Le carceri di Veneto, Friuli VG e Trentino devono all'Enel 5 milioni di euro

"Pagate subito o tagliamo la luce"

 

IL GAZZETTINO, 17 Novembre 2005

 

BELLUNO - Le carceri del Triveneto non pagano il canone luce? Staranno al buio. Ne più nè meno di quanto accade al privato moroso. A far sapere di essere pronto a spegnere gli interruttori è l'Enel, che si trova alle prese con un "buco" della bellezza di cinque milioni di euro.
La minaccia di tagliare i fili da parte dell'ente erogatore, è stata formulata attraverso una lettera che circolava ieri mattina in Procura. Quest'ultima - va precisato - in materia di detenzione si occupa solo degli aspetti legati alla regolarità e legalità. Insomma, niente a che vedere con l'ordinaria amministrazione. Ma quella di Belluno, come le altre consorelle trivenete, è stata egualmente messa al corrente della situazione insostenibile venutasi a creare col grosso debito accumulatosi con l'Enel.

A dare la comunicazione è stato il Provveditorato per il Veneto, Friuli e Trentino del ministero di Grazia e Giustizia, che in una nota parla di "preavviso di distacco dell'energia elettrica". Risulta che i fondi a disposizione hanno consentito solo di pagare i debiti del 2004 sugli interessi morosi. Resta inevasa la maxibolletta per la quale è stato fatto pervenire preavviso di blocco di erogazione. Che si tratti di un avviso teorico, destinato a non essere seguito da iniziative concrete, è intuibile. C'è di che immaginare l'effetto di un blocco dei servizi all'interno di prigioni sovraffollate. Pure l'Enel ha messo nero su bianco e i soldi da qualche parte dovranno in qualche modo venir fuori.

Del preavviso era al corrente Immacolata Mannarella, direttrice del carcere di Belluno, la quale non ha mostrato peraltro di esserne troppo allarmata. Aveva già fatto le dovute segnalazioni, non essendo stato possibile provvedere al pagamento entro i termini. "Si tratta del resto - ha spiegato - di una situazione non inconsueta, dovuta alle caratteristiche di gestione dei bilanci statali che non rispettano i tempi di pagamento delle fatturazioni. Lo Stato farà fronte, seppure con ritardo". Di nuovo, semmai, c'è che stavolta l'Enel si è fatto avanti con una procedura inusitata. Il debito verrà quindi onorato. Sì, ma quando? La direttrice del carcere di Belluno prevede tempi brevi: "Nel giro di qualche mese". In ogni caso al buio non si dovrebbe restare.
Bruno De Donà

 

"Era nell'orto anziché a casa"
Bompressi condannato per evasione

L'ex di Lotta continua sconta ai domiciliari la pena per l'omicidio
del commissario Calabresi. La corte d'Appello di Genova: 6 mesi di carcere

 

La Repubblica

 

GENOVA - Ovidio Bompressi, l'ex componente di Lotta continua agli arresti domiciliari per l'omicidio del commissario Calabresi, è stato condannato a sei mesi di reclusione per essere stato sorpreso durante un controllo nell'orto vicino casa, a Massa. Lo ha deciso la corte d' Appello di Genova. Il reato commesso è evazione.
La Corte ha accolto il ricorso della Procura generale verso la sentenza di assoluzione pronunziata in primo grado dal Tribunale di Massa.
Bompressi aveva ottenuto per ragioni di salute il differimento della pena di 19 anni, 9 mesi e otto giorni di reclusione in quanto il tribunale di sorveglianza di Genova ha ritenuto la detenzione in carcere incompatibile con il suo stato psicofisico. E' pertanto obbligato a restare nella sua abitazione di Massa.
Nell'agosto 1998, dopo essere stato scarcerato sempre per le sue precarie condizioni di salute, era stato trovato durante un controllo nell'orto vicino a casa.
Indagato per evasione, era stato successivamente assolto. Ora la nuova sentenza, stavolta di condanna.
"Sono molto seccato - ha detto stamani il difensore di Bompressi, Ezio Menzione - sopratutto in prospettiva della grazia. Non dico che questa condanna sia ostativa, ma una cosa così è fastidiosa. Oltretutto - ha concluso Menzione - Bompressi, che è sottoposto a tre controlli quotidiani, per 10 anni si è sempre comportato benissimo".

