Rassegna stampa 20 giugno

 

Giustizia: Castelli; "Non firmerò mai per la grazia a Sofri"

 

Ansa, 20 giugno 2005

 

Bergamo. Un altro "no" netto e lapidario: "Fino a quando avrò la responsabilità, questo atto non lo firmerò". Così, parlando ieri Pontida, il ministro della Giustizia, Castelli, prosegue il duello a distanza con il presidente Ciampi sulla questione della grazia a Sofri, l’ex capo di Lotta Continua condannato per l’omicidio del commissario Calabresi e attualmente in carcere a Pisa. Il Guardasigilli torna, dunque, sulla "querelle" sollevata già relativamente al caso Bompressi (l’altro esponente di Lc condannato assieme a Pietrostefani e a Sofri), arricchitasi qualche giorno fa di un nuovo capitolo, dopo che il capo dello Stato ha deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale affinché definisca, una volta per tutte, a chi appartiene il potere di concedere la grazia stabilito dall’art.87 della Costituzione.

"Lungi da me coartare le azioni di chicchessia - ha spiegato il Guardasigilli - ma, se qualcuno vuole prendere decisioni, qualcuno deve prendere la propria responsabilità davanti al popolo. Noi stiamo con Abele che è Calabresi. Oggi si vuole liberare Caino. Tutti i poteri forti sono in campo a sostegno del loro mondo al contrario". E ancora: "Il mondo della sinistra e dei masso-comunisti vuol far tornare in libertà anche chi ha ucciso. Io e la Lega non siamo d’accordo". Nel suo intervento, il ministro non ha mai espressamente citato per nome Sofri, ma in un punto ha sottolineato: "Quando è uscita la notizia che avrebbe potuto ottenere la grazia, Caino ha scritto che era ora e che era un suo diritto. Questa è la mentalità di quelli di sinistra. I grandi statisti ci hanno preparato un mondo che va al contrario, in cui le vittime vanno subito dimenticate. Se hai stuprato puoi uscire e stuprare ancora, ma se uccidi per difenderti, cominci un lungo calvario. Se sei un clandestino hai solo diritti, se sei nato sul tuo suolo, hai solo doveri". Ma i rapporti con Ciampi restano ottimi: "Non ho attaccato nessuno e la mia posizione in materia è talmente dentro la Costituzione che bisogna ricorrere alla Corte per decidere".

Bologna: proposta di RC per garante regionale dei detenuti

 

Romagna Oggi, 20 giugno 2005

 

Leonardo Masella, presidente del Gruppo di Rifondazione Comunista in Regione, ha presentato un Progetto di Legge al fine di istituire, presso l’Assemblea Legislativa, l’Ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.

Finora, nella legislazione nazionale solo i parlamentari e i consiglieri regionali possono disporre di poteri ispettivi presso gli istituti penitenziari. Il PdL intende superare questa restrizione, prevedendo una nuova figura giuridica - l’Ufficio regionale del garante - dotata di precise funzioni di controllo, e con una sfera d’influenza allargata a qualsiasi luogo in cui si trovino persone sottoposte a misure restrittive, temporanee o permanenti, quali le caserme dei Carabinieri, i posti di Polizia, gli ospedali psichiatrici giudiziari e i Centri di permanenza temporanea per immigrati irregolari.

Nei 6 articoli del PdL vengono dettagliati l’organizzazione, le modalità d’elezione, le incompatibilità e il trattamento economico del nuovo organismo. L’art. 5 precisa che l’Ufficio del garante potrà assumere ogni iniziativa volta ad assicurare che alle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale siano erogate le prestazioni inerenti al diritto alla salute, al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione e alla formazione professionale e ogni altra prestazione finalizzata al recupero sociale e al reinserimento nel mondo del lavoro. Nei casi accertati di violazione di questi diritti, l’Ufficio del garante coinvolgerà la Giunta e la Commissione consiliare competente, avanzando proposte di intervento.

