Rassegna stampa 5 settembre

 

Roma: detenuto bosniaco di 39 anni si impicca a Rebibbia

 

La Repubblica, 5 settembre 2005

 

Ancora un suicidio a Rebibbia. Un bosniaco di 39 anni, recluso nel reparto G12 del carcere della Tiburtina, si è ucciso impiccandosi mercoledì notte. A denunciare il caso è l’associazione Papillon che sottolinea come "per giorni sia stato mantenuto il silenzio sulla vicenda come se il silenzio potesse cancellare l’ennesimo dramma all’interno delle carceri". Il detenuto da pochi giorni aveva interrotto volontariamente una terapia medica per disturbi di carattere neurologico e si trovava in una cella da solo poiché gli era stato concesso di lavorare. Ed è ancora "Papillon" a lanciare l’Sos: "Ancora una volta che il livello raggiunto dal sovraffollamento rende praticamente impossibile per i medici e per gli operatori penitenziari (agenti, educatori, psicologi) seguire adeguatamente tutti i detenuti con particolari patologie".

Papillon: ancora un suicidio nelle carceri, adesso è emergenza

 

Comunicato stampa, 5 settembre 2005

 

Nella notte tra mercoledì e giovedì, un detenuto bosniaco di 39 anni, detenuto nel reparto G12 del carcere romano di Rebibbia, si è ucciso impiccandosi. Il detenuto non faceva colloqui con i familiari e sembra che l’unica parente rintracciata sia la sorella che ha espresso il desiderio di riprendersi la salma del fratello. Le modalità del suicidio (la corda bagnata ed un cuscino sotto lo sgabello) lasciano pensare che il detenuto bosniaco abbia programmato e preparato meticolosamente il suicidio. Da pochi giorni il detenuto aveva interrotto volontariamente una terapia medica per disturbi di carattere neurologico e si trovava in una cella da solo poiché gli era stato concesso di lavorare (come da lui più volte richiesto).

Queste due novità (il lavoro e la cella singola) che in genere hanno un effetto tranquillizzante sui detenuti, hanno invece avuto uno strano effetto boomerang sul detenuto bosniaco, al punto da moltiplicare gli effetti del suo disagio psichico e indurlo al suicidio. Fino a questa mattina la direzione e il ministero non avevano resa pubblica la notizia, quasi che il silenzio possa cancellare l’ennesimo dramma all’interno delle carceri.

La nostra Associazione rende pubblica questa notizia, sottolineando ancora una volta che il livello raggiunto dal sovraffollamento rende praticamente impossibile per i medici e per gli operatori penitenziari (agenti, educatori, psicologi, etc.) seguire adeguatamente tutti i detenuti che presentano particolari patologie. Ancora una volta invitiamo tutte le forze politiche a prendere atto delle gravità della situazione generale delle carceri italiane, e pur rendendoci conto dell’impossibilità di discutere e votare in piena campagna elettorale quei necessari provvedimenti di indulto e di amnistia che noi detenuti, insieme alla Chiesa Cattolica e a tanti Cittadini, abbiamo più volte richiesto, chiediamo a quelle forze che più sono consapevoli della nostra drammatica situazione di assumere già oggi, in piena campagna elettorale, l’impegno di mettere al primo punto della nuova legislatura un intervento straordinario sulle carceri, Attraverso un provvedimento di indulto e di amnistia che crei le condizioni minime necessarie per avviare le riforme del nostro sistema penale e penitenziario. Nell’immediato, crediamo che varie forze politiche possano invece trovare già oggi un accordo trasversale per porre limiti precisi all’uso e all’abuso che si compie nell’applicazione della custodia cautelare (oltre 21000 sono i detenuti in attesa di giudizio e mediamente circa la metà viene assolta)e possano inoltre stabilire l’obbligo di applicare in modo integrale ed uniforme, per tutti i detenuti ed in ogni parte d’Italia, lo spirito e la lettera della Legge Gozzini, sottraendo i detenuti ai tanti arbitrii che si compiono contro di loro quando chiedono di avvalersi di quella Legge. Infine, torniamo a chiedere ancora una volta a tutte le Giunte e i Consigli Regionali di procedere, per quanto di loro competenza, nella riforma della sanità penitenziaria e di farsi carico in via straordinaria dell’assunzione (anche a tempo determinato) di educatori e psicologi che vadano ad affiancare quei professionisti già presenti nelle carceri che da soli oggi non possono riuscire a seguire tutti i detenuti. Ci auguriamo quindi che presto la Giunta e il Consiglio della Regione Lazio, lasciando da parte inutili polemiche, arrivino a discutere ed approvare a larghissima maggioranza le proposte di Legge che vanno in questa direzione, creando un esempio che potrà essere ripreso e sviluppato in tutte le altre Regioni.

 

Vittorio Antonini, coordinatore nazionale dell’Associazione Culturale Papillon – Rebibbia

Perugia: il cappellano; le detenute hanno bisogno di non sentirsi sole

 

Redattore Sociale, 5 settembre 2005

 

"La cella può essere un luogo di potenziale conversione religiosa, ma la fragilità delle persone recluse, che spesso provengono da altri Paesi, senza radici e speranza, ci invita a portare loro prima il pane e dopo la parola di Dio": ad affermarlo è don Saulo Scarabattoli, da oltre 10 anni cappellano della sezione femminile del carcere di Perugia". "C’è una fame alla quale Gesù ha risposto dando il pane e poi quella che ha placato con la parola - dice don Saulo -. Attualmente alle donne recluse nell’immediato serve proprio la seconda: ovvero un piccolo sostegno economico, un aiuto a tenere i collegamenti con le famiglie, l’appoggio morale. Ed è quello che richiedono tutte, indistintamente dalla loro cultura religiosa. Ed è quello che faccio seguendo il consigli di Papa Giovanni XXIII che ci invitava a guardare ciò che ci unisce e non quello che ci divide".

Secondo il cappellano che è anche parroco di una parrocchia del capoluogo umbro, quella di Santo Spirito, ad unire tutte le detenute, indipendentemente dalla religione che professano, è "il bisogno di non sentirsi sole e di avere un appoggio morale". "È proprio questo il nostro compito - dice don Saulo - Un compito che si complica ulteriormente proprio perché la fragilità di queste persone spesso tossicodipendenti e lontane dalla loro terra si è accentuata a favore dell’incostanza dell’impegno di voler cambiare e crescere.

La maggior parte delle detenute fuori dalla cella non ha radici -ha aggiunto - e, per accettare in modo più sereno la reclusione, difficilmente si impegnano in un processo di crescita".

Ma non è sempre così: "Alcune si interrogano e vengono da me a cercare un conforto - riferisce il cappellano - La loro è una ricerca di senso, sul perché alcuni fatti succedono". C’è poi anche chi, atea o professante altre religioni, abbraccia il cristianesimo: "È avvenuto sei anni fa ad una ragazza nigeriana animista che ha celebrato l’iniziazione cristiana ed ha poi continuato un cammino di fede. Ma la differenza di religione nella maggior parte dei casi non impedisce alle detenute di partecipare alla celebrazione eucaristica che è vista come una occasione di riflessione spirituale". Altro momento di grande emozione per don Saulo è quello della confessione. "Visto che per i detenuti il ‘peccato’ è già di pubblico dominio, io chiedo alle donne che incontro ogni giorno di raccontarmi che cosa hanno fatto di bene nella loro vita. Mi accorgo che rimangono stupite alla mia domanda, ma è un modo per ridare loro speranza e ritrovare quello che hanno di bello dentro".

Teramo: nel carcere di Castrogno adesso la situazione è tranquilla

 

Il Tempo, 5 settembre 2005

 

Sulle condizioni del carcere di Castrogno interviene l’associazione di volontariato "Verso il futuro". "I carcerati lamenterebbero la mancanza di assistenza psicologica - scrivono le responsabili dell’associazione in una nota - ma nel carcere operano tre psicologi rivolti a tutti i detenuti e l’Istituto è frequentato anche da altri psicologi che curano dei progetti specifici a favore di determinati soggetti. Inoltre, per quel che concerne l’assistenza sociale, nel carcere operano quattro assistenti sociali del centro servizio sociale per adulti di Pescara e 20 volontari che effettuano interventi a favore dei detenuti". Smentita dall’associazione anche la mancanza di igiene e di assistenza sanitaria. "Presso l’Istituto c’è un servizio di guardia medica 24 ore su 24 - conclude l’associazione - e tutte le medicine di cui i detenuti hanno bisogno sono fornite dalla farmacia dell’ospedale Civile".