 

Domani un dibattito con il criminologo Carlo Alberto Romano
Pisogne, il mese dei diritti umani affronta il tema del dopo carcere

 

Brescia oggi

 

Il calendario del mese che Pisogne ha dedicato alla "Festa dei diritti umani" prevede per domani un dibattito sul problema della criminalità e del recupero degli ex carcerati. Relatore il criminologo Carlo Alberto Romano, membro dell'associazione "Carcere e territorio", il quale da anni sostiene la necessità di "curare" le situazioni problematiche dall'interno della società in cui si sono verificate.
"Il tema del reinserimento sociale del deviante è troppo spesso lasciato ai margini del dibattito; delegato al massimo agli addetti ai lavori o alle associazioni di volontariato - spiega Giovanni Andreoli, della biblioteca civica di Pisogne e curatore della serata -, mentre il problema dovrebbe coinvolgere ogni componente della società in cui il reato si è verificato, per non aggiungere ulteriore isolamento a situazioni già critiche".
L'incontro-dibattito, previsto alle 20,30 nella sala consiliare del Comune, fa seguito all'allestimento della mostra fotografica sulla tragedia di Hiroshima, inaugurata sabato e visitabile fino a domenica 11 dicembre nella chiesa del Romanino tutti i giorni escluso il lunedì, dalle 9,30 alle 11,30 e dalle 15 alle 17.
Dopo la serata dedicata alla criminalità, il calendario della seconda Festa dei diritti umani annovera un'altra mostra e la proiezione di un filmato dedicati rispettivamente a due etnie, la Karen (Birmania) e la Carina (Venezuela), impegnate per la salvaguardia delle rispettive peculiarità di popoli minoritari privati dei diritti.
L'otto dicembre, poi, nella piazza centrale di Pisogne ci sarà la grande Festa dei diritti umani, e per chiudere in bellezza, il giorno successivo la serata con la giornalista-scrittrice Cinzia Tani, che presenterà il suo romanzo "L'insonne".
La manifestazione di cui parliamo fa parte di uno degli ultimi eventi che l'assessorato alla Cultura e al Turismo di Pisogne ha predisposto per il 2005. Dopo di essa, per quest'anno ci sarà solo la messa di Natale nella miniera "Quattro ossi" di Pontasio, con gli immancabili auguri.
Domenico Benzoni

 

 

Padova: Il carcere azienda dove i detenuti diventano impiegati

di NINO MATERI - nostro inviato a Padova

 

