Rassegna stampa 24 aprile

 

Riduzione del danno vuol dire togliere la morte dalle strade

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 24 aprile 2006

 

Tre giovani sono morti la notte tra il 16 e il 17 aprile a Putignano, in provincia di Bari, dopo essersi iniettati una dose di eroina "tagliata male". Marco, di 25 anni, Giuseppe, di 23, e la sua ragazza Ilaria, di 21, studentessa romana. Marco e Giuseppe da tempo non vivevano più a Putignano, un grande centro della provincia pugliese: il primo si era trasferito in Irlanda, dove faceva il cameriere in un pub; il secondo viveva a Roma, dove lavorava come panettiere. Erano tornati a Putignano da pochi giorni per trascorrervi le feste. Si sono iniettati l’eroina in una casa di proprietà della famiglia di Giuseppe: i due fidanzati sono morti lì, dove la madre di quest’ultimo li ha trovati; Marco è riuscito a rincasare ed è deceduto nell’abitazione dei suoi familiari. La procura di Bari ha diffuso la foto di Giuseppe nel timore che questi avesse potuto cedere qualche dose ad altri consumatori; dunque è scattato l’allarme per far sì che quella stessa sostanza non procurasse altre vittime.

Questa storia, nei giorni scorsi, era in tutti i giornali e i telegiornali nazionali. Uno di quei rari casi in cui la morte di un tossicodipendente fa ancora notizia: sarà stata la giovane età dei tre, il fatto che siano morti insieme o il bisogno di allertare chiunque li conoscesse o fosse entrato in contatto con loro, al fine di evitare altre morti. Purtroppo accade di rado che i fatti di cronaca nera sollevino qualcosa di più che il semplice sdegno o l’orrore. Qui si fa riferimento a quella vicenda per ribadire e ricordare a tutti un aspetto importante: quei tre ragazzi non sono morti d’eroina, ma, con molta più probabilità (questo segnalano i primi accertamenti), per il mix velenoso e letale con cui quelle dosi erano "tagliate". Attenzione: nessuno si sogna, neppure lontanamente, di suggerire con ciò che l’eroina non sia pericolosa, nociva e potenzialmente mortale. No, non è certo questo il punto. Si vuole proporre, piuttosto, di riprendere la discussione su una politica di riduzione del danno, che sia razionale ed efficace; e si invita a riflettere sulla somministrazione controllata di sostanze stupefacenti. Esistono molti buoni motivi per farlo.

Vorremmo ricordarne alcuni. Il primo - a partire proprio dalla vicenda di quei tre ragazzi - è che si muore più spesso dei danni causati all’organismo dalle sostanze con cui si addiziona l’eroina per lo spaccio che non dell’avvelenamento che essa progressivamente produce. L’eroina che si trova per strada è doppiamente pericolosa e mortale e causa molto più frequentemente overdose rispetto a quella che viene somministrata, per stare a esperienze concretissime, dal servizio sanitario svizzero e da quello inglese a una fascia rigorosamente ristretta di tossicomani. Ma ci sono molti altri motivi ancora per riflettere su queste esperienze. L’Italia, secondo i dati della Lila, è il paese europeo con la più alta percentuale di tossicodipendenti tra i malati di Hiv e di Aids; il che segnala un dato di correlazione fortissimo tra la diffusione di quella patologia e l’abuso di oppiacei assunti per endovena. Un programma di somministrazione controllata, che sia rivolto a tossicodipendenti conclamati, quelli così detti "storici", con tentativi falliti di disintossicazione alle spalle, può essere un percorso importante per non esporre altre vite al contagio.

La somministrazione "in loco" (ovvero negli ambulatori preposti), in condizioni igieniche controllate e sotto vigilanza medica, diminuisce drasticamente il rischio di contrazione di malattie correlate all’iniezione. Il mercato "nero" degli stupefacenti alimenta la delinquenza ed espone il tossicomane al contatto con la criminalità organizzata. Inoltre, lo induce, e talvolta lo "costringe", a condotte illegali che producono un danno consistente alla cittadinanza. E non solo: in un sistema penale in cui il settanta per cento degli istituti di pena risultano affollati, ovvero ospitano più detenuti di quanti la struttura potrebbe contenerne, i tossicodipendenti rappresentano stabilmente circa il 27% della popolazione reclusa. Depenalizzare il consumo di stupefacenti e sperimentare forme di somministrazione controllata ridurrebbe drasticamente il problema dell’affollamento, che rappresenta, per i disagi e le disfunzioni che comporta, un fattore potentissimo di riproduzione del crimine. Infine, e soprattutto, un regime di somministrazione controllata dei derivati dell’oppio potrebbe "regolarizzare" la condotta, lo status, le relazioni sociali di un numero significativo di tossicodipendenti, garantendo loro una sopravvivenza in condizioni di salute nettamente migliori. In Svizzera, il "trattamento assistito di eroina" ha superato la fase sperimentale, dimostrandosi efficace.