Lodi: Luigi Manconi; anche qui serve un garante per i detenuti

 

Il Cittadino, 5 settembre 2005

 

Anche nel nostro territorio si dovrebbe istituire un garante che svolga una funzione di mediazione tra detenuti e amministrazione penitenziaria. Il suo ruolo è quello di raccogliere le domande, le rivendicazioni di coloro che si trovano in uno stato di custodia e tradurle in azioni concrete e collettive presso le istituzioni competenti. La richiesta è arrivata direttamente da Luigi Manconi, membro della direzione nazionale dei DS, da anni impegnato nella difesa dei diritti dei carcerati, che sabato sera è intervenuto alla festa dell’unità di Lodi. "Già diversi comuni si sono dotati di questa figura: esiste un ufficio a Roma, Milano, Firenze, Bologna, Torino e Nuoro; ce n’è uno attivo nella regione Lazio e stanno nascendo segreterie di questo tipo in diverse parti d’Italia - ha spiegato l’ex senatore dei Verdi -. Credo che la nomina di un garante sia non solo una scelta saggia e ragionevole, ma soprattutto una decisione improntata ad un profondo senso di giustizia.

Per i cittadini liberi infatti è prevista dall’ordinamento un’autorità cui rivolgersi per chiedere tutela, invece per coloro che debbono scontare le conseguenze di un reato non è contemplato un soggetto terzo che funga da intermediario con gli istituti di pena". La magistratura di sorveglianza oltre ad essere oberata possiede anche una funzione giudicante, quindi non può esercitare completamente il compito di salvaguardia di coloro che hanno subito una limitazione alla propria libertà. Manca così una normativa di garanzia che permetta ai soggetti più deboli di vedersi rappresentate le proprie rimostranze. Già nel 1999 alcuni esponenti politici del centro sinistra avevano provato a colmare la lacuna presentando un disegno di legge in materia. Non essendo stato approvato, la soluzione adottata è stata la promozione di riforme a livello locale, che stanno avendo largo seguito tra le amministrazioni territoriali.

"Il nostro fine è quello di arrivare alla vigilia delle prossime elezioni con un movimento ampio di sostenitori della nostra proposta - ha aggiunto Manconi - in modo da inserirla tra gli obiettivi prioritari della prossima legislatura. Non si può lasciare che un argomento tanto delicato sia regolato in maniera diversa a seconda delle organizzazioni locali. È necessaria una legge dello stato che delinei il quadro generale". L’introduzione di un intermediario è ritenuto inoltre opportuno perché renderebbe più agevole un triangolo di relazioni - tra comuni, penitenziari e custoditi - che non funziona correttamente, una collaborazione che, con un responsabile a coordinare i rapporti, potrebbe migliorare il regime di convivenza all’interno delle strutture di correzione. Una rinnovata cura delle condizioni nelle carceri che avrebbe benefici enormi nello stimolare l’importante compito rieducativo delle pena.

Lodi: l’assessore Cesani propone "niente sbarre nei colloqui"...

 

Il Cittadino, 5 settembre 2005

 

"Dobbiamo cercare di garantire all’interno del carcere momenti di affettività, di condivisione tra padri e figli che non avvengano soltanto attraverso delle sbarre. L’esperienza è già stata avviata con successo in altre realtà, penso sia necessario iniziare una riflessione su questa possibilità anche nel nostro territorio". A proporlo è Silvana Cesani, assessore a servizi sociali del comune di Lodi, che sabato sera alla Festa dell’Unità è intervenuta al dibattito su giustizia, diritti e legalità che vedeva protagonista Luigi Manconi, membro della direzione nazionale dei Ds, da anni impegnato nella difesa dei diritti dei carcerati. A margine della discussione sono emerse indicazioni pubbliche su un progetto ambizioso e importante.

L’idea consiste nell’eliminare quelle barriere, per il periodo dell’incontro tra detenuti e loro famiglie, che permettono uno scambio limitato alle sole parole. Il colloquio dovrebbe consentire una maggiore intimità e vicinanza, con spazi più riservati e non sempre sorvegliati da uomini in divisa che rendono un’occasione tanto significativa gravata spesso da una presenza ingombrante. "Basterebbe che le guardie per un breve arco di tempo si togliessero l’uniforme d’ordinanza - ha aggiunto la Cesani -, ne guadagnerebbe l’atmosfera generale. Ci si potrebbe ispirare ai progetti che sono stati avviati in altre province e Paesi". A Milano, ad esempio, alcuni volontari hanno dato vita all’associazione "bambini senza sbarre", un gruppo che offre un supporto di natura psicologica, e non solo ai figli dei reclusi, durante l’incontro con i loro genitori; in Svizzera sono presenti fuori dai penitenziari degli appartamenti in cui è possibile abbandonarsi ad attimi di totale confidenza con i propri cari, senza l’assillo di essere osservati dalle guardie.

"Non è detto che questa sensibilità non si possa sviluppare anche qui da noi - ha commentato Andrea Ferrari, assessore alla cultura del comune e uno dei promotori di "Uomini liberi", il giornale scritto interamente da carcerati che viene pubblicato anche ogni mese con "Il Cittadino" -. Da qualche tempo abbiamo collaborato alla realizzazione di un piano editoriale che ha risvegliato interesse e attenzione verso l’universo dei detenuti, uno strumento che ha dato voce e creato un rapporto di proficua comunicazione tra società civile, suoi rappresentanti e i luoghi di pena". Il dialogo avviato per mezzo dei media e la volontà di rinnovamento che si respira nel Lodigiano su questa questione potrebbero contribuire alla creazione di un terreno fertile per cambiare le condizioni all’interno dell’istituto di via Cagnola.

"Anche nel ristretto penitenziario locale la situazione è migliorabile, come in tutte le altre strutture bisogna rendere più trasparente e veloce la circolazione di informazioni - ha continuato Ferrari -. In molte circostante, contesti di disagio, e non soltanto da parte degli arrestati, sono superabili con una collaborazione più stretta con le altre istituzioni". Propositi da dibattito estivo o reali misure di governo del territorio? I due esponenti della giunta Guerini hanno assicurato che porteranno a breve, sul tavolo politico, il problema della tutela dei diritti dei carcerati. Con l’intenzione di regalare a chi ha sbagliato qualche scampolo di umanità.

Droghe: Cassazione; chi offre uno spinello compie reato di spaccio

 

Secolo XIX, 5 settembre 2005

 

Offrire da fumare tenendo uno spinello in mano è reato. A stabilirlo è una sentenza della Cassazione, secondo cui "l’offerta integra il reato di spaccio". Con questa motivazione i giudici hanno confermato le due sentenze di condanna nei confronti di un uomo che a Napoli aveva avvicinato un maresciallo dei carabinieri (in borghese), chiedendogli se volesse fumare. Una proposta fatta dall’imputato mentre stava arrotolando uno spinello insieme a un amico, con cui aveva nascosto in un muro lì accanto una confezione di sigari contenente cinque stecche di hashish, per un totale di 7,85 grammi.

Secondo la Cassazione "l’offerta del fumo al teste da parte dell’imputato appare inequivocabile e tale da integrare già da sola il reato di spaccio in un contesto nel quale, a due o tre metri di distanza dall’imputato, in un buco nel muro di un androne si trovava la confezione ripiena di hashish". Di conseguenza, "è giusto ritenere che l’offerta fosse riferita alla droga e non, come ipotizza il ricorrente, a una semplice sigaretta, anche perché in tal caso non si capirebbe nemmeno la ragione di una simile proposta ad uno sconosciuto".

