Rassegna stampa 1 marzo

 

Bergamo: nomade di 23 anni si toglie la vita in carcere

 

L’Eco di Bergamo, 1 marzo 2005

 

Lo hanno trovato impiccato alla doccia, lo scorso 25 febbraio, gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di via Gleno: si è tolto la vita così K. C., un ragazzo nomade di 23 anni, detenuto nella casa circondariale di Bergamo per piccoli reati. Doveva ancora scontare circa un anno di reclusione. La tristissima scoperta è stata fatta dalle guardie carcerarie intorno alle dieci. Era in corso l’ora d’aria quando il giovane è andato nei bagni della sezione dove era detenuto. Aveva portato con sé anche un lenzuolo, e lo ha usato per compiere il tragico gesto.

Finora non è stato appurato cosa abbia spinto il ventitreenne a togliersi la vita: non è noto neppure se avesse manifestato, in tempi recenti, segni di disagio psicologico o di depressione. Secondo le pochissime informazioni che abbiamo avuto, non aveva una lunga condanna da scontare.

Gli agenti di polizia penitenziaria, che lo hanno trovato nei bagni della sezione, hanno subito dato l’allarme, ma per il giovane non c’era più nulla da fare. Anche il direttore del carcere, Antonino Porcino, è stato immediatamente informato dell’accaduto. Sul posto è intervenuta la polizia scientifica, che ha effettuato tutti i rilievi del caso nei bagni del carcere. Per un sopralluogo, in via Gleno è arrivata anche il sostituto procuratore Maria Cristina Rota. Il corpo senza vita del giovane detenuto è stato trasportato dal carcere all’obitorio del cimitero di Bergamo, a disposizione della magistratura.

 

Suicida in carcere, oggi autopsia

 

Sarà effettuata questa mattina l’autopsia sul cadavere di K. C., il giovane nomade che si è tolto la vita nel carcere di via Gleno - dov’era detenuto per reati contro il patrimonio - impiccandosi nelle docce con un lenzuolo. L’esame, che sarà eseguito da un medico dell’Istituto di medicina legale di Pavia, è stato disposto dal pubblico ministero Maria Cristina Rota al fine di escludere ipotesi diverse rispetto a quello del suicidio. I familiari, che si sono affidati all’avvocato Pasquale Crea di Treviso, non riescono infatti a dare una spiegazione al gesto del giovane.

Cagliari: pestaggio a Buoncammino, assolti tre agenti penitenziari

 

L’Unione Sarda, 1 marzo 2005

 

Finiti sotto processo con l’accusa di aver picchiato un detenuto, tre agenti della polizia penitenziaria di Buoncammino sono stati assolti perché il fatto non sussiste dal giudice monocratico Giampaolo Casula. Bruno Demontis, trentottenne di Neoneli, Franco Brundu, 47 anni di Barisardo, e Giuseppe Ledda, 39 anni, di Sant’Antioco, escono puliti da una vicenda giudiziaria cominciata nel 1998 dopo un pestaggio tra due ospiti della casa circondariale.

Una lite nella quale, loro malgrado, rimasero coinvolti anche i tre agenti. La mattina del 25 settembre di quell’anno il detenuto Aldo Vacca ha un appuntamento col suo avvocato difensore. Mentre si dirige verso la sala colloqui incontra Angelo Manunza, un altro detenuto col quale in precedenza aveva avuto un diverbio. Comincia un’altra discussione che degenera velocemente in lite violenta al termine della quale Manunza si ritrova col setto nasale rotto. Vacca viene rispedito subito in cella in attesa di provvedimenti disciplinari: niente colloquio con l’avvocato. È da questo momento che cominciano i guai giudiziari per gli agenti.

Vacca accusa otto agenti di averlo atteso dietro i cancelli e, su ordine dell’ispettore Demontis, di averlo ripetutamente preso a schiaffi. Quattro giorni dopo, mentre si fa la doccia, Vacca sviene: la sua tesi è che l’acqua calda, entrandogli nelle orecchie, gli abbia provocato un malessere perché il timpano è stato rotto dagli schiaffi degli agenti. Parte la denuncia e la conseguente indagine. I tre agenti vengono rinviati a giudizio e accusati di lesioni gravi.

Il pm nella requisitoria chiede una condanna a 2 mesi di reclusione per ciascun imputato. La difesa, rappresentata dagli avvocati Bernardo Aste, Luigi Pau e Pasqualino Moi, riesce invece a far assolvere tutti puntando sulle "contraddizioni di Aldo Vacca", hanno detto i legali, "che prima dice di essere stato picchiato per 10 minuti e poi invece di essere scappato subito. Inoltre la lesione potrebbe derivare dalla lite avuta con Manunza. Con tutta probabilità, comunque, potrebbe trattarsi di autolesionismo: una cosa frequente nei casi in cui il detenuto non ottiene cioè che vuole. Vacca voleva bilanciare la sicura sanzione per aver picchiato un altro detenuto: rischiava di non poter accedere ad alcuni vantaggi della buona condotta".