Il PdL prevede di istituire un Ufficio del garante composto da cinque membri, fra i quali il presidente, eletti dall’Assemblea Legislativa per una durata di cinque anni. Entro il 30 aprile di ogni anno, l’Ufficio dovrebbe presentare alla Giunta e alla Commissione consiliare una relazione sull’attività svolta e sui risultati ottenuti. Al fine di garantire la miglior funzionalità al nuovo organismo, si propone di istituire una Consulta regionale per i diritti dei detenuti, della quale farebbero parte anche rappresentanti sindacali, degli Enti Locali e delle associazioni per i diritti umani, il presidente della commissione volontariato e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria.

Brescia: la sanità in carcere; lettera del direttore dell’Asl

 

Giornale di Brescia, 20 giugno 2005

 

Caro direttore, le chiedo ospitalità per fornire alcune precisazioni in merito all’articolo dal titolo "Carcere, è emergenza", pubblicato sul suo giornale il 10 giugno scorso. Nel dare conto di una conferenza stampa convocata al termine della visita di tre consiglieri regionali al carcere cittadino di Canton Mombello, l’articolista, in un virgolettato attribuito ad Osvaldo Squassina, riferisce che "Ci sono delle evidenti responsabilità dell’Asl che non fa nulla di fronte all’emergenza igienica (...) a questo proposito inviterei il direttore sanitario Carmelo Scarcella a passare un giorno a Canton Mombello e a provare i servizi igienici". Ora, se merita un solo breve accenno l’evidente svista nell’attribuzione della mia carica, che come noto è quella di direttore generale, mi preme, invece, ben precisare quali sono ruoli e compiti dell’Azienda sanitaria che dirigo, in merito alla situazione igienico-sanitaria delle carceri bresciane di Canton Mombello e Verziano.

Come recita l’articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354 "Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", "...il medico provinciale visita almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti. Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al ministero della Sanità e a quello della Giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza". Un compito, dunque, esclusivamente di verifica e controllo con il successivo obbligo di riferirne alle autorità sopracitate. Compito che l’Asl di Brescia ha sempre svolto, come è facilmente verificabile anche dal neoconsigliere regionale, dato che uno dei destinatari dei verbali di visita è proprio la Regione Lombardia. In particolare, mi preme ricordare ai suoi lettori, che attraverso l’area di Igiene del distretto socio-sanitario di Brescia, da anni, con cadenza semestrale come indicato dalla norma, vengono effettuati specifici sopralluoghi e trasmessi i relativi verbali di ispezione agli organi sopraccitati. All’interno dei verbali sono state puntualmente e ripetutamente evidenziate le carenze igienico-sanitarie e le altre criticità rilevate. Proprio il problema del sovraffollamento, inoltre, è stato oggetto di più segnalazioni da parte di questa Asl in diverse attività ispettive. La presenza di detenuti in un numero superiore alla capienza massima comporta, ovviamente, il non rispetto dei requisiti, compresi quelli igienico-sanitari. Controlli qualificati dei nostri operatori sanitari hanno, così, garantito un continuo monitoraggio della situazione nel corso degli anni; ad altri spetterebbe poi il compito di intervenire per porre rimedio proprio alle criticità da noi segnalate. Un impegno doveroso, questo, e ben più significativo del singolo giorno di permanenza nel carcere "suggerito" dal consigliere regionale.

 

Dott. Carmelo Scarcella, direttore generale dell’Asl di Brescia

Frosinone: violenza sessuale nel corridoio del carcere

 

Il Tempo, 20 giugno 2005

 