La Cassazione ha così confermato la sentenza della Corte d’appello nei confronti dell’imputato, condannato anche per il possesso dell’hashish "rinvenuto a poca distanza, che era della stessa qualità di quello contenuto nello spinello". L’uomo dovrà così scontare otto mesi di reclusione e pagare 1.000 euro di multa: visti i suoi numerosi precedenti penali, i giudici non gli hanno infatti concesso la sospensione condizionale della pena. Da oggi, insomma, offrire il classico "tiro" da uno spinello potrebbe costare caro.

La sentenza della Cassazione non piace però a Marco Cappato, esponente del partito Radicale, che da anni si batte contro il proibizionismo sulle droghe leggere. "La decisione - sostiene Cappato - conferma il caos interpretativo da parte dei giudici riguardo alle leggi sulla droga, che noi radicali abbiamo più volte sottolineato. È infatti provato che la cessione a titolo gratuito di stupefacenti, come in questo caso, viene sanzionata in modo completamente diverso a seconda della Corte che viene interpellata". Secondo i radicali, la confusione sul tema è sovrana. "Il fatto poi - continua Cappato - che ci fossero delle confezioni di hashish nascoste a poca distanza non prova nulla. Un conto è lo spaccio, che va dimostrato; un altro è la semplice offerta di un tiro. Tra oggi e domani decine di migliaia di persone si passeranno uno spinello, che nella maggior parte dei casi si fuma in gruppo. Ebbene, vogliamo considerarle tutte degli spacciatori e riempire così le carceri, peraltro già stracolme? Questa sentenza non può proprio lasciarci contenti".

Cagliari: agenti di polizia penitenziaria sul piede di guerra

 

Sardegna Oggi, 5 settembre 2005

 

Sono sul piede di guerra anche agenti di polizia penitenziaria che svolgono servizio all’interno del carcere cagliaritano di Buoncammino. Le ragioni, esposte in una lettera da tutte le sigle sindacali congiuntamente, vengono individuate nella cronica carenza di organico, in turni massacranti e condizioni di sicurezza precarie. La missiva è stata inviata al Ministro della Giustizia, al prefetto di Cagliari, al capo del Dap, al provveditore regionale e al direttore del carcere. Secondo quanto affermano i sindacati "un solo agente deve vigilare e farsi carico degli adempimenti di interi reparti detentivi suddivisi in più piani tra docce detenuti, visite mediche, colloqui, udienze e terapie". Per questo fa gli agenti si sarebbe diffuso un "forte malcontento".

Tempio Pausania: chiusura del carcere, levata di scudi in Gallura

 

Agi, 5 settembre 2005

 

La decisione del ministero della Giustizia di chiudere il fatiscente carcere "La Rotonda" di Tempio Pausania scontenta tutti in Gallura. Il provvedimento, firmato il 1 giugno scorso dal ministro Roberto Castelli, e comunicato soltanto in questi giorni al responsabile regionale delle carceri e al direttore del penitenziario costruito nella seconda metà dell’800 non piace ai sindacati degli agenti di custodia, né ai magistrati di Tempio, tantomeno al sindaco della città Antonello Pintus, che lo considera "deleterio". Il primo cittadino intende convocare un consiglio comunale sulla questione e organizzare una riunione fra sindaci della Gallura per protestare contro la chiusura del carcere, che di recente accoglieva soltanto detenuti in attesa dell’udienza di convalida del fermo.

I 27 agenti della Rotonda rischiano il trasferimento in altre carceri assieme ai pochi detenuti galluresi e i sindacati sono già sul piede di guerra, pronti a promuovere iniziative di protesta nei prossimi giorni. La nuova casa circondariale a Nuchis, vicino a Tempio, è in stato di avanza progettazione, ma il territorio non si aspettava la chiusura della vecchia prima che fosse pronta l’altra. Per il progetto sono stati finanziati 35 milioni di euro e per discuterlo è stato annunciato un incontro a Tempio, mercoledì prossimo, fra funzionari del ministero della Giustizia, amministratori comunali e privati espropriati dei terreni su cui dovrebbe sorgere il nuovo carcere. La prospettiva che tribunale e procura, con un enorme carico di lavoro, assieme alle due sedi staccate di Olbia e La Maddalena restino senza una casa circondariale lascia contrariati sia il procuratore capo di Tempio Valerio Cicalò che il presidente della locale sezione delle camere penali, Gerolamo Orecchioni, per il quale la chiusura della Rotonda è "una iattura". Come i magistrati, anche gli avvocati dovranno spostarsi a Sassari per gli interrogatori.

Saluzzo: agenti aggrediti, sale la tensione in un carcere "caldo"

 

Corriere di Saluzzo, 5 settembre 2005

 

Un detenuto nella sezione di alta sicurezza del carcere della Felicina di Saluzzo (dove sono rinchiusi i condannati per reati di mafia) intorno alle 11 del mattino di martedì 9 agosto, ha aggredito un agente colpendolo al collo e al volto con un’arma da taglio. Il recluso, Tito Tammaro, è sottoposto al regime del 14 bis e non esce dalla cella se non per due ore "d’aria" al giorno. L’agente, 37 anni, da 5 a Saluzzo, non avrebbe dovuto trovarsi in quella sezione; pare che nessuno abbia azionato l’allarme e l’agente ferito si sia recato personalmente dal comandante a denunciare l’accaduto; dopodiché è stato accompagnato al Pronto soccorso per essere medicato. Non è chiaro quale tipo di arma sia stata usata da Tammaro dato che pare non sia stata rinvenuta. Sarà la Procura, che ha aperto un fascicolo contro Tammaro per lesioni aggravate e uso di arma da taglio ai danni di pubblico ufficiale, a chiarire in quali circostanze si sono svolti i fatti ed i tanti lati oscuri della vicenda. Intanto, come solitamente succede in questi casi, per evitare ulteriori incidenti l’aggressore è stato trasferito in un altro carcere.

La scorsa settimana altri due episodi, fortunatamente senza gravi conseguenze, ma che testimoniano l’aumento della tensione nel carcere saluzzese, si sono svolti nella I sezione dove sono reclusi detenuti comuni. Nel pomeriggio del 24 agosto un agente avrebbe richiamato un detenuto che circolava a torso nudo in sezione e sentendosi minacciato da alcuni reclusi si è rifugiato in una camera di sicurezza.

La sera dello stesso giorno, sempre nella prima sezione, un detenuto ha lamentato un malessere ed ha richiesto l’intervento del medico. Secondo la versione ufficiale il detenuto avrebbe chiesto di rimanere solo con la dottoressa ed al "no" dell’agente avrebbe reagito prendendolo a pugni.

Nessun commento del direttore Marta Costantino che si trovava in ferie quando sono avvenuti i fatti ed è rientrata la scorsa settimana. Pesanti invece i commenti dei rappresentanti sindacali del personale di Polizia penitenziaria: "Queste cose succedono quando si privilegia il trattamento rispetto alla sicurezza" dice Gabriele Pilleri, delegato sindacale del Sappe dimissionario, che al carcere di Saluzzo ha lavorato dal dicembre 1989 al 2002 ed oggi è distaccato al carcere di Cuneo dove, dice, "la situazione è molto diversa".

Sotto accusa, quindi, non tanto la cronica carenza di personale che si acuisce nel periodo delle ferie, quanto l’"apertura" verso le attività di recupero e riabilitazione dei detenuti che i vertici del carcere hanno cercato di portare avanti con convinzione negli ultimi anni.

Saluzzo: Osapp; le telecamere vanno usate per la sicurezza...

 

Ansa, 5 settembre 2005

 

L’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, esprime un giudizio molto critico sull’esperimento attuato nelle carceri di Saluzzo (Cuneo), in cui le telecamere a circuito chiuso sono state utilizzate per trasformare i reclusi in giornalisti e cameramen, iniziativa che avrebbe un intento rieducativo. "Sarebbe più opportuno - spiega il segretario piemontese dell’Osapp, Gerardo Romano - che le telecamere a circuito chiuso venissero usate per garantire maggiore sicurezza al personale di polizia penitenziaria che esplica servizio all’interno degli istituti. Nello stesso mese di agosto c’è stata una evidente dimostrazione di come la nostra sicurezza sia stata minata, quando un detenuto ha ferito un nostro collega con un rasoio".