Varese: se vogliono, i giudici danno pene esemplari…

 

L’Avanti, 1 marzo 2005

 

Il Guardasigilli Castelli: "è stato finalmente dimostrato che le leggi fatte dal Parlamento sono adeguate e consentono di punire in modo efficace chi si è macchiato di delitti efferati. I codici, infatti, danno ai magistrati ampia libertà di scelta per decidere caso per caso".

"Come si vede le leggi consentono pene esemplari". Non ha dubbi il Guardasigilli Castelli dopo la condanna a 30 e a 16 anni di carcere a due degli imputati per i delitti commessi dalle Bestie di Satana. "La sentenza - ha detto il ministro - ha dimostrato che le leggi fatte dal Parlamento sono adeguate e consentono ai magistrati di punire in modo esemplare chi si è macchiato di delitti efferati. I codici, infatti, danno ai giudici ampia libertà di scelta e consentono loro di comminare caso per caso le condanne ritenute più opportune.

Sono lieto del fatto che, pur nel loro dolore e nella consapevolezza che nessuno potrà mai restituire i loro cari, i familiari delle vittime si siano dichiarati soddisfatti del corso della giustizia". Le pene inflitte ad Andrea Volpe e Pietro Guerrieri sono state superiori a quelle chieste dall’accusa. In un primo momento, infatti, il pubblico ministero aveva chiesto vent’anni per il pentito Andrea Volpe, poco più di 16 e mezzo per Pietro Guerrieri e 2 per Mario Maccione, quest’ultimo invece assolto.

Un vero colpo di scena quando, dopo circa tre ore e mezzo di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Busto Arsizio ha pronunciato la sentenza. Le richieste di pena avanzate dal pm avevano inizialmente lasciato sbigottiti e fortemente insoddisfatti, ma anche rassegnati di fronte ai meccanismi della legge, i genitori dei ragazzi uccisi. Elena Tollis, la madre di Fabio, era infatti scoppiata in lacrime ed è sbottata: "Meritano l’ergastolo. Per come hanno conciato mio figlio è poco.

Nel mio cuore non c’é spazio per il perdono: è come se Fabio oggi fosse morto un’altra volta". Il marito, Michele, è intervenuto: "Bisogna chiedere ai cittadini cosa ne pensano. Per me è stata una richiesta troppo scarna e avrei gradito qualche anno in più. Il mio dolore è incolmabile". Michele Tollis ha però riconosciuto il ruolo di Volpe nelle indagini: ci ha portato nel posto dove sono stati uccisi Fabio e Chiara.

Tuttavia non mi meraviglierei che, prima o poi, saltasse fuori qualche altra persona legata al gruppo". L’avvenuto inasprimento delle condanne per Andrea Volpe, personaggio chiave della setta delle Bestie di Satana, ha invece tranquillizzato i parenti delle vittime anche se la rabbia e la sofferenza per l’orrore subito non si cancelleranno mai. Michele Tollis e sua moglie dopo aver ascoltato le sentenze hanno detto di essere "soddisfatti ma non contenti, perché Fabio non ce lo ridarà indietro più nessuno".

"Abbiamo ottenuto giustizia per Chiara - ha commentato Lina Marino, madre di Chiara -. Se mi avessero creduto sette anni fa Mariangela non sarebbe stata uccisa". Anche Silvio Pezzotta, padre di Mariangela, dopo la lettura delle sentenze ha detto: "La giustizia ha trionfato".

Bergamo: guardie carcerarie, la Cisl contro i trasferimenti

 

L’Eco di Bergamo, 1 marzo 2005

 

"Il coordinamento nazionale Fps-Cisl penitenziario sostiene che sia giunta l’ora di fare chiarezza sulla responsabilità di una gestione del personale penitenziario pronta, più che al sostegno dei suoi dipendenti, a perseguirli negativamente appena ne abbiano l’occasione. Per i fatti di Bergamo la Cisl chiede al ministro della Giustizia Roberto Castelli di intervenire".

Questo l’appello del sindacato, dopo la decisione dell’amministrazione penitenziaria di trasferire in Sardegna due agenti che si trovavano in servizio, nella casa circondariale di via Gleno, la notte del 15 ottobre, quando i due detenuti "eccellenti" Max Leitner ed Emanuele Radosta riuscirono ad evadere, con la complicità di un secondino che poi confessò tutte la sue responsabilità alla magistratura.

