Rassegna stampa 2 novembre

 

Giustizia: Manconi (Ds); nelle carceri è emergenza assoluta

 

Il Mattino, 2 novembre 2005

 

"La Cdl preferisce perseguire una amnistia occulta come sarà la ex Cirielli. Compito del centrosinistra, invece, è varare provvedimenti che siano di giustizia". Non si illude Luigi Manconi, responsabile nazionale Diritti civili per i Ds, sulla possibilità che l’attuale legislatura - come chiesto dai radicali di Marco Pannella - possa varare un provvedimento di amnistia e/o indulto. Non è tuttavia un tema che merita di essere inserito nel programma dell’Unione? "Già nel corso di questi anni i Ds hanno sostenuto non solo l’opportunità ma addirittura l’urgenza di una misura di clemenza. Ancor più so che questo sarà uno degli obiettivi di un eventuale governo di centrosinistra. In questa legislatura è stata la maggioranza di centrodestra a ostacolare questi provvedimenti. È passato solo l’indultino, un risultato avaro, avarissimo ottenuto superando le resistenze di An e Lega". Come è cambiata la situazione nelle carceri in questi anni? "Basti ricordare che nel corso di questa estate si è raggiunto il numero di 60mila detenuti a fronte di una capienza di 42mila; un tetto mai toccato nel corso dell’intera nostra storia repubblicana. Il tasso di carcerizzazione - il rapporto tra popolazione generale e carceraria - è uguale a quello dell’immediato secondo dopoguerra, quando in Italia le condizioni erano incomparabilmente diverse". Quali misure sono necessarie perché l’amnistia non sia ridotta solo a un intervento d’emergenza per svuotare le carceri? "Una misura di clemenza è solo la premessa, ma una premessa ineludibile, obbligatoria, non discrezionale. Se non si riduce prima l’affollamento nelle carceri, non si può immaginare alcuna strategia di riforma. Soltanto dopo si può depenalizzare e "decarcerizzare". Nel primo caso si devono declassificare alcuni reati penali, escludendoli dalla sanzione carceraria; nel secondo caso, vanno ipotizzate forme alternative alla detenzione. Questione difficile, questa, visto che a tutt’oggi sono quasi in 60mila - proprio come il numero dei detenuti - a godere delle misure alternative". Anche la giustizia deve fare i conti con la scarsità di risorse finanziarie. Ma a che cosa non si può veramente rinunciare nel settore delle carceri? "In teoria, ma solo in teoria, depenalizzazione e "decarcerizzazione" non costano. Ma ci sono senza dubbio enormi settori della detenzione che vanno finanziati perché hanno conosciuto tagli su tagli: la sanità e tutte le attività di istruzione, formazione, scolarizzazione, oltre a tutto quel segmento costituito da educatori, psicologi, assistenti sociali". La ex Cirielli. Dia un giudizio sintetico. "Una legge odiosamente classista perché afferma senza pudore il diritto dei ricchi e dei potenti contro i poveracci".

Giustizia: la legge "ex Cirielli" e i suoi effetti

di Dario Crestani (ex magistrato)

 

Giornale di Vicenza, 2 novembre 2005

 

Chiunque sia in possesso di cognizioni giuridiche anche sommarie, sa che una buona legislazione deve essere ispirata a principi di astrattezza e generalità. La legge deve cioè disporre non con riguardo a casi concreti e persone determinate, bensì per tutti i casi che si verificheranno durante il tempo in cui resterà in vigore e per la generalità dei cittadini, o perlomeno per una consistente categoria di essi (i liberi professionisti, i commercianti, gli artigiani, e così via).

Negli ultimi tempi questi basilari principi sono stati stravolti dalla attuale maggioranza governativa e parlamentare che ha invece introdotto la regola delle leggi "ad personam", principalmente dirette a risolvere le vicende giudiziarie di personaggi eccellenti riservando loro un trattamento di favore (si possono ricordare le leggi sul falso in bilancio, sulle rogatorie internazionali, sul legittimo sospetto, sulla sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato e altre), ma ultimamente utilizzate anche "contra personam", ad esempio per impedire ad un magistrato altamente meritevole ma non gradito "al Palazzo" di essere nominato Procuratore nazionale antimafia.

