Rassegna stampa 17 ottobre

 

Napoli: proposta di legge su Garante Regionale dei detenuti

 

Comunicato stampa, 17 ottobre 2005

 

Napoli. Soddisfazione delle associazioni promotrici dell’iniziativa "Fame di Giustizia" per la presentazione della proposta di legge sul Garante Regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. "Durante la tre giorni di sciopero della fame e del presidio continuo a Piazza Dante che si è conclusa ieri, si legge in una nota diffusa dalla Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) Antigone - Napoli, Federazione Città Sociale, Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia, abbiamo raccolto oltre 500 firme a sostegno della proposta per l’istituzione di un garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, che è stata depositata dalla presidente della commissione regionale per le politiche sociali, Maria Luisa Bossa (DS). Hanno aderito all’iniziativa, tra gli altri, Aristide Donadio (Amnesty), Samuele Ciambriello (presidente ass. Città Invisibile), Francesco Maranta (segreteria regionale PdCI), i consiglieri circoscrizionali Pino De Stasio (Prc), Maria Luisa Rega (Pdci)". "Il garante si occuperà dei detenuti, spiega la nota, degli internati, delle persone comunque prive della libertà personale (includendo quindi, ad esempio, i reparti psichiatrici delle strutture ospedaliere) e del loro rapporto col sistema detentivo, in modo da renderlo, dove è possibile, più vivibile e tollerabile e contribuirà alla salvaguardia dei loro diritti fondamentali (lavoro, salute, formazione), operando per la risoluzione dei conflitti in una logica e secondo i canoni della mediazione, dell’intervento diretto, del dialogo istituzionale". "Riteniamo, conclude la nota, che la legge sul Garante costituisca solo il primo di una serie di interventi degli enti locali sui temi della reclusione e del disagio. Prosegue il nostro impegno affinché i tema della riforma del codice penale, dell’amnistia, delle condizioni delle persone ristrette, sia inserito con chiarezza nel programma di governo dell’Unione".

Viterbo: la "casa famiglia" per i detenuti cerca una sede

 

Il Messaggero, 17 ottobre 2005

 

Febbraio è vicino, ma una soluzione ancora non c’è. Non nasconde la propria preoccupazione Maria Rita Crispi, presidente dell’Asapp (Associazione Santi Apostoli Pietro e Paolo) in vista della scadenza del contratto di affitto dell’appartamento (in via Annovazzi) utilizzato dall’associazione fondata due anni fa da don Renzo Copponi, ex cappellano del carcere di Aurelia, per portare sollievo ai detenuti dei due istituti penitenziari civitavecchiesi.

È lì infatti che finora hanno trovato "un appoggio" coloro, principalmente stranieri, che ottengono permessi premio (benefici dei quali si può godere solo qualora si possieda fissa dimora presso la quale risiedere) o che terminano il proprio periodo di detenzione ma non hanno un posto dove andare. Un’azione certamente lodevole, che rischia però di essere interrotta dalla decisione del proprietario dell’immobile, in seguito alle proteste di alcuni vicini, di non rinnovare il contratto di affitto. "Proteste immotivate - sottolinea Maria Rita Crispi, che da 9 anni ormai insegna al carcere di Aurelia - dal momento che si tratta di persone che vengono accuratamente selezionate e che non avrebbero alcun interesse a disturbare chicchessia, trovandosi in molti casi in regime di libertà provvisoria. Credo piuttosto che le contestazioni derivino dalla presenza di diversi extracomunitari, che devono aver destato, sospetti e timori".

L’insegnante ricorda anche che tutte le 50 persone alternatesi nell’appartamento hanno tenuto una condotta irreprensibile. "E pensare - aggiunge - che per quella casa avevamo grandi progetti, come quello di installarvi la redazione del nostro giornalino "Il gabbiano", una pubblicazione bimestrale curata proprio da noi volontari".

L’obiettivo è ora trovare un nuovo appartamento, meglio ancora un terreno con un casale, che i detenuti possano ristrutturare e dove possano anche coltivare la terra, reintroducendosi nel mondo del lavoro e "guadagnandosi" così il proprio diritto ad un alloggio temporaneo.