L’analisi dei risultati di quel programma ha evidenziato un miglioramento della salute dei partecipanti, la sicurezza del metodo e, secondo i dati delle forze di polizia, una riduzione significativa della criminalità. Anche la popolazione si è convinta della bontà di quell’indirizzo: e un referendum popolare ne ha sancito la legittimità. A seguito dell’esperienza svizzera, anche Spagna e Olanda hanno deciso di adottare analoghe politiche di sperimentazione. Si badi: non si vuole in alcun modo suggerire la possibilità che "l’eroina di stato" possa soppiantare il trattamento metadonico o quello di comunità. Tutt’altro. E, tuttavia, in Italia la disponibilità di metadone non è garantita ovunque: in talune realtà locali, quella terapia non è disponibile; in altre lo è molto scarsamente, con modalità inadeguate e con dosaggio insufficiente; talune regioni sono giunte a definire "d’ufficio" protocolli terapeutici indicanti dosi inferiori agli standard riconosciuti a livello internazionale. La conclusione è che - se, come ci si augura, verrà adottata seriamente anche dal nostro paese - la politica di riduzione del danno si rivelerà difficile e complessa: una metodica integrata di più strumenti, più prassi, più fattori (e, in tal senso, il supporto psicologico e psichiatrico non va sottovalutato). Ma è una politica indispensabile: e urgente. Ne va della salute pubblica, e di quella dei tossicomani.

Antigone: convegno su una nuova amministrazione penitenziaria

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

Per ragionare su "una nuova amministrazione penitenziaria", all’indomani del cambiamento politico sancito dal risultato elettorale, Giuliano Pisapia e Massimo Brutti, entrambi tra i candidati alla poltrona di Guardasigilli, si troveranno al convegno organizzato dall’associazione Antigone, che si batte per i diritti in carcere. A discutere il 9 maggio prossimo del management di un’organizzazione complessa come quella del Dap ci saranno, tra gli altri, anche Stefano Anastasia, presidente della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia; il deputato Daniele Capezzone; il senatore Giovanni Russo Spena e Mauro Palma, componente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

Roma: arrestato per pedofilia, chiede la "castrazione chimica"

 

La Repubblica, 24 aprile 2006

 

"Chiedo di essere sottoposto alla castrazione chimica. Sono disposto a tutto pur di dimostrare che non sono un mostro, che voglio tornare a essere una persona normale". Una proposta shock arrivata dopo due ore di interrogatorio senza un attimo di respiro. Fausto Cusano, 38 anni, allenatore di una scuola calcio dell’Eur, finito in carcere assieme ad altre diciassette persone per un giro di violenze sessuali su almeno duecento bambini ha chiesto al pm Gloria Attanasio e al Gip Renato La Viola la stessa "chance" che viene offerta ai pedofili americani.

"Sono pronto ad andare negli Usa o a parlare con il ministro della Giustizia per studiare il modo di accontentare il mio cliente - dice il suo difensore, Giancarlo Marini - so che non ci sono precedenti in Italia né possibilità del genere nel codice penale ma le leggi si possono cambiare". Fausto Cusano era finito in carcere nel luglio scorso, quando un ragazzino francese lo accusò di averlo molestato durante una trasferta in Umbria. Nel suo appartamento, la polizia sequestrò le cassette che riprendevano assieme a centinaia di bambini, molti dei quali romeni. Ma la squadra mobile romana stava indagando da tempo sul gruppo di pedofili che frequentavano in campo nomadi di Tor Fiscale e di cui faceva parte anche l’allenatore. L’uomo, che aveva ottenuto gli arresti domiciliari, è tornato in carcere martedì scorso. Nei filmati, gli agenti del vicequestore Dania Manti hanno già identificato sette bambini italiani, allievi della scuola calcio e i volti (estrapolati dalle immagini) sono stati mostrati, tra lacrime e crisi di disperazione, ai genitori delle vittime. L’allenatore è accusato anche di aver narcotizzato alcuni bambini per poi abusarne e aver istallato alcune microcamere nei bagni e negli spogliatoi. Cusano, in un’intervista al nostro giornale, tramite l’avvocato Marini, aveva negato tutto: "Quelle foto riprendono solo prostitute e prostituti che, per quanto ne sapevo, erano tutti maggiorenni".