Franco ogni mattina si sveglia, si fa la barba e va a lavorare nel laboratorio di pasticceria. Così, ogni giorno, dal 2004: l'anno in cui è stato assunto. A fine mese Franco riceve un regolare stipendio, anche se la cosa cui tiene di più non sono i soldi, ma la soddisfazione di realizzarsi professionalmente. Sembra la storia di uno di noi (noi che viviamo liberi in un mondo di uomini liberi) e invece è la giornata tipo di uno di loro (loro che vivono prigionieri in un mondo di uomini prigionieri). Franco è infatti uno dei detenuti del carcere Due Palazzi di Padova, dove - negli ultimi cinque anni - dall'avvento della legge Smuraglia sono state avviate nuove attività lavorative per i detenuti, trasformatisi giuridicamente in dipendenti del Consorzio di cooperative sociali Rebus.
La casa di reclusione Due Palazzi ospita un parco attrezzato, alcune botteghe artigianali, un laboratorio di cartotecnica, un polo di ristorazione e un call center. Insomma, se non fosse per le sbarre alle finestre, potrebbe sembrare un moderno centro commerciale. Le facce che incontri nei vari padiglioni non hanno infatti l'espressione rassegnata di chi deve fare i conti con la privazione della libertà, ma il volto entusiasta di persone a cui è stata offerta l'opportunità di ricominciare a credere in se stessi. Come nel caso di Franco: "Quando uscirò, con quello che ho imparato qui, spero di poter aprire una pasticceria tutta mia". "Abbiamo portato all'interno del carcere attività imprenditoriali e sociali - afferma Nicola Boscoletto,
il presidente del Consorzio Rebus che riunisce le cooperative che operano all'interno del carcere - perché noi non facciamo assistenzialismo, ma realizziamo prodotti che vanno direttamente sul mercato. Rilevanti le cifre: poco meno di 200 detenuti formati, assunti e avviati al lavoro; 60 attualmente in forza, là dove fino a cinque anni c'erano solo capannoni abbandonati. Un piccolo miracolo italiano dove istituzioni carcerarie, enti pubblici, aziende e privato sociale fanno ognuno la propria parte. Nessuno è protagonista: senza uno solo di questi attori questo miracolo non sarebbe possibile". "Il valore sociale dell'iniziativa è molteplice - aggiunge Boscoletto -: offrire un percorso di recupero per riappropriarsi di capacità fondamentali e, al tempo stesso, fornire un percorso di formazione che dia la possibilità di un concreto rientro nella società civile".
Una testimonianza per tutte: quella di Marino. "Sono in carcere dal 1994 e mi trovo in questa struttura dal 2000. Sono detenuto per alcuni reati tra i quali omicidio e rapina, e il mio fine pena è Mai, infatti sono condannato all'ergastolo. Sono tra i più anziani dipendenti del Consorzio Rebus. È il febbraio del 2002, e mentre mi sto avviando alla sala colloqui incrocio il direttore del carcere. Appena mi vede mi chiama da parte e mi chiede a bruciapelo se sono contento di partire. Partire è un verbo che qui, in carcere, non promette nulla di buono. In genere significa far su in fretta e furia i propri stracci ed essere trasferito di punto in bianco chissà dove, per chissà quale motivo.
Ed è sempre un trauma". Invece? "Il direttore mi fissa dritto negli occhi e mi rassicura: "Ma no, stia tranquillo: intendo dire se è contento di partire col lavoro. Da lunedì lei inizia ai capannoni"". Da allora la vita cambia: "Passa qualche giorno e sono convocato dal presidente del Consorzio che mi appoggia una mano sulla spalla e mi dice: "Non mi interessa quello che hai fatto fuori di qui, per me sei un dipendente, punto e basta. L'unica cosa che conta è che tu faccia bene il lavoro che ti viene affidato"". E lei? "Vi assicuro che questa frase, pronunciata in un ambiente duro come il carcere, ha avuto su di me uno straordinario potere disarmante. Per me è stata una vera e propria liberazione interiore, che mi ha aiutato anche ad accettare la mia pena in modo diverso, più consapevole". Marino fa il bilancio di questi primi quattro anni: "In tutto questo tempo mi sono sempre sentito un lavoratore normale: cosa del tutto naturale per un cittadino libero, ma assolutamente nuova e importante per un detenuto che, per quanto possa ostinarsi a sentirsi normale, sa benissimo di non essere più considerato tale dagli altri. Esco dalla cella alla mattina alle 8 per tornarci soltanto, quando faccio la giornata piena, alle 16,30. Il che di per sé già non è poco, perché una cosa è farsi la galera in maniera operativa e tutt'altra farsela in rassegnato letargo, passando il proprio tempo in cella, buttati sulla branda a guardare il soffitto. Inoltre sono assunto con il contratto nazionale delle cooperative sociali e percepisco quindi la stessa paga di un lavoratore libero".
E poi? "Mi sento parte di un progetto condiviso che ha per più immediato obiettivo la crescita aziendale, ma che ha anche un respiro più alto, trattandosi di un'iniziativa economica con una forte vocazione sociale". resta quel Mai scritto sul mio certificato di fine pena: "Chissà, magari un giorno...".

Sparisce detenuto in permesso, è "giallo"

L'uomo era atteso dalla madre a Mombaroccio, 

trovato un biglietto che farebbe pensare al suicidio

 

Giovedì 17 Novembre 2005

UNA lettera d'addio alla vita tra le pagine di una bibbia dei Testimoni di Geova abbandonata su una bitta del molo di Porto Verde. E' l'ultima traccia lasciata da un 44enne che da due giorni non dà più notizie di sé. Nonostante le apparenze, però, l'uomo - un detenuto in permesso-premio - potrebbe non essersi tolto la vita: carabinieri e vigili del fuoco hanno scandagliato - a partire da mercoledì sera, la lettera è stata notata da un passante poco dopo le 20, - le acque del canale senza trovare il cadavere. Quella che per i suoi familiari pesaresi che l'hanno aspettato invano è una speranza, per i carabinieri è un sospetto: sono state diramate le ricerche in tutta Italia e se dovesse riapparire vivo e vegeto da qualche parte sarà arrestato con l'accusa di evasione. Il 44enne lunedì scorso ha lasciato il carcere di Ferrara - dove si trova da tempo recluso - con la possibilità di trascorrere tre giorni di permesso a Mombaroccio per motivi familiari. L'uomo però non ha mai raggiunto la casa della madre come era invece previsto dalla "concessione" del Tribunale di Sorveglianza e si è fermato in Romagna. In una zona, tra Rimini e Misano, che lui conosce bene: per due settimane circa - dal 26 dicembre 2001 all'8 gennaio 2002 - è stato il "terrore" delle prostitute degli appartamenti in quell'area. Nel marzo scorso, in primo grado a Rimini, per la serie di violenti episodi fu condannato a 12 anni e 10 mesi di reclusione: rapina aggravata, usurpazione di titolo (si spacciava per poliziotto), sequestro di persona, lesioni personali gravi, tentata violenza sessuale. Un elenco che va ad aggiungersi a reati contro il patrimonio, coinvolgimento in vicende di armi e droga. La sfilza di precedenti portano gli investigatori a non escludere l'ipotesi della messinscena.