L’Osapp denuncia da mesi la situazione di gravi carenze nell’organico della polizia penitenziaria ed è stata protagonista di diverse manifestazioni pubbliche a Torino. "Consideriamo favorevolmente tutte le iniziative mirate alla umanizzazione del carcere - aggiunge Romano - purché non vadano a scapito della sicurezza, perché gli agenti di custodia sono un elemento fondamentale per il recupero dei detenuti e non possono sempre essere esposti da soli e in prima persona ai rischi che derivano dalla situazione di grave precarietà delle carceri".

Firenze: gravi disagi nel carcere, trattativa detenuti-direzione

 

La Nazione, 5 settembre 2005

 

"È un miracolo se a Sollicciano non è ancora scoppiata una rivolta". Il garante dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, non usa mezzi termini parlando della situazione di sovraffollamento e disagio in cui versa il carcere fiorentino. Più di mille detenuti di cui otto bambini sotto i tre anni contro una capacità di accoglienza da 450 persone, muri scrostati, bagni e cucine non a norma, alimenti tenuti male, impianti di aerazione inesistenti negli ambulatori e della radiologia, addirittura una cella da 27 metri quadri in cui vivono in 9. Una condizione giudicata inumana dal garante.

"A Sollicciano la situazione è esplosiva. Il carcere fiorentino è nato come luogo di detenzione votato al reinserimento sociale dei suoi ospiti, quindi una struttura modello con spazi aperti e detenuti impegnati in lavoro e studio. Con mille persone non si può far niente".

Ma qualcosa, finalmente, sembra muoversi. Dopo l’intervento dell’Asl e i procedimenti avviati dal Comune come garante della salute pubblica, il direttore di Sollicciano, Oreste Cacurri, ha risposto con una lettera in cui dettaglia tutti i lavori che vanno realizzati quanto prima per ripristinare norme igieniche e vivibilità del carcere, dalla ristrutturazione degli ambulatori alla messa a norma di cucine e bagni. Per il sovraffollamento, un centinaio di detenuti sono già stati trasferiti in altri carceri, ma c’è ancora molto da fare: la direzione promette un piano di riduzione e di redistribuzione degli ospiti. Manca però ancora il dettaglio della tempistica degli interventi.

"In settimana - annuncia l’assessore Graziano Cioni - incontreremo la direzione di Sollicciano e l’Asl per stabilire i tempi di intervento, in modo da ripristinare quanto prima l’ordine e la sicurezza non solo per i detenuti ma anche per gli operatori". Intanto, però, il provvedimento contro il carcere non viene ritirato ma solo sospeso, in attesa che quanto promesso sia davvero realizzato.

Firenze: verso un piano di adeguamento del carcere di Sollicciano

 

Asca, 5 settembre 2005

 

Un piano di lavori per interventi di ristrutturazione e adeguamento del carcere fiorentino di Sollicciano. È il risultato, spiega una nota, dell’azione del Comune di Firenze nei confronti della direzione del carcere. "Finalmente - commenta l’assessore comunale ai servizi socio-sanitari Graziano Cioni - abbiamo un piano di lavori che riguarda nel dettaglio il corridoio di collegamento con le sezioni, la zona ambulatori, le docce, la sezione giudiziaria, la cucina e, in parte, anche la tempistica". Il Comune di Firenze aveva chiesto alla direzione dell’istituto di pena di mettere a punto interventi nella struttura dopo che un rapporto della Asl aveva denunciato un "grave sovraffollamento" (935 detenuti a fronte dei 450 previsti) e "un grave degrado strutturale". Nei prossimi giorni, informa la nota, la situazione del carcere sarà al centro di un incontro tra Cioni, la Asl e il direttore Oreste Cacurri. "Manca ancora una tempistica dettagliata sugli interventi - conclude Cioni -. Poi scatteranno le verifiche".

Firenze: i sindacati; serve confronto urgente su carcere Sollicciano

 

Asca, 5 settembre 2005

 

Un incontro urgente con il provveditore regionale toscano dell’amministrazione penitenziaria per affrontare i problemi del carcere fiorentino di Sollicciano. È quanto chiedono Cgil, Cisl e Uil in una nota congiunta dopo che il Comune di Firenze, si legge nel comunicato, "ha intimato alla Direzione dell’Istituto di provvedere al ripristino di condizioni igieniche accettabili, evidenziando la grave situazione inerente il sovraffollamento del Carcere". I sindacati ricordano che Sollicciano è "nato negli anni Ottanta per ospitare circa 450/500 persone e invece regolarmente tocca quota 1000" con una situazione che "pesa enormemente sulle spalle dei Lavoratori e di chi in quella struttura deve viverci". Da qui la richiesta di convocazione, vista, sostengono Cgil, Cisl e Uil, "la mancanza di volontà della Direzione di Sollicciano a confrontarsi seriamente con le organizzazioni sindacali".

Salute: tra i detenuti presenza di malattie infettive molto elevata

 

Infettivologia.net, 5 settembre 2005

 

In un campione di detenuti di 8 istituti penitenziari italiani sono stati studiati i correlati di infezione da Hiv (human immunodeficiency virus) e da Hbv e Hcv (hepatitis B virus e hepatitis C virus). Un totale di 973 detenuti sono stati arruolati nello studio (87% uomini di età media pari a 36 anni, 30.4% utilizzatori di droghe iniettabili, 0.6% uomini che hanno fatto sesso con altri uomini). In questo campione è stata riscontrata un’elevata percentuale di sieroprevalenza (Hiv= 7.5%; Hcv= 38.0%; anti-Hbc = 52.7% e HbsAg = 6.7%). La sieropositività al virus HIV ed HCV è risultata fortemente correlata con l’impiego di droghe iniettabili (odds ratio, OR = 5.9 per HIV e 10.5 per HCV). Dopo aver escluso gli utilizzatori di droghe iniettabili e gli uomini omosessuali, la prevalenza di HIV è rimasta, tuttavia, relativamente alta (2.6%). La prevalenza di Hiv è risultata maggiore per le persone del Nord d’Italia e della Sardegna. L’effetto dell’età riguardo alle infezioni Hiv ed Hcv era a forma di U; la prevalenza di Hbv è aumentata con l’età. I tatuaggi sono risultati correlati positivamente con l’infezione da Hcv (OR = 2.9). Il numero di incarcerazioni era correlato con l’infezione da Hiv, mentre la loro durata era associata solo con gli anticorpi Hbc. La probabilità di risultare sierologicamente positivo al virus Hiv era maggiore nei soggetti sieropositivi per Hcv, soprattutto se utilizzatori di droghe iniettabili. Questo studio ha mostrato un’alta prevalenza di infezioni da Hiv, Hcv e Hbv tra i detenuti, in parte attribuibile all’alta percentuale di utilizzatori di droghe iniettabili. La frequenza di incarcerazoni e di tattoo sono risultate correlate, rispettivamente, alla positività per il virus Hiv ed il virus Hcv.

Agrigento: il carcere di contrada Petrusa è affollato ma utile

 

La Sicilia, 5 settembre 2005

 

Stretti in celle insufficienti. Costretti a vivere in letti a castello a tre piani, dove una caduta potrebbe essere grave. Ma forse potranno avere una istruzione e magari, con un po’ d’impegno, anche una qualifica in tasca che magari gli potrebbe aprire le porte del mondo del lavoro...onesto. I detenuti della Casa circondariale di contrada Petrusa, potranno frequentare il corso ad indirizzo ristorazione, dipendente dall’Ipsar Ambrosini di Favara, e autorizzato dall’assessorato regionale alla Pubblica istruzione con il decreto del maggio 2005.

