia in Italia l’istituzione di organismi indipendenti di controllo dei luoghi di detenzione. L’Italia, nonostante gli obblighi internazionali e decine di progetti di legge pendenti, non ha ancora istituito tale organismo di controllo dei luoghi detentivi. Speriamo che il prossimo parlamento, nonostante i numeri risicati di vantaggio dell’Unione, sopperisca in tempi brevi a questa lacuna.

Tra i problemi verificati nel settore penitenziario vi sono: il regime duro cosiddetto 41 bis, la salute dei detenuti, il sovraffollamento. Smentendo appieno il governo italiano il Comitato suggerisce per contrastare il sovraffollamento soluzioni non di edilizia penitenziaria bensì provvedimenti di depenalizzazione e decarcerizzazione. I quasi 61 mila detenuti reclusi nelle carceri italiane vivono in luoghi che potrebbero al massimo contenere 43 mila persone. Tutti gli istituti sono sovraffollati oltremisura. Un carcere sovraffollato significa: spazi ridotti, vita insalubre, assenza costante di intimità, servizi sanitari insufficienti, attività di intrattenimento limitate, tensione alta tra detenuti e tra detenuti e personale.

Così capita che a Civitavecchia alcuni poliziotti indagati per violenze ai detenuti continuano a lavorare nello stesso carcere a contatto con coloro che li hanno denunciati o che, come a Verona, in celle di 11,5 metri quadri (+ 4,5 di bagno annesso) vivano sino a tre o quattro detenuti con docce in uno stato di notevole degrado. In quelle celle dovrebbero vivere non più di due persone. Si tratta di un rapporto che conferma un quadro allarmante della condizione di vita nelle carceri e dello stato dei diritti umani nel nostro paese. Ora si tratta di voltare pagina. La scorsa legislatura si è aperta con le violenze di Genova. Speriamo che la prossima si apra con la codificazione del crimine di tortura.

Comitato europeo anti-tortura: abusi e nei centri immigrati

 

Il Tempo, 28 aprile 2006

 

Carceri sovraffollate, detenuti costretti a vivere in condizioni igieniche critiche, in prigioni dove il diritto alla difesa non è garantito, le cure mediche sono insufficienti e, spesso, i poliziotti indagati per violenze ai detenuti, continuano a lavorare a contatto con chi li ha denunciati. Ma non solo: gli abusi iniziano ancora prima, al momento dell’arresto, con insulti e maltrattamenti, soprattutto nei confronti degli stranieri, in Questure e Comandi dei Carabinieri. La denuncia al sistema di detenzione italiano arriva dal Rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della Tortura, che condanna anche "i rimpatri forzati di immigrati in Libia" e propone l’istituzione di "organismi indipendenti" di controllo delle carceri. Reso noto su autorizzazione del Governo italiano, il rapporto è il bilancio delle visite fatte alla fine del 2004 da membri del comitato nei Cpt di Agrigento, Caltanissetta, Trapani e Lampedusa, in diversi commissariati, questure, comandi di Carabinieri e della Gdf, nelle carceri di Civitavecchia, Verona e Parma, nel servizio psichiatrico di Agrigento e nelle camere di sicurezza dell’ospedale generale di Verona.

I "rimpatri forzati in Libia" mettono gli immigrati "a rischio di tortura e maltrattamenti" ha sostenuto anche il comitato europeo per la prevenzione della tortura. Si tratta, dunque, di un rapporto che conferma un quadro allarmante della condizione di vita nelle carceri e dello stato dei diritti umani nel nostro paese". Così il presidente dell’Associazione Antigone Patrizio Gonnella ha commentato il rapporto del comitato europeo per la prevenzione della tortura, sulla situazione delle carceri italiane. "Ora - ha proseguito - si tratta di voltare pagina. Dal comitato europeo arriva una prima indicazione: istituire una figura indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Confidiamo nel nuovo Parlamento". E proprio Gonnella presenterà oggi i risultati di una ricerca europea sul garante dei detenuti, nel corso di un convegno promosso dall’ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Roma e organizzato in collaborazione con Antigone. Si tratta del progetto Agis 2004 "Libertà in carcere", che sarà presentato nella sala Santa Rita dell’Assessorato alla cultura del comune di Roma. Al convegno, moderato da Stefano Anastasia, direttore dell’ufficio del garante delle persone private delle libertà del comune di Roma, oltre a Gonnella, il vice direttore del Dap Emilio Di Somma, l’ex sottosegretario Franco Corleone, Garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Firenze e il vice presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura Mauro Palma.