Giustizia: Caselli; manovre del Csm per escludermi da antimafia

 

Apcom, 17 ottobre 2005

 

"Nel Csm ci sono state manovre per escludermi dall’Antimafia". È l’accusa che, il procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli, lancia attraverso un’intervista a "La Repubblica".

"Il problema - afferma - non è Grasso o Caselli e, comunque, la parola vendetta non mi piace. Infatti, vorrei, fosse chiaro a tutti che questo non è un caso personale, ma piuttosto un ammonimento a chi in futuro vorrà comportarsi come ci siamo comportati noi", ossia "la procura di Palermo". "Intendo dire ciò che io e gli altri pm di quell’ufficio abbiamo ottenuto: l’aver avviato e fatto celebrare certi processi che, a detta di qualcuno, non si dovevano fare". "Io non vorrei parlare ancora una volta di Andreotti, ma - aggiunge - quel processo è stato quello più citato in questa strategia per escludermi dal concorso per la Procura antimafia". "Lo scandalo - afferma Caselli - è aver impedito un confronto totale escludendo qualcuno dal concorso, nel caso specifico me. L’aver sottratto al Consiglio superiore della magistratura la sua piena autonomia decisionale".

Caselli punta il dito contro "la maggioranza politica di governo" che, dice citando l’emendamento Bobbio, "ha usato un decreto legge e un emendamento di fatto contro di me". "Si è deciso di interferire nella partita già cominciata. All’inizio era un intento condiviso ma sussurrato, poi è diventato esplicito e rivendicato".

Napoli: ospedale Cardarelli, allarme per detenuto armato in corsia

 

Il Mattino, 17 ottobre 2005

 

Chi ha procurato la pistola a Ciro Merolla, il pregiudicato piantonato nel reparto di osservazione chirurgica del Cardarelli che, l’altra sera, ha tentato di uccidere uno dei due agenti carcerari incaricati di sorvegliarlo? La risposta dovrà darla la polizia penitenziaria che indaga sull’inquietante episodio e che ieri ha anche interrogato la moglie del Merolla, l’ultima ad aver incontrato il detenuto prima dell’aggressione. Domani il pregiudicato, assistito dagli avvocati Angelo e Ferdinando Cerbone, sarà condotto davanti al gip per l’udienza di convalida (pm Antonio D’Alessio). Dovrà rispondere di una raffica di reati che vanno dal tentato omicidio al sequestro di persona dal porto e detenzione di arma clandestina, alla resistenza a pubblico ufficiale al tentativo di evasione. Insomma una sfilza di accuse che potrebbero fare slittare almeno di una decina d’anni la fine della pena che, fino all’altro giorno, era fissata per il 2017. "Merolla è afflitto da talassemia - spiega l’avvocato Angelo Cerbone - tant’è che una perizia di parte eseguita dal professor Pietro Zangani aveva sottolineato l’incompatibilità del mio assistito con la detenzione carceraria. Per questo avevo chiesto che Merolla potesse beneficiare della detenzione ospedaliera: a causa del male che lo affligge ha bisogno di continue trasfusioni di sangue". Merolla, lo ricordiamo è detenuto per una serie di rapine commesse in uffici postali di molte città d’Italia. L’ultima è datata lo scorso anno, il colpo a Cuneo, sempre in un ufficio postale. L’episodio dell’altra sera ripropone la questione del ricovero di detenuti in strutture ospedaliere. Il Cardarelli ha un reparto con dodici posti letto riservato ai detenuti, nel padiglione Palermo che è chiuso però dal 2002 per ristrutturazione. Spiega il direttore sanitario Giuseppe Matarazzo. "I lavori termineranno nel 2006. Il padiglione Palermo conterà complessivamente 122 posti-letto essenzialmente di pneumologia, dodici dei quali destinati ai detenuti. Ovviamente anche le misure di sicurezza di quel reparto saranno aggiornate con sofisticati sistemi". Ma non sono troppi, ci domandiamo, quattro anni per ristrutturare un padiglione ospedaliero? Sta di fatto che, attualmente, ogni giorno almeno quattro cinque detenuti stazionano nel nosocomio vomerese, piantonati ventiquattro ore su ventiquattro, ognuno, da due agenti di polizia penitenziaria. Questo comporta anche l’impiego di un numero enorme di agenti penitenziari. Il Cardarelli non è il solo ospedale a ospitare detenuti. Anche il Cotugno quotidianamente riceve persone in stato di detenzione. Si tratta essenzialmente di soggetti affetti da malattie infettive, come l’hiv.

