Rassegna stampa 8 ottobre

 

Giustizia: emergenza carceri, l’indulto è un atto necessario

 

Giornale di Vicenza, 8 ottobre 2005

 

Chi con autorevolezza sosteneva che le carceri italiane sono simili ad hotel a quattro stelle, ora farebbe bene a darci una spiegazione di tale errata affermazione, avendo tra l’altro il dovere istituzionale di fornire una soluzione all’ignorato problema. In verità l’attuale situazione carceraria nazionale già da tempo era stata denunciata da coloro che ne avevano cognizione diretta, senza condizionamenti elettorali o politici. Mi riferisco al sindacato di polizia penitenziaria, alle numerose associazioni di volontariato carcerario, mi riferisco all’avvocatura e magistratura penale ed anche alla stampa indipendente che, ottemperando al suo sacrosanto dovere d’informazione, ha diffuso le drammatiche notizie che giornalmente saltano le mura delle prigioni.

Ma chi avrebbe dovuto far tesoro di tali voci, come spesso capita, le ha ignorate, continuando a parlare di giustizialismo e fornendo pareri che - per quanto ora è dato riscontrare - risultano errati e suggestivi.

Bando dunque alle parole e torniamo ai fatti. Per chi non ne fosse ancora a conoscenza, il problema è il seguente: le carceri straripano, sono sovraffollate come mai era successo. Si parla di circa 60 mila reclusi, quasi il doppio di quanti gli attuali 206 istituti di pena potrebbero ospitare. Si parla di letti a castello, di materassi per terra, di 10-15 persone in una cella di pochi metri, compreso turca in bella vista, con conseguenti gravi problemi di mobilità ed igiene.

Si parla di un aumento sensibile di suicidi (uno ieri a Vicenza), di scioperi della fame, si parla di agenti esasperati per l’indispensabile aumento dei turni di guardia, che vivono ormai anch’essi reclusi. Altro che hotel a quattro o una stella, qui si assiste alla crescita di una sorta di novella Cayenna in cui i diritti sostanziali, quali il rispetto dell’individuo alla salute fisica e psicologica, vengono palesemente violati.

Ma da dove arrivano tutti questi reclusi? Secondo alcune statistiche la commissione di reati sarebbe addirittura diminuita, per cui logica vuole che nelle prigioni dovrebbero esserci meno presenze. La spiegazione, tuttavia è semplice: dei summenzionati 60 mila ospiti più della metà (35.475 per l’esattezza) apparterrebbero alla categoria dei definitivi, ovvero di coloro che stanno espiando pene per reati commessi precedentemente, talvolta anche in un lontano passato. Persone che, tra l’altro, hanno già trascorso una lunga carcerazione, saldando quasi interamente il proprio debito con la Giustizia.

A costoro, poi, vanno sommati quelli che si trovano dentro per reati minori (ladri di polli, truffatori da strada e miserabili in genere), oltre a numerosissimi stranieri a cui è preclusa l’espulsione fin quando non avranno terminato la pena (così come stabilito dalla legga Bossi-Fini) e i soliti tossici in attesa d’inserimento in comunità o di affidamento a strutture alternative, oggi inesistenti.

È la presenza fissa di questa "Corte dei Miracoli" la fonte dell’attuale drammatico problema di sovraffollamento! Al momento, tuttavia, le "misure urgenti ed immediate" che stanno studiando a livello governativo sono "l’apertura" di nuove carceri, mediante il "dislocamento" e l’ampliamento di quelle già esistenti. Ma quanto ci costa tutto ciò?

Vi ricordate lo scandalo fine anni ‘80 delle cosiddette "carceri d’oro", d’oro per quanti si arricchivano a nostre spese e non certo per funzionalità? Ebbene, pensate che queste altro non erano che le attuali disgraziate galere. Oggi il loro eventuale "ammodernamento" (alla Piranesi) non potrebbe che comportare un ulteriore nostro danno economico. Considerato, anche, che gli attuali internati ci costano giornalmente già cifre da capogiro e aumentandone il numero, aumenta la spesa.

Una sola a questo punto può essere la soluzione al descritto problema, quella che si concretizza attraverso un atto logico e responsabile, un atto di civiltà giuridica che non ha il significato del perdono, ma è forza nella concessione, un atto che è una scelta di dignità sia per chi lo compie che per chi ne beneficia, un atto che si chiama indulto. Un indulto necessario per i temporanei reclusi e gli indebitati perenni.

Giustizia: Buemi (Sdi); nelle carceri la situazione è drammatica

 

Ansa, 8 ottobre 2005

 

"Si sta perdendo tempo a discutere intorno ad una legge vecchia per il tornaconto personale dei soliti amici, mentre la situazione delle carceri italiane precipita in una crisi drammatica". Lo ha detto Enrico Buemi dello Sdi alle telecamere di "Radio Nessuno".

"Siamo molto lontani dal fare rieducazione - prosegue - e non c’è spazio per far lavorare i detenuti, ma la cosa che più preoccupa è che le nostre carceri fungono da culla per nuove psicopatologie il più delle volte legate alla depressione". Buemi ha poi raccontato: "Da parlamentare ho voluto eseguire un’ispezione in alcune carceri italiane e dico che ci vuole un’obbligatorietà della funzione penale e bisogna intervenire per rendere ragionevole la durata della pena, che deve però essere certa e calibrata".

Lodi: senatori e consiglieri si mobilitano per i problemi del carcere

 

Il Cittadino, 8 ottobre 2005

 

Un’interrogazione urgente in consiglio comunale e l’intervento del senatore Gianni Piatti. La vicenda del carcere di Lodi continua. Giovedì un gruppo di consiglieri comunali (Enrico Bosani e Marco Alloni di Rifondazione, Domenico Visigalli, Gianluigi Garbarini, Andrea Frignani, Mauro Paganini, Matteo D’Agostino e Demetrio Caccamo dei Ds, Pietro Cavalli dei Verdi, Benito Negroni dei comunisti italiani e Daniele Passamonti, indipendente eletto nelle liste dei diessini) ha presentato un’interrogazione con richiesta di risposta scritta.

"Siamo venuti a conoscenza delle difficoltà incontrate dagli operatori e dai volontari che quotidianamente lavorano con la realtà carceraria cittadina - scrivono i consiglieri -. Abbiamo appreso della chiusura degli spazi di socialità dei detenuti, avvenuto in concomitanza dell’avvicendamento del direttore del carcere. Chiediamo perciò di essere informati sulle attuali condizioni di detenzione e sullo stato di attuazione dei progetti e delle attività di collaborazione e di dialogo con le realtà cittadine che con loro interagiscono".