Anche ieri, nell’interrogatorio di garanzia, l’uomo ha cercato di mantenere, almeno all’inizio, la stessa linea difensiva. "Non ho mai abusato dei bambini" ha risposto alle prime domande "Non li ho mai drogati per farli addormentare". E ancora: "Non conosco nessuno delle persone arrestate, ho frequentato il campo nomadi di Tor Fiscale solo perché volevo aiutare un ragazzino romeno". Ma i due magistrati lo hanno incalzato e gli hanno mostrato le foto dei volti dei sette bambini italiani vittime degli abusi. L’uomo ha cominciato a cedere: "È vero, ho avuto rapporti con uno dei ragazzini ma mi sono limitato a toccarlo". Poi l’allenatore si rifiutato di aggiungere altro. Ma, quando l’interrogatorio sembrava ormai concluso, Fausto Cusano ha pronunciato quella frase che ha lasciato senza parole anche i magistrati: "Sono pronto a sottopormi alla castrazione chimica". L’avvocato Marini ha insistito perché la frase fosse messa a verbale. "Sono contraria per motivi umanitari" è stato l’unico commento del pm Attanasio. E ieri mattina gli agenti della IV sezione della mobile hanno arrestato Giorgio Cripezzi, 55 anni, l’unico indagato che era sfuggito alle manette.

Opera: rimosso il direttore Fragomeni; "troppa libertà ai detenuti"

 

Il Giorno, 24 aprile 2006

 

 

Di rimozione il provveditore alle carceri lombarde, Luigi Pagano, non vuol proprio sentirne parlare: "Che brutta parola. Si tratta solo di un avvicendamento, uno spostamento da una funzione a un’altra. Dopo tanti anni di servizio nello stesso posto, c’è anche bisogno di cambiare".

Nei fatti, però, Alberto Fragomeni da ieri non è più il direttore del carcere di Opera. L’incontro a luci rosse tra una coppia di detenuti nella sala musica del penitenziario, avvenuto poco prima di Pasqua, ma venuto alla luce solo l’altro ieri, lo ha travolto.

Anche se è stato solo l’ultimo di una serie di episodi che da tempo gli avevano messo contro praticamente tutto il personale di polizia penitenziaria. "La goccia che ha fatto traboccare il vaso", commentano ora i sindacati, che però hanno il buon gusto di non cantare vittoria.

"Umanamente ci dispiace. L’attacco non era alla persona, ma a un certo modo di gestire il carcere. Allontanarlo era una misura da prendere ed è stata presa". Fragomeni ora sarà distaccato al Provveditorato con funzioni ancora da decidere, mentre a dirigere il penitenziario di Opera arriverà già da mercoledì prossimo Antonio Porcino, stimato direttore del carcere di Bergamo.

"Uno dei funzionari più seri e capaci che abbiamo - sottolinea Pagano - come attesta il carcere da lui diretto, un vanto del sistema penitenziario italiano". Porcino però sarà solo un direttore pro-tempore ad Opera. Quello definitivo arriverà solo successivamente e sarà nominato a Roma dal Dipartimento dall’amministrazione penitenziaria. Nel frattempo Alberto Fragomeni lascia Opera. In modo assolutamente sereno, a detta di chi lo ha incontrato ieri.

"È venuto al bar - racconta una voce di dentro - ha preso il caffè e ha salutato tutti. Sembrava molto tranquillo". Più concitati, invece, erano state le settimane e i mesi precedenti della sua gestione. Tra lui e gli agenti si era ormai arrivati allo scontro frontale, sfociato nel sit-in di giovedì pomeriggio.