 

Sarà riaperto il padiglione per i detenuti

 

Il sindacato Uil penitenziari, dopo un recente caso verificatosi al Cardarelli di Napoli con un detenuto piantonato, ha chiesto il ripristino del padiglione per i detenuti presso l’ospedale "Rummo" e si è appellato al prefetto. In prefettura presieduto dal prefetto D’Ambrosi il problema era stato già affrontato nei giorni scorsi nel corso di un vertice, in cui i responsabili del "Rummo" avevano assunto l’impegno di dar corso ad alcuni lavori in modo da poter ripristinare il settore riservato ai detenuti. Nella nota la Uil ricorda che dal luglio del 2003 fino al momento della chiusura del padiglione erano stati piantonati al "Rummo" settanta detenuti, alcuni dei quali con posizione giuridica particolare. "Si tratta sostiene Eugenio Sarno segretario regionale - di un problema che investe direttamente il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia dei cittadini".

Argentina: rivolta in carcere, 32 detenuti muoiono in incendio

 

Corriere della Sera, 17 ottobre 2005

 

Almeno 32 persone sono morte e sei sono rimaste ferite in Argentina per una rivolta in un carcere a sud di Buenos Aires. Lo ha reso noto la televisione argentina Tn, citando il Servizio penitenziario federale. La rissa è scoppiata nel carcere di Magdalena, 120 chilometri a sud di Buenos Aires.

A scatenare i detenuti, sabato sera, è stato il rifiuto da parte dell’amministrazione del carcere, di accordare il permesso alla ricezione di visite di parenti e familiari. I detenuti si sarebbero visti rifiutare la richiesta di estendere l’orario di visita per la festa della mamma. Al no, i detenuti avrebbero dato fuoco ai materassi, provocando un incendio che si è esteso fuori controllo e avrebbe causato le vittime. Alla ribellione partecipano circa 200 detenuti. La rivolta è ancora in corso. Il Servizio penitenziario federale si è limitato a confermare il numero dei morti.

Usa: detenuta vuole abortire, la Corte suprema la ferma

 

Il Messaggero, 17 ottobre 2005

 

È polemica negli Stati Uniti per decisione di un giudice della Corte suprema di rimandare la richiesta di abortire avanzata da una donna detenuta in un carcere del Missouri. Venerdì, un giudice federale aveva ordinato ai dirigenti responsabili della casa di pena di trasportare la detenuta incinta in una clinica affinché potesse subire l’interruzione di gravidanza da lei richiesta. La decisione del giudice era però contestata dal Ministro della Giustizia dello Stato del Missouri. Nella serata di venerdì, una corte d’appello federale competente per il Missouri s’era rifiutata di bloccare l’esecuzione della sentenza. Lo Stato ha allora fatto ricorso alla Corte Suprema: e ieri il giudice Clarence Thomas, esponente dell’ala ultraconservatrice e contraria all’aborto, ha ordinato una sospensione temporanea, in attesa d’una decisione nel merito da parte sua, o della Corte intera.

L’aborto sarebbe dovuto avvenire ieri: la donna è incinta da quasi 17 settimane e la legge del Missouri non autorizza l’interruzione di gravidanza dopo la 22/ma settimana. La sentenza del giudice federale di primo grado contravviene una norma dello Stato in vigore da pochi mesi che vieta di spendere denaro pubblico per interventi medici non necessari sui detenuti. E l’aborto è, secondo alcune interpretazioni, fra questi. Per il giudice federale di primo grado, Dean Whipple, l’elemento prevalente è che il sistema carcerario del Missouri sta privando la donna dell’esercizio del diritto di praticare l’aborto, non fornendole il trasporto necessario.