"È il caso in cui la missione educativa e formativa della scuola - ha commentato Calogero Firetto, assessore provinciale alla Pubblica istruzione - travalica le mura canoniche per colpire un segmento debole della società che ha bisogno di attenzione, di solidarietà e di cure reintegrative". Il corso sarà strutturato secondo le norme che regolano l’attività dell’istituto Ambrosini: stesse discipline scolastiche, stessi orari, stessi docenti. Ne abbiamo parlato con Giovanni Fontana, vicepreside dell’istituto. "Quest’anno si comporrà la prima classe ad indirizzo alberghiero alla Casa circondariale di contrada Petrusa. I detenuti studieranno le stesse materie che seguono gli studenti che frequentano il nostro istituto, ad esempio italiano, storia, geografia, inglese, matematica, diritto, scienze della materia, ma seguiranno anche le lezioni per imparare la lingua francese e i principi di alimentazione. Poi ci saranno i vari laboratori: cucina, sala bar e ricevimento, che si terranno all’interno della struttura ma con il nostro materiale di posateria, pentolame, attrezzatura da cucina". - Che durata avrà il corso di studi?

"Cinque anni, così come prevede un normale corso di studi. Essendo questo un indirizzo professionale, è data la possibilità di interrompere gli studi al terzo anno sostenendo un regolare esame di qualifica". - Di quanti studenti si comporrà il corso? "All’incirca trenta allievi. D’altronde è lo stesso numero previsto per comporre una classe. Le lezioni avranno inizio alle 8,20 del mattino però, a differenza degli orari dell’istituto, l’ultima ora seguirà un orario pomeridiano poiché alle 12,45 è previsto il servizio mensa. Si tratta di una organizzazione scolastica che segue esattamente quanto previsto nel nostro istituto, a differenza che le lezioni si svolgono all’interno di un carcere per offrire l’opportunità a queste persone di imparare un mestiere, qualificarsi professionalmente per potere accedere, una volta tornati liberi, al mondo del lavoro. Questo l’obiettivo con il quale i detenuti della Casa circondariale di contrada Petrusa, seguiranno il nostro corso di studi".

Giustizia: Pisapia; la prima riforma è quella del codice penale

 

Ansa, 5 settembre 2005

 

"La prima riforma che dovrà fare l’Unione in caso di vittoria è quella del codice penale". È quanto ha detto ai giornalisti il deputato di Rifondazione comunista Giuliano Pisapia, componente della commissione giustizia della Camera, che è intervenuto ad un dibattito nell’ambito della festa nazionale dei Popolari Udeur di Telese Terme. "Tre - ha aggiunto Pisapia - sono gli obiettivi da raggiungere con la nuova riforma: avere una pena effettiva certa ma non necessariamente carceraria; accelerare i tempi del processo, anche perché quando si avranno pene diverse dal carcere ci saranno meno impugnazioni; il terzo obiettivo sarà quello di una vita nei carceri degna di un paese civile". "Non avremo più in carcere soprattutto persone che non hanno commesso gravi reati, tossicodipendenti piuttosto che immigrati, ma avremo una serie di sanzioni che permetteranno il reinserimento dei detenuti". "Questo comporterà - ha concluso Pisapia - necessariamente anche una diminuzione della recidiva e quindi una diminuzione dei reati, con più sicurezza per i cittadini.

Crotone: Buemi; la situazione è positiva, rispetto ad altre carceri

 

Ansa, 5 settembre 2005

 

"Il carcere non è un altro pianeta ma un pezzo di società. Se facciamo buoni investimenti avremo meno problemi domani". Lo ha detto il parlamentare Enrico Buemi, membro della commissione Giustizia della Camera dei deputati, a conclusione della visita fatta oggi pomeriggio nella Casa circondariale di Crotone. Enrico Buemi ha detto inoltre che "la situazione nella Casa circondariale di Crotone è più positiva rispetto al quadro delle visite fatte negli altri istituti. La situazione generale delle carceri italiane è molto critica". Il parlamentare ha visitato una quarantina di Istituti penitenziari nei quali, secondo quanto ha riferito, lavora meno del 10 per cento dei detenuti. "Questo va contro il fine rieducativo - ha proseguito - della pena che non può essere solo sanzionatorio. A Crotone, invece, il rapporto di detenuti che lavorano sale al 40-50 per cento: su un centinaio di ospiti la metà ha un’occupazione. Ciò è frutto anche dell’attenzione riservata a questo problema dalla direzione dell’istituto ma anche dagli altri operatori che stanno lavorando per realizzare cambiamenti importanti".

Trapani: il capo del Dap visita le carceri in forma non ufficiale

 

La Sicilia, 5 settembre 2005

 

Visita lampo del capo dell’amministrazione penitenziaria Gianni Tinebra presso la struttura circondariale di San Giuliano. Approfittando del "soggiorno estivo" a Favignana, l’ex capo della procura antimafia di Caltanissetta da qualche anno alla guida del "Dap" ha voluto rendersi di conto di persona dello stato dei lavori che sono in corso da due anni e che stanno permettendo di adeguare una larga parte delle carceri di Trapani. Si tratta di un intervento edilizio per circa 200 mila euro e che entro il mese di ottobre dovrebbe risultare concluso. La manutenzione straordinaria e gli interventi di recupero e di trasformazione edilizia stanno riguardando il più grande dei 4 comparti destinati alla detenzione della struttura penitenziaria trapanese, dove sarà possibile sistemare circa 200 detenuti. Il direttore Francesca Vazzana conferma il carattere privato della visita di Tinebra che ha voluto rendersi dunque conto dello stato di avanzamento dei lavori.

Poi è andato via, rimandando gli incontri che gli vengono sollecitati in particolare dai sindacati, sulla situazione locale e più generale dell’intero organico regionale, ad altra data, certamente quando si muoverà in maniera ufficiale. Una volta giunto a Favignana un’altra visita, sempre privata, l’ha voluta dedicare al carcere dell’isola. "Attendiamo con ansia - dice Gioacchino Veneziano, segretario regionale della Uil Penitenziari - il momento del confronto. Sono tante e importanti le problematiche aperte a cominciare dall’incomprensibile taglio di risorse che si continua a fare ai danni del nostro comparto, situazione che si aggiunge a quella persistente crisi di organico che rappresentano insieme un pericolo per la sicurezza rispetto a tutti i servizi ai quali i nostri agenti sono demandati a compiere.

Le deficienze di organico - prosegue Veneziano - sono a Trapani come nel resto della Sicilia. Poi ci sono una serie di problemi legati al mancato pagamento di alcune indennità, alla manutenzione degli automezzi che non sempre si fa. Ci sono agenti - evidenzia Veneziano - che mettono mano anche al loro portafoglio per garantire dei servizi soprattutto quando sono comandati in missione. Ci stiamo preparando - conclude Veneziano - alla manifestazione nazionale di protesta organizzata a Roma per il 20 settembre".

Siracusa: troppi detenuti, il carcere rischia di scoppiare

 

La Sicilia, 5 settembre 2005

 

C’è voluto l’avvento del nuovo direttore, Giovanni Mazzone da Siracusa per far scoprire che il carcere di contrada Petrusa del Capoluogo sta "scoppiando" di detenuti. Ce ne sono cento in più rispetto alla quota limite, 400 contro 300, alcuni dormono su letti a castello a tre piani e non a due come accade solitamente in condizioni normali. Ci sono poi alcune celle in cui convivono con le rispettive esigenze anche 4 o cinque detenuti. Il nuovo direttore s’insedierà ufficialmente entro la prima decade dell’ormai prossimo settembre, ma ha già le idee chiare su come risolvere o almeno gestire le tante emergenze della casa circondariale agrigentina. "Questo carcere - sottolinea Mazzone - non ha problemi diversi o più gravi di altri, visto che analoghe situazioni si registrano anche in numerose strutture penitenziarie del Paese. Certamente c’è tanto da lavorare, ma sono convinto che le condizioni per migliorare esistano con il contributo di tutti". Parole rassicuranti che contrastano con uno scenario certamente poco edificante che fino a oggi non era stato mai reso noto con tanta chiarezza e che richiede immediati interventi di miglioramento.