Detenuto gay trasferito nella casa circondariale di Velletri punta il dito su un agente di polizia penitenziaria di Frosinone. Trasferito nel carcere di Velletri è riuscito a denunciare la violenza sessuale che avrebbe subito da un agente di polizia penitenziaria nel carcere di Frosinone. La vicenda sarebbe avvenuta il 26 luglio del 2004. La vittima, un recluso per reati contro il patrimonio, addetto alle pulizie, proveniente dal carcere di Verona, dichiaratamente omosessuale, avrebbe più volte tentato di denunciare il fatto senza però essere ascoltato. Per questo indagato, oltre al brigadiere, ci sarebbe anche il suo sovrintendente. Stando a quanto avrebbe dichiarato la vittima, la violenza sarebbe avvenuta in un corridoio tra la palestra e la scuola che l’uomo, per ordine dello stesso brigadiere, avrebbe dovuto pulire. Un muro di omertà gli avrebbe successivamente impedito di sporgere denuncia alle autorità competenti, cosa che invece gli è riuscita non appena trasferito nel penitenziario di Velletri. L’agente, invece, avrebbe ribadito che la ricostruzione del detenuto era impossibile dato che, all’ora della violenza, il luogo indicato dalla vittima avrebbe dovuto essere affollato di guardie e detenuti. La denuncia sarebbe solo, a detta dell’avvocato, un gesto di ritorsione nei confronti dell’agente. Il detenuto, infatti, chiedeva di lavorare per poter guadagnare di più ma non sempre era possibile. La presunta vittima, per questo motivo, aveva anche inscenato uno sciopero della fame. Le indagini condotte dalla Procura del capoluogo ciociaro si sono concluse e si è quindi in attesa degli esiti.

Oristano: il sottosegretario Vitali; in 4 anni il nuovo carcere

 

L’Unione Sarda, 20 giugno 2005

 

Ora c’è una scadenza ben precisa: quattro anni, e non di più, per realizzare e inaugurare il nuovo carcere. Parola di sottosegretario alla Giustizia. Non è un annuncio come i tanti gridati negli ultimi anni ma un impegno preciso che ieri mattina il vice ministro Luigi Vitali ha assunto durante la sua visita a Oristano. Prima il sottosegretario ha fatto tappa nella casa circondariale di piazza Manno, poi in municipio ha incontrato il sindaco Antonio Barberio e in Provincia il presidente Pasquale Onida. E in Comune ha parlato del progetto per il nuovo carcere di Massama.

"Per scegliere il sito c’è stata qualche difficoltà ma ora non si torna più indietro - ha spiegato Luigi Vitali - Il finanziamento di 36 milioni di euro è disponibile e il ministero delle Infrastrutture sta realizzando il progetto preliminare. I tecnici assicurano che entro quattro anni apriremo il nuovo carcere". Ieri mattina, intanto, il sottosegretario alla Giustizia ha annunciato anche il suo impegno per la conclusione dei lavori di ristrutturazione del Palazzo di Giustizia.

Il cantiere è ancora aperto, ma gli operai sono andati via. E se ci fosse bisogno di altri fondi il ministero è pronto a firmare un assegno. "In carcere ho trovato una situazione al limite della sopportabilità, ma la situazione è migliore rispetto ad altre città - ha commentato il vice ministro - L’affollamento non è eccessivo, anche se la struttura è particolarmente precaria. La reggia giudicale, poi, deve essere restituita alla città. Comunque non ci sono problemi di natura igienico-sanitaria e il rapporto tra i detenuti e il personale è abbastanza buono. In ogni caso bisogna costruire una nuova struttura, al più presto".

Alghero: Sos degli agenti dopo due tentativi di suicidio tra i detenuti

 

L’Unione Sarda, 20 giugno 2005

 

Due tentati suicidi in pochi giorni: è ancora allarme nel carcere di San Michele. La tensione è alta, soprattutto tra gli agenti di polizia penitenziaria che da mesi lamentano una situazione di grave disagio, costretti come sono a lavorare a ranghi ridotti e con le celle al completo. Nell’ultimo mese due ospiti della casa circondariale di via Vittorio Emanuele hanno cercato di togliersi la vita con un laccio al collo. L’ultimo tentativo risale a venerdì scorso, quando un detenuto con problemi di tossicodipendenza ha cercato di impiccarsi nella sua cella. Solo grazie al tempestivo intervento del personale di custodia l’uomo non è riuscito nel suo intento. Fortunatamente alcuni compagni di sezione si sono resi conto dei suoi disperati propositi e hanno chiamato aiuto. Gli agenti hanno fatto in tempo a portarlo in infermeria dove gli sono state prestate le cure necessarie. Quindici giorni prima un analogo episodio.