L’accusa era di aver delegittimato il ruolo delle guardie, concedendo ai detenuti alcune libertà poi degenerate in abusi. Come quella di esentare dalle perquisizioni i detenuti che facevano parte della squadra di calcio, con la conseguenza che in carcere ormai entrava un po’ di tutto. In particolare, i cellulari. E poi gli incontri a luci rosse tra detenuti, a cominciare da quello tra un calciatore e una ragazza pon pon avvenuto circa un anno e mezzo fa nel teatro del carcere.

Degenerazioni che nascevano, però, da un’intenzione buona, cioè il recupero dei reclusi. Un progetto che non sarà certo rinnegato con il cambio di direzione. "Ad Opera - precisa il provveditore Pagano - sono state poste in essere delle iniziative trattamentali nei confronti della popolazione carceraria di notevole spessore, che vogliamo ovviamente salvaguardare. Naturalmente sempre tenendo d’occhio la sicurezza sulla quale non possiamo transigere".

 

I calciatori detenuti: "Non giochiamo"

 

Il Free Opera si dissocia. La squadra di calcio dei detenuti non sarà in campo questa mattina. Salterà il turno esterno del campionato di Terza categoria. Un gesto di solidarietà nei confronti di Alberto Fragomeni, il direttore sollevato dall’incarico due giorni fa. Gli agenti della polizia penitenziaria lo accusavano di favoritismi e ne avevano chiesto la rimozione. A decidere, dopo lunghi tentativi di mediazione, è stato Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri Lombarde. Quando ha saputo che i detenuti calciatori non avrebbero giocato, ha tentato di farli desistere.

"Personalmente mi è dispiaciuto - dice Pagano -, ma abbiamo preferito non forzare la mano. Forse hanno voluto rendere omaggio al loro presidente, all’uomo che è stato l’anima della squadra". L’avventura del Free Opera è nata nel 2002, proprio con l’arrivo di Alberto Fragomeni. Forse, però, i motivi dello "sciopero del pallone" potrebbero essere meno nobili. Tra le accuse a Fragomeni, il sindacato di polizia penitenziaria aveva denunciato "inserimenti al lavoro di detenuti atleti pro-forma, a discapito di graduatorie trasparenti e mirate alla tutela dei detenuti". Ma il Free Opera è una delle iniziative del carcere. Ieri, l’assessore provinciale Francesca Corso ha chiesto di andare avanti con tutti i progetti a favore dei detenuti.

Giustizia: 16 anni in carcere da innocente, scagionato dai pentiti

 

La Repubblica, 24 aprile 2006

 

"Prima di entrare in udienza mi facevo il segno della croce e mi ripetevo: "Questa volta capiranno che sono innocente". L’ho fatto per 16 anni. Ma ogni volta, anche se le prove erano a mio favore, i giudici del tribunale di Taranto le ignoravano. Non si schiodavano dalla loro teoria a senso unico: ero io l’assassino, il colpevole. Alla fine continuavo a farmi il segno della croce, ma non credevo più di riuscire a dimostrare la mia innocenza".

Oggi Domenico Morrone ha 42 anni. Un terzo della sua vita l’ha spesa dietro le sbarre. Ingiustamente. Lo avevano arrestato nel 1991 e condannato a 21 anni, perché, secondo l’accusa, aveva ucciso a colpi di pistola due ragazzini davanti a una scuola media di Taranto. Non era vero. E la verità è saltata fuori solo oggi. Grazie alle confessioni di due pentiti e ad una revisione del processo, la corte d’appello di Lecce l’ha assolto. "Formula piena", gioisce lui. "Per non aver commesso il fatto" specifica l’avvocato Maria Riccio, del foro di Genova.

Per il carcere ingiusto, ora, chiederà allo Stato un risarcimento tra gli 8 e i 12 milioni. Il tribunale gli ha dato ragione due giorni fa, ma Morrone è tornato libero solo ieri. "Venerdì, per l’ultima volta, sono stato contento di dormire in carcere con i miei amici, detenuti e poliziotti - dice Morrone - uomini che hanno capito la mia storia e mi hanno aiutato ad avere coraggio. Volevo festeggiare con loro. Avremmo voluto brindare a champagne, ma non è possibile portare alcolici in cella, così abbiamo brindato con il pensiero e con gli sguardi".