Con quest’ultima legge sembrava si fosse toccato il fondo, ma poiché al peggio non c’è mai fine, ecco che il Parlamento si accinge a votare la cosiddetta "legge ex Cirielli", sulla quale pare opportuno fare un po’ di storia perché i termini della vicenda sono forse poco conosciuti.

L’on. Cirielli è un parlamentare di Alleanza Nazionale che tempo fa presenta una proposta di legge diretta ad inasprire il trattamento giudiziario e penitenziario per i recidivi, e cioè per coloro che commettono un reato dopo aver già subìto precedenti condanne. La proposta è coerente con la linea del suo partito - ma anche dell’intera Casa delle Libertà - diretta a contrastare la criminalità con un inasprimento delle pene e con una riduzione dei cosiddetti benefici carcerari.

Senonché, in Commissione, ad insaputa del proponente e ad iniziativa di alcuni parlamentari, viene inserita un’aggiunta diretta a ridurre sensibilmente, in molti casi fino alla metà, i termini di prescrizione dei reati. In tal modo la finalità della legge viene stravolta perché, nata per combattere la criminalità, finisce invece per agevolarla. E qui è necessario spiegare perché.

Secondo il nostro Codice Penale, tutti i reati (ad eccezione del delitto di strage) hanno un termine di prescrizione, variabile a seconda della loro gravità: se entro questo termine non interviene una sentenza definitiva, che abbia cioè superato i tre gradi del giudizio, il reato si estingue, l’imputato è libero da ogni conseguenza, la persona offesa danneggiata dal reato non ottiene giustizia.

È una vera e propria sconfitta della Giustizia, che dovrebbe essere l’eccezione e riguardare pochi casi. Purtroppo il degrado cui è giunto il nostro sistema giudiziario, causato da leggi farraginose, scarsità di magistrati e soprattutto di personale di cancelleria, da incompleta informatizzazione, ed altro, con conseguente esasperante lentezza dei procedimenti, comporta che il numero dei reati che si prescrivono sia costantemente in crescita, e superi l’inquietante numero di 100.000 all’anno. Personalmente, ricordo la frustrazione che mi prendeva quando anni fa, giudice addetto al settore penale, vedevo prescriversi in Appello o in Cassazione, reati per i quali, magari dopo lunghi e dispendiosi dibattimenti, si era giunti in primo grado ad una giusta sentenza di condanna.

Per porre rimedio a questa situazione, le soluzioni sono due: o si allungano i termini della prescrizione (per esempio, prevedendo che il corso della prescrizione si interrompe una volta iniziato il processo, come avviene in altri ordinamenti), o si pone l’Amministrazione giudiziaria nelle condizione di definire i processi più sollecitamente dotandola di tutti i mezzi necessari.

Questo direbbe la logica, che però sembra non rientrare nei disegni della attuale maggioranza governativo-parlamentare la quale, scartate le due soluzioni, non trova di meglio che abbreviare ulteriormente i termini, già ristretti, della prescrizione.

Le conseguenze? Devastanti, come evidenziato dagli addetti ai lavori, i Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’Appello e, in particolare per la loro autorevolezza, il Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione: se attualmente la percentuale dei reati che si prescrivono si aggira sul 9-10%, con la ex Cirielli non sarà inferiore al 40%, e per alcuni reati, come la corruzione (i cui termini di prescrizione passano da 15 anni a 7 e mezzo) la percentuale raggiungerà l’80%. Omicidi colposi, truffe, usura, maltrattamenti in famiglia, spaccio di droga, ed altro, vedranno gli imputati liberi che se la ridono e le persone oneste, danneggiate, che perderanno ogni fiducia nella giustizia. "Con la previsione che salterà un processo su due si abbasserà il tasso di legalità e si accrescerà il clima di sfiducia dei cittadini nei confronti dell’amministrazione della giustizia" proclama il Presidente della Suprema Corte.