Piatti, senatore dell’Ulivo, dal canto suo, ha segnalato la situazione al presidente della commissione giustizia del senato che tra l’altro ha appena terminato una serie di indagini sulle carceri lombarde. "Il presidente era stato con me - dice Piatti - nel penitenziario di Lodi. Quindi conosce la situazione locale. Vediamo se riesce a dare un contributo alla situazione. Quello tra i volontari e la direttrice è un rapporto nuovo, lei è appena arrivata. Ci sono una serie di pregiudizi da superare. Il volontariato in questi anni ha fatto un ottimo lavoro a favore dell’equilibrio dei detenuti. Bisogna conoscersi meglio e costruire un rapporto positivo, rispettando le autonomie di ciascuno".

Vicenza: tragedia in carcere, si uccide un detenuto di 36 anni

 

Giornale di Vicenza, 8 ottobre 2005

 

Tragedia dietro le sbarre. Nel silenzio di una cella, con gli altri detenuti che dormivano, si è messo un sacchetto in testa e si è soffocato. Il metodo classico dei suicidi in carcere. Simon Lleshaj era un albanese di 36 anni. Quando è stato trovato esanime era ormai troppo tardi.

Era clandestino ed era stato riconosciuto come uno spacciatore di droga. Era stato condannato con sentenza passata in giudicato e sarebbe tornato completamente libero senza obblighi nel 2008.

"Quest’anno nel carcere di Vicenza è il primo suicidio - commenta Claudio Stella, anima dell’associazione Utopie Fattibili -. Tuttavia, con 260 detenuti, c’è un evidente sovraffollamento perché sono superiori di più del doppio, essendo il carcere di Vicenza previsto per 120-130 persone. Ma questo lo segnaliamo da tempo, anche se il problema non riguarda solo la nostra provincia".

Sul fatto che la morte di Simon Llesghaj sia stato un suicidio non ci sono dubbi. Le testimonianze raccolte dagli agenti penitenziari fra i colleghi di cella non lasciano dubbi. Il decesso è stato accertato l’altra mattina verso le 4.35. Il magistrato di turno, Marco Peraro, ha ordinato l’esame esterno della salma da parte del medico legale, che ha confermato la prima ipotesi degli inquirenti e del medico che compilato il certificato di morte. Nell’immediatezza dell’evento qualcuno aveva ipotizzato che fosse accaduto qualcosa di peggio, ma l’inchiesta l’ha escluso del tutto.

"Gli episodi di autolesionismo sono abbastanza ricorrenti in un carcere - continua Stella - proprio per le condizioni di grande prostrazione in cui i detenuti sono costretti a vivere. Oltre tutto, i dati nazionali sui suicidi sono allarmanti perché indicano un aumento".

Tra le cause, anche l’eterogeneità della popolazione carceraria. Le differenze sono sempre più pronunciate. Gran parte dei carcerati sono stranieri. "Anche Vicenza non sfugge a questa regola - continua Stella - e non c’è verso di invertire la tendenza in presenza di una politica edilizia carceraria che non affronta questo problema".

Il fenomeno del suicidio in carcere viene costantemente studiato e da alcuni osservatori è descritto "come devianza che si manifesta non tanto attraverso la condotta "criminale", quanto nella forma della condotta del "folle", cioè del deviante delle "norme residuali".

Al di là delle definizioni che lasciano il tempo che trovano, resta il fatto che Lleshaj, al di là delle responsabilità per le quali stava pagando col carcere, in un momento di disperazione ha deciso di farla finita.

Firenze: Sollicciano sovraffollato, detenute trasferite a Pontremoli

 

Secolo XIX, 8 ottobre 2005

 

Le detenute del carcere fiorentino di Sollicciano potrebbero essere trasferite nella casa circondariale di Pontremoli. L’annuncio a sorpresa, fatto alla redazione fiorentina de "La Repubblica", è stato fornito dal garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, protagonista con altri sostenitori, di un digiuno a staffetta per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del sovraffollamento del carcere. Infatti, una delle soluzioni allo studio per alleviare il problema del sovraffollamento nel carcere fiorentino di Sollicciano prevederebbe di trasferire a Pontremoli la Casa di cura di custodia che ospita le detenute con ridotta capacità di intendere e di volere.

Tra le soluzioni proposte da Franco Corleone, oltre all’eliminazione della quarta banda nelle celle, c’è anche la riduzione della promiscuità di una struttura carceraria che ospita detenuti di ogni tipo. In questo panorama rientrerebbe il trasferimento a Pontremoli della Casa di cura e custodia. Nell’intervista, Corleone sottolinea che questa soluzione: "è vicina. La Casa di cura dovrebbe essere trasferita a Pontremoli tra breve". La cosa sembrerebbe non solo decisa, secondo Corleone, ma addirittura in fase di avanzata realizzazione. In realtà, a livello locale non si è mai parlato della prospettiva in questi termini, anche perché essa porrebbe una serie di problematiche di non facile soluzione. Prima fra tutte l’assistenza sanitaria che dovrebbe essere prevista all’interno di tale struttura lunigianese.

Ex-Cirielli: Castelli; i miei dati diversi da quelli della Cassazione

 

Giornale di Vicenza, 8 ottobre 2005

 

Roma. Il Csm tornerà a pronunciarsi sulla ex Cirielli. Il Comitato di presidenza di Palazzo dei marescialli ha autorizzato l’apertura di una pratica per integrare il parere dato nel febbraio scorso dal plenum sull’impatto della riforma, alla luce degli ultimi dati. L’organo di vertice del Consiglio ha anche dato il via libera alla stesura di una risoluzione sugli effetti del provvedimento che prevede l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pm. Nel documento sulla ex Cirielli approvato lo scorso inverno a larga maggioranza, con il solo no dei laici della Casa delle libertà, il Consiglio aveva segnalato gli "effetti devastanti" del provvedimento sull’amministrazione della giustizia.

In particolare, aveva avvertito che con la riforma "quasi tutti i processi" per corruzione, truffa e usura dalla truffa e dall’usura "sono destinati a sicura prescrizione". Previsioni allora fondate sui numeri contenuti in un’analisi compiuta dalla corte di appello di Bologna. Ora il Csm tornerà a dire la sua alla luce dei nuovi dati raccolti dal ministro Castelli e dalla Corte di Cassazione.

Da parte sua, il ministro - che rivendica l’esattezza dei suoi dati: "quelli della Cassazione", dice, "non coincidono segnalerò i criteri utilizzati" - promette di chiarire entro breve con la Cassazione i criteri utilizzati nel fornire i dati sugli effetti dell’applicazione della ex-Cirielli. E, in merito, Castelli non ha rinunciato ad una nuovo spunto polemico verso il presidente della Camera. "Al presidente Casini" ha detto "ho chiesto cortesemente di mandare la lettera prima a me che alla stampa" e poi ha ribadito che è necessario verificare i criteri utilizzati dalla Cassazione nell’elaborazione dei dati sugli effetti della norma sulla prescrizione di processi, criteri che potrebbero non essere omogenei con quelli utilizzati dal ministero.