Secondo i giudici Morrone aveva ucciso per vendetta. Dopo un litigio con i ragazzi, l’allora ventisettenne fu ferito alle gambe. E per vendicarsi del litigio e del ferimento li aveva ammazzati. "La sua unica colpa - dice l’avvocato Riccio - è stata di essere un uomo onesto: sgridava spesso i ragazzini, perché rubavano i motorini. Era un pò come la voce della loro coscienza e per questo loro lo odiavano e in ospedale i parenti delle vittime indicarono subito lui come il colpevole". Ma a uccidere era stato un altro.

"Da ragazzo non ho mai preso nemmeno una multa. Il mio sogno era aprire una pescheria". Oggi fa l’operatore ecologico (tre anni fa ha ottenuto la semilibertà) a 600 euro al mese e si prende cura della madre ammalata. "La verità era sotto gli occhi di tutti - ripete - ma nessuno la voleva vedere. Oggi sono libero e sono felice. Però non è una felicità piena. Continuo a chiedermi perché nessuno mi ha mai creduto? Era tanto difficile ammettere di aver sbagliato? Mi hanno umiliato. Perché?".

Per due volte la Cassazione ha rinviato il processo alla corte di appello, perché Morrone aveva un alibi credibile, ma i giudici pugliesi hanno confermato la condanna. "Siamo riusciti a ottenere la revisione del processo perché abbiamo provato che l’assassino era un altro - spiegano l’avvocato Maria Riccio e il collega Claudio Defilippi - Due pentiti hanno rivelato che ad uccidere i ragazzi era stato un ragazzo del clan, Antonio Boccuni, per vendicare lo scippo che la madre aveva subito la mattina del delitto". Boccuni è già in carcere: condannato all’ergastolo per altri delitti.

Lodi: personale di polizia penitenziaria sul piede di guerra

 

Il Cittadino, 24 aprile 2006

 

La polizia penitenziaria ha proclamato uno stato di agitazione. La decisione è stata presa ieri, durante l’assemblea che si è svolta presso il carcere di Lodi, in via Cagnola. Oltre alla segreteria provinciale della Funzione pubblica Cgil, rappresentata da Eugenio Vicini, hanno partecipato Francesco Quinti e Calogero Lopresti, che sono rispettivamente responsabile nazionale e coordinatore regionale della Fp Cgil della polizia penitenziaria. "Sono state affrontate con il personale del corpo di polizia penitenziaria - spiega Vicini - tutte le problematiche esistenti oggi a Lodi e di cui la direzione attuale della struttura è ritenuta la responsabile unica".

L’avvento dell’attuale direzione, continua il segretario, "ha prodotto un notevole peggioramento dei rapporti tra la direzione e i diversi soggetti; sono peggiorate in modo spesso ingiustificato le condizioni dei detenuti, si sono ridotte le occasioni di "apertura all’esterno" della struttura, nonché le collaborazioni con le realtà del volontariato e, in ultimo, si è determinato un clima di esasperazione tra il personale della polizia penitenziaria".

Le ragioni che hanno portato il personale a proclamare lo stato di agitazione sono numerose. Tra queste fa sapere Vicini, il fatto che "venga costantemente negato il diritto allo svolgimento dell’attività sindacale. Stiamo già procedendo con un ricorso contro tale condotta, che si è concretizzata nella negazione di diritti che la legge e i contratti prevedono in modo assolutamente chiaro, quali ad esempio, mancata concessione di permessi sindacali ai delegati sindacali, negazione allo svolgimento delle assemblee e alle visite da parte dei sindacati alla struttura. Inoltre - aggiunge Vicini - vengono continuamente negate ferie e permessi ed è del tutto assente un piano ferie sulla base del quale ciascuno possa programmare anche i propri impegni familiari.

Le restrizioni attuate nei confronti dei detenuti si traducono poi in ulteriori tensioni che gravano sul lavoro degli operatori. Non vi è una programmazione mensile dei turni di servizio del personale e poi, in alcuni casi, che stiamo seguendo direttamente, sono state effettuate, in modo arbitrario, in relazione all’ammontare delle trattenute, delle decurtazioni sugli stipendi di alcuni operatori che vanno ben oltre il quinto dello stipendio previsto dalle norme, provocando gravi problemi economici che è facile immaginare quando una famiglia monoreddito percepisce, a seguito della decurtazione, uno stipendio di 700 euro. La fiducia nei confronti del personale è nulla, mentre lo strumento disciplinare viene usato in modo intimidatorio, distorto ed eccessivo. Abbiamo sperato che le difficoltà fossero superabili, ma dopo un anno la situazione è peggiorata ed è diventata urgente". Ieri sera la direttrice non era raggiungibile.