Il ministro Castelli afferma che secondo i suoi calcoli i numeri sono inferiori (senza però fornire dati precisi), riconoscendo comunque che certamente un alto numero di reati resterà impunito. Oltretutto, perché mai i Capi degli uffici giudiziari dovrebbero gonfiare le cifre? Sotto un profilo squisitamente egoistico i magistrati dovrebbero infatti fare buon viso alla legge che, spazzando via migliaia di processi, finirà per diminuire il loro lavoro.

E comunque non sono solo i magistrati a mettere in guardia sulle conseguenze disastrose della legge. Lo hanno fatto molti giuristi e, in particolare, gli avvocati penalisti che il 20 settembre scorso sono scesi in sciopero in segno di protesta e il cui presidente Ettore Randazzo, ha dichiarato: "La sconfortante e inquietante retromarcia di legalità del disegno di legge ex Cirielli è un ulteriore segnale di deriva delle garanzie fondamentali dei cittadini e sancisce l’imbarbarimento crescente e diffuso del sistema giudiziario".

Sulla stessa linea, proprio il proponente della legge nella sua versione originaria ha disconosciuto lo stravolgimento della "sua" legge, ha diffidato i colleghi della Casa delle libertà ad usare il suo nome (e per questo la legge è ora "ex Cirielli"), ha dichiarato che alla Camera voterà contro perché il taglio della prescrizione "con i tribunali così ingolfati significa di fatto far saltare centinaia di processi e far rimanere impuniti i relativi colpevoli" (intervista al Corriere della Sera del 28 luglio 2005).

Di fronte a queste autorevoli e allarmate levate di scudi, la giustificazione offerta dai vari Castelli, Schifani, dallo stesso Berlusconi, è che la legge obbligherà i magistrati a celebrare i processi più sollecitamente per evitare la prescrizione.

Se è consentito un paragone, è come se si pretendesse, con una legge, far correre un elefante con la stessa velocità di una gazzella. L’attuale sistema giudiziario è infatti elefantiaco per una serie molteplice di cause, cui si è già accennato, e se ogni giudice si trova ad avere in carico centinaia o addirittura migliaia di processi, non ha supporti di mezzi e di persone che gli agevolino il lavoro, è semplicemente velleitario pretendere una maggiore velocità dei processi senza incidere sulle vere cause della loro lentezza.

In ogni caso, la giustificazione offerta potrebbe valere per i reati futuri, perché la Polizia che conduce le indagini prima e il Magistrato che prende in carico il procedimento poi, sono in grado di sapere entro quale termine il processo dovrà terminare. Ma non ha invece alcun senso se la prescrizione è dimezzata anche per i processi già pendenti, che vengono semplicemente spazzati via perché con le nuove norme la prescrizione è già maturata.

La verità è che la legge ha un’unica giustificazione, rivelata efficacemente dal nome che le è stato subito attribuito, di "salva-Previti". Cesare Previti è, come si sa, un senatore di Forza Italia, già legale delle società del Premier, condannato in primo grado dal Tribunale di Milano a cinque anni di reclusione nel cosiddetto processo SME, e recentemente in secondo grado a sette anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Milano per la vicenda Imi-Sir, perché ritenuto colpevole di avere svolto una imponente e vergognosa opera di corruzione giudiziaria di alcuni giudici romani al fine di ottenere sentenze favorevoli a personaggi eccellenti.

Dopo aver sostenuto per anni che il tutto era frutto di una persecuzione infondata, i vertici di Forza Italia hanno dovuto convincersi che, in base alla documentazione acquisita nei processi (passaggi di miliardi da un conto bancario all’altro) difficilmente Previti potrà uscire indenne, e non potendo consentire che un politico così "meritevole" varchi le porte del carcere, hanno trovato la soluzione di fare una legge "ad hoc" in forza della quale i reati a lui ascritti, che dovrebbero prescriversi nel 2009, si prescrivono invece nel 2004.

Pertanto, se la legge dovesse essere approvata, le due condanne inflittegli, non essendo ancora definitive, verrebbero poste nel nulla, ma nello stesso tempo verrebbero dichiarati estinti migliaia di reati anche gravi commessi da migliaia di altri imputati. Uno scempio giuridico che lascia senza parole.