La ex Cirielli, si difende comunque Castelli, "è unottima legge, perché è riuscita a far quadrare il cerchio del garantismo e allo stesso tempo della severità". "Ogni legge" prosegue il ministro "va calata nella sua realtà politica. Su Marte questa sarebbe una buona legge, invece in Italia... e qui mi fermo".

"Sono assolutamente d’accordo, su Marte", dichiara ironico il senatore Guido Calvi, capogruppo Ds in commissione Giustizia. "E Castelli" aggiunge "mi ha convinto a tal punto che mi auguro che nella prossima legislatura possa fare il ministro su Marte, così saremmo tutti contenti". E sul tema della prescrizione è intervenuto anche Berlusconi, secondo il quale ci deve essere la "certezza del periodo di prescrizione che non deve essere lasciato all’arbitrio del singolo giudice in modo da creare differenze cittadini dello stesso Paese".

Parole che hanno provocato la dura reazione del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Ciro Riviezzo, il quale ha replicato alle affermazioni fatte dal presidente del Consiglio difendendo il ruolo dei giudici: "Il giudice" ha detto "non commette nessun arbitrio nell’applicare la prescrizione, ma attua la legge". E fa notare: "È la ex Cirielli che introduce disparità di trattamento tra i cittadini finora sconosciute al nostro ordinamento".

Ex-Cirielli: rischia di saltare il processo per il G8 a Genova

 

La Repubblica, 8 ottobre 2005

 

Tra Genova e Palermo, la legge Cirielli si mangerà un altro pezzo della storia giudiziaria (e non solo) di questi anni. La ferita del G8 resterà aperta. Né le vittime, né gli imputati delle violenze e delle calunnie nella scuola "Diaz", degli abusi nella "galera di transito" di Bolzaneto avranno una sentenza definitiva. In Sicilia, la "sanitopoli" che tra il ‘93 e il ‘98 ha infettato il sistema sanitario regionale troverà posto in un archivio il giorno stesso dell’approvazione della legge. Vediamo.

Il processo ai 28 tra dirigenti, funzionari e agenti di polizia imputati per i fatti della "Diaz" si è aperto nell’aprile scorso per essere immediatamente rinviato. Di fatto, entrerà nel vivo del dibattimento dal prossimo martedì. I capi di imputazione - falso, calunnia, lesioni - fotografano quanto accaduto nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001: il pestaggio indiscriminato cui si abbandonarono gli uomini del reparto mobile di Roma; la prova truccata delle molotov trovate dalla polizia nelle strade di Genova e dalla polizia collocate all’interno della scuola per poter accusare di associazione a delinquere chi nella "Diaz" aveva deciso di dormire quella notte.

Le mosse istruttorie cui pubblica accusa e difesa si preparano dinanzi al tribunale fanno prevedere, oggi, che, dato il numero dei testimoni (centinaia) di cui verrà chiesta la deposizione in aula e quello delle udienze effettive (non più di tre a settimana, salvo fisiologici rinvii), la sentenza di primo grado non arriverà prima della fine del 2007. Per quella data, la Cirielli avrà già cancellato le responsabilità del pestaggio (prescritte nel luglio del 2007) e si preparerà ad estinguere di lì alla metà del 2008 quelle relative al ritrovamento delle molotov (falso e calunnia). Dunque, prima di un eventuale giudizio di appello.

Andrà peggio per Bolzaneto. Qui, i 45 imputati, tra agenti della polizia penitenziaria, carabinieri, poliziotti, medici e infermieri, rispondono di abuso di autorità e, in alcuni casi, delle lesioni inflitte a quanti, fermati nelle strade di Genova, vennero successivamente umiliati fisicamente e psicologicamente nelle gabbie di quel centro di "raccolta e transito". A luglio del 2007, tutti i reati su cui la Procura di Genova ha istruito il processo (oggi alle prime battute del giudizio di primo grado) saranno prescritti dalla Cirielli. Impossibile, dunque, a meno di un dibattimento condotto a tappe forzate e per il quale sono per altro già stati ammessi 400 testimoni, che si arrivi anche soltanto alla sentenza di primo grado.

Alle parti offese delle giornate di Genova - italiani, ma anche molti cittadini europei - qualcuno dovrà dunque spiegare che la giustizia italiana non potrà fare il suo corso perché il tempo è scaduto. Lì, come altrove. Come a Palermo, si diceva all’inizio. Qui, gli oltre settanta imputati nei tre processi che stanno giudicando le responsabilità di quella che è stata battezzata la "sanitopoli" siciliana vedranno prescritti i reati di truffa, corruzione e falso ideologico il giorno stesso dell’approvazione della legge Cirielli. E la luce si spegnerà per sempre. Nessuno, così, pagherà per il baratto che, a metà anni ‘90, consentì a centinaia di laboratori privati di analisi che non ne avevano titolo di "comprare" funzionari pubblici per essere inseriti negli elenchi delle strutture convenzionate con il servizio sanitario regionale.

Storie a campione di una legge che verrà, appunto. In attesa di altri numeri. Quelli che, dopo lo studio statistico della Cassazione, si stanno raccogliendo in questi giorni in ogni distretto di corte di appello e che l’Associazione nazionale magistrati dovrebbe rendere noti la prossima settimana. Quando forse si saprà, una volta per tutte, quanto costerà agli italiani il salvacondotto di Cesare Previti.

Gorizia: tre detenuti scavano buco nel muro e scappano dal carcere

 

Ansa, 8 ottobre 2005

 

Ricorda per certi versi la storia del film "Fuga da Alcatraz" l’evasione messa a segno questa sera da 3 detenuti di nazionalità slovena dal carcere di Gorizia. I 3, giovani dai 19 ai 29 anni, condannati per aver favorito l’immigrazione di clandestini in Italia, hanno infatti scavato pazientemente un buco sul muro della propria cella, nascondendo il lavoro con un armadio, fino a produrre un varco nella parete, che dà sui locali del confinante Tribunale. Al penultimo appello, svoltosi ieri alle 19,30, secondo quanto riferito dalla direzione del penitenziario, i 3 risultavano ancora presenti, ma al successivo, avvenuto intorno alle 22, erano già scomparsi. La fuga si è quindi consumata probabilmente intorno alle ore 20. Secondo le ipotesi degli investigatori, i 3 sloveni hanno raggiunto i locali del palazzo di giustizia, poi si sono dileguati, probabilmente a piedi, e potrebbero aver già oltrepassato il vicino confine con la Repubblica di Slovenia.

Roma: eco-taxi guidati da detenuti, con la cooperativa Blow Up

 

Giustizia.it, 8 ottobre 2005

 

Una iniziativa promossa dalla cooperativa sociale romana, Blow Up, in collaborazione con l’Assessorato del lavoro del comune di Roma e il Ministero dell’ambiente, per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro di detenuti che possono usufruire di misure alternative di reclusione. Si chiama Eco-Taxi, un servizio di "risciò", ancora in corso di realizzazione, nella zona Ztl di Trastevere, nel centro di Roma, attuato attraverso una ventina di biciclette dotate di un motorino che entrerà in funzione nelle fasi di "sforzo". L’idea di base del progetto è quella di rendere autonomi i detenuti in questa loro attività, infatti i proventi del servizio andranno a loro totale beneficio, sperando che questa esperienza possa crescere e creare opportunità di lavoro per molti giovani disagiati e con esperienza di carcere alle spalle.