Lodi: detenuti solidali con gli agenti in protesta contro direttrice

 

Il Cittadino, 24 aprile 2006

 

È bastato un passaparola durante la giornata per far esplodere la protesta dei detenuti del carcere di via Cagnola. Sabato sera infatti, per cinque minuti, praticamente tutti i detenuti hanno battuto con forza posate e altri oggetti metallici contro le sbarre delle celle. Un gesto eclatante per manifestare il loro disagio nei confronti della direttrice Caterina Ciampoli, accusata dai detenuti di aver limitato i loro diritti da quando si è insediata, e per esprimere solidarietà nei confronti della mobilitazione della polizia penitenziaria. La protesta è andata in scena come detto sabato sera, dalle 22 alle 22.05: in quei cinque minuti i carcerati di Lodi hanno fatto sentire la loro "voce" a tutta la città.Proprio nei giorni scorsi la polizia penitenziaria, tramite la Cgil che la rappresenta, aveva proclamato lo stato di agitazione per una serie di problematiche di cui la direttrice è ritenuta responsabile.

In particolare viene contestato la negazione del diritto allo svolgimento di assemblee sindacali, la mancanza di un piano ferie e la negazione dei permessi. Accanto a questo ci sono poi le restrizioni attuate nei confronti dei detenuti, che producono ulteriori tensioni sul lavoro degli operatori. Negli ultimi mesi infatti sono state ridotte le occasioni di apertura della struttura all’esterno, nonché la collaborazione con le associazioni di volontariato. Un clima che ha ulteriormente peggiorato lo stato di esasperazione tra il personale della polizia penitenziaria. Così sabato gli stessi detenuti hanno manifestato la loro solidarietà agli operatori e allo stesso tempo il loro disagio attuale. Un passaparola nel corso della giornata ha metto tutti d’accordo sulla forma di protesta da utilizzare, quella delle posate contro le sbarre delle celle, battute ripetutamente per cinque minuti a partire dalle 22.

Giustizia: ubriachi al volante, servono sanzioni più severe

 

Il Messaggero, 24 aprile 2006

 

Verona, due romeni ubriachi a bordo di un’auto imboccano una strada contromano e uccidono due giovani in moto: gli stranieri sono stati fermati e dopo poche ore rilasciati. La sera di Pasqua sulla Pontina nei pressi di Aprilia un giovane di Nettuno, ubriaco, ha imboccato la strada contromano schiantandosi con la sua auto contro quella di una comitiva di romani che tornavano nella capitale: tre morti e due feriti lievi, tra cui il responsabile che è rimasto in libertà.

Il nuovo codice della strada, che ha inasprito le sanzioni per chi supera i limiti di velocità o commette infrazioni gravi, non sembra poi tanto severo con chi invece provoca incidenti gravi o addirittura mortali. E non per una tragica fatalità, ma per una guida in stato di ebbrezza o manovre pericolose o comunque vietate. "Abbiamo le mani legate - dice laconicamente un ispettore della Polstrada di Latina - Il codice in questi casi, se non c’è pericolo di fuga o omissione di soccorso non ci consente di procedere all’arresto. Spetta, eventualmente, al magistrato una volta che ha ricevuto il nostro rapporto".

"Alla fine non succede nulla" si lamenta Giovanni Delle Cave, presidente della Associazione Europea Familiari delle Vittime della Strada. "Dopo qualche anno si celebra il processo, se nel frattempo i cittadini stranieri non sono già scappati, e in molti casi tutto è finito con la sospensione condizionale della pena e neppure il ritiro della patente. È scandaloso". Giovanni Delle Cave, che nella vita fa il ristoratore a Latina, dopo l’incidente di Pasqua sulla Pontina, ha iniziato lo sciopero della fame, ha scritto al presidente della Repubblica e minaccia di bloccare la Pontina. Cinque anni fa ha perso il figlio, falciato mentre camminava insieme ad un amico da un’auto condotta da un extracomunitario ubriaco. E da quel giorno si batte con la sua associazione perché le strade vengano rese sicure, perché si facciano più controlli, perché la giustizia, per chi uccide al volante, sia "davvero giusta". "Sono arrivato al terzo giorno di digiuno - dice Delle Cave - ma andrò avanti e non mi fermerò neppure se dovessero ricoverarmi perché voglio farne un caso nazionale. Sembra quasi che i morti sulle strade siano morti che non contano. Il codice è carente, ma nella discrezionalità della magistratura, Latina brilla per un eccesso al ribasso in fatto di sanzioni". Al fianco di Delle Cave è sceso Celestino Pedrazzini, vice presidente della commissione Lavori pubblici al Senato che esprime la sua solidarietà.