Rimane da chiedersi se è questa impunità generalizzata che gli elettori della attuale maggioranza hanno chiesto ai loro rappresentanti in Parlamento. Rimane da chiedersi se questa è "difesa della legalità", se questa è la "giustizia più giusta", se questa è l’Italia del "Buon governo", concetti sbandierati in campagna elettorale da Forza Italia e da An. Rimane da chiedere ai Parlamentari della Lega con quale coerenza potranno votare a favore di una legge che cancellerà l’80% dei reati di corruzione, quando l’on. Bossi ha tanto tuonato contro la corruzione con il famoso slogan "Roma ladrona". È una legge che, da qualsiasi parte la si esamini, appare al di là di ogni logica (al di fuori di quella di salvare a tutti i costi l’imputato Cesare Previti), e per la quale è difficile trovare commenti adeguati. Si può solo applicarle una frase attribuita al ministro francese Talleyrand: "C’est pire qu’un crime, c’est una bètise" (è peggio di un crimine, è una bestialità).

Giustizia: bimbi di neanche 3 anni in carcere con le madri

 

Il Gazzettino, 2 novembre 2005

 

Sono sessanta in tutta Italia, cinque dei quali in Veneto. Hanno meno di 3 anni. E vivono nell’ultimo dei luoghi dove si dovrebbe trovare un bambino: un carcere. Ci si trovano perché figli di una delle 56 madri che alla data del 31 dicembre 2004 risultavano detenute (più altre 24 in gravidanza). Ma sono lì, soprattutto, perché un Parlamento che trova il modo di votare in poche ore i provvedimenti che interessano a qualcuno dei suoi componenti, non è ancora riuscito a varare una legge che elimini questa vergogna. Così ci si arrangia come si può: con i 15 asili-nido funzionanti in Italia (uno dei quali, l’unico del Nordest, a Venezia, alla Giudecca). O semplicemente con la buona volontà dei singoli.

Quei bambini, da grandi, pagheranno di sicuro un prezzo pesantissimo pur non avendo nessuna colpa. Perché il loro problema non è limitato all’età: compiuti i 3 anni, se la mamma deve ancora finire di scontare la pena, vengono affidati a terzi, e da quel momento possono rivedere la madre una volta alla settimana, in parlatorio. Questa barbarie avrebbe dovuto finire da anni, per la precisione da una data oltretutto simbolica, l’8 marzo (festa della donna) 2001, giorno dell’entrata in vigore della legge Finocchiaro, che prevedeva una serie di misure alternative: divieto di carcere per donne incinte o mamme con bimbi sotto i 3 anni, differimento di pena per madri di bambini con meno di 1 anno, sostituzione del carcere con la detenzione domiciliare, e molto altro ancora.

Non se ne è fatto quasi niente, e neppure questa è una novità, da secoli per quanto riguarda l’Italia: vedi Dante, "le leggi ci sono, ma chi pone mano ad esse?". Quel "diritto alla tutela del rapporto tra bambini e genitori detenuti" solennemente enunciato nel provvedimento, è rimasto sul frontespizio, scontando una serie di pesanti difficoltà nella sua pratica applicazione. A cominciare dai paletti troppo rigidi che la legge stessa impone: dai suoi benefici sono infatti escluse le detenute in attesa di giudizio, o recidive, o responsabili di reati associativi, o prive di domicilio. E quest’ultimo aspetto, in particolare, taglia fuori le nomadi e le straniere, che pure rappresentano una quota consistente della popolazione carceraria femminile.

Il tentativo di rimuovere questi ostacoli migliorando la legge c’è: esiste agli atti della Camera una proposta, che peraltro ristagna tra centinaia di altre di ogni argomento e tipo, appunto perché non presenta interessi concreti da tutelare per troppi parlamentari, non trattandosi della loro rielezione o del loro aumento di stipendio. Delle modifiche proposte, la principale riguarda l’abolizione del vincolo del "concreto pericolo della commissione di delitti", che rappresenta uno degli ostacoli più consistenti: infatti, le detenute madri spesso provengono da ceti sociali molto poveri, o comunque legati a una situazione di microcriminalità che fa sì che molte donne, seppure giovani, abbiano già subìto più di una condanna penale. Altro correttivo importante è quello di eliminare gli ostacoli che impediscono la possibilità alle donne madri di espiare la pena o a casa (con gli arresti domiciliari) o comunque in un luogo alternativo al carcere.