Milano: ricerca su animali da compagnia in cella costa 10 mila euro

 

Corriere della Sera, 8 ottobre 2005

 

Ve lo ricordate quel film con Burt Lancaster che allevava coppie di canarini in carcere? L’Uomo di Alcatraz, storia vera di un detenuto pluriomicida che si trasforma in uno dei più grandi birdman del mondo. Fu anche grazie a quel film che nel 1978, negli Stati Uniti, venne approvata una norma che consente l’introduzione di piccoli animali nelle carceri (uccelli, rettili, anfibi, pesci ornamentali). Evidentemente in Provincia si sono dimenticati di rivedere il film e hanno (quasi) deciso di spendere diecimila euro, pari a venti milioni di lire per determinare qual è l’animale più adatto per tenere compagnia ai detenuti. Il quasi è dovuto al fatto che la delibera è pronta, ma manca ancora il voto della giunta che dovrebbe arrivare settimana prossima.

Un progetto pilota. Dal titolo altisonante: "Ricerca sull’importanza e il significato della presenza di animali in istituti carcerari della provincia di Milano". Beneficiaria dei fondi, la Consulta di Bioetica Onlus che grazie a questionari e interviste con i detenuti dovrà determinare "l’analisi dei bisogni a cui risponde la richiesta di prendersi cura di un animale". E poi dovrà determinare "il diverso ruolo delle differenti specie rappresentate", ossia, l’animale più adatto per convivere con i detenuti. Non finisce qui. Gli psicologi dovranno anche studiare "il significato affettivo del rapporto con gli animali e ricadute in termini di modificazioni caratteriali e relazionali su chi si occupa del loro accadimento". Qualcuno nell’opposizione consiglia di acquistare un dvd e affittare il film da Blockbuster. Si potrebbero risparmiare circa 9.800 euro.

Orvieto: cinque agenti sotto processo per lesioni aggravate

 

Orvieto Sì, 8 ottobre 2005

 

"Ero in cella con un compagno che mi stava tagliando i capelli, quando mi hanno chiamato che dovevo andare all’ufficio conti correnti. Ho pensato che dovevo ritirare i soldi o la posta, invece quando sono entrato ho trovato sette agenti. Senza un motivo, hanno cominciato a prendermi a calci, schiaffi e pugni".

Così Mario C., di ventinove anni, napoletano, attualmente detenuto nel carcere di Perugia per rapina, ha ricordato ieri in aula, l’episodio di pestaggio di cui sarebbe rimasto vittima il 3 dicembre dello scorso anno nella casa di reclusione di Orvieto. Pestaggio per il quale, ieri mattina, si è aperto con la prima udienza, il procedimento penale contro cinque agenti di polizia penitenziaria accusati tutti di lesioni aggravate.

La ricostruzione dei fatti, secondo i teste dell’accusa, è stata al centro dell’udienza di ieri. A sfilare per primi davanti al giudice del tribunale di Orvieto, Silverio Tafuro, la vittima e tre detenuti che all’epoca dei fatti erano compagni di cella dell’uomo. Tutti hanno detto di aver sentito, quel giorno, delle grida provenire dalla stanza dell’ufficio conti correnti in cui si sarebbe consumato il pestaggio – tre quattro minuti di schiaffi, calci e pugni - mentre si trovavano nel cortile per la passeggiata. E di essere poi risaliti in sezione dove avrebbero trovato Mario nel corridoio che piangeva sanguinante "tutto malridotto – ha detto uno dei teste – sul collo, il braccio, coi lividi sul petto e la maglietta strappata". "Era pieno di paura e non parlava – ha proseguito il teste – poi ha detto mi hanno picchiato". Dopo in tre lo avrebbero accompagnato in infermeria per le medicazioni. Infermeria dove il ventinovenne avrebbe chiesto di tornare anche nel pomeriggio perché non si sentiva bene.

Nel contro interrogatorio della difesa sostenuta dall’avvocato, Giovanni Guariglia, è emersa al momento, qualche contraddizione, rispetto agli orari in cui si sarebbero verificati i fatti. Mentre la vittima ha, in parte, negato di aver pronunciato contro gli agenti frasi provocatorie, così come citate dalla difesa in aula, pur riconoscendo il proprio carattere impulsivo e nervoso. L’avvocato ha riprodotto frasi dal contenuto provocatorio e minaccioso con cui il detenuto avrebbe, invece, apostrofato più volte gli agenti durante la detenzione in via Roma.

Un processo che si preannuncia lungo oltre che estremamente delicato. Non ultimo per il numero dei teste citati delle parti. Nella prossima udienza a cui il giudice ha aggiornato il procedimento – quella fissata alle 15,30 del 15 novembre – saranno ascoltati altri quattro teste del pm: tre dottori e un ispettore della polizia penitenziaria.

Immigrazione: Manconi; in Cpt controlli di associazioni e istituzioni

 

Ansa, 8 ottobre 2005

 

"Da oltre due anni, nella mia qualità di Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per il Comune di Roma, chiedo di visitare il Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria". Lo afferma Luigi Manconi responsabile Diritti Civili della Direzione nazionale Ds.

"Da oltre due anni, - prosegue - tale permesso non mi viene accordato. L’inchiesta di Fabrizio Gatti per l’Espresso conferma inequivocabilmente ciò che già alcuni di noi sapevano e alcuni di noi vanno ripetendo da anni: le condizioni di vita all’interno dei Cpt , nella gran parte dei casi, violano i diritti universali della persona e costituiscono offesa grave alla dignità degli stranieri trattenuti, che sono responsabili solo e solamente di un illecito amministrativo". "Il ministro dell’Interno deve consentire, da subito, che parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali, garanti dei diritti dei detenuti, organizzazioni umanitarie e associazioni di tutela degli immigrati possano visitare quei centri e, come peraltro previsto dalla legge, possano conclude Manconi - svolgere stabilmente attività di assistenza e tutela.

Immigrazione: Pisanu dispone un’indagine su Cpt Lampedusa

 

Corriere della Sera, 8 ottobre 2005

 

Lo Stato indagherà. Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu ha disposto che il prefetto Alessandro Pansa, direttore centrale per l’immigrazione, si rechi sabato a Lampedusa per un "accurato sopralluogo al centro di prima accoglienza". Lo comunica il Viminale. La decisione è stata presa in relazione all’inchiesta de L’Espresso sulle condizioni di vita nel centro.