Questa volta a volerla fare finita è stato un ex poliziotto della Dia finito in isolamento. Quarantacinque giorni in perfetta solitudine conclusi con un epilogo tragico. L’uomo ha legato la federa del cuscino alle sbarre della finestra e con il cappio ha cercato la morte. Le guardie, avvertite dalle grida di un compagno di cella, sono riuscite a tenere il corpo sospeso per le braccia, evitando che la trazione sul collo lo uccidesse. Successivamente il detenuto è stato trasferito nel carcere di San Sebastiano a Sassari. Due eventi drammatici, quindi, nel giro di poche settimane.

Ma il personale di polizia penitenziaria avverte: sono solo gli ultimi di una lunga lista. Un chiaro segnale che qualcosa non va all’interno della casa circondariale algherese. L’autolesionismo e i tentati suicidi tra detenuti in un carcere rappresentano quasi l’ordinaria amministrazione: ma il timore degli agenti è che, a causa della carenza di organico, prima o poi ci scappi il morto. Per capire la gravità basta pensare che il carcere di Alghero ha riaperto i battenti nel 1998 con circa 100 detenuti e altrettanti agenti. Negli anni però il personale di polizia penitenziaria si è ridotto di numero, per raggiunti limiti di età o trasferimenti presso altre sedi, mentre il popolo dei carcerati è raddoppiato. Attualmente ospita 200 detenuti, la maggior parte definitivi, di cui il 50 per cento stranieri.

Immigrati: Caritas, l'accoglienza contro la criminalizzazione

 

Agi, 20 giugno 2005

 

Le Caritas presenti in tutte le diocesi italiane "si impegnano a continuare nell’opera di sostegno verso gli immigrati e le comunità in cui sono inseriti, favorendo una cultura di accoglienza e integrazione, unica seria risposta anche per la sicurezza sociale". Lo afferma il documento conclusivo del Convegno nazionale di Fiuggi.

"Gli ultimi avvenimenti di cronaca, verificatisi in alcune città d’Italia, ripropongono la clandestinità - si legge nel testo - come problema della sicurezza, con la conseguente richiesta di un maggiore inasprimento delle pene, a fronte di una drammatica situazione carceraria, sia sul piano della crescita del numero delle persone detenute, sia per quanto attiene le condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie". Di fronte a questa situazione, "le Caritas diocesane respingono qualunque tentativo di criminalizzazione della clandestinità e dell’immigrato che rischia di essere un’ ulteriore causa di paure sociali che generano meccanismi di intolleranza, di violenze, di vendette e di appelli all’abuso della carcerizzazione" e sottolineano "la necessità di una progettualità sociale dell’accoglienza; l’insufficienza di una politica immigratoria legata eccessivamente a quote che non riescono a soddisfare le richieste dell’imprenditoria e le esigenze sociali di assistenza ad anziani e malati; l’incapacità da parte delle istituzioni di dialogare con le organizzazioni di immigrati, affinché queste diventino una risorsa per la sicurezza del territorio, al fine di favorire un’autentica politica di integrazione; la falsa illusione che il carcere possa essere strumento di prevenzione della microcriminalità, visto che le vere cause si sviluppano nei processi di esclusione sociale".