La corte d’appello federale non ha ritenuto che l’appello subito presentato dallo Stato avesse validi motivi. Le autorità di Jefferson City, la capitale del Missouri, hanno allora deciso di rivolgersi alla Corte Suprema. La detenuta incinta all’origine del caso ha detto che si procurerà il denaro per pagarsi l’intervento, ma che non può pagare le spese di trasporto e di sicurezza. Del resto, senza l’ok delle autorità carcerarie, non è libera di muoversi.

Immigrazione: Gorizia, 2 anni d'opposizione all'apertura del Cpt

 

Il Gazzettino, 17 ottobre 2005

 

Due anni d’opposizione all’apertura del centro di permanenza temporanea di Gradisca d’Isonzo e una nuova manifestazione di carattere nazionale indetta per il 22 ottobre. Continuano le polemiche sul centro immigrati individuato nell’ex caserma Ugo Polonio che aprirà nei primi mesi del 2006 per accogliere 250 persone prive di permesso di soggiorno. La struttura di Gradisca diventerebbe una tra le più grandi in Italia, con la previsione anche di un centro di identificazione per richiedenti asilo politico, da 150 posti.

I movimenti ed enti locali sono intervenuti a più riprese, attraverso azioni ed esposti, per bloccarne l’apertura ed annunciano per il 22 ottobre la prossima manifestazione, mentre la giunta gradiscana-Tommasini lancia prima la proposta di convertire la caserma in un penitenziario e quindi presenta ricorso al Tar del Lazio accanto agli atti distinti di richiesta di sospensione dei lavori, emanati da Provincia e Regione. I 3 enti locali richiedono un’istanza di sospensiva al ministero dell’Interno, imputando gravi vizi procedurali nel percorso per la realizzazione del Cpt gradiscano.Ieri a Palazzo Torriani, gli esponenti del coordinamento cittadino contro il Cpt hanno presentato l’appuntamento di sabato 22 con cui "si intende dar concretezza ad un percorso stabilito nell’assemblea romana del 4 settembre scorso dai movimenti per la libertà di circolazione e chiusura dei centri per migranti", riferisce Claudio Verdimonti, coordinatore dei Cittadini per il Comune. In tale giornata si svolgeranno contemporaneamente le manifestazioni di Bari e Gradisca d’Isonzo, località sottoposte alla questione dei centri di permanenza. Ormai i lavori per il Cpt isontino risultano ultimati e si sta procedendo all’indizione della gara d’appalto per la gestione dello stesso.

La manifestazione a Gradisca prevede due momenti: il primo avrà inizio alle 13 con il raduno dei manifestanti in piazza per poi proseguire in corteo verso Poggio Terza Armata e fermarsi davanti alla lapide che ricorda la presenza di un campo di concentramento durante la Seconda guerra mondiale. Qui l’associazione de I Cancellati sloveni riporterà la personale esperienza degli ultimi anni. Alle 14.30 un secondo corteo, partendo dalla piazza e procedendo lungo via Regina Elena, arrivando al Mercaduzzo e scendendo via Aquileia e Borgo Maria Maddalena, giungerà davanti al Cpt dell’ex caserma Polonio. La manifestazione ha raccolto le adesioni di partiti ed associazioni da tutta l’Italia del Nord, nonché di associazioni della Slovenia. "Abbiamo privilegiato il rapporto coi sindacati che sono garanzia di protesta forte ma civile - afferma Giuseppe Salamone, segretario dei Ds - e ottenuto l’adesione della Cgil provinciale. Nei prossimi giorni avremo una risposta anche da Cisl e Uil". Se l’incontro del 26 febbraio aveva registrato la presenza di 2500 persone, ora si prevede di superare largamente tale affluenza.

Il coordinamento cittadino ricorda la posizione del settimanale L’Espresso, che ha di recente pubblicato un dossier che supporta, attraverso dati concreti, quanto già attestato da Medici senza frontiere: "I Cpt sono luoghi disumani che violano le norme del diritto e i diritti degli individui - prosegue Verdimonti - quindi continueremo a dire il nostro No al Centro". Salamone chiude con un appello ai movimenti che parteciperanno il 22 ottobre affinché ciascuna componente rispetti l’altra e "non si macchi questa manifestazione con gesti di inutile violenza con l’unica funzione di inasprire i rapporti tra le istituzioni".