"Tutto l’accaduto fu subito chiaro - scrive il coordinatore della Cisl-Fps, Mauro Mammucari - anche perché un appartenente alla polizia penitenziaria confessò la sua complicità e diretta collaborazione nella fuga dei reclusi". Nel mirino del sindacato c’è dunque la decisione dell’amministrazione penitenziaria, che ha preso provvedimenti di trasferimento in Sardegna, definiti "punitivi" nei confronti di due agenti che quella notte si trovavano in servizio. Da qui l’appello al ministro Castelli, affinché si interessi direttamente del caso.

Padova: studenti a scuola di carcere, il prof è un detenuto...

 

Diario, 1 marzo 2005

 

Si aspettavano "sbarre con brutti ceffi dietro, maltrattati e nutriti a pane e acqua". O esemplari "audaci alla Clint Eastwood, che progettano incredibili fughe". Immaginavano "una massa confusa che vive nella sporcizia" o, al contrario, l’hotel a cinque stelle dell’infelice battuta del ministro Castelli. Invece 250 studenti nella casa di reclusione Due Palazzi, a Padova (700 detenuti, tanti con pene lunghe), hanno incontrato persone disposte a confrontarsi da "esperti" sul reato, la colpa e la vita da prigionieri.

È unica in Italia, l’iniziativa "A scuola di libertà", promossa dal Comune di Padova e dalle associazioni Il Granello di Senape e Tangram. Un progetto di prevenzione della devianza che ha coinvolto quarte e quinte di undici istituti superiori: prima, tre detenuti in permesso hanno parlato a scuola, poi 250 ragazzi hanno sperimentato il tempo immobile della galera, durante tre mattinate nell’auditorium del Due Palazzi. Protagonisti, i detenuti della rivista Ristretti Orizzonti, che per Pasqua dedicheranno un numero alle riflessioni degli studenti (www.ristretti.it).

"È importante smontare gli stereotipi", dice Antonio Bincoletto, insegnante di lettere in un liceo socio pedagogico, "visto che molti di loro lavoreranno nel disagio sociale". Lo scopo non è giustificare ("Il carcere è punizione, dev’essere duro", scrive Laura C., 18 anni, altri dicono no agli sconti di pena), "ma avere un approccio al problema più articolato".

Per sciogliere la tensione, i detenuti hanno aperto l’incontro suonando brani di Ligabue e Dylan. Quindi gli studenti li hanno interrogati: "Come vivi con il peso della colpa?". "Come sarà la tua vita fuori?", "È vero che chi ha ucciso non cerca sconti?". Stefano non nasconde il suo passato: "Ero un ladro d’auto e un drogato.

Però mi dispiaceva per l’operaio che si era comprato la macchina a rate e non la trovava più. Non so dirvi quando sono cambiato: il cambiamento è una lunga strada, che per molti comincia proprio in carcere". Graziano racconta la paura del futuro: "Dopo tanti anni di costrizione emotiva, mi chiederò se sarò ancora capace di rapportarmi agli altri, di innamorarmi". Marino parla di sua figlia: "Aveva tre anni quando sono stato arrestato. Adesso ne ha 13. Non so nemmeno cosa le piace mangiare". Gli studenti ascoltano. Vorrebbero conoscere tutti i reati di queste persone, ma è stato detto loro di non chiedere. Anche perché il carcere suscita sentimenti contraddittori, come mostra il sondaggio del liceo Duca d’Aosta tra giovani e adulti a Padova. Risultato? Si è disposti a fare amicizia con un ex detenuto, ma non a offrirgli un lavoro. Lo si considera una persona normale, ma si preferisce che il carcere stia fuori città. E un quarto degli intervistati rimpiange la pena di morte.

Padova: anche un detenuto tra gli studenti "autogestiti"

 

Il Gazzettino, 1 marzo 2005

 

Dal carcere alla cattedra. Un giovane detenuto della casa di pena Due Palazzi, condannato per omicidio, gode di un permesso per lavorare fuori dalle sbarre. E proprio sfruttando questo tempo "libero" è stato accolto dagli studenti del liceo scientifico Cornaro, durante i quattro giorni autogestiti, e ha parlato della sua esperienza.

"Siamo stati veramente molto, ma molto soddisfatti. All’incontro, davvero interessante, hanno partecipato moltissimi ragazzi - commenta Guido Cibola del comitato organizzatore l’autogestione - Siamo contenti di essere riusciti ad approfondire un tema che nel normale svolgimento delle lezioni non avremmo mai potuto affrontare".

Dei delitti e delle pene, dunque, ma in primo piano sono saliti anche la riforma Moratti con l’intervento di insegnanti e sindacalisti, l’omosessualità con la partecipazione dell’ArciGay, i bambini soldato con la comunità di Sant’Egidio, l’immigrazione e il bronx di via Anelli con l’associazione Razzismo Stop, la natura & l’inquinamento con Legambiente.