Giustizia: Battisti (Dl); l’ex-Cirielli? un’amnistia camuffata

 

Ansa, 5 settembre 2005

 

Una sorta di "amnistia camuffata". Così il senatore della Margherita Sandro Battisti definisce l’impatto che la ex-Cirielli - il ddl che inasprisce le pene di chi torna a commettere uno più reati e contempla una netta riduzione dei tempi di prescrizione - potrebbe avere sui processi pendenti. Per questo chiede che "il ministro della Giustizia, Castelli, riferisca in Parlamento quali sono i dati in suo possesso". "Se fosse vero infatti quanto apparso oggi sugli organi di stampa - osserva Battisti - che, in base ad un monitoraggio compiuto dalla Direzione generale di statistica del ministero della Giustizia, i reati puniti, nel massimo, con reclusione fino a 5 anni con l’ex-Cirielli saranno prescritti, le conseguenze sarebbero gravissime". Già in sede di dibattito parlamentare la Margherita aveva sostenuto che l’ex-Cirielli si sarebbe trasformata in una sorta di amnistia camuffata, questo rapporto sembrerebbe confermare i dubbi sollevati allora. "Non è possibile che ci sia un governo che ogni giorno per bocca di Pisanu, annuncia controlli serrati e giri di vite sulla sicurezza e che dall’altro lato si lascino impunite persone che hanno compiuto reati accertati. Attendiamo dal ministro della Giustizia spiegazioni - conclude l’esponete Dl - su una vicenda gravissima che pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza dei cittadini e sul futuro della giustizia nel nostro Paese".

Giustizia: 60 bambini che hanno passato l’estate dietro le sbarre

 

Vita, 5 settembre 2005

 

Quest’anno una colonia di 60 neonati (o poco più grandi) ha passato le vacanze in cella. Per loro niente mare, né montagna, solo qualche ora di permesso in più da trascorrere, controllati a vista dalle guardie, nel cortile del reparto nido di uno dei 12 penitenziari italiani che in questo momento ospitano 56 madri con a carico bambini con meno di tre anni. Niente di strano, per loro le vacanze "in the jail" sono un appuntamento fisso.

Nel 2005 fra le mete più richieste si è distinta Roma Rebibbia con 16 mamme e altrettanti bambini, seguita da Avellino Bellizzi con 7 mamme e 8 figli e Torino Lorusso e Cotu con 6 mamme e 7 bambini. Estate sotto tono, si fa per dire, per Milano San Vittore dove sono rinchiusi "solo" 4 bambinetti e altrettante madri.

Ma chi sono questi giovanissimi vacanzieri del "lido carcere"? Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma insieme, li conosce bene. Da 11 anni infatti ogni giorno entra nel femminile di Rebibbia dove presta la sua opera da volontaria. "Sono i figli delle detenute che non possono accedere alla legge Finocchiaro (n. 40 del 2001, ndr), nel 90% dei casi nomadi". Nel marzo di quattro anni fa la responsabile giustizia dei Ds aveva favorito l’approvazione di una norma che oggi porta il suo nome per consentire l’accesso alle misure alternative alle carcerate con prole inferiore ai 3 anni o incinte. Il fallimento di quel nobile provvedimento sta nei numeri: oggi in carcere vivono 60 bambini, dieci anni fa ce n’erano 31. Nel 2001, anno in cui è entrata in vigore la legge, erano 63. Un flop che l’avvocato Stefania Bocale, impegnata proprio in queste settimane su input dell’associazione A Roma insieme nel definire un testo di riforma della Finocchiaro, spiega così: "Perché quella legge sia applicata il giudice deve prevedere l’assenza di un concreto pericolo di reato, ma qui siamo di fronte a una tipologia di persone che molto spesso vive nella microcriminalità. Anche se si tratta di reati non gravi, il pericolo di recidiva esiste nel 99% dei casi". Un altro ostacolo insormontabile, osserva Lia Sacerdote, psicopedagogista, vicepresidente dell’associazione milanese Bambini senza sbarre, è costituita "dall’inapplicabilità della norma in caso di pena non definiva e in caso di assenza di residenza", due condizioni molto frequenti fra le rom e i clandestini.

Ma perché queste mamme non lasciano i figli in libertà? Lillo Di Mauro, presidente della Consulta permanente per i problemi penitenziari per il Comune di Roma, osserva che "questa è una prospettiva alla quale le donne, quando possono, cioè quando hanno all’esterno una rete familiare e sociale di riferimento a cui affidare il figlio, accolgono volentieri". Ma la carcerazione dei minori è una strada obbligata per "le donne straniere che non hanno nessuno su cui poter fare affidamento".

"Per un bambino nato in prigione il legame con il carcere difficilmente si spezzerà in età adulta", spiega la volontaria della comunità di Sant’Egidio, Stefania Pelè. "Tutto, all’interno di un carcere, contribuisce a deteriorare le relazioni fra genitore e figlio". "Niente però è così devastante come il momento dell’addio", nota la Sacerdote. La legge infatti stabilisce che i bambini lascino il carcere nel giorno stesso del loro terzo compleanno, anche se la madre deve scontare un periodo di detenzione più lungo. "Questo nella madre genera un fortissimo senso di vergogna e impotenza nei confronti del figlio, mentre il bambino si sente responsabile di quell’abbandono improvviso. Pensa di essere colpevole senza capirne la ragione".

 

Una proposta

 

La soluzione possibile per evitare il carcere ai bambini? Le associazioni propongo di sostituire la detenzione in istituto con quella in case famiglia a sorveglianza attenuata, come prevede il testo elaborato da Stefania Bocale. Un proposta per la quale sono state raccolte 7mila firme tra cui quelle di diversi parlamentari, come Dorina Bianchi della Margherita, Luigi Manconi dei Ds, Enzo Fragalà di An, e di Pierferdinando Casini che, in occasione della visita al femminile di Rebibbia del 25 luglio, si è esposto in prima persona: "Evitare che i bambini crescano in carcere è un fatto di civiltà".

 

La testimonianza di una mamma ex carcerata

 

Gabriella, 48 anni, lei; Luca (chiamiamolo così), 9 anni, lui. Mamma e figlio. Oggi vivono in un appartamento nell’estrema periferia orientale di Milano. Lei lavora come badante, lui va a scuola. Una vita normale, che però sino a pochi anni fa di normale non ha avuto proprio nulla. I primi ricordi di Luca infatti sono rinchiusi in una piccola cella di San Vittore. Era il 1997. Gabriella era stata condannata per reati connessi alla droga a 9 anni e 8 mesi (poi ridotti a 6 anni e 6 mesi). Luca, che allora aveva poco più di un anno, quindi ha passato in cella quasi 24 mesi. Condannato senza aver commesso il fatto.

 

Vita: Perché ha scelto di portarsi dentro anche Luca?

Gabriella: Mia madre si doveva occupare di Giada, l’altra mia figlia più grande. Non potevo affidarle anche Luca, economicamente non avrebbe retto. E poi, dopo aver perso la libertà, avere mio figlio a fianco mi dava la sensazione di aver conservato qualcosa di mio.

 

Vita: Per due anni...

Gabriella: Sì, è stato scarcerato il 9 aprile 1999. Il giorno del suo terzo compleanno. Non dimenticherò mai la sua faccia. Mi guardava fisso e mi chiedeva: "Mamma dove mi portano?".

 

Vita: Lui aveva coscienza di vivere in un carcere?

Gabriella: No. Per lui eravamo in un castello, con le sentinelle, gli orari, le sbarre e le perquisizioni. Ho fatto di tutto per fargli credere di essere in un grande gioco.

 

Vita: Quando Luca è uscito è andato in istituto?

Gabriella: Per fortuna suo padre, mio marito, era appena stato scarcerato e quindi Luca ha potuto tornare a casa.

 

Vita: E dopo?

Gabriella: Ci vedevamo ogni settimana a colloquio. Una volta, eravamo in cortile, incontra un suo amichetto, lo prende da parte e gli sussurra: "Lo sai dove siamo? Questo è un carcere!".

 

Vita: Aveva scoperto il segreto del castello?

Gabriella: Ormai sì. Erano passati diversi mesi. Le prime volte mi chiedeva: "Mamma, ma perché la casa dove sono adesso non ha le sbarre?".

 

Vita: Quanti altri bambini c’erano a San Vittore?

Gabriella: Eravamo 12 mamme e 13 bambini. Tutti stranieri tolto noi. C’erano tante zingarelle, e poi cilene e altre sudamericane.

 

Vita: Com’erano i rapporti ?

Gabriella: Non è facile convivere con gente così diversa. Lì si poteva cucinare una volta sola. Le zingare preparavano per bambini di pochi mesi wurstel, fritture e altre schifezze. Io a Luca non ho mai dato niente del genere.