 

Processo in piazza: Ora e sempre no

Di Giancarlo De Cataldo

Il Messaggero, 17 novembre 2005

 

LA DECISIONE del presidente della Corte d'Appello di Torino di estromettere le telecamere dal giudizio d'appello per l'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi ha scatenato vibranti polemiche. La vicenda di Cogne ricorda singolarmente, soprattutto per le riflessioni che se ne possono trarre, un caso giudiziario che, qualche tempo fa, appassionò gli Stati Uniti d'America. Questi i fatti. Siamo a Redwood City, California, nella Contea di San Mateo, a pochi passi da San Francisco. Scott Peterson, un brillante professionista, è accusato di aver ucciso la moglie incinta di otto mesi. Sua eccellenza Delucchi, giudice del caso, vieta alle tv l'accesso all'aula di udienza. Gli esclusi, furenti e frustrati, si attendano all'esterno. Giorni, settimane di attesa in caccia di una notizia, di un'indiscrezione, di un pettegolezzo. Come ai vecchi tempi della cronaca nera. Quando la tv non c'era e i Buzzati e i Rava ricamavano prose preziose dalle tragedie individuali di vittime e di imputati. L'intenzione, sicuramente lodevole, del giudice Delucchi, è quella di preservare il rito processuale dall'invadenza dei media. L'effetto è paradossale. Scrive il New York Times : "Ci sono due processi in corso: uno è quello che procede quietamente in aula,... l'altro si svolge nei corridoi e nello spiazzo antistante il tribunale, dove gli "esperti" si affannano davanti alle telecamere, alle quali l'ingresso in aula è vietato". Lo spettacolo si connota d'isteria collettiva. Ex pubblici ministeri ed esperti di mestiere vomitano ore e ore di pareri su questo o quell'aspetto tecnico del "caso". C'è chi lamenta che l'espulsione delle telecamere impedisce alla gente di farsi un'opinione. E c'è il produttore del prestigioso network che si rammarica perché il caso è troppo complesso per poterne ricavare una buona fiction. Annota ancora il New York Times : "Se il processo è una parte necessaria della vita americana... allora i media hanno trovato il modo di trasformarlo in spettacolo. Nonostante gli sforzi del giudice, che ha bandito persino la gomma da masticare dall'aula, la fame dei media è insaziabile". Rammarico che forse cela una punta d'ipocrisia: si può vietare una ripresa televisiva, ma come bloccare l'attenzione che un caso crea nell'opinione pubblica? E perché, poi, bloccarla? Un caso s'impone sugli altri, sui tanti altri, quando contiene un elemento differenziale che colpisce il cuore della gente e ne scatena le emozioni più profonde. Può un uomo sopprimere freddamente la giovane moglie incinta? Può una madre uccidere il proprio figlioletto? Sono domande che tutti ci poniamo. Ed è lecito porsele. A patto di consentire che la giustizia faccia serenamente il suo corso. Ma è proprio questo il punto in discussione. A tutti dovrebbe essere chiaro che, fra il processo in aula e quello mediatico, l'unico che conta è il primo. E invece l'esasperata attenzione mediatica finisce, sovente di là dalle stesse intenzioni di chi vi è coinvolto, con l'alimentare una diversa percezione: che, cioè, la decisione che conta sarà presa "altrove". Magari in un salotto televisivo. Se impedire ai media di fare il proprio lavoro è impossibile, ed anche ingiusto, invocare moderazione e rispetto delle regole del gioco è doveroso. Così come non è accettabile che accusa e difesa che abbiano abilmente giostrato con stampa e televisione per creare un clima favorevole alla propria tesi poi si lamentino di eventuali esiti negativi.
Nel caso Peterson, ad esempio, tutti si dicevano certi dell'assoluzione dell'imputato. Quando infine la giuria condannò Peterson alla pena di morte, gli esperti ci fecero una figura meschina e l'accusa, sino ad allora costretta al silenzio, si prese una sonora rivincita.
Noi italiani, per fortuna, abbiamo ripudiato da tempo la pena capitale. Ma ciò non toglie che l'insegnamento del caso Peterson sia da tenere bene a mente: qualunque sia l'esito del processo di Torino, la decisione verrà presa da giudici e giurati con serenità e competenza al di fuori e al di là da ogni pressione e condizionamento "esterni". La vera giustizia è quella che non si lascia influenzare. Né dalla popolarità della decisione, né dalle opinioni, per quanto rispettabili, di qualunque esperto.