Quindi i ragazzi hanno parlato di Palestina, Chiapas, Africa, Argentina tra realtà e speranza, con il contributo di alcune associazioni in prima linea. "Abbiamo voluto rivalutare l’autogestione come momento di maturazione, colmare i silenzi su argomenti che la scuola trascura. Alla riforma Moratti, che taglia i finanziamenti all’istruzione e limita gli spazi di confronto, noi proponiamo - sottolinea Cibola - una nostra alternativa: spazi aperti, liberi, dedicati al dibattito e all’approfondimento".

Tra una conferenza e l’altra, i ragazzi del Cornaro hanno pure ribadito il no all’affissione dei cartelloni pubblicitari nelle palestre. Ma la loro è solo una delle tante voci "autogestite" che si levano in questo periodo dalle aule scolastiche: dal Nievo al Curiel al Marchesi-Fusinato, dal Duca D’Aosta allo Scalcerle. Sul tavolo della discussione i rapporti tra cristianesimo e Islam, i campi di concentramento, la finanziaria anche se è sempre lei, la riforma più discussa e analizzata della storia della scuola, ad aver tenuto banco un po’ dappertutto.

Ciampi: la durata eccessiva dei processi è il nemico mortale

 

Ansa, 1 marzo 2005

 

Lottare contro "quello che è il nemico mortale della giustizia: la durata eccessiva dei processi, che spinge i procedimenti, sia civili sia penali, a ridosso del limite al di là del quale comincia il dominio della non giustizia". È questa l’esortazione che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lancia nel discorso rivolto ai nuovi uditori giudiziari, ricevuti al Quirinale assieme al ministro della Giustizia Roberto Castelli e al vicepresidente del Csm Virginio Rognoni.

Sottolinea infatti Ciampi: "Una giustizia che non arriva, o che non arriva in tempi ragionevoli, è una giustizia negata, con grave lesione dei diritti fondamentali dei cittadini e dei fondamenti stessi della democrazia".

Riprendendo, in proposito, quanto denunciato dal procuratore generale della Corte di Cassazione all’apertura dell’anno giudiziario, il capo dello Stato esprime l’auspicio che "le linee di mutamento che egli ha indicato possano realizzarsi in un prossimo futuro". Ciampi si riferisce, in particolare, "alla necessità di rivedere e ripensare alcune procedure e all’accelerazione di programmi intesi a rendere più efficiente l’organizzazione giudiziaria, anche mediante l’impiego diffuso e razionale dello strumento informatico. Alcuni segnali positivi - dà atto il presidente della Repubblica - vengono dalle recenti esperienze sul processo telematico, che mi auguro possa avere in tempi brevi uno sviluppo sempre più ampio".

Latina: garante regionale dei detenuti Marroni visiterà il carcere

 

Comunicato Stampa, 1 marzo 2005

 

Ascoltare le esigenze dei detenuti e degli operatori, ivi compresi gli agenti della polizia penitenziaria, per stabilire quali sono le priorità ed i problemi più urgenti da affrontare e risolvere. Sono questi gli obiettivi della visita che il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni svolgerà domani, a partire dalle 10.30, presso il Carcere di Latina.

La visita di domani rientra nel giro conoscitivo che il Garante sta compiendo il questi giorni in tutti gli istituti di reclusione del Lazio al fine di tracciare una mappa delle urgenze e delle necessità da affrontare nei prossimi mesi di lavoro.

Vicenza: al S. Pio X presto attivato uno sportello antidroga

 

Giornale di Vicenza, 1 marzo 2005

 

Uno sportello sui temi della dipendenza all’interno del carcere di S. Pio X. Tra qualche giorno sarà una realtà voluta dalla direzione della casa circondariale di via Della Scola e dalla Comunità terapeutica S. Gaetano, che da anni si occupa del recupero di tossicodipendenti.

Non solo, sarà il primo caso in Italia. " Di fatto i nostri operatori già lavorano all’interno del carcere, ma avere una stanza, un luogo fisso dove i detenuti possano trovare risposte a problemi rilevanti, ci sembra importante". A parlare è il presidente della comunità, Cesare Aldighieri. "Lavoreremo d’intesa con il Dipartimento per le dipendenze dell’Ulss 6 e questo per estendere il lavoro che medici e infermieri stanno portando avanti da anni".

A tutt’oggi all’interno del carcere di Vicenza ci sono oltre 250 persone: il 40 per cento è rappresentato da cittadini extracomunitari e tra loro la maggior parte ha problemi legati all’uso di droga. "Ci sono questioni che le nostre leggi non ci permettono di affrontare come vorremmo - spiega il direttore della Comunità S. Gaetano, Michele Resina - di fatto per poter accedere alle comunità di recupero bisogna avere una residenza, e spesso gli stranieri che arrivano a Vicenza ne sono sprovvisti. Senza contare che molti sono in attesa di un’altra destinazione dove scontare la pena, per cui iniziare con programmi precisi diventa difficoltoso. Ciò non toglie che ci siano anche altre situazioni le gate all’alcolismo o ad altre dipendenze che devono essere affrontate e sviscerate e cominciare a farlo all’interno del carcere è un passo sicuramente importante".