Benevento: domani firma protocollo su attività per detenuti

 

Age, 17 ottobre 2005

 

Domani, 18 ottobre 2005, alle ore 11.00, presso il Centro per l’Impiego in via XXV Luglio, sarà siglato un protocollo d’intesa tra la casa Circondariale di Benevento, la Provincia e la Regione Campania per iniziative di formazione ed orientamento professionale per i detenuti. L’iniziativa si colloca nel contesto di una direttiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la cooperazione del Ministero della Giustizia, per facilitare - si legge nel protocollo - "l’ingresso o il reingresso nel lavoro e nella vita sociale attiva di donne e uomini in esecuzione penale, condannati ed ex condannati in considerazione del profondo significato che l’esperienza lavorativa riveste nei processi di crescita e manutenzione delle persone al di fuori degli stili di vita illegali e per la promozione e la partecipazione alla vita attiva". In concreto, l’accordo tra gli enti prevede che verranno sviluppati e rafforzati "una linea di servizi di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro a favore di adulti sottoposti a misure penali limitative della libertà".

Tratta: Frattini; visti temporanei alle vittime che collaborano

 

Ansa, 17 ottobre 2005

 

Bisogna "aiutare le vittime del traffico di esseri umani: sono favorevole ad una corsia facilitata per rilasciare visti temporanei alle vittime che collaborano con gli inquirenti e fanno scoprire i trafficanti". Lo ha detto il commissario europeo Franco Frattini. Frattini ha sottolineato la necessità di armonizzare le regole del diritto penale: "ci sono Stati membri - ha spiegato - dove alcuni comportamenti non sono puniti o non sono puniti in maniera adeguata. Questo non è possibile". Secondo il commissario UE, vanno favoriti percorsi di reinserimento sociale delle vittime, ad esempio aiutandole ad imparare la lingua e c’è poi, ha aggiunto, l’enorme problema dei bambini: "stiamo pensando - ha riferito - a misure che garantiscano a livello europeo una pronta emergenza per i bambini vittime del traffico, a cominciare da centralini telefonici che parlino la lingua del bambino, che spesso quando è rapito sta in un paese diverso e non la conosce".

Frattini ha aggiunto che proporrà al consiglio europeo l’adozione di una Carta europea dei diritti dei bambini che enuclei le strategie che i 25 paesi dovranno seguire. Tra qualche settimana, ha aggiunto, la commissione pubblicherà una comunicazione che tenga conto di questi aspetti. "Il traffico di esseri umani - ha detto ancora Frattini - è la terza fonte di business per le organizzazioni criminali transnazionali: è evidente che, accanto al traffico di armi e di droga, quello delle persone colpisce al cuore tutti i nostri valori. Su questo l’Europa deve avere una voce sola e deve cominciare, con i paesi terzi non europei, in sede di negoziato, a porre questo problema come una pregiudiziale ad accordi politici: noi non possiamo aiutare e finanziare coloro che chiudono gli occhi purtroppo sul grande flusso di traffico di esseri umani".

Homeless: la storia dell’amicizia tra Franco, Carlo e Carmelo…

 

Redattore Sociale, 17 ottobre 2005

 