La sezione italiana di Amnesty International - sempre venerdì - aveva scritto al ministro dell’interno Giuseppe, chiedendo per l’appunto chiarimenti e l’avvio di un’indagine sulle denunce contenute nel reportage pubblicato nel numero in edicola e redatto dal giornalista Fabrizio Gatti che ha trascorso otto giorni nei panni di un curdo nel centro di permanenza temporanea e accoglienza di Lampedusa.

Otto giorni nei quali dal racconto il Cpt appare più che una struttura di accoglienza un vero e proprio girone dell’inferno, con torture psicologiche, violenze fisiche e vessazioni nei confronti dei clandestini ospitati (o detenuti?) nel centro. Otto giorni per raccontare cosa vuol dire arrivare in Italia da clandestino, essere ripescato in mare e rinchiuso con altre centinaia di disperati in un centro di permanenza temporanea. In condizioni disumane. Picchiati e umiliati dalle forze dell’ordine, costretti a sopravvivere tra escrementi e violenze, offesi nel pudore e nella dignità.

È di vitale importanza, secondo Amnesty, chiarire se le gravi violazioni dei diritti umani dei cittadini stranieri trattenuti a Lampedusa riportate da Gatti nel suo articolo siano effettivamente avvenute. Ciò anche "alla luce delle ripetute rassicurazioni fornite dal ministro Pisanu sull’aderenza dell’Italia alle norme internazionali sui diritti dei migranti e dei rifugiati".

L’organizzazione per i diritti umani ricorda al ministro di aver più volte, e invano, chiesto di poter accedere ai centri di detenzione per migranti e di garantire l’accesso anche a osservatori indipendenti. A giugno, Amnesty International ha pubblicato un rapporto sui Cpt italiani, nel quale si denuncia la "situazione complessivamente preoccupante dei centri, la costante prassi di espulsioni in violazione del principio di non-respingimento, la mancata assistenza legale e condizioni di detenzione inadeguate non in linea con gli standard internazionali"

Gatti ha realizzato il suo reportage usando una identità fittizia. Bilal Ibrahim el Habib, del Kurdistan iracheno, nato il 9 settembre del 1970 nel villaggio immaginario di Assalah, distretto di Aqrah. Dopo essere stato ripescato in mare, portato al Pronto Soccorso, Gatti-Bilal viene fermato dai carabinieri, rinchiuso nel centro di accoglienza temporanea e alla fine della esperienza-calvario viene rilasciato con un foglio di via che gli intima di lasciare l’Italia entro cinque giorni; in realtà viene lasciato libero di andarsene come clandestino in qualunque città d’Europa.

Nel lungo resoconto Gatti-Bilal descrive il supplizio degli interrogatori e dei riconoscimenti, con gli immigrati che appena sbarcati vengono portati nel Centro e fatti sfilare nudi tra i carabinieri che li schiaffeggiano, dei musulmani obbligati dai militari a guardare film pornografici, e per chi rifiuta, insulti e botte. Un reportage crudo, in cui si scopre che nel famoso "Cpt" di Lampedusa, definito dal leghista Mario Borghezio "un hotel a cinque stelle", i gabinetti "sono un’esperienza indimenticabile".

Immigrazione: Cpt-lager, Unione chiama Pisanu in Parlamento

 

L’Unità, 8 ottobre 2005

 

La procura di Agrigento ha deciso venerdì di aprire un’inchiesta contro ignoti in seguito alle denuncie fatte dal giornalista dell’Espresso, Fabrizio Gatti sul cpt di Lampedusa. Gatti, che per otto giorni è rimasto rinchiuso nel cpt spacciandosi per un curdo iracheno, verrà ascoltato dai magistrati nei prossimi giorni. Intanto la Procura ha acquisito l’articolo pubblicato venerdì dal settimanale. Per ora i reati ipotizzati sono: lesioni personali e peculato. Nel racconto del giornalista, infatti, si denunciava anche la sparizione dei soldi presi in custodia dalle forze dell’ordine al momento dell’ingresso nel centro.

Il 15 settembre 12 europarlamentari della Commissione Giustizia e Libertà avevano varcato la soglia del Centro di Prima accoglienza - in effetti non è un cpt ma un cpa - di Lampedusa. Dall’altra parte delle sbarre trovano però solo 11 migranti e un posto completamente ripulito che non lasciava pensare ad alcuna violazione dei diritti umani in atto da parte dello Stato italiano. Tutto a posto, almeno in apparenza.

La delegazione il giorno dopo fa ritorno a Bruxelles. Butta giù un verbale dell’ispezione e chiede ufficialmente al Governo italiano e al ministro degli Interni di rispondere una volta per tutte alle domande, formulate dagli europarlamentari, in merito ai rimpatri che da due anni a questa parte avvengono senza che se ne conoscano nel dettaglio le modalità. Esprime, inoltre, "riserve per aver visitato un centro spettrale non nelle condizioni di sovraffollamento in cui si trova solitamente".

Tre giorni dopo la partenza della commissione d’inchiesta inviata da Bruxelles, un altro sbarco a largo di Lampedusa porta sull’isola più di 150 persone. Quattro giorni dopo, altro sbarco. Stessa storia una settimana dopo. Da 11 presenze registrate il 15 settembre, si passa in soli sette giorni a più di 250 migranti detenuti. Fra loro camuffato da curdo iracheno c’è un giornalista italiano.

Fabrizio Gatti, il 23 settembre si getta in acqua a poche centinaia di metri dal porto vecchio, aspetta per quattro ore che qualcuno si accorga della sua presenza in mare. Quando ciò accade, comincia la sua breve esperienza da "clandestino". Viene portato prima in infermeria, poi in nottata direttamente nel Cpa di Lampedusa, dove senza farsi scoprire, resterà otto giorni. Il 1° ottobre lascia il centro con un foglio di via. Deve lasciare l’Italia entro cinque giorni come prevede il Decreto Attuativo della legge Bossi-Fini.

Dal momento in cui si getta in acqua a quando esce da uomo libero dal Cpa di Lampedusa Gatti è a tutti gli effetti un immigrato clandestino, ma non un animale. Eppure venerdì le testimonianze da lui riportate nero su bianco sul settimanale l’Espresso gettano ancora una volta il centrodestra nel caos. In quella struttura ogni giorno centinaia di migranti subiscono umiliazioni di ogni genere. Gatti scrive: "Ci obbligavano a sederci in pozze di urina. Se non obbedivi ti colpivano". "Costringevano i musulmani a vedere film porno su un telefonino"…"Gli immigrati appena sbarcati vengono fatti sfilare nudi tra i carabinieri che li schiaffeggiano". Queste e molte altre le rilevazioni fatte da Fabrizio Gatti.

Il ministro degli Interni Pisanu si rifiuta di rispondere. In mattinata, venerdì stesso, dopo aver cercato di intervistarlo, invia all’Unità on line una dichiarazione a firma del suo portavoce, Luca Manotovani: "Non ho intenzione di rilasciare interviste alimentando speculazioni. Riferirò in Parlamento". Poi non riuscendo comunque a risparmiare un commento politico, aggiunge: "Quell’articolo è tanto infondato quanto calunnioso e colui che l’ha fatto ha commesso un reato, perseguibile a norma di legge".