All’inizio lo sportello verrà aperto due volte la settimana e ai detenuti sarà sufficiente fare richiesta per poter parlare con uno dei due operatori che si daranno il cambio. L’esperimento durerà un paio d’anni e poi, sulla base dell’andamento, della rispondenza, dell’accoglienza e dell’utilità dei servizio, si deciderà se proseguire oppure no.

A S. Pio X di fatto non c’è ancora un direttore, in questi ultimi mesi è arrivata la dott. Irene Iannucci che si divide tra casa circondariale cittadina e quella di Trieste. "Sono qui per tre giorni la settimana - conferma - e ho trovato una realtà molto ricca di proposte e iniziative che arrivano dall’esterno e questo non può che farci piacere. Quanto più la società civile si avvicina alla realtà carceraria, tanto più quest’ultima avrà maggiori possibilità di recupero e l’idea dello sportello per le dipendenze credo rientri in quest’ottica, capace cioè di dare risposte concrete a fronte di problemi che sappiamo tutti che esistono e che non sempre vengono affrontati con la giusta determinazione".

Un segnale incoraggiante: l’accordo tra la direzione e la comunità S. Gaetano verrà infatti siglato domani proprio all’interno del carcere. "Di fatto i nostri operatori lavorano da tempo con la realtà carceraria cittadina - puntualizza il presidente della S. Gaetano - diciamo che ci è stata chiesta una collaborazione più strutturata e continua. Lo sportello deve diventare un punto di riferimento per chi crede di avere problemi legati alla droga oppure all’alcool. Se i detenuti sono seguiti sotto il profilo strettamente sanitario, noi lavoreremo a stretto contatto con i medici dell’Ulss fornendo però anche tutte quelle informazioni che possono essere utili in vista di un recupero anche fuori dalle sbarre e in una realtà diversa".

"Stranieri e tossici, un binomio sicuramente esplosivo - dice Massimo Cassan, responsabile dell’accoglienza operativa in carcere - perché queste persone, oltre ad avere condanne da scontare, non possono nemmeno usufruire di una rete di servizi che i vari dipartimenti mettono a disposizione. La maggior parte di loro ha fatto uso di eroina, cocaina e pasticche, ma esiste anche un’altissima percentuale di dipendenze legate all’uso di alcol e anche quest’ultime vanno affrontate e curate con convinzione ".

Usa: Corte Suprema, incostituzionale pena di morte per i minori

 

Tg Com, 1 marzo 2005

 

No all’esecuzione di detenuti che avevano meno di 18 anni al momento in cui hanno commesso un delitto. Lo ha stabilito la Corte suprema degli Stati Uniti, che ha definito incostituzionale la pena di morte per i minorenni in vigore in 19 stati degli Usa. La decisione, presa dai giudici con 5 voti a favore e 4 contrari, ha effetto immediato per circa 70 detenuti che si trovano già nel braccio della morte. Non è una decisione di poco conto ma è destinata a suscitare numerose reazioni nel mondo politico e nell’opinione pubblica. Lo dimostra la stessa spaccatura interna alla Corta Suprema che per un solo voto ha approvato il provvedimento. E non sarà una decisione di poco conto nemmeno nell’economia delle esecuzioni capitali, visto che il 70 per cento degli ospiti dei bracci della morte nelle carceri americane eviteranno il patibolo.

Fino ad oggi, il boia è quasi sempre entrato in azione anche se il condannato aveva commesso il delitto quando era solo minorenne. Non c’era pietà, né l’idea che il carcere potesse rieducare un minore, anche se spietato omicida. Ora la pena di morte, di fatto numericamente ridimensionata, resta in vigore solo per gli adulti.

Roma: i cappellani delle carceri, tutelare i diritti dei detenuti

 

Vita, 1 marzo 2005

 

Oltre 80 tra esperti, studiosi e cappellani delle carceri da una trentina di paesi dei cinque continenti del mondo sono riuniti da oggi in Vaticano per un seminario internazionale sui diritti umani dei detenuti. I lavori sono stati aperti dal presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace cardinale Renato Martino che ha sottolineato la necessità di difendere la dignità umana dei carcerati.

"La reclusione - ha detto - non separa dall’amore di Dio e quindi dalla dignità umana che in tale amore si radica". Il porporato ha invitato a non considerare la dignità umana del carcerato solo "in astratto" e a far invece entrare tale considerazione "nella politica, nel diritto, nelle istituzioni sociali di prevenzione e nei regolamenti carcerari".