 

Vita: Qual è stato il momento più duro?

Gabriella: L’estate. Faceva un caldo tremendo e poi i volontari e gli assistenti che ogni tanto portano fuori i bambini, erano in ferie. Non vedevo l’ora che finissero quelle maledette vacanze.

Modena: "La Retata", un nuovo progetto per il reinserimento

 

Redattore Sociale, 5 settembre 2005

 

A.A.A cercasi volontari per il reinserimento delle persone che hanno compiuto reati minori. È il progetto "La Retata. Catturati dalla solidarietà", realizzato con il supporto del Centro servizi per il volontariato di Modena. Chi si rende disponibile non sarà lasciato andare allo sbaraglio: un breve corso di formazione gratuito, sui temi dello scontare la pena all’esterno del carcere, insieme agli incontri con le assistenti sociali dell’amministrazione penitenziaria e i "volontari storici", aiuteranno a capire meglio di cosa si tratta.

È già da alcuni anni che il volontariato modenese presta la sua opera all’interno delle carceri. Quest’anno ha deciso di estendere il suo impegno anche verso i detenuti che scontano la pena all’esterno del penitenziario, usufruendo di misure alternative. Tali misure non sono un premio o un’agevolazione, ma riguardano alcune situazioni particolari previste per legge in cui è preferibile che la persona non stia in carcere (ad esempio se deve provvedere ai figli, oppure se ha problemi con l’alcol o con la droga, a patto di voler seriamente iniziare un percorso di cambiamento). In ogni caso le misure alternative riguardano i cosiddetti "reati minori", vale a dire quelli punibili con pene inferiori ai 3 anni. "Pagare il proprio debito con la giustizia e la società, significa anche avere un rapporto costruttivo con la città, le sue regole, i suoi spazi e la sua gente – si legge nella lettera del Centro servizi per il volontariato di Modena aperta alla cittadinanza -. Supportare un detenuto nel percorso di reinserimento sociale è anche un modo per contribuire alla sicurezza della città in maniera più umana".

Ma cosa è chiamato a fare, concretamente, un volontario? Può accompagnare un detenuto all’Informagiovani o all’Informacittà, affinché possa conoscere i servizi che questa offre (centri per l’impiego, servizi territoriali, associazioni); ascoltare un concerto insieme; passeggiare nel parco; visitare una mostra o semplicemente passare un po' di tempo in compagnia. Per informazioni contattare: Ivana Danisi, coordinatrice progetto "La Retata", e-mail: ivanadanisi@yahoo.it o Luigi Zironi, Centro servizi per il volontariato di Modena, tel. 059.212003, fax 059.246833, e-mail: luigi.zironi@volontariamo.it.

Droghe: arriva vaccino contro la cocaina che annulla il benessere

 

La Repubblica, 5 settembre 2005

 

L’azienda biotecnologica britannica Xenova ha recentemente annunciato che sta sperimentando un innovativo farmaco in grado di curare la dipendenza da cocaina. Un vero e proprio vaccino, tanto interessante che la ricerca ha trovato non senza difficoltà a dire il vero - finanziamenti per decine di milioni di dollari da parte di investitori privati internazionali e infine anche dalle autorità federali americane. Negli Usa la tossicodipendenza da cocaina ha assunto negli ultimi anni proporzioni da vera epidemia. L’Office for National Drug Control Policy ha stimato l’anno scorso in 143 miliardi di dollari i costi sanitari e sociali (violenza, repressione, carcere, licenziamenti) i costi di questa "epidemia", che ha portato nelle sale di pronto soccorso almeno 200mila persone, diverse delle quali morte. In Europa e in Italia il fenomeno com’è noto ha proporzioni non meno gravi.

Il rivoluzionario prodotto, che si chiama Atcd, agisce sul sistema immunitario che, contrariamente a quanto avviene normalmente, viene stimolato a considerare la cocaina come una minaccia. Funziona così: al tossicodipendente viene somministrata una serie di dosi di ATDC, per iniezione. Il farmaco provoca nel sistema immunitario una reazione particolare: fa sì che la molecola di cocaina, quando entra in circolo, anziché essere "accolta" con piacere dall’organismo, venga respinta attraverso una reazione, appunto, immunitaria, alla pari di come viene respinta una molecola di colera. Dopo poche iniezioni, ogni volta che il drogato "sniffa" la cocaina, nel suo corpo vengono prodotti anticorpi che riconoscono la cocaina come sostanza da respingere. Il risultato è che la droga non viene assorbita, e quindi sono del tutto nulli gli effetti piacevoli. La scommessa è che il paziente dopo un po’ di tempo perda del tutto interesse ad assumere cocaina visto che questa è ormai incapace di produrre effetti. Questo avviene, attenzione, qualsiasi sia il quantitativo assorbito, per cui verrebbe anche meno il fattore moltiplicatore, cioè l’assumere sempre più droga per provare le stesse sensazioni.

Si tratta evidentemente di un’innovazione tanto importante economicamente (le azioni della Xenova, che versava in condizioni finanziarie non buone, sono già aumentate sensibilmente di valore) quanto sanitariamente. Il vaccino in quanto tale potrebbe, si ipotizza in America, essere somministrato cautelativamente addirittura a tutti gli adolescenti, o perlomeno a quelli più esposti al rischio di incontrare la cocaina sulla loro strada (la droga è così diabolica che può bastare una sola assunzione per diventare dipendenti). Verrebbe poi imposto a chiunque abbia una storia anche minima di tossicodipendenza per evitargli guai peggiori. La cocaina è infatti una delle droghe più pericolose in assoluto, in quanto agisce sul sistema nervoso centrale. Provoca un’eccessiva secrezione di serotonina, un enzima che dà piacere, senso di onnipotenza e annulla i freni inibitori, ma quest’eccesso di serotonina in circolo finisce con l’intasare le cellule cerebrali e spesso con il distruggerle "strada facendo". Parallelamente, la droga danneggia la circolazione, alzando oltre misura la pressione, e infatti a provocare le morti per overdose è di solito un ictus o un infarto. Senza contare infine i costi sociali, le famiglie distrutte, il lavoro perso, e via dicendo. La cocaina pervade ogni momento e ogni aspetto della vita del tossicodipendente, e i gap d’intelligenza sono il più delle volte irrimediabili. La Xenova conta di far approvare nel 2007 dalla Food and Drug Administration il vaccino come un normale farmaco prescrivibile. Intanto continua le sperimentazioni, che in America fanno capo ad un centro medico di West Haven in Connecticut. Migliaia sono già i volontari che si sono prestati all’esperimento, e i risultati sono confortanti: il 90% dei volontari ha riferito che il piacere della cocaina è diventato molto inferiore. Il 75% ne è rimasto fuori per tre mesi: ma a quel punto ripetendo la terapia si potrebbe allungare indefinitamente l’astinenza.

Verbania: "Ora D’Aria", la barca dei detenuti sarà pronta a giorni

 

Il Tempo, 5 settembre 2005

 

È quasi pronta e l’8 settembre, salvo imprevisti, tornerà a navigare sul Lago Maggiore. L’imbarcazione che sarà significativamente battezzata "Ora d’aria" è ancora nel cantiere allestito all’interno della casa circondariale di Pallanza ma il più è ormai fatto. I detenuti hanno completato la verniciatura e stanno rifinendo gli strati di vetroresina dello scafo. La barca è un Re David di 7 metri e 20 che è stato a lungo ormeggiato a Belgirate poi spiaggiato durante un temporale ad Arona. Ora tornerà al Comune di Arona che lo utilizzerà per scopi di protezione civile. Il progetto del recupero dell’imbarcazione era stato illustrato poche settimane fa alla presenza del capo dell’amministrazione penitenziaria, il giudice Giovanni Tinebra, da Pino Sessa della Società delle regate di Belgirate, Carlo Zavaglia dello Yacht Club Arona e dallo skipper Carlo Pedrini di Neverland. Sono stati una decina i detenuti che hanno lavorato ogni giorno al recupero del cabinato. Molti di più quelli che da un anno a questa parte sono stati coinvolti nei progetti di recupero ambientali che hanno fatto diventare il carcere di Verbania un modello copiato in molte altre realtà italiane. Per il varo di "Ora d’aria" è atteso il giudice Tinebra. Intanto è già pronta una seconda barca da recuperare.