Franco è romano, ha cinquanta anni. È un uomo alto, la faccia magra e allungata. Occhi neri sporgenti, sopracciglioni, un premolare che non c’è, denti gialli di fumo. Veste sempre di scuro. Piumino e guanti neri, cappellino di lana marrone. Siamo seduti su una panchina del primo binario, ogni tanto passano amici di Franco, vanno all’ostello o alla mensa Caritas. Dopo tanti anni di strada, lui conosce un po’ tutti, ma di amici ne considera solo due: Carlo e Carmelo. Franco è sempre stato un uomo sopra le regole. Si è avviato alla carriera di ladro da giovanissimo. Ha iniziato qui a Termini, faceva i treni. Ai portafogli aggiungeva ogni tanto qualche consegna talmente segreta, che nemmeno lui ha mai saputo di che si trattasse. Gli chiedevano solo di guidare la macchina, erano gli anni della banda della Magliana. Quel giro gli fruttava molti soldi. Fu allora che conobbe Anna, una sera in un noto night club. Lei era vent’anni più grande di lui, ma fu amore a prima vista. Franco perse la testa, lasciò tutti i suoi giri e si trasferì in Umbria con lei. Dopo un anno arrivò la prima crisi. Si separarono, ma con la promessa che un giorno si sarebbero di nuovo incontrati. Franco tornò a Roma, smarrito, di nuovo, in una città nel frattempo cambiata e in mano a nuovi boss. A Roma non aveva nessuno, se non la madre ormai anziana. Così lentamente ritornò alla strada e per tre anni girovagò l’Italia, insieme a un barese e un napoletano, dalle coste alle alpi, senza meta né orario, solo la voglia di rimandare. Finché una mattina, di passaggio da Roma, si risvegliò con la netta sensazione di dovere tornare da Anna, e così fece. Ritrovare il suo indirizzo fu difficile, ma alla fine, senza nemmeno avvisarla, si presentò alla porta e suonò il campanello. Si sposarono dopo pochi mesi. Ma il matrimonio fu breve. Nel novantotto la moglie gli morì tra le braccia, aveva un tumore. Due anni dopo morì pure sua madre. Era rimasto completamente solo. Da quattro anni era senza lavoro, occupato a seguire prima la malattia della moglie, poi quella della madre. Oltretutto venne sfrattato dall’appartamento comunale della madre dove si era trasferito. Il suo punteggio da vedovo era insufficiente per la graduatoria delle assegnazioni, le domande erano tante, l’avrebbero dato a chi ne aveva più bisogno. A testa dritta se ne andò sbattendo la porta dell’ufficio comunale prima e poi quella di casa.

Decise con rabbia di tornare alla strada, a quella vita che aveva amato e odiato a lungo, fuggiva da una società che gli aveva promesso felicità, ma poi non aveva mantenuto la parola. "Ahò, se devo sceje tra due giungle, mejo a strada - mi dice - qui armeno se fa na vita più sana". Dice di stare bene, a lui non manca nulla, ha la sua coperta e mangia ogni giorno, si è abituato. Se guarda la gente camminare, e intanto li indica col dito puntato, vede solo facce tristi. "Guarda quelli là! - si mette a gridare - Li vedi! Caminano a testa bbassa, guardano per tera, sò stressati da la vita, passano tutto er giorno a lavorà, sprecano er tempo mijore che c’hano, solo pè pagasse a pelliccia! Ma chi glielo fa fà!? Se me se chiede de fà na vita così dico de no, grazie. Mejo dormì ‘n pò scomodo ma nun avè programmi e decidè vorta per vorta er da fasse". Franco è fiero dei tanti anni che ha passato sulla strada. "A strada è na maestra de vita, te ‘nsegna a essè pronto ‘n ogni situazione. E poi senti certe storie de sofferenza, che quando er giorno dopo sei da solo che nun c’hai gniente da fa, ce pensi, e te pare d’ave ‘mparato quarche cosa, de la vita". Gli chiedo se davvero è felice e se non gli manca qualcosa. Lo ripete: "nun me manca gniente". Ma poi si tradisce prendendosela con il regolamento per l’assegnazione degli alloggi pubblici, con la destra, la sinistra, i democristiani, ma soprattutto con gli stranieri che, dice, "hanno rovinato l’Italia". "Noi semo italiani e lo stato ce deve dà de ppiù! Quelli sò capaci solo de rubbatte e nun vojano da lavorà!". Ha bisogno di dare la colpa a qualcuno Franco, perché, anche se ha sbagliato, non può essere solo colpa sua. "Avessi avuto a possibilità de rifamme na casa e ‘n lavoretto, magari me sarei potuto risposà. Che ne sai? Ma ‘n mezzo a na strada che famija me faccio a cinquant’anni? Ormai ce moio".