 

Iraq: Al Jazeera, NO USA a inchiesta internazionale su torture Sunniti
WASHINGTON FAVOREVOLE A INDAGINE INDIPENDENTE

 

Adnkronos/Dpa, 17 novembre 2005

 

Baghdad. Gli Stati Uniti hanno respinto la possibilita' di avviare un'inchiesta internazionale, ritenuta ''non necessaria'', per fare luce sulle torture subite da 173 prigionieri sunniti in un carcere di Baghdad, posto sotto l'autorita' del ministero dell'Interno iracheno. Lo riporta il canale satellitare 'Al Jazeera', precisando che Washington sarebbe faverole, piuttosto, a condurre un'indagine indipendente.

 

 

Carcere Sant'Anna, i sindacati: non siamo tranquilli

Lo slogan utilizzato dai manifestanti "i poliziotti penitenziari sono rock, l'amministrazione penitenziaria è lenta" è più che mai attuale

 

16 novembre 2005

 

BOLOGNA - I Sindacati di Polizia Penitenziaria non possono che apprezzare le espressioni di solidarietà del direttore della casa circondariale Sant'Anna in merito al disagio e alle difficoltà dei lavoratori che operano all'interno dell'istituto e che ieri hanno manifestato per l'ennesima volta.
Ma tale apprezzamento non può essere disgiunto da una riflessione rispetto alle affermazioni del direttore secondo il quale le aggressioni subite dagli agenti farebbero parte dei rischi del mestiere.
Certamente è elevato il numero di occasioni in cui si possono determinare situazioni critiche ed è proprio per questo che i sindacati da tempo formulano - purtroppo inascoltati - proposte per ridurre i rischi per l'incolumità personale che possono determinarsi sia tra detenuti che verso gli agenti.
L'amministrazione penitenziaria a livello centrale e il provveditorato regionale sono perfettamente a conoscenza della criticità della situazione di Modena che non vede esclusa da precise responsabilità la direzione della casa circondariale Sant'Anna.
La sicurezza all'interno dell'istituto può essere aumentata certamente incrementando il numero degli agenti preposti alla sicurezza, ma in attesa di un auspicato aumento di organici, è obbligatorio utilizzare al meglio le risorse disponibili.
Ad esempio, nei mesi scorsi è stata più volte denunciata la confusione nell'utilizzo del personale, ad esempio agenti uomini assegnati in numerosi casi alla vigilanza delle detenute, l'utilizzo delle agenti donne preposte alla vigilanza in mansioni amministrative, oppure l'eccessivo ricorso allo straordinario che non consente adeguato recupero psicofisico.
Queste situazioni favoriscono senz'altro rischi che potrebbero essere evitati e che a Modena si verificano nonostante gli sforzi profusi dalle OO.SS. che hanno invano cercato un dialogo con la direzione penitenziaria sino ad essere costretti ad interrompere le relazioni sindacali.
Ovviamente i massimi vertici del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e il Provveditorato Regionale sono stati portati a conoscenza della situazione all'interno di Sant'Anna.
Ma intanto la situazione rimane immutata al punto che lo stesso direttore ha confermato, in occasione della festa della polizia penitenziaria, una situazione critica.
Per questo lo slogan utilizzato dai manifestanti "i poliziotti penitenziari sono rock, l'amministrazione penitenziaria è lenta " è più che mai attuale.
In conclusione è opportuno sottolineare che lo svolgimento di un lavoro rischioso è un fatto, ridurre i rischi è un dovere.