Che avrebbe potuto avere problemi legali, Gatti ne era pienamente consapevole. "Non mi sarei imbarcato in un’esperienza così se non avessi valutato prima attentamente tutto", racconta il giornalista a l’Unità online. "Sono fermamente convinto che i giornalisti non debbano dissimulare la loro identità per fare il proprio mestiere, - replica a Pisanu il segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa, Paolo Serventi Longhi.- Ritengo, però, che questo sia un caso diverso. Il ministro Pisanu ha impedito in ogni modo ai giornalisti di entrare nei cpt e testimoniare cosa avviene in questi centri. Per questo ringrazio Gatti dell’Espresso per lo straordinario lavoro di indagine realizzato che ha consentito di conoscere la sconvolgente realtà delle prevaricazioni esercitate ai danni degli immigrati".

"Sono certo che non tutte le forze di polizia addette al controllo di queste strutture siano responsabili delle violenze denunciate da Gatti –conclude Serventi Longhi.- Sicuramente le colpe sono di una minoranza, ma tutto questo doveva comunque essere denunciato. Se l’unico strumento per conoscere la verità è entrare con un travestimento in questi luoghi immondi, allora ciò rappresenta grande prova di professionalità e onore per la verità".

L’Unione non ci ha messo molto ad insorgere. Il Pdci chiede le dimissioni di Pisanu, i Ds vogliono che il ministro lunedì venga in Parlamento a riferire, idem i Verdi. Idem Rifondazione.

"Trovo assolutamente inaudito che un ministro neghi una realtà documentata - denuncia il senatore Ds, Nuccio Iovene - In realtà non vi è nulla di nuovo nelle cose raccontate dal giornalista dell’Espresso. Da tempo ormai associazioni e parlamentari denunciano uno stato di non diritto in queste strutture. Oggi però c’è una testimonianza concreta e non la si può ignorare".

"Chiediamo le dimissioni del sottosegretario agli Interni, Giampiero D’Alia, del Prefetto e del Questore di Agrigento - dice Giusto Catania, europarlamentare di Rifondazione, che era tra l’altro nella delegazione del 15 settembre- Oltre ad essere i responsabili del Cpa di Lampedusa, sono gli autori materiali del raggiro ai danni della delegazione ufficiale del Parlamento Europeo". Dello stesso parere anche Claudio Fava, europarlamentare diessino, anche lui nella delegazione che il 15 settembre ha ispezionato il centro. "Tutti coloro che si sono macchiati della responsabilità di aver coperto queste violazioni sono colpevoli - denuncia Fava - Anche Borghezio che ha parlato del Cpt come di un hotel a cinque stelle".

Anche l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) in una nota ha espresso "profonda preoccupazione" dopo aver letto le rilevazioni di Gatti e ha chiesto al Governo italiano "un chiarimento" su quanto denunciato dal settimanale. "Più volte parlamentari e associazioni hanno parlato di violazioni di diritti umani nel centro - afferma la portavoce di Unhcr Italia, Laura Boldrini - ma oggi quello che desta profonda preoccupazione è quanto testimoniato da Gatti in merito al comportamento delle forze dell’ordine al danno di immigrati e richiedenti asilo". L’Alto Commissariato ha inviato una lettera al ministro degli Esteri Fini per chiedere che al più presto vengano fornite risposte adeguate a tutti questi quesiti.

Droghe: Giovanardi; uno stralcio per superare l'impasse del ddl Fini

 

Ansa, 8 ottobre 2005

 

Il governo proporrà ai capigruppo del Senato uno stralcio del ddl Fini sulle tossicodipendenze, per portare avanti tre punti importanti, cioè l’individuazione delle tabelle, il maggiore accesso alle comunità per i tossicodipendenti detenuti, la parificazione tra strutture pubbliche e private: lo ha annunciato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, che ha anche la delega alla lotta alle tossicodipendenze, precisando che "sullo stralcio c’è accordo condiviso da tutte le forze politiche della Casa delle Libertà".

"Spero - ha aggiunto Giovanardi - che sarà condiviso anche dall’ opposizione". Il ministro ha poi precisato che alla Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, che - ha confermato - si terrà a Palermo dal 5 al 7 dicembre prossimi, i contenuti dello stralcio saranno "oggetto di verifica con gli operatori del settore".

Il ministro ha infatti sottolineato che, sebbene lo stralcio sia molto più "snello" del ddl, essendo composto da 22 articoli rispetto ai 106 della proposta di legge Fini, difficilmente potrà essere approvato entro gli inizi di dicembre; "al massimo - ha detto - potrà passare al vaglio di un ramo del Parlamento". E quindi alla Conferenza di Palermo i contenuti di questo provvedimento saranno "aperti alla discussione" con tutti gli operatori del settore. "Mi sono impegnato con loro su questo punto", ha aggiunto.

Tre, quindi, i cardini essenziali dello stralcio. In primo luogo, "l’individuazione di un parametro investigativo che consentirà alle Forze dell’ordine di distinguere sotto il profilo giuridico le condotte detentive finalizzate alla cessione e quelle tese al consumo". In pratica, saranno definite le "tabelle" che indicano le quantità di sostanze stupefacenti al di sotto delle quali si potrà parlare di "uso personale" e al di sopra di "spaccio". Tabelle che, ha precisato Giovanardi, saranno stabilite "scientificamente", in base alla quantità di principio attivo nelle varie sostanze. Previsto, inoltre, un "potenziamento di alcuni strumenti investigativi".

L’altro punto che Giovanardi ha definito "qualificante" del provvedimento riguarda il "maggiore accesso alle misure alternative al carcere per la persona tossicodipendente che ha commesso reati". Il provvedimento allarga la fascia di tossicodipendenti che seguono un percorso terapeutico in comunità in attesa che la sentenza che li riguarda passi in giudicato, e che potranno quindi, dopo la condanna definitiva, non andare in carcere ma restare nella struttura di riabilitazione.

Terzo punto segnalato dal ministro, l’adeguamento del privato sociale alle strutture pubbliche, per quanto riguarda la certificazione dello stato di tossicodipendenza e la predisposizione del piano terapeutico. "Nessuna intenzione - ha assicurato il ministro - di svilire il servizio pubblico".