"Il vecchio governo ha fatto ben poco - continua Delle Cave - e chiediamo al nuovo Parlamento di affrontare il problema della sicurezza stradale e pene severe e certe per chi commette veri e propri omicidi al volante. Se si va in carcere per un furto o perché si commette una frode fiscale è altrettanto giusto che ci siano provvedimenti restrittivi per chi guida ubriaco o commette gravi infrazioni e per questo provoca la morte di innocenti. Uno come quello che ha imboccato la Pontina ubriaco e contromano può trovarselo davanti ognuno di noi". Ieri l’ennesima tragedia, proprio a Latina. Un’auto si è ribaltata in via del Crocifisso direzione Nettuno: una ragazza è morta, altri quattro giovani sono rimasti feriti.

Droghe: Regione Lazio ricorre alla Consulta sulla legge Fini

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

La Giunta regionale del Lazio ha approvato oggi una delibera mediante la quale si propone il ricorso presso la Corte Costituzionale per sollevare l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Il conflitto di attribuzioni, informa una nota, si spiega alla luce dei contenuti del riformato titolo V della Costituzione che attribuisce alle regioni la competenza in materia di sanità. "Nonostante la legge tratti temi attinenti alla salute delle persone - continua il comunicato - le Regioni sono state del tutto esautorate dal dibattito politico e dalla discussione parlamentare sul disegno di legge. La Conferenza Stato-Regioni, infatti, non è mai stata convocata a riguardo. Le Regioni, in questo modo, non hanno alcuna voce in capitolo, ad esempio, nelle procedure di determinazione del limite tra uso personale e spaccio. L’articolo 78 del Testo Unico sugli stupefacenti, così come riformato, recita testualmente che con decreto del Ministero della salute, emanato previo parere dell’Istituto superiore di sanità e del Comitato scientifico di cui all’articolo 1-ter, sono determinate le procedure diagnostiche, medico-legali e tossicologico-forensi per accertare il tipo, il grado e l’intensità dell’abuso di sostanze stupefacenti o psicotrope ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 75 e 75-bis.

Le Regioni, inoltre, perdono discrezionalità nelle procedure di accreditamento delle strutture private, le quali possono da ora in poi rilasciare certificati di tossicodipendenza. L’articolo 116 del Testo Unico, come riformato dalla recente legge prevede che l’autorizzazione alla specifica attività prescelta è rilasciata in presenza di taluni requisiti. Le Regioni sono così vincolate". "Con questa legge si riducono le Regioni a meri enti attuatori scavalcando, di fatto, le loro competenze in materia di tutela della salute dichiara Luigi Nieri, assessore al bilancio, programmazione economico-finanziaria e partecipazione - Le regioni sono praticamente costrette a concedere l’accreditamento alle comunità terapeutiche private. Si è trattato dell’ultimo atto di un governo che ha fatto del federalismo un proprio cavallo di battaglia, ma che nei fatti ha interpretato a proprio comodo il rapporto tra Stato e Regioni. È evidente, oltretutto, che si tratta di una legge che punta al trattamento delle tossicodipendenza dal solo punto di vista penale e non come problema sociale sanitario. Speriamo che ora la Corte metta la parola fine ad una legge demagogica approvata impropriamente a pochi giorni della fine della legislatura all’interno del decreto sulle Olimpiadi".