Un modo per dare voce ai detenuti

Carceri, a Genova nasce 'Area di servizio': un giornale per dialogare con la società

ADNKRONOS, 16 novembre 2005

 

La pubblicazione, presentata oggi, si avvale del sostegno della Provincia, cercando interlocutori nelle istituzioni, negli enti, nelle associazioni, nelle imprese per la formazione e il lavoro
Genova, 16 nov. - (Adnkronos) - Dare voce ai detenuti, agli operatori e alle organizzazioni impegnate in campo penale per far dialogare il pianeta carcere con le istituzioni e la societa'. E' l'obiettivo di ''Area di servizio'', il giornale concepito all'interno del carcere per svilupparsi all'esterno, con il sostegno della Provincia, cercando interlocutori nelle istituzioni, negli enti, nelle associazioni, nelle categorie imprenditoriali della formazione e del lavoro.
E' stato provveditore regionale dell'Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Salamone, a presentare oggi il numero zero del giornale con il presidente della Provincia Alessandro Repetto, la presidente della commissione speciale carceri del Consiglio Provinciale Milo' Bertolotto, i direttori delle case circondariali di Marassi Salvatore Mazzeo, di Pontedecimo Giuseppe Comparone, il responsabile del servizio penale che gestisce le misure alternative Bianca Berio e l'ideatore del progetto, il criminologo Enzo Paradiso.

Scientology: bombarda di e-mail i carcerati

 

ANSA, 16 novembre 2005

 

LONDRA. Allarme nelle carceri della Gran Bretagna: Scientology sta tempestando i prigionieri del Regno Unito con opuscoli. Nei libretti si pubblicizzano due programmi di riabilitazione dal crimine e dalla droga creati dalla setta, Narconon e Criminon. Secondo le autorita', tali programmi non hanno alcuna validita' scientifica e rischiano di danneggiare i detenuti. Le autorita' del carcere non possono fare nulla per bloccare il flusso di lettere e email. PA (Riproduzione Riservata)

 


Carceri: indagini su morte detenuta a Empoli
Giovane trovata morta stava per essere trasferita in comunità

 

ANSA, 17 novembre 2005

 

EMPOLI - Avrebbe potuto lasciare presto il carcere, grazie ad una commutazione della pena residua in una misura alternativa, la detenuta trovata morta ieri mattina nella sua cella della casa circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli. Sulla vicenda sta indagando la polizia penitenziaria, coordinata dal pm Luciana Singlitico.
Grazia, 34 anni, fiorentina, era nel carcere empolese da un mese e mezzo e avrebbe dovuto scontare una pena detentiva di pochi mesi in seguito a una condanna per piccole rapine e spaccio di droga.
''Proprio domani però - ha rivelato la direttrice della casa circondariale, Margherita Michelini - avrebbe dovuto tenersi un incontro per esaminare la possibilità di farle lasciare il carcere per una comunità di recupero''.
La donna e' stata trovata dalla guardia di sorveglianza ieri mattina alle 8, ora della sveglia, immobile nel suo letto, sotto le coperte, apparentemente senza tracce di violenza. Le cause della morte dovrebbero comunque essere chiarite dall' autopsia.
Grazia, che lascia una bambina di quattro anni, era riuscita a instaurare un buon legame con le altre tredici detenute, le quali hanno deciso di acquistare tutte insieme un cuscino di fiori per i suoi funerali.

 

 

Carceri: Veltroni, inaccettabile Canaro fuori e Sofri dentro


ANSA, 15 novembre 2005

ROMA. ''E' inaccettabile che il Canaro sia fuori dal carcere e Sofri sia dentro''. Lo ha detto il sindaco di Roma Walter Veltroni intervenendo alla presentazione de ''La piccola tenda d'azzurro'', il libro di Arrigo Cavallina che affronta i temi degli Anni di Piombo e della condizione carceraria.
''Il Canaro - ha tuttavia osservato Veltroni - ha seguito un suo percorso che vede lo Stato come un qualcosa che non conosce vendetta e deve anzi cercare sempre piu' di favorire il
reinserimento, oltre il carcere''.
Per il sindaco di Roma, ''la carcerazione cosi' com'e' ora non puo' essere accettata: la condizione in carcere e' migliorata, ma e' ancora del tutto inaccettabile, con un sovraffollamento particolarmente pesante''.