Dopo cena ci raggiunge Carlo, anche lui sulla cinquantina, capelli grigi, stempiato, pizzetto ben curato. Ci tiene a catturare l’attenzione di chi lo ascolta. Carlo è un uomo di cultura, bastano due parole per capirlo. Toscano, di Arezzo, una laurea in economia, un master in management a New York, tredici anni di lavoro in giro per il mondo per conto di una famosa compagnia italiana. Ha conosciuto la bella vita, l’agio del lusso. Poi la malattia della moglie, la trafila nelle migliori cliniche private degli Usa, in cerca di una cura impossibile. Fili di speranza spezzarsi uno dopo l’altro, come capelli finissimi. Poi la morte, il lutto, la caduta, il fallimento, primo, vero, irrimediabile. Tutto è crollato, oggi la strada. Carlo è un uomo orgoglioso, testardo. Sa essere generoso e insieme scaltro, premuroso e cinico. Porta con sé una grande rabbia, che libera ogni volta che riceve un torto, anche piccolo. Ha subito abbastanza e non ci sta più. Sulla strada Carlo ha le idee chiare: "La strada riproduce fedelmente la città. L’unica differenza è che qua tutto è esasperato. In strada le persone combattono per il peggiore degli ideali: la miseria. E la miseria è una brutta bestia, perché sei pronto a tutto, perché lotti per sopravvivere e non per stare meglio, perché tanto non hai più nulla da perdere". Carlo ridendo guarda Carmelo, lo addita ad esempio. "Stronzo! Stronzo!" - ripete - "lui ha permesso ad altri di rovinargli la vita, si è trovato in mezzo a una strada, e ora non fa niente per tirarsene fuori". Carmelo, nato a Milano da una famiglia palermitana emigrata al Nord, tagliava partite di droga, prima di rovinarsi con la cocaina. Da mesi si sta lasciando andare del tutto. Passa giornate intere arrotolato in una coperta marrone su una panchina del primo binario. Mangia a intervalli regolari, ogni tanto si alza e piscia contro i vagoni. É indifferente a tutto, lui dice che si sente "invisibile". Il suo handicap non lo aiuta, a causa della poliomielite non riesce a muovere una gamba, zoppica. Carlo è seccato della fine dell’amico: "Meglio buttarsi sotto un treno che imbruttire in codesto modo. Ammazzarsi è meglio perché è una scelta, è segno che sulla nave c’è ancora un capitano. Se tu non fai che mangiare e dormire vuol dire che la nave è alla deriva, ma allora che ci stai a fare al mondo?"

La diatriba è interrotta dall’arrivo in stazione di Chiara. Chiara è una ragazza di Viterbo. Ha venticinque anni, ma parlandoci ne dimostra molti di meno. Occhiali rettangolari, un berretto a pompon bianco e blu, calze di lana verde pistacchio dentro un paio di anfibi neri allacciati con stringhe giallo fosforescente. Chiara è già mamma, a casa ha un bambino di un anno e mezzo, ci dice, strizzando gli occhi con insistenza. Glielo hanno tolto i servizi sociali. Il suo ex è un alcolista. Nelle pause del discorso arriccia le labbra all’insù e stringe un po’ gli occhi. Prende tempo. Ora l’ha pure lasciata, sta con la sua migliore amica. Ride, scuote le mani a mezz’aria. Chiara è una bambina. Chiara ama la discoteca, le piace ballare sul cubo il sabato sera, i suoi non lo sanno però. A Chiara piace anche fare l’amore, anche questo i suoi non lo sanno. Figlia di una numerosa famiglia, è la più piccola a casa. A quattordici anni è scappata la prima volta per andare in discoteca. A quindici un carabiniere ha abusato di lei. A diciannove alcuni ragazzi l’hanno portata in campagna e buttata sull’erba di un campo bagnato dalla notte, dove gli hanno rubato la verginità con le botte. Aspetta ancora il processo, li ha denunciati. Dopo averci raccontato tutto di lei, ci saluta, va a una festa da amici. La mattina dopo, ancora assonnato, la incontro di nuovo, in stazione. Non credo ai miei occhi. Ha la faccia fasciata, è appena stata dimessa dall’Ortopedia. Le hanno rotto il setto nasale, ieri sera. Alla festa ha litigato con una ragazza che va a letto con quello che lei pensava fosse il suo fidanzato. Qualcuno l’ha picchiata. Come se non bastasse ci confessa per la prima volta che è di nuovo incinta, lo dice mordendosi le labbra e scuotendo le spalle.