Droghe: Giovanardi; doppio errore impugnare legge Fini

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

"La decisione delle Regioni Toscana, Emilia Romagna e Liguria di impugnare davanti alla Corte Costituzionale la nuova legge sulla droga è sbagliata nel metodo e nel merito". Lo afferma Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il parlamento, nel giorno della presentazione anche da parte della Regione Liguria di un ricorso alla Consulta contro la cosiddetta "legge Fini". Si tratta di una scelta "sbagliata come metodo" - osserva Giovanardi - "perché queste Regioni hanno disertato la Conferenza nazionale di Palermo, dove per tre giorni pubblici amministratori e operatori del settore hanno discusso e approfondito il tema, con osservazioni e proposte di cui il governo si è fatto successivamente carico". Secondo il ministro, le amministrazioni di Toscana, Emilia Romagna e Liguria commettono un errore anche "nel merito". Nella cosiddetta "legge Fini" - sostiene Giovanardi - "c’è pieno rispetto delle competenze regionali, nessun depotenziamento dei servizi pubblici e dei Sert ma una giusta valorizzazione delle strutture del privato sociale". Un settore, questo - conclude il ministro -, "di cui la sinistra si riempie la bocca a parole, demonizzandolo poi quando si delineano

Droghe: Cento (Verdi); saggia iniziativa regioni contro legge

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

Paolo Cento, dei Verdi, difende l’iniziativa delle regioni che hanno impugnato la legge sulla droga dalle critiche del ministro per i rapporti col parlamento, Carlo Giovanardi. "Il proibizionista Giovanardi avanza critiche infondate: per noi - afferma Cento - l’iniziativa di alcune regioni contro la sua legge è saggia". "Quella legge, nata - per Cento - dall’ansia propagandistica di miopi proibizionisti, ha le ore contate: non solo sosteniamo le motivazioni delle Regioni ma contribuiremo all’abrogazione del testo Fini-Giovanardi che sostituisce ai principi della riduzione del danno e della distinzione tra droghe solo la mano repressiva contro i consumatori". Secondo Cento, inoltre, "Giovanardi sa bene che i principi basilari del federalismo sono stati scavalcati dalla sua legge che preferisce la gestione centralistica e privatistica al ruolo del decentramento".

Droghe Vaccari (Ds); Giovanardi insiste a stravolgere realtà

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

Giuseppe Vaccari, responsabile tossicodipendenze dei Ds, accusa "il quasi ex-ministro" Carlo Giovanardi di "stravolgere di continuo i dati di realtà" rispetto alla "sua legge sulla droga", impugnata davanti alla Corte Costituzionale da alcune regioni. Vaccari ricorda a Giovanardi che "le regioni disertarono la conferenza di Palermo", sulle tossicodipendenze, "perché fu lui, di fronte alla richiesta di una partecipazione attiva" a "rifiutare l’offerta di collaborazione e a impostare un appuntamento istituzionale quale dovrebbe essere la Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze in un mero spot elettorale".

Vaccari accusa Giovanardi di non aver "tenuto minimamente conto" delle posizioni contrarie all’impostazione della legge che gli furono espresse, e di avere "la spudoratezza di parlare di potenziamento dei Sert quando in cinque anni non ha fatto altro che screditarli e depotenziarli". Inoltre, fra i privati, sono stati "premiati solo quei pochi che si erano allineati alla cultura punitiva e repressiva". "A mandare a casa Giovanardi ci hanno già pensato gli elettori. A far sparire quelle norme stupide, liberticide e dannose per il recupero dei tossicodipendenti, ancor prima delle decisioni della Consulta ci penserà - conclude Vaccari - il nuovo governo".

Sahara: rilascio detenuti; Polisario, bene ma lotta continua

 

Ansa, 24 aprile 2006

 

Il Polisario (il Fronte che lotta per l’indipendenza del Sahara occidentale) ha espresso "grande soddisfazione" per la liberazione di 48 detenuti saharaui, fra cui molti politici, annunciata ieri dal Marocco, ma ha avvertito che la lotta continua fino a conseguire l’autodeterminazione. Il rappresentante del Polisario in Spagna, Ibrahim Galli, citato dai media, ha detto che "benché si tratti di una buona notizia" la resistenza deve continuare sino ad ottenere "la totale autodeterminazione". La liberazione dei detenuti era stata annunciata ieri da Rabat a 48 ore dalla proposta del segretario generale dell’Onu Kofi Annan di colloqui diretti fra le parti. Proposta già respinta dal Polisario che l’ha definita "kafkiana" considerando che lo stesso Annan nel suo rapporto definisce come irrinunciabile il diritto all’autodeterminazione che il Marocco nega. Oltre alla liberazione dei detenuti politici il Polisario chiede la liberazione di 150 prigionieri di guerra e che Rabat dia informazioni sugli oltre 500 saharaui scomparsi. Il Polisario aveva lo scorso anno già posto in libertà tutti i prigionieri di guerra marocchini.

 

 

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