I nodi centrali del problema tuttavia rimarrebbero comunque. Da qui la novità sostanziale contenuta nella proposta di legge, e che si riferisce all’ideazione e realizzazione di case-famiglia protette: tanto nel caso della custodia cautelare che in quello dell’espiazione della pena, non è ammissibile infatti lasciar crescere un bambino in una struttura come la prigione. Da qui l’idea di dar vita a un servizio diverso che, ferme restando le esigenze di sicurezza, tengano conto anche delle necessità dei piccoli, garantendone un sano sviluppo. Insomma, si punta a inserire tanto nell’ordinamento penitenziario che nel codice penale un modo alternativo di regolare il regime detentivo delle madri con figli.

Su un’impostazione del genere concorda uno che i problemi del settore li conosce bene, come Francesco Maisto, all’attivo dieci anni di magistrato di sorveglianza, e prima ancora pubblico ministero presso il Tribunale dei minori: "La componente fortemente custodialistica rappresentata dagli sbarramenti fissi, dagli sbarramenti personali, dev’essere tolta nella misura in cui è necessario toglierla per l’equilibrata crescita del bambino. Sostituendola con un Istituto a custodia attenuata, che dev’essere una struttura civile e non dev’essere un carcere".

Maisto, in ogni caso, invita anche a cercare di superare lo stretto concetto di misura carceraria, pur con tutte le attenuazioni possibili: "Quello di cui c’è bisogno, vista la varietà di situazioni esistenti, è di avere una gamma molto varia di misure alternative. Dobbiamo cioè inventarne quante più possibile, realizzando davvero il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena". Si tratta dunque di fare un passo in avanti "trattando le persone come uomini e non come cose". E Maisto cita l’esempio francese, dove "quando si ragiona sui genitori che hanno i bambini in carcere o fuori del carcere, non è soltanto il giudice di sorveglianza o quello di investigazione a decidere". Il suggerimento è di un’integrazione con i giudici del Tribunale dei minorenni, "perché credo che ci sia la necessità di contributi efficaci da parte degli specialisti della famiglia e dell’infanzia".

Sta di fatto che il problema rimane più che mai aperto, e che le misure esistenti sono palesemente inadeguate. E non è affatto una soddisfazione, per chi fin dall’inizio l’aveva previsto, constatare che quei timori si sono avverati. Fin da quel 2001 del varo della legge Finocchiaro, la direttrice del carcere veneziano della Giudecca, intervistata dalle detenute per "Ristretti orizzonti" (il periodico realizzato all’interno del carcere padovano Due Palazzi), aveva pronosticato senza mezzi termini: "Secondo me, non cambierà nulla o quasi". Ci sono stati addirittura casi di carceri con asili nido sovraffollati: 30 bambini a fronte di 12 posti. Col risultato che mamme e figli "di troppo" sono stati trasferiti in altri istituti.

Anche dove qualcuno ci ha provato, ha dovuto rapidamente arrendersi. Come a Milano, dove già nel 1999, prima quindi della stessa legge Finocchiaro, si era arrivati a un protocollo d’intesa tra Regione, Comune e Ministero di Giustizia per utilizzare un’ex scuola materna in cui realizzare per le mamme un ambiente vivibile, a custodia attenuata. Dopo la solita trafila di scambi di lettere, riunioni tecniche e quant’altro, tutto è piombato nel silenzio più totale. Salvo apprendere un giorno, dai quotidiani, che il progetto era stato unilateralmente accantonato dal Comune, perché "le materie carcerarie non sono di nostra competenza". Come dire, un’autocertificazione di incompetenza.