Torino: chiuso il progetto Alnima, un centinaio i beneficiari

 

Redattore Sociale, 1 marzo 2005

 

Ha coinvolto circa 100 persone, cittadini originari del Marocco, dell’Albania e della Nigeria, costretti a ritornare nei loro Paesi perché ex detenuti oppure vittime della tratta. Ha riguardato la fascia più debole dei migranti il progetto internazionale Alnima (che sta per Albania – Nigeria – Marocco) rivolto ai clandestini, alle vittime del traffico di persone e agli individui resi vulnerabili dalle proprie condizioni socio-economiche nei paesi d’origine.

L’obiettivo del progetto, che si è concluso in questi giorni, era di garantire agli immigrati costretti al rimpatrio gli strumenti necessari per diventare membri autonomi e produttivi all’interno della propria società. Finanziato dalla Commissione europea, ha offerto ai suoi beneficiari (detenuti nelle carceri piemontesi o nei Centri di permanenza temporanea o, ancora, vittime della tratta), una volta espulsi, di seguire un percorso di reinserimento socio-lavorativo nel proprio Paese, attraverso percorsi di formazione professionale, microcredito e assistenza tecnica per l’avvio di micro-imprese.

"Il progetto – spiega Giulia Miccichè dell’associazione Tampep, coordinatrice del progetto Alnima – ha coinvolto da 50 a 100 beneficiari per i diversi Paesi, sia rimpatriati ex detenuti originari dell’Albania e del Marocco, sia vittime della tratta, in particolare coinvolte nella prostituzione, originarie della Nigeria. Che si tratti di rimpatrio forzato o volontario, il progetto ha riguardato i soggetti più deboli".

Come ha funzionato Alnima? "Si poteva fare molto di più – ha sottolineato Giulia Miccichè -, ma i fondi destinati al progetto ora sono finiti. All’inizio c’era una sorta di diffidenza, per la situazione molto delicata e complicata che si trovano a vivere i migranti costretti a tornare nei loro Paesi, poi con il passaparola si è esteso, ci sono state insomma moltissime richieste. La criticità è dovere interrompere il progetto proprio adesso".

I risultati ottenuti sono stati comunque molto buoni: "siamo riusciti a creare una rete di Ong locali, nigeriane, albanesi e marocchine, e a coinvolgere le istituzioni dei tre Paesi – aggiunge la coordinatrice di Alnima -, che ora sanno come lavorare sul problema. Abbiamo insomma gettato le basi per poter realizzare progetti simili, per poter portare avanti una politica che sostenga le persone al rientro nei Paesi d’origine".

Il progetto è dunque arrivato all’ultimissima fase: dopo stage di formazione lavoro e percorsi formativi, vengono ora concessi i microcrediti perché chi torna in patria possa avviare la propria attività imprenditoriale. I risultati del progetto vengono presentati a Torino, il 3 e 4 marzo, presso il Centro Congressi Villa Gualino in viale Settimio Severo 63, nella conferenza dal titolo "Più integrazione, più sviluppo, più sicurezza.

Esperienze innovative di gestione delle migrazioni", organizzata dalle Ong Cespi, Coopi, Tampep e Srf. La conferenza vuole essere un momento di scambio tra i partner che hanno lavorato al progetto, ma soprattutto un’occasione di incontro con realtà italiane che si occupano dei problemi di integrazione degli immigrati in Italia. Il CeSPI, Centro Studi di Politica Internazionale, nell’ambito del progetto Alnima ha fotografato la condizione degli immigrati in Italia e ha realizzato uno studio in Marocco sui possibili settori di reinserimento dei rimpatriati; Coopi-Cooperazione Internazionale si è invece occupata dell’attività di reinserimento dei rimpatriati in Albania e Marocco attraverso microcredito e stage di formazione professionale; Tampep si è occupata delle attività legate alla condizione delle donne nigeriane immigrate in Italia e del loro reinserimento nel tessuto sociale in Nigeria, mentre Srf, Cooperativa di Torino, si occupa di ricerca e formazione e ha organizzato la formazione nel carcere di Torino Le Vallette.

Udine: Corleone; carcere-choc, otto detenuti in una cella

 

Il Gazzettino, 1 marzo 2005

 

Come vivono i detenuti del carcere di Udine? Oggi male, spesso malissimo. Domani decisamente meglio, quando saranno pronte le celle ristrutturate. Sono queste le impressioni di Franco Corleone al termine della visita della commissione Cultura della Provincia nella prigione di via Spalato. Guidati dal presidente Maddalena Provini (An), i consiglieri hanno incontrato il direttore della casa circondariale, Francesco Macrì, e Antonina Tuscano, responsabile del centro servizi sociali per gli adulti. Ma soprattutto hanno visto "dal vero" quello di cui quasi sempre parliamo in astratto: la vita quotidiana in prigione.