Giustizia: cresce in tutta l’Europa il numero di detenuti

 

Redattore Sociale, 28 aprile 2006

 

Cresce in tutta Europa il numero di detenuti, picchi in Portogallo, Spagna e Inghilterra, l’Italia sta in mezzo. Lo riferisce il rapporto "Libertà in carcere" di Antigone sui risultati del Progetto europeo Agis 2004 sulla figura del garante dei diritti dei detenuti in Europa. Il presidente dell’associazione, Patrizio Gonnella, mette in guardia dal "rischio di torture o di maltrattamenti" in carceri sovraffollate e chiede al Governo di "far nascere un vero difensore civico nazionale e di articolarlo sull’intero territorio".

In Italia la popolazione detenuta è quasi raddoppiata in poco più di un decennio, passando dallo 56 detenuti ogni 100mila abitanti nel 1991 ai 96 nel 2001. Più contenuti gli incrementi negli altri Paesi dell’Europa centro-occidentale, con l’eccezione di Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, dove si osserva una seppur lieve diminuzione della carcerazione. Quasi ovunque il tasso di detenzione è prossimo all’1‰, con i picchi di Portogallo (1,35 ‰), Inghilterra (1,3‰) e Spagna (1,27‰). Ben maggiori i tassi delle repubbliche ex sovietiche: quasi 7‰ in Russia, 4‰ in Ucraina, circa 3‰ nelle repubbliche baltiche e oltre 2‰ in Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria.

È quindi "sovraffollamento" la parola chiave con cui leggere il rapporto di Antigone. Al primo poco meritevole posto la Grecia, che reclude il 158,3% delle persone che la capacità delle sue carceri potrebbe ricevere. Lo seguono a ruota Ungheria (147,7%) e Bielorussia (135,7%). Quarto posto all’Italia (134,2%), poi viene Francia, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Spagna, Belgio, Gran Bretagna, Portogallo, Finlandia, Svezia, Slovenia, Austria, Germania e Danimarca. Questi i Paesi fuori limite, negli altri le carceri sono ancora da riempire, ma i dati potrebbero ingannare. Ad esempio la Russia occupa solo il 90,2% dei posti disponibili, eppure ha il più alto tasso di carcerazione, vicino al 7‰.

E il sovraffollamento preoccupa Gonnella: "La questione dei diritti è fondamentale in quanto oggi diventa sempre più questione di protezione dei diritti stessi. Il sovraffollamento costringe di fatto a comportamenti che sono al limite del disumano. E nessun Paese dell’Unione Europea si può considerare esente dal rischio di torture o di maltrattamenti"

Ma per affermare il diritto non basta la depenalizzazione. A nome di Antigone Gonnella chiede l’istituzione in Italia della figura di un Garante nazionale dei detenuti, un Ombudsman del carcere che sia "messo in grado di compiere attività di monitoraggio continua di eventuali violazioni dei diritti umani", ma che possa anche "segnalarle agli organismi competenti" nonché "impegnarsi nella sua funzione di mediazione per la ricerca di una soluzione di accordo, che sia anche monito futuro per altri soggetti pubblici e istituzionali".

Quasi tutti i 25 membri dell’Ue hanno un Garante per i detenuti, fatta eccezione per Germania, Irlanda del Nord, Irlanda ed Italia. Nella maggior parte dei casi ha poteri ispettivi, competenza nei centri di reclusione degli immigrati senza permesso di soggiorno e nei commissariati. In Belgio, Francia, Lituania e Slovacchia ha articolazioni territoriali. In Italia, sebbene non sia prevista una nomina nazionale, esiste la possibilità di istituire un Garante per i detenuti a livello locale. Lo ha fatto nel luglio 2003 il Comune di Roma (Luigi Manconi), seguito dalla Regione Lazio (Angiolo Marroni), e dai Comuni di Firenze, Bologna e Brescia, mentre proprio oggi è stato approvato dalla Regione Umbria il disegno di legge ne istituisce la figura - il provvedimento dovrà ora passare dalla terza commissione consiliare - e in Piemonte è già depositato un apposito disegno di legge.

Giustizia: Europa condanna carcere; azioni violente non represse

 

L’Arena di Verona, 28 aprile 2006

 

Carceri sovraffollate, detenuti costretti a vivere in condizioni igieniche critiche, in prigioni dove il diritto alla difesa non è garantito, le cure mediche sono insufficienti e, spesso, i poliziotti indagati per violenze ai detenuti, continuano a lavorare a contatto con chi li ha denunciati. Ma non solo: gli abusi iniziano ancora prima, al momento dell’arresto, con insulti e maltrattamenti, soprattutto nei confronti degli stranieri, in questure e comandi dei carabinieri. La denuncia al sistema di detenzione italiano arriva dal Rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della Tortura, che condanna anche "i rimpatri forzati di immigrati in Libia" e propone l’istituzione di "organismi indipendenti" di controllo delle carceri.