 

In Italia 15 "nidi"

 

Nelle carceri italiane, per la cura e l’assistenza dei bambini delle detenute madri, esistono 15 asili-nido, di cui uno in Veneto. Questo l’elenco: Piemonte: Torino Le Vallette e Vercelli. Lombardia: Milano San Gittore e Como. Veneto: Venezia Giudecca. Liguria: Genova Pontedecimo. Toscana: Firenze Sollicciano. Umbria: Perugia. Abruzzo: Teramo. Lazio: Roma Rebibbia. Campania: Avellino. Puglia: Bari, Lecce e Foggia. Calabria: Castrovillari. Sardegna: Sassari. Sicilia: Messina. I locali comprendono due stanze a un posto letto e culla, un cucinino, una sala giochi, i servizi igienici e i locali pulizie, un cortile esterno arredato con giochi e verde, e i locali di servizio per l’agente e per i colloqui.

Verona: istruttore sportivo in carcere scoperto con delle droghe

 

L’Arena di Verona, 2 novembre 2005

 

Una settimana fa il ministro della giustizia Roberto Castelli è intervenuto in diretta su Canale 5 per assicurare che avrebbe fatto controlli sul carcere di Montorio. In particolare avrebbe fatto indagare sulla morte per overdose di un ragazzo, Cristian Orlandi, 26 anni, detenuto per l’omicidio di un amico. La madre del giovane aveva infatti chiesto pubblicamente come fosse possibile morire di overdose in carcere.

E sabato in carcere è accaduto un altro episodio che ha lasciato di stucco. In mattinata era prevista la lezione teorica di un istruttore che va in carcere a insegnare pallavolo, sia nella sezione femminile che in quella maschile. E sabato, come di tanto in tanto accade, in giro per la casa circondariale c’erano gli agenti di polizia penitenziaria con i cani antidroga.

Non appena gli animali si sono avvicinati a B.T. sono impazziti e hanno iniziato a segnalare la presenza di droga. È scattato il controllo, prima addosso all’uomo, quindi all’interno della sua auto parcheggiata fuori. Ed è in auto che grazie all’aiuto del cane sono stati trovati una dose di cocaina, otto grammi di hashish e cinque sigarette "imbottite" di marijuana.

Si presume che l’uomo non abbia portato dentro droga. Dopo il controllo sono stati perquisiti anche i detenuti ed è scattata la perquisizione domiciliare, ma a casa dell’uomo che è sposato e ha due figli, non è stata trovata sostanza stupefacente. B.T. è stato soltanto denunciato a piede libero per detenzione di stupefacenti, ma è chiaro che non potrà più entrare in carcere da libero cittadino.

"Questa è la dimostrazione che i controlli li facciamo", dice il vice comandante della polizia penitenziaria Carlo Taurino, "purtroppo le unità cinofile sono interregionali. Magari fossero sempre a nostra disposizione. Per portare droga in carcere ci sono molti sistemi. C’è chi la nasconde nei passanti delle cinture, chi nell’ano, chi ingoia gli ovuli e poi li recupera, chi la mette sotto i francobolli delle lettere", conclude il vice comandante, "noi abbiamo a disposizione un metaldetector, che serve ad altro e la possibilità di fare perquisizioni personali, ma ridotte al minimo anche per la carenza di personale. Quando abbiamo sentito della denuncia della madre del detenuto siamo rimasti mortificati. Perché controlliamo e lavoriamo tanto".

Roma: patentino per minori in carcere, siglata un'intesa

 

Ansa, 2 novembre 2005

 