Droghe: Cappato; raccogliamo insieme firme per legalizzazione

 

Agenzia Radicale, 5 settembre 2005

 

In occasione del dibattito sul "Programma dell’Unione sulle droghe", tenutosi alla Festa Nazionale della Sinistra Giovanile in corso a Reggio Emilia, Marco Cappato - Segretario dell’associazione Luca Coscioni e Vicepresidente del Senato del Partito Radicale transnazionale - ha dichiarato: "Come sapete l’Associazione Luca Coscioni e Radicali italiani stanno portando avanti un dialogo e lavoro comune con i socialisti dello SDI per porre al centro dell’agenda politica - avendo come punti di riferimento Loris Fortuna, Blair e Zapatero - obiettivi di libertà e modernizzazione, verso la creazione di un nuovo soggetto laico, socialista, radicale e liberale. Abbiamo anche deciso, come Partito Radicale, di offrire per tre mesi il simbolo della rosa nel pugno a coloro che ci segnaleranno di volersi mobilitare in modo convergente.

È scontato, per i radicali, che alle proposte di campagne sull’eutanasia, i Pacs, la riforma della giustizia a partire dall’amnistia, si affianchino anche le proposte antiproibizioniste in materia di droghe, sui quali il movimento radicale riuscì a dare risposte riformatrici e di governo già con le disobbedienze civili degli anni ‘70 e con la vittoria referendaria del 1993, per poi essere bloccato dalle sentenze eversive della corte costituzionale. Come i 5 anni di immobilismo e continuità proibizionista dei governi di centrosinistra dal ‘96 al 2001 hanno dimostrato, sarebbe un’illusione ritenere che le riforme si riusciranno a fare soltanto attraverso le mediazioni tra le gerarchie partitiche dell’Unione. Da qui l’esigenza, anche su questo tema, di una campagna di mobilitazione popolare, ad esempio attraverso la sottoscrizione di una proposta di legge, per colpire i profitti del narcotraffico, controllando legalmente produzione e consumo e restituendo a cittadini e medici piena libertà terapeutica e diritto alle cure. Ciò significa, in particolare: legalizzazione dei derivati della cannabis; piena disponibilità di terapie sostitutive, inclusa l’eventuale somministrazione di eroina sotto controllo medico; potenziamento della riduzione del danno attraverso presidi di auto somministrazione vigilati e di analisi delle sostanze.

Su questo se su altri punti la campagna che intendiamo intraprendere non è naturalmente chiusa a un lavoro comune con altre forze politiche e sociali. In particolare saremmo felici di poter lavorare su almeno una parte di questi obiettivi insieme a forze come la Sinistra Giovanile, che, essendosi da tempo espresse favorevolmente sulla riforma antiproibizionista della legge sulla droga, hanno finalmente un’occasione per cercare di inserire l’obiettivo nel programma dell’Unione.

Teatro: Salvatore Ferraro mette in scena la cattiva giustizia

 

Il Giornale, 5 settembre 2005

 

Dai riflettori del processo Marta Russo a quelli dei palcoscenici dei teatri romani. Salvatore Ferraro, l’ex assistente di filosofia del diritto condannato assieme al collega Salvatore Scattone per la morte della studentessa romana, non ama stare dietro le quinte. All’indomani della sentenza della Cassazione che nel dicembre 2003 gli comminò quattro anni per favoreggiamento affidandolo alle misure alternative (aveva già scontato due anni di carcerazione preventiva), Ferraro scoprì che il diritto si poteva insegnare anche lontano da codici e manuali, ma scrivendo testi teatrali e musica. Il diritto, nella fattispecie, è quello della popolazione carceraria a cui ha deciso di dar voce coinvolgendo i detenuti in un progetto di rappresentazioni a metà tra la commedia, il musical e la cronaca.

La prima pièce fu "Radiobugliolo" (il bugliolo è la turca delle vecchie galere utilizzata dai detenuti per comunicare con le celle vicine) presentata lo scorso anno 25 volte nei teatri della capitale per la regia di Michele La Ginestra. Quasi uno spettacolo radiofonico con flash di vita carceraria e storie personali intervallate da brani musicali interpretati dalla rock band di Rebibbia Presi per caso, di cui fa parte lo stesso Ferraro (chitarra e tastiere). Ora l’ex assistente della Sapienza sta lavorando a un nuovo testo che verrà rappresentato a novembre per la regia di Michele La Ginestra e Andrea Martella. Anche in questo caso il tema è quello della condizione carceraria e il titolo non lascia spazio a equivoci: "Delinquenti".

 

Ferraro, chi sono i Delinquenti?

"Nel mio spettacolo sono un gruppo di detenuti che stanno finalmente per lasciare il carcere e tornare nella società civile. Gli attori, reali carcerati, raccontano quel marasma di emozioni, paure e aspettative che attraversano l’animo di chi è rimasto per anni congelato dalla realtà".

 

È successo anche a lei?

"Ovviamente. Per me l’esperienza carceraria è stata un momento di amarezza e afflizione ma al contempo di grande valore umano e culturale. Una sorta di rivoluzione copernicana che mi ha fatto conoscere il lato oscuro del diritto, per molti versi quello più deleterio. Oggi più che mai sono convinto che una vera riforma della giustizia non può che partire da una riforma delle carceri, un lato purtroppo rimosso nell’attività politica".

 

La sua esperienza di ex giurista-detenuto le ha fatto rivedere le convinzioni sulla certezza della pena?

"Direi di sì. Oggi credo che la certezza della pena debba anzitutto partire da un processo equo con tutte le garanzie anche per chi siede sul banco degli imputati. Per quanto riguarda l’esecuzione della pena, chi sta fuori deve capire che non si tratta soltanto di un problema quantitativo ma qualitativo. Oggi le carceri sono sovraffollate e per l’80 per cento abitate da microcriminali recidivi che, entrando e uscendo periodicamente, scontano di fatto dei piccoli ergastoli. Il problema è che soprattutto per queste persone manca un percorso riabilitativo che poggi le basi su punti di riferimento esterni al carcere".

 

Lei si è sempre proclamato innocente per un delitto di cui non si mai trovata né l’arma né il movente. Crede ancora nella giustizia?

"Ovviamente, anche se in Italia basta talora un nonnulla per far saltare l’ingranaggio della macchina processuale. Tuttavia esistono ottimi operatori e di errori giudiziari è costellata la storia".

 

Ha mantenuto l’amicizia con Giovanni Scattone?

"Giovanni è attualmente in prova ai servizi sociali, non possiamo né vederci né sentirci".

 

Dei genitori di Marta Russo ha più avuto notizie?

"No".

 

In questi anni si è fatto un’idea di cosa sia successo quella mattina del 9 maggio 1997 nel vialetto della Sapienza?

"Ci ho pensato mille volte e ho valutato tante possibilità come d’altronde fu nell’orientamento delle primissime indagini. Per quanto riguarda me e Scattone, auspico ancora la revisione del processo".

 

Torniamo alla sua nuova attività di autore e compositore. I testi degli attori detenuti sono sempre carichi di ironia. Una maniera per sdrammatizzare?

"L’obiettivo principe di queste rappresentazioni è quello di accendere un contatto vero, una nuova modalità di comunicazione tra il mondo che sta dentro e quello che sta fuori. I testi devono trasmettere all’esterno suoni, umori ed emozioni di un universo isolato e demonizzato. Si tratta spesso di storie drammatiche e l’ironia, la gag, è lo strumento giusto per far accettare meglio la verità. Il mio bilancio è molto positivo perché il teatro, con la sua comunicazione senza filtri, si è dimostrata un’esperienza liberatoria per i detenuti".

 

Se tornasse indietro rifarebbe la carriera universitaria?

"Forse no. L’esperienza sul campo, nel bene e nel male, mi ha aperto una conoscenza del diritto che migliaia di libri non mi avrebbero mai dato".

 

 

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