Reso noto ieri, su autorizzazione del governo italiano, il rapporto è il bilancio delle visite fatte alla fine del 2004 da membri del comitato nei cpt di Agrigento, Caltanissetta, Trapani e Lampedusa, in diversi commissariati, questure, comandi di Carabinieri e della Guardia di finanza, nelle carceri di Verona, Civitavecchia, e Parma, nel servizio psichiatrico di Agrigento e nelle camere di sicurezza dell’ospedale generale di Verona.

Partendo dal momento dell’arresto, il comitato europeo ha rilevato "maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine" e insulti rivolti "ad arrestati stranieri a sfondo razzista e xenofobo". E visitando questure e comandi dei carabinieri, ha scoperto che a Verona le celle della questura sono troppo piccole, a Roma le condizioni igieniche "lasciano totalmente a desiderare", nel posto dei carabinieri di Lampedusa nelle celle non c’è aerazione sufficiente. E nel commissariato di Polizia Ferroviaria di Roma-Termini è stato scoperto un box di neanche tre metri quadrati, completamente spoglio, utilizzato come camera di sicurezza per i fermati. In molti commissariati e caserme, inoltre, non viene compilato il registro di detenzione nel quale si segnala tutto ciò che riguarda un nuovo arrivo, dal nome ai problemi medici. Una mancanza "inaccettabile", per il comitato, perchè "le prime ore sono quelle a maggior rischio di maltrattamenti e tutto deve essere pubblico".

Ma la situazione peggiore, in base al rapporto, sembra essere quella delle carceri: gli istituti esaminati sono "tutti sovraffollati", il che significa, spiega il comitato, "spazi ridotti, vita insalubre, assenza costante di intimità, servizi sanitari insufficienti, tensione altra tra detenuti e detenuti e personale". Ma i problemi non si fermano qui: a Civitavecchia alcuni poliziotti indagati per violenze continuano a lavorare accanto ai detenuti che li hanno denunciati; a Verona sono state riscontrate frequenti violenze tra detenuti senza alcun intervento per impedirle e sempre a Verona in celle dove potrebbero stare al massimo due persone ce ne vivono almeno il doppio. E poi ancora, mancano infermieri, sono poche le ore di servizio psicologico e psichiatrico, il trattamento medico, a Civitavecchia, è insufficiente, sono poche le risorse destinate alla sanità penitenziaria e in alcune carceri, come ad esempio Verona, non viene assicurato il diritto di difesa e il contraddittorio.

Un capitolo ad hoc è dedicato al 41 bis, il carcere duro. Un regime che, ricorda il rapporto, deve avere una durata limitata "mentre molti detenuti lo vedono rinnovato per periodi prolungati" e che "è inaccettabile usare quale strumento di pressione psicologica per indurre alla collaborazione". Il comitato europeo sottolinea inoltre che per migliorare la qualità del servizio i poliziotti dovrebbero conoscere le lingue, visti i tanti stranieri presenti".

Critiche alle quali il governo italiano risponde ricordando i passi avanti fatti in questi anni, l’adeguamento di molte strutture, dopo la visita del comitato, l’aumento di personale (educatori, ma anche psicologi e assistenti sociali), l’istituzione, per gli stranieri della figura del mediatore culturale.

Lodi: se ne va Caterina Ciampoli, l’incarico a Carla Santandrea

 

Il Cittadino, 28 aprile 2006

 

È Carla Santandrea la nuova direttrice del carcere di Lodi: settimana prossima, forse già martedì, prenderà in consegna le chiavi di via Cagnola da Caterina Ciampoli, che era arrivata a dirigere la casa circondariale di Lodi all’inizio di giugno dello scorso anno, dopo un’esperienza pluriennale alla guida del carcere di Busto Arsizio, con una parentesi, dal dicembre 2003 al gennaio del 2005, al carcere di Brissogne, nella tranquilla Valle d’Aosta. A decidere la sostituzione è stato il provveditore regionale per le carceri Luigi Pagano, che spiega: "Il clima nella struttura di Lodi era diventato un po’ pesante, e ho deciso di intervenire per evitare danni per tutti, anche d’immagine. Un provvedimento analogo l’avevo preso per il carcere di Opera: l’obiettivo della sostituzione è di stemperare le tensioni, senza assolutamente entrare nel merito delle capacità e dell’impegno di alcuno nell’affrontare una mansione e un ambiente, quello carcerario, che sono intrinsecamente molto particolari e difficili". La dottoressa Ciampoli, mantenendo la qualifica dirigenziale, sarà destinata al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la struttura diretta dallo stesso Pagano, e rimarrà comunque a disposizione per altri incarichi.