Il patentino per guidare il motorino arriva anche tra i minori in carcere. L’iniziativa nasce da un protocollo di intesa siglato stamani dal vice ministro ai Trasporti Mario Tassone, dal sottosegretario alla Giustizia Jole Santelli, e dal sottosegretario all’Istruzione Valentina Aprea. Testimonial tra i 50 giovani detenuti nell’istituto penale per minorenni di "Casal del marmo" a Roma è il pilota di Formula 1 Jarno Trulli, noto per la sua grande correttezza nella guida. Il progetto coinvolgerà circa 500 giovani detenuti nei 17 istituti penali minorili d’Italia e nelle 24 comunità ministeriali. Così come già avviene a scuola, i ragazzi potranno fare una serie di lezioni. In tutto 20 ore, di cui 8 dedicate "all’educazione alla cittadinanza responsabile" (vale a dire formare i giovani all’educazione civica e sensibilizzarli al rispetto delle regole di convivenza e delle leggi), mentre le altre 12 ore hanno come obiettivo il conseguimento del certificato di idoneità per la guida dei ciclomotori. I corsi all’educazione alla cittadinanza responsabile potranno essere seguiti da tutti i minori che lo richiederanno (le classi saranno formati da un minimo di 5 giovani fino ad un massimo di 15-20), mentre l’esame per il patentino potrà essere sostenuto solo da chi ha la cittadinanza italiana. Il costo dell’esame per il patentino sarà a carico del dipartimento della giustizia minorile che verserà 30 euro per il bollettino di ciascun esaminando. "Molti ragazzi a scuola hanno vissuto la vicenda del patentino con sofferenza; per voi, invece - ha fatto notare il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli rivolgendosi ai ragazzi nell’istituto - è una grande opportunità: potete imparare a vivere secondo le regole". Anche il vice ministro ai Trasporti Mario Tassone, ha sottolineato come, dopo l’istituzione della patente a punti e del patentino, bisogna rendersi conto che "non c’è un tema della sicurezza stradale ma questo si collega ad un tema più alto, della crescita culturale e della formazione. Allargando la possibilità di conseguire il patentino anche ai minori degli istituti di pena, aggiungiamo un elemento al rispetto delle regole da parte di tutti i cittadini. È un avvio - ha aggiunto - mi auguro che questa non sia solo una cerimonia ma che questo messaggio forte si concretizzi". Il sottosegretario all’Istruzione Valentina Aprea, rivolgendosi ai circa 50 ragazzi dell’istituto di Roma (di cui 44 stranieri e 7 italiani) li ha esortati a "sfruttare questa opportunità": "Stiamo facendo molto per migliorare l’educazione per i nostri giovani e per offrire loro maggiori opportunità affinchè conoscano le regole, sappiano rispettarle, e si sentano orgogliosi di rispettarle".

Volontariato: basta alla spirale di morte e violenze nelle carceri

 

Comunicato stampa, 2 novembre 2005

 

Sabato prossimo 5 novembre si terrà nei locali della Pescheria Nuova a Rovigo il convegno regionale "Carcere e società, tra giustizia e vendetta", organizzato dallo Sportello Giustizia dei Centri di Servizio per il Volontariato del Veneto, servizio gestito dal Centro Francescano di Ascolto in convenzione con il Centro di Servizio per il Volontariato di Rovigo. L’incontro, che inizierà alle ore 9.30, vedrà la presenza tra l’altro di Giuseppe Mosconi docente di sociologia del diritto all’Università di Padova, di Massimo Pavarini docente di diritto penitenziario all’Università di Bologna, di Giovanni Maria Pavarin magistrato di sorveglianza, oltre alle autorità locali (assessori, vescovo, direttore carcere, etc.) e regionali (provveditore carceri, direttore servizi sociali), il tutto coordinato da Livio Ferrari. "E’ un momento storico triste e drammatico - sottolinea Livio Ferrari - per i bollettini di morte che ogni giorno provengono dalle carceri: suicidi, atti di violenza e autolesionismo sono in crescita, come il sovraffollamento che non ha mai toccato queste cifre: 60.000 detenuti a fronte di una capienza di meno di 42.000 posti. Sono luoghi invivibili sia dal punto di vista umano e soprattutto igienico, dove la giustizia lascia il posto alla vendetta sociale". "I volontari - conclude Ferrari - chiedono un segnale che superi le inutili e sterili chiacchiere finora partorite da questo Governo e dal Parlamento; bisogna fare qualcosa di concreto per uomini e donne che sono sempre più abbandonati al loro destino, in un carcere che continua ad essere una pattumiera umana".