Tratta: un milione di persone vittime ogni anno nel mondo

 

Redattore Sociale, 17 ottobre 2005

 

La tratta è definita dal protocollo Onu di Palermo come il reclutamento e il trasferimento coercitivo di una persona a scopo di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, schiavitù, asservimento o prelievo di organi. Si apre con un intero capitolo dedicato alla definizione del fenomeno il rapporto del Gruppo di esperti dell’Unione Europea, consegnato oggi a Roma nella sua versione italiana a Franco Frattini, Commissario europeo per Giustizia, libertà e sicurezza. La distinzione tra tratta (trafficking), finalizzata alla riduzione in schiavitù, e traffico illegale di persone straniere (smuggling) è necessaria. A livello politico per favorire cooperazione giudiziaria e armonizzare regole e definizioni dei reati in ambito europeo. A livello operativo per garantire alle vittime la dovuta tutela dei diritti fondamentali. "La centralità dei diritti della persona è una priorità strategica - sostiene Elisabetta Rosi (componente del Gruppo di esperti) - per proteggere le vittime e scardinare le organizzazioni criminali". Che la repressione non sia sufficiente lo sottolinea anche Isabella Orfano (componente del Gruppo di esperti), secondo cui "la maggior parte degli Stati membri non dedicano abbastanza risorse all’assistenza delle vittime, negando di fatto i loro diritti". Il commissario Frattini propone una politica che vincoli all’impegno nel contrasto della tratta la concessione di aiuti ai Paesi di origine, garantisca assistenza alle vittime e prevenzione, lotti contro le organizzazioni criminali attraverso accordi tra le Polizie degli Stati membri e potenziamento di Europol. Grazie alla collaborazione tra polizia italiana e bulgara, sono stati arrestati nel 2005 57 cittadini italiani e bulgari, colpevoli di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani. Tra i trafficati molte ragazze costrette a prostituirsi, ma anche un bambino neonato venduto ad una coppia italiana per 10.000 euro e diversi uomini sfruttati nel lavoro dei campi. Le vittime della tratta non finiscono soltanto nell’industria del sesso, ma anche nei canali del lavoro coatto. Lavoro domestico, agricoltura, tessile, accattonaggio.

"Per questo i servizi e la legge si devono adeguare - sostiene Orfano - interpretando in senso esteso l’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione del 1998". Quell’articolo prevede infatti il rilascio di un permesso di soggiorno speciale per le vittime della tratta, indipendentemente dalla loro collaborazione con gli inquirenti. Il permesso permette l’emergere di situazioni clandestine e assicura un sostegno alle vittime e un loro possibile reinserimento, il permesso può essere convertito per motivi di lavoro o di studio, oltre che un rimpatrio volontario. Il modello italiano costituisce un riferimento in Europa e contiene in sé molte delle 132 raccomandazioni con cui si conclude il rapporto. All’Ue viene chiesto di garantire alle vittime un periodo di riflessione, la concessione di un permesso di soggiorno, assistenza sociale, protezione, inclusione sociale o possibilità di rimpatrio assistito. Contro i trafficanti: repressione attraverso una maggiore cooperazione giudiziaria in ambito europeo e la confisca dei proventi dei reati per assicurare un risarcimento alle vittime. Raccomandata anche più formazione per gli operatori, e maggiori controlli amministrativi. Per Livia Turco - madrina dell’articolo 18 - : "La legge c’è ed è buona, occorre però applicarla in modo pieno, partendo dal riconoscimento della dignità della persona e facendo sistema, per questo occorre un soggetto istituzionale che coordini ed integri i piccoli progetti territoriali". Tuttavia una più capillare e integrata applicazione della legge pare poco probabile a medio termine - come sottolinea Aurora Tesio, Assessora alle pari opportunità della Provincia di Torino - visti i recenti tagli al Fondo sociale e agli Enti locali.

 

 

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