La sostituzione è a titolo temporaneo: la dottoressa Santandrea, attuale vice direttrice di San Vittore, non dovrebbe rimanere a Lodi a tempo indeterminato. "Arriveremo a individuare in futuro una figura definitiva di direttore - aggiunge al proposito Pagano -, ma la soluzione della sostituzione temporanea è già stata sperimentata con buoni risultati, e la stessa Santandrea ha svolto il medesimo incarico, ad esempio, al carcere di Como". Negli ultimi tempi le proteste e le lamentele dal carcere di via Cagnola erano diventate sempre più insistenti. Tra i primi segnali di una linea dirigenziale molto diversa rispetto a quella del precedente direttore Luigi Morsello, che aveva guidato il carcere di Lodi dal 1997 fino all’arrivo della dottoressa Ciampoli, era stata la sospensione della pubblicazione di "Uomini liberi", il giornale scritto dai detenuti che veniva diffuso anche come inserto de Il Cittadino. Istanze di una maggiore apertura, sia pure nei limiti inevitabili del regime detentivo, erano arrivate anche dai volontari. La tradizionale visita della delegazione della carovana Antimafia ai detenuti, in dicembre, era stata bloccata fuori dai cancelli del carcere, e alcune settimane fa si era registrato uno dei primi suicidi di detenuti nella storia di via Cagnola, sia pure senza che siano emerse responsabilità del personale. Nei giorni scorsi gli ospiti erano arrivati anche al "classico" sbattere di pignatte sulle sbarre, e parte del personale si è dichiarato in agitazione. Ieri, Pagano ha firmato.

Agrigento: detenuti diventano apicoltori ecco il miele "L’altra cella"

 

Redattore Sociale, 28 aprile 2006

 

I detenuti di Agrigento diventano apicoltori. Nasce il miele "L’altra cella". Il progetto della casa circondariale di Agrigento è partito un anno fa. Oltre quaranta chili di miele è stato prodotto dai detenuti, miele che verrà distribuito in barattoli da 200 grammi alle forze dell’ordine, al personale del tribunale e della procura. Poiché il raccolto, infatti, è stato considerato piuttosto limitato, non è stata prevista la vendita ma solo la sua distribuzione in un circuito istituzionale. Una limitata quantità verrà, tuttavia, esposta alla fiera campionaria "Vivi Agrigento", che inizierà nei prossimi giorni. I barattoli, per questa occasione, saranno venduti senza un prezzo fisso, ma con un’offerta libera. Il ricavato servirà a finanziare le attività interne dell’Istituto e nuovi servizi per i reclusi. "Il nostro compito - ha detto Giovanni Giordano, capo dell’area servizio della casa circondariale di Agrigento -, è scritto nella Costituzione. Il carcere non deve solo essere un luogo dove espiare la pena, ma anche l’occasione per reinserire nella società chiunque abbia infranto una regola dello Stato". "Vigilando redimere" è scritto, infatti, all’ingresso del carcere di Petrusa.

Il progetto coinvolge un gruppo di dieci detenuti alla volta. Durante la prima fase di lezione teorica, un apicoltore spiega le tecniche della raccolta delle api e della produzione del miele, denominato appunto "L’altra cella". Subito dopo segue la parte pratica in cui i detenuti escono fuori dalle celle e giungono in un vecchio campo di calcio, inutilizzato, dove sono stati collocati gli alveari. In questo ambiente avviene la fase della produzione del miele. "Il progetto è già arrivato alla sua terza edizione - ha aggiunto Giordano -, andrà avanti coinvolgendo altri detenuti, impiegando altre aree della Casa Circondariale. In un prossimo futuro non è difficile immaginare all’apicultura come una occasione di lavoro. In galera spesso arrivano ragazzi finiti in cella per un’imprudenza, caduti nella trappola della illegalità, perché disoccupati. In carcere potranno imparare un mestiere, ed una volta riacquistata la libertà potranno inserirsi nel circuito produttivo della società civile".