Iraq: 500 detenuti rilasciati da Abu Ghraib

 

Agi, 2 novembre 2005

 

L’Esercito americano ha disposto il rilascio di circa cinquecento detenuti iracheni dal famigerato penitenziario di Abu Ghraib, alla periferia ovest di Baghdad, teatro a suo tempo dello scandalo sulle sevizie inflitte da alcuni carcerieri a diversi prigionieri. Lo ha reso noto il ministro dell’Interno, che provveduto a inviare ad Abu Ghraib numerosi pullman per prelevare gli ex carcerati e farli trasportare nel centro della capitale, nella zona della Fiera Internazionale; qui sono state inasprite le misure di sicurezza in concomitanza con l’arrivo dei parenti dei rilasciati. All’inizio di ottobre gli Stati Uniti avevano già liberato un migliaio di detenuti per celebrare l’inizio del Ramadan, il mese consacrato dall’Islam al digiuno e alla preghiera.

Haiti: denunciate gravi violazioni diritti umani nelle carceri

 

Terre Libere, 2 novembre 2005

 

Sovraffollamento, condizioni igieniche pessime, mancanza di cibo, acqua ed elettricità, carcerazioni preventive prolungate, abusi sui detenuti. Questa è la situazione delle prigioni di Haiti come la descrive la "Rete nazionale per la difesa dei diritti dell’uomo" (Rnddh) in un rapporto diffuso ieri in occasione della Giornata internazionale dei prigionieri.

Sottolineando che, sui 21 centri di detenzione presenti nel paese, solo 17 sono attualmente funzionanti e ospitano in tutto 3.387 detenuti, l’organismo umanitario afferma che nessuno risponde ai criteri con cui dovrebbero essere gestiti i penitenziari in una società democratica.

Nelle prigioni haitiane mancano oggetti essenziali come sedie e letti, al punto che molti sono costretti a dormire per terra, e i servizi sanitari sono disastrati; a volte, sottolinea la Rnddh, trascorrono dai due ai tre giorni senza che un recluso riesca a lavarsi. I pasti, che dovrebbero essere forniti due volte al giorno, spesso sono razionati e di scarsa qualità.

Particolarmente allarmante è la situazione sul fronte giudiziario: sui 3.387 detenuti, solo 372 sono già stati condannati e in pratica l’89% è in attesa di giudizio. Grave è in molti casi il trattamento riservato ai reclusi: la Rete ha raccolto informazioni riguardanti agenti carcerari che puniscono i detenuti a bastonate. Per cercare di risolvere questa difficile situazione la Rnddh sollecita a ricostruire la prigione di Gonaives e ristrutturare le altre abbandonate, rivedere i meccanismi della carcerazione preventiva prolungata, realizzare una struttura medica che controlli la salute dei reclusi prima e dopo il carcere e garantire il rispetto effettivo dei diritti dei prigionieri.

Russia: 32mila sieropositivi e 50mila malati tubercolosi

 

Asca, 2 novembre 2005

 

Le prigioni russe ospitano circa 32mila detenuti positivi al virus dell’Hiv e circa 50mila malati di tubercolosi (Tb), su una popolazione totale di 808mila. Queste le cifre che il ministro della Giustizia, Yuri Chaika, ha presentato oggi, con un’azione senza precedenti, alla Duma (Camera bassa del parlamento), e alla stampa, sulla base di un’indagine condotta a settembre. Nel 2005 i detenuti sieropositivi sono aumentati di mille unità rispetto all’anno precedente, mentre i casi di tubercolosi sono diminuiti di 1.500, ha riferito il ministero. Ludmila Alpern, del Centro di Mosca per la riforma delle prigioni, ha dichiarato alla France Presse (Afp) che la diminuzione dei casi di tubercolosi è dovuta al miglior trattamento offerto ai detenuti e all’ampia diminuzione, nel 2003, della popolazione carceraria. Anche la vasta amnistia del 2000, ha aggiunto Alpern, è andata a beneficio dei malati di tubercolosi in fase avanzata. L’aumento dei casi di Hiv "non è causata da un’epidemia nelle prigioni, ma riflette l’andamento generale nel paese", ha continuato Alpern. Secondo il Centro Aids della Russia federale, in marzo, i malati di Aids erano 305mila, mentre, secondo il programma Unaids delle Nazioni Unite, sono molti di più, ossia 860mila.

 

 

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