Droghe: governo accelera su nuova legge-stralcio del ddl Fini

 

Il Giornale, 8 ottobre 2005

 

Il governo proporrà ai capigruppo del Senato uno stralcio del ddl Fini sulle tossicodipendenze, per portare avanti tre punti importanti, cioè l’individuazione delle tabelle, il maggiore accesso alle comunità per i tossicodipendenti detenuti, la parificazione tra strutture pubbliche e private. Lo ha annunciato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, che ha anche la delega alla lotta alle tossicodipendenze, precisando che "sullo stralcio c’è accordo condiviso da tutte le forze politiche della Casa delle Libertà". Giovanardi punta con forza sulla distinzione fra uso e spaccio di sostanze stupefacenti, anche per dare alle forze di polizia parametri certi. In sostanza i tre emendamenti citati dal ministro Udc riguardano la quantità di sostanze stupefacenti che una persona può detenere: tra i dieci e i venti spinelli, le quattro e le sei dosi di cocaina, otto bustine di eroina e tre-quattro pasticche di ecstasy entro i quali non si è definiti spacciatori ma consumatori abituali. "Ci sono dei casi in cui - ha detto Giovanardi - una persona è stata trovata con due chili di cocaina e un giudice ha stabilito che era per uso personale, mentre qualcun altro è stato condannato. Tutto questo è inammissibile e per questo vanno dati alle forze dell’ordine parametri certi e chiari entro i quali operare". Gli altri due emendamenti riguardano da un lato la possibilità che viene concessa ai tossicodipendenti in terapia di poter evitare di scontare la pena in carcere e quindi a proseguire nel trattamento curativo; mentre il terzo di fatto punta verso un’equiparazione delle comunità terapeutiche private e dei centri pubblici. E ancora. Il 57, 6 per cento degli italiani - secondo un sondaggio commissionato dal governo - preferisce uno Stato proibizionista a uno Stato che depenalizzi l’uso delle sostanze stupefacenti, il 92,6 per cento è favorevole a una regolamentazione in tema di droghe, l’89 per cento non vede differenze tra droghe cosiddette leggere e droghe pesanti. Alla domanda sulla preferenza tra uno Stato che persegue penalmente sia chi consuma droga che chi la commercia, una depenalizzazione del commercio e del consumo e una depenalizzazione solo del consumo, il 57,6 per cento degli intervistati si è riconosciuto nella prima posizione (proibizionista), il 32,4 discrimina tra consumo e spaccio e il 10 si è detto totalmente liberista.

Droghe: sondaggio del Dnpa; il 57,6% vuole Stato proibizionista

 

Redattore Sociale, 8 ottobre 2005

 

Un sondaggio su 2.500 persone dai 16 anni in su, commissionato dal Dipartimento politiche antidroga, fotografa l’opinione degli italiani sulla questione tossicodipendenze: il 57,6% vuole uno Stato proibizionista, il 32,4% discrimina tra spaccio e uso personale, mentre il 10% pensa a uno Stato liberista, e vorrebbe depenalizzare sia il commercio che l’assunzione di droghe da parte dei cittadini. I risultati del sondaggio telefonico, svolto da Poggi&partners, sono stati diffusi oggi nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi indetta dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, con delega sulle politiche antidroga.

Ben il 92,6% degli intervistati si dice favorevole a una regolamentazione in merito alle droghe da parte dello Stato, e d’accordo con il fatto che lo Stato debba fissare determinate regole di comportamento inerenti la salute e la sicurezza. Per quanto riguarda la nuova proposta di legge sulla droga - che prevede la definizione da parte delle istituzioni di una quantità di sostanza illegale oltre la quale si è considerati spacciatori, non solo consumatori -, per il 58,6% questa limitazione precisa delle quantità potrebbe "servire come deterrente perché il consumatore sia indotto a limitare il suo consumo di droga"; il 41,4%, però, è in disaccordo con questa tesi. Stesse percentuali di accordo e disaccordo sulla domanda successiva: per i primi, la definizione dei quantitativi massimi di stupefacente che ogni cittadino può possedere servirà come "elemento di disturbo per gli spacciatori, limitando la loro possibilità di circolare impunemente con quantitativi consistenti di sostanze illegali".

Sull’ampliamento delle possibilità di recupero, rafforzando i programmi terapeutici alternativi alla detenzione (presso carceri a custodia attenuata, comunità terapeutiche, Sert) e ampliando i termini di sospensione dell’esecuzione della pena da 4 a 6 anni, concordano (dando un punteggio da 8 a 10, il massimo consentito) ben il 61,4% degli intervistati, seguiti dal 32,8%, che ha dato un punteggio tra 6 e 7; appena il 2,6% ha dato un punteggio da 4 a 5 e il 3,2% da 1 a 3. Alta (89%) la quota di coloro che condividono la tesi di chi si oppone alla distinzione tra droghe leggere e pesanti, "perché tutte sono, seppure in misura diversa, ugualmente dannose per la salute fisica e psichica delle persone, nonché per le possibili alterazioni del comportamento"; l’11%, invece, si dichiara in disaccordo con questa posizione. Infine, il 71% degli intervistati sostiene che coloro che vogliono iniziare un percorso in comunità dovrebbero accedervi direttamente, senza passare prima dalla struttura pubblica (il Sert), come invece avviene attualmente; il 29%, al contrario, ritiene che si debba prima passare dal Ser.T.

Droghe: a Conferenza Palermo istituzioni, Ser.T. e privato sociale

 

Redattore Sociale, 8 ottobre 2005

 

Alla IV Conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, in programma a Palermo dal 5 al 7 dicembre sul tema "Insieme per costruire", si svolgeranno gli "Stati generali" sulle droghe, durante i quali si confronteranno istituzioni, Sert, pubblico e privato sociale. Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il Parlamento con delega sulle politiche antidroga, ha dichiarato stamattina in conferenza stampa a Palazzo Chigi: "Nessuna tesi precostituita".

A Palermo verranno costituiti 4 "Gruppi tematici": doppia diagnosi; prevenzione, comunicazione sociale e formazione; adeguamento dei servizi alle nuove modalità di consumo; carcere e droga. Ogni Gruppo avrà un coordinatore che regolerà interventi e dibattito. Le sessioni di lavoro previste sono 4: il sistema dei servizi per tossicodipendenti e la legislazione in Europa; i rapporti internazionali e la lotta al narcotraffico, la strategia antidroga e il Piano d’azione Europa 2005-2012; operatori, amministratori locali e centrali dello Stato a confronto, quali i nodi critici dell’attuale sistema, quali gli scenari possibili; analisi critica della normativa vigente.

Al centro dei lavori, anche lo stralcio (da 106 a 22) degli articoli della proposta di legge sulle tossicodipendenze, riforma del Testo unico 309/90. Attualmente - ha riferito Giovanardi - il ddl (che ha già 2 anni) è in Senato: "La proposta di stralcio va formalizzata tecnicamente per portare il disegno di legge all’approvazione prima della fine della legislatura. Ma ho promesso alle associazioni che ne discuteremo a Palermo; anche se nel frattempo il Senato l’avrà approvato, il ddl passerà alla Camera, dove si potranno fare ulteriori modifiche. Terremo conto delle osservazioni delle associazioni: ho preso un impegno con loro".