"In una cella - racconta Corleone, oggi consigliere provinciale della Colomba, ma fino al 2001 sottosegretario alla giustizia nei governi dell’Ulivo proprio con la delega alle carceri - vivono otto detenuti, in condizioni davvero deplorevoli: c’è un unico gabinetto alla turca e un lavandino. È una situazione che contrasta con ogni principio di umanità e dignità: in quello spazio dovrebbero stare al massimo tre persone. E il comandante degli agenti di polizia penitenziaria ha detto che si è arrivati ad ospitare anche undici persone in una cella. Alcune colleghe consigliere erano impressionate da quanto hanno visto". Del resto, osserva con realismo Corleone, il direttore del carcere può fare poco per contrastare situazioni del genere: "Se arriva una persona arrestata, non può certo mandarla via".

Con i lavori di ristrutturazione in corso, oggi in carcere vivono 65 detenuti, 14 dei quali godono del regime di semilibertà. E sono proprio questi lavori, ormai in dirittura d’arrivo, la vera speranza di quanti si battono per condizioni di vita dignitose in carcere. Corleone - che da sottosegretario fece inserire Udine nell’elenco delle strutture più urgenti da sistemare - apprezza i risultati raggiunti: "Tra un mese - stima il consigliere - dovrebbe essere inaugurata l’ala rinnovata.

La ristrutturazione è stata fatta molto bene: ci saranno trenta celle singole e altre da 2, 3 o anche 5 posti, con varie metrature. Tutto pulito, con i bagni nelle celle lontani dai letti, il lavabo per gli usi di cucina separato dalla stanza del bagno e all’interno della toilette lavandino, tazza, bidè e doccia". In sostanza, spiega l’ex sottosegretario, "è stato rispettato il regolamento che nel 2000 avevamo messo in piedi. Ci sarà finalmente anche la possibilità di accendere e spegnere la luce dall’interno della cella, mentre ora questo interruttore è azionato dall’esterno, dagli agenti".

Dunque le condizioni di vita in via Spalato presto miglioreranno. Sempre che venga rispettata la capienza standard: "La nuova ala dovrebbe contenere 150 detenuti, chiaro che se ci sarà sovraffollamento le cose non funzioneranno". La ristrutturazione garantirà anche alcuni spazi per la socialità dei detenuti (tra i quali la sala biblioteca) "mentre non c’è ancora la palestra, ma il direttore Macrì conta di vederla realizzata con il secondo lotto dei lavori. Che dovrà partire il più presto possibile".

Pescara: detenuti attori e muratori con Ance e Scuola Edile

 

Il Messaggero, 1 marzo 2005

 

Un corso di formazione nel settore dell’edilizia, con uno stage presso i cantieri delle imprese associate all’Ance di Pescara, e la realizzazione di un cortometraggio, "Cantieri" - nel quale gli stessi detenuti interpreteranno il rapporto con il mondo esterno -, sono le iniziative che coinvolgeranno nei prossimi mesi alcuni reclusi della Casa circondariale di Pescara. L’iniziativa è stata illustrata dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria di Abruzzo e Molise, Aldo Fabozzi, e dal presidente della Scuola edile di Pescara, Paolo Di Cintio. Il corso di formazione, della durata di sei mesi, coinvolgerà dieci detenuti, affiancati ad altri dieci giovani provenienti dalla Bielorussia.

"Un identico intervento - ha spiegato Di Cintio - fu realizzato un paio di anni fa e portò all’assunzione stabile da parte dell’Ance di cinque dei sette partecipanti. Anche questa volta l’obiettivo è di giungere all’inserimento lavorativo".

L’idea di un cortometraggio interpretato dai detenuti segue il successo avuto da un precedente "corto" intitolato "Confini", girato nel 2002 nella Casa circondariale di Pescara dallo stesso regista, Maurizio Fiume, e dallo stesso produttore, Claudio Angelozzi per "Omnia Media" e "Icarowebfilm", che ripropongono ora l’iniziativa. Il cortometraggio sarà patrocinato e finanziato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Pescara, dalla Scuola edile, dalle Province di Chieti e Pescara, con il contributo del Rotary Club di Pescara e di altri enti e associazioni private.

La Spezia: mostra dei carcerati-studenti, un’occasione di riscatto

 

Il Secolo XIX, 1 marzo 2005

 

"Questa immagine rappresenta la mia bara. Sono in una catacombe, seppellito vivo. Mi giro, sbatto, spingo contro le tavole marce della mia bara, ma non vedo via d’uscita". Sergio T. è uno degli studenti-detenuti del corso per operatori grafici tenuto al carcere spezzino di via Fontevivo dai docenti dell’istituto superiore "Einaudi".