L’apicultura ha, inoltre, una finalità terapeutica perché i soggetti impegnati sono tutti tossicodipendenti. Il ricorso all’apicultura diventa un momento pedagogico per un’attività di gruppo insieme agli assistenti sociali, i medici del Ser.T. ed un veterinario che spiega le caratteristiche delle api. La produzione del miele non è la sola attività del carcere di Agrigento. Stanno per partire, infatti, corsi di informatica, per elettricista e ceramista, le cui produzioni saranno poi esposte in una mostra e messe in vendita. Fra le iniziative, è in corso pure una raccolta di volumi per arricchire la biblioteca del settore femminile del penitenziario il cui motto è "Un libro per evadere".

Droghe: l’Unione deve abolire la legge Fini, di Katia Zanotti

 

Aprile online, 28 aprile 2006

 

È pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile ed entra in vigore l’8 maggio la pessima legge Fini sulla tossicodipendenza. Eppure, nei giorni scorsi a Mantova un operaio è stato arrestato perché trovato in possesso di 10 grammi di marijuana che superano il limite dei cinque grammi di principio attivo previsti dalla legge. Il ricorso ad una maggiore punibilità tramite la revisione delle tabelle e del sistema sanzionatorio, così come la debolezza delle strategie di prevenzione, sono il nocciolo duro di una legge inaccettabile che fonda sul sistema amministrativo e penale il deterrente più significativo per inibire l’uso di sostanze stupefacenti e per esercitare la necessaria pressione psicologica al fine di indurre al programma di recupero. L’Italia rimane l’ultimo Paese in Europa - vergognosamente - a governare il tema della tossicodipendenza con modalità già ampiamente ritenute insoddisfacenti da molti paesi, dove a fronte di politiche repressive si è assistito alla pressoché totale permanenza di comportamenti di consumo e di abuso di stupefacenti.

Questa scelta è in aperto contrasto infatti con le tendenze che la gran parte dei paesi europei hanno seguito dagli inizi del ‘90 ad oggi. In molti hanno scelto, in forme diverse, di spostare il centro delle politiche di controllo delle droghe dal penale al sociale. Così, mentre in Italia entra in vigore la svolta repressiva, Regno Unito, Francia, Germania, Portogallo, Belgio, Olanda, Irlanda, Svizzera presentano la riduzione del danno come uno dei pilastri della loro politica antidroga.

I 5 grammi di sostanze attive previsti dalla legge, produrranno il perverso risultato di aumentare in modo massiccio il flusso verso gli istituti penitenziari, e di accrescere altresì in modo massiccio un "sommerso" teso a sfuggire alle misure repressive, che ha come immediata conseguenza l’aumento dei rischi per la salute. Chiunque lavori nel campo delle dipendenze o è in contatto con il mondo giovanile, educatori, insegnanti, genitori sa dell’ampia diffusione avuta sui nostri territori, di stili di consumo e di vita in cui le sostanze psicoattive sono molto presenti, sia legali come alcool, tabacco, che illegali, soprattutto cannabinoidi. La svolta punitiva del Governo è estremamente grave anche perché, avendo abbandonato da tempo qualsiasi politica di intervento sui consumi davvero problematici, finisce per concentrarsi sui consumi occasionali e ricreativi di tanti giovani che rischiano di finire - criminalizzati - dentro un tunnel che può rendere patologica la loro condizione.

A una maggiore penalizzazione del consumo si accompagna poi inevitabilmente il dilatarsi del sistema penitenziario e la sua prevalenza su quello terapeutico e preventivo. Ci saranno carceri ancor più drammaticamente sovraffollate, e magari privatizzate come la Casa lavoro di Castelfranco Emilia appaltata alla comunità di San Patrignano.

Un ulteriore sovraffollamento in una situazione già oggi intollerabile ed esplosiva, porta con sé il drammatico peggioramento della sanità penitenziaria, già ora in uno stato gravissimo di abbandono a causa del suo mancato passaggio al sistema sanitario nazionale e dei pesantissimi tagli di bilancio operati nelle ultime leggi finanziarie. E porta con sé una ulteriore difficoltà nell’accesso al circuito delle misure alternative, già da tempo rallentato, quando non inceppato, a causa di carenze d’ organico per psicologi, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza e personale penitenziario.

C’è una sola cosa da fare per il nuovo Governo dell’Unione: cancellare questa legge nel più breve tempo possibile e riaprire la discussione in Parlamento per una nuova normativa contro le droghe partendo dall’esperienza professionale - assai importante e spesso trascurata - degli operatori dei servizi e da alcuni testi di legge già depositati nella precedente legislatura che vanno nella direzione opposta a quella tracciata dalla pessima legge Fini.

 

 

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