Lo stralcio del ddl 2953 A.S. tiene conto di "3 cardini essenziali", ha sottolineato Giovanardi: "Dare alle Forze dell’Ordine un parametro significativo e certo per definire se la quantità di sostanza posseduta da una persona è per uso personale o per spaccio; ora la giurisprudenza è disparata su questo punto"; invece si vuole giungere a una distinzione netta, sotto il profilo giuridico, tra condotte detentive finalizzate alla cessione e quelle tese al consumo (articoli 73, 75 e 75 bis). Il secondo punto è quello di "consentire un maggiore accesso alle misure alternative al carcere per il tossicodipendente che ha commesso reati: se sta già in comunità, gli si dà la possibilità di rimanervi e di non passare in carcere quando la sentenza passa in giudicato". Infine, Giovanardi ha ricordato il terzo cardine del testo di legge: "Un adeguamento del privato sociale alle strutture pubbliche", in ordine alla certificazione dello stato di tossicodipendenza e della predisposizione del piano terapeutico.

Droghe: il Dnpa investe 16 milioni di euro in 3 grandi progetti

 

Redattore Sociale, 8 ottobre 2005

 

Il Dipartimento politiche antidroga investe 16 milioni 190mila euro in 3 grandi progetti: recupero tra carcere e comunità; prevenzione in famiglia, a scuola, nelle società sportive e negli oratori; trattamento e riabilitazione dei cocainomani. I progetti sono stati illustrati questa mattina dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, con delega sulle politiche antidroga, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Il primo dei progetti, stipulato in convenzione con il ministero della Giustizia, è articolato in 5 interventi denominati "Sosteno al recupero tra carcere e comunità", per un importo totale di 11 milioni 190mila euro; gli accordi di programma sono stati siglati con il Dipartimento amministrazione penitenziaria e con il Dipartimento giustizia minorile, finalizzati al reinserimento socio lavorativo dei tossicodipendenti in carcere o collocati in misure alternative in comunità terapeutiche. Nel dettaglio, gli interventi riguardano la riabilitazione dei tossicodipendenti nell’istituto a custodia attenuata di Castelfranco Emilia - "Iris" (1 milione e mezzo di euro) e di Giarre - "Liberi dentro" (mezzo milione di euro); l’ordinaria riabilitazione in 20 carceri italiane (6 milioni di euro); la valorizzazione dell’intervento socio-riabilitativo nelle comunità terapeutiche (2 milioni 190mila euro); un intervento sugli adolescenti con problemi di dipendenze dal titolo "Libera mente" (un milione di euro).

In convenzione con il ministero dell’Istruzione, il secondo progetto - denominato "Famiglia-scuola" - prevede un finanziamento di 4 milioni di euro e punta alla prevenzione nelle scuole (ma non solo) a sostegno delle famiglie. Infine il progetto "Emergenza cocaina" prevede un finanziamento pari a un milione di euro ed è stato oggetto di un accordo di programma con il ministero della Salute; si vuole puntare alla prevenzione dalla dipendenza da cocaina, in forte crescita. Il ministro Giovanardi ha annunciato che i progetti "saranno operativi tra qualche mese e rappresentano un modello: potranno anche essere ampliati in futuro".

Droghe: torna la "modica quantità", non più di dieci spinelli...

 

Corriere della Sera, 8 ottobre 2005

 

La legge giace in Parlamento, da due anni ormai. Non è facile tirarla fuori dalla palude delle polemiche. E allora Carlo Giovanardi ha pensato di tirarne fuori uno stralcio, 22 articoli sui 106 della normativa. È lui, Giovanardi, il ministro che ha ereditato da Gianfranco Fini la delega sulle tossicodipendenze. È Giovanardi che ieri in una conferenza stampa a Palazzo Chigi ha annunciato di voler puntare su tre elementi cardini della legge e primo fra tutti è quello che reinserisce il vecchio concetto di "modica quantità". O, meglio, qualche cosa che gli assomiglia molto da lontano, visto che il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha voluto puntare su un problema di ordine pubblico e la modica quantità l’ha fatta diventare "parametro investigativo".

È un po’ vago il concetto di questo parametro. Non nelle intenzioni, per carità. Che, anzi, sono chiarissime: con questo parametro si vuole reintrodurre un confine oggettivo tra consumo personale di stupefacenti e spaccio. Però per come l’hanno pensata diventa d’obbligo il condizionale che non ha nulla di oggettivo. Secondo le tabelle distribuite ieri dal ministro, il confine tra spaccio e consumo personale è, per esempio, 10/20 spinelli. O, anche, di 4/6 dosi di cocaina. Ma pure: 8 buste di eroina. E viene spontaneo chiedersi quanto deve essere grande una busta di eroina? O, anche: quant’è una dose di cocaina? Soltanto l’ecstasy ha una definizione un po' precisa: quelle sono pasticche e secondo la tabella del ministro se ce ne hai in tasca più di 3/4 sei uno spacciatore.

Questo era il primo dei tre punti dello stralcio di legge. Gli altri due prevedono un investimento di oltre 11 milioni di euro per attrezzare e gestire cinque strutture alternative al carcere per tossicodipendenti condannati, nonché un provvedimento che prevede l’equiparazione delle comunità terapeutiche ai Sert.

Il ministro Carlo Giovanardi non sembra avere dubbi sul successo di questo stralcio di legge che intende portare a Palermo, alla Conferenza nazionale sulla droga che si terrà i primi di dicembre. "C’è l’accordo di tutta la Cdl sullo stralcio" dice. E poi aggiunge: "Ma sono convinto che si potrà trovare un accordo anche con l’opposizione". Ma dall’opposizione arriva immediata la reazione. Quella dei Ds, in testa, per bocca di Giuseppe Vaccari, responsabile delle tossicodipendenze per il partito: "La conferenza nazionale andava fatta due anni fa, prima di scrivere il disegno di legge sulla droga del quale ora si vuole fare questo stralcio, inaccettabile". Anche il verde Paolo Cento protesta per una legge che non vuole che venga lasciata passare "a colpi di fiducia". E anche dal mondo degli addetti ai lavori arrivano lamentele e proteste. Dal Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca), prima di tutti, che ha voluto auto sospendersi dalla Consulta nazionale subito dopo la conferenza stampa di Giovanardi.

Guantanamo: la Croce Rossa è sempre più preoccupata

 

Vita, 8 ottobre 2005

 

Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) è preoccupato per la situazione dei detenuti in sciopero della fame a Guantanamo. Un gruppo di delegati si è recato nel centro di detenzione americano in settembre ed un’altra visita è prevista entro la fine del mese, si è appreso oggi a Ginevra. "Siamo preoccupati. La situazione è seria e ne discutano con le autorità americane", ha affermato la portavoce del Cicr Antonella Notari. I delegati dell’organizzazione umanitaria visitano regolarmente i detenuti della base di Guantanano (Cuba) dal gennaio 2002. Recentemente, i delegati hanno potuto incontrare i prigionieri in sciopero della fame per informali sui danni sulla salute dell’assenza prolungata di cibo, ha detto Notari senza precisare il numero dei detenuti coinvolti, né fornire dettagli sulle loro condizioni di salute.

 

 

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