Il suo è uno dei disegni esposti al Centro Allende all’interno di una mostra (nella foto una delle opere) intitolata "Un colpo a... regola d’arte", inaugurata personalmente dal direttore del museo "Lia" Andrea Marmori: raffigura un grande corpo nudo dietro le sbarre. Nella scheda illustrativa, il critico d’arte Daniele Crippa definisce la sagoma "icona gigantesca". E individua come unica nota positiva l’arcobaleno accennato sotto la cella: "è l’augurio di una vita migliore, per quanto sia figlio di un sole elettrico".

Giovanni T. ha illustrato a suo modo la verità: "Vogliamo sapere e non sapere, è dura, ma è meglio sapere". Luca B. ha puntato sulla denuncia: "Occidente, tu sprechi, consumi, uccidi: peccato siano pochi coloro i quali hanno capito il tuo subdolo gioco". Carlo R. si paragona a toro scatenato: "Osserva e capirai chi ero... Purtroppo i sogni muoiono, e capisci che sei solo contro tutti. Oggi sono un illuso uomo libero". Antonio D. ha dedicato il suo collage alla mamma: "Si è spenta, e con lei la luce nella mia vita. Sono come un lupo solitario e piango nella desolazione della mia prigione".

La mostra è frutto del lavoro dei carcerati studenti, seguiti dai professori dell’Einaudi: "I nostri insegnanti hanno lavorato con impegno, gli studenti con passione - sottolinea la preside dell’istituto Clementina Petillo - ci siamo accorti subito che i quadri avevano qualcosa si speciale. La nostra sensazione è stata confermata dai critici".

L’arte come occasione di riscatto. La mostra, patrocinata dall’assessore alla formazione della Provincia, Chiaretta Bramanti, è significativa. I detenuti artisti hanno origini, credo, percorsi personali diversi. Ce ne sono di veramente giovani, ed altri molto più maturi. Chi visita la mostra, può far avere loro il proprio giudizio, scrivendolo sul libro d’ingresso, o inviandolo su un sito internet, che la direzione del carcere verificherà, secondo le normative sul controllo della posta in arrivo. Diventerà una specie di finestra aperta sul mondo della casa circondariale di via Fontevivo: l’indirizzo per i messaggi è andreino@einaudilaspezia.it.

Udine: dalla Provincia guida plurilingue su diritti dei detenuti

 

Il Gazzettino, 1 marzo 2005

 

L’assessore provinciale alla cultura e alle solidarietà sociali Fabrizio Cigolot (Forza Italia) è impegnato in un’iniziativa concreta, "una guida plurilingue per informare i detenuti - che ormai nel 50% dei casi sono stranieri - di quelli che sono i loro diritti e doveri, le leggi, le regole del gioco...". L’opuscolo informativo, realizzato dall’associazione di volontariato Icaro all’interno di un progetto più ampio sostenuto finanziariamente da Palazzo Belgrado, è ormai quasi ultimato e dovrebbe essere pronto entro Pasqua.

"Le lingue utilizzate - spiega Cigolot - sono albanese, arabo, francese, inglese, serbo-croato e spagnolo. Si tratta di una sorta di bussola per orientare gli stranieri all’interno del carcere, spiegando loro le principali fasi del procedimento penale, le regole di comportamento in prigione, ma anche le opportunità formative. Perché non dobbiamo mai dimenticare la funzione rieducativa del carcere...".

Ma non è questa la sola iniziativa che la Provincia intende assumere: il regolamento nazionale assegna infatti proprio agli enti intermedi una funzione di coordinamento in ordine a una serie di progetti. E Antonina Tuscano, direttrice del Cssa (centro servizi sociali per gli adulti), ha ricordato in particolare un’iniziativa orientata al sostegno delle famiglie dei detenuti.

"Abbiamo deciso - spiega il consigliere provinciale della Colomba Franco Corleone - di riconvocare presto la commissione Cultura per stilare un documento nel quale tra le altre cose si chiederanno alla Regione quei fondi per le attività in carcere che l’ultima legge finanziaria dello Stato ha ridotto del settanta per cento".

Turchia: quel buco "galeotto" nel muro del carcere

 

Il Messaggero, 1 marzo 2005

 

Lui, Seylan Corduk, ha 40 anni ed è in prigione per omicidio. Lei, Kadriye Fikret Oget, 27 anni, mise una bomba in un mercato. Sono diventati amanti e ora, dopo che lei ha avuto un figlio, sono stati condannati per avere praticato un piccolo buco (attraverso il quale hanno avuto rapporti sessuali) nel muro che divide le loro celle. Il giudice ha condannato i due a quattro mesi di reclusione per "danneggiamento di bene pubblico", il muro appunto, e a una multa di 42 euro.

 

 

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