"Come cristiani impegnati ad incontrare quotidianamente i volti della povertà e dell’emarginazione, a trasformare territori spesso lacerati da contraddizioni del sistema, le Caritas - prosegue l’appello diffuso oggi - propongono: una politica territoriale che aumenti la capacità degli enti locali, ed in particolare dei Comuni, di assumersi la responsabilità diretta nell’accoglienza e nell’integrazione; la revisione del sistema delle quote, nella consapevolezza che l’immigrato non è solo forza-lavoro, ma prima di tutto una persona alla quale vanno riconosciuti diritti fondamentali come la salute, la casa, la famiglia; la ricerca di forme sempre più allargate di partecipazione degli immigrati alla vita sociale e politica, nel rispetto delle loro culture; il superamento del ricorso sistematico ai CPT (Centri di permanenza temporanea), come risposta unica al problema della clandestinità, annullando di fatto qualsiasi progetto di vita, che preveda condizioni più dignitose; la possibilità di accedere a misure alternative sul territorio, come diritto, anche per i detenuti stranieri".

Volontariato: Stefano Anastasia è il nuovo presidente della C.N.V.G.

 

Redattore Sociale, 20 giugno 2005

 

Il Consiglio direttivo della Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg) ha eletto Stefano Anastasia presidente e Claudio Messina vice presidente per i prossimi 3 anni. Succedono rispettivamente a Livio Ferrari e Carmen Bertolazzi. Stefano Anastasia, impegnato da tempo nella tutela dei diritti e nella giustizia, è stato tra i fondatori e poi presidente di Antigone dal 1999 fino all’ultima assemblea dell’associazione, tenutasi il mese scorso a Roma. Claudio Messina ha una lunga esperienza di assistente volontario presso la San Vincenzo de Paoli, di cui è delegato nazionale per il settore carcere e devianza. Ha avviato diverse iniziative sociali specialmente nel carcere di Porto Azzurro. Ha affermato Anastasia: "Guidare la Conferenza è una responsabilità molto impegnativa, in un momento in cui i volontari operano in carcere in una situazione estremamente difficile, condizionata da un numero di persone detenute e da un sovraffollamento delle strutture penitenziarie senza precedenti".

"La Conferenza entra in una fase di consolidamento, dopo essersi estesa su tutto il territorio nazionale; dobbiamo lavorare per diventare sempre più un punto di riferimento autorevole nei problemi di giustizia e carceri", ha aggiunto Messina. La Cnvg riunisce tutte le principali organizzazioni di volontariato operanti nel campo della giustizia e delle carceri (Antigone, Arci Ora d’Aria, Fivol, Papa Giovanni XXIII, San Vincenzo de Paoli, Comitato per il Telefono Azzurro, Caritas Italiana, Libera) ed è presente su tutto il territorio nazionale, attraverso il coordinamento di 18 Conferenze regionali o interregionali alle quali aderiscono anche gruppi minori radicati sul territorio.

Torino: "ho visto Suzanne", teatro dentro e fuori il carcere

 

Ansa, 20 giugno 2005

 

Grande successo ieri sera, sabato 18 giugno, per la prima di Ho visto Su zanne, spettacolo realizzato dai detenuti della VI sezione del padiglione A della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno. È un importante tappa di un laboratorio teatrale permanente messo a disposizione dalla Città di Torino per l’attività trattamentale che, nell’Istituto, viene coordinata dalla dottoressa Anna Greco e consiste in un insieme di azioni e interventi mirati a rendere la pena più umana e dignitosa e finalizzata al reinserimento esterno. È una chiacchiera teatrale - spiega il regista Claudio Montagna - più sul mentire per vivere, sul mentire per sopravvivere senza lottare, per la gran paura che, poveri noi, abbiamo della lotta. È messa in scena da detenuti per un pubblico di persone libere, ma questo non significa che coloro che mentono per sopravvivere senza lottare siano proprio i detenuti, o solo loro. I detenuti sono forse tra quelli che, nel difficile equilibrismo tra dover lottare e non voler lottare, sono caduti.

Nella Casa Circondariale è presente una intensa e varia attività scolastica, c’è un Polo Universitario, diversi corsi di formazione professionale, laboratori artigianali, iniziative culturali ricreative e sportive, una sezione distaccata della Biblioteca Civica, lavorazioni anche di tipo industriale attivate da imprese e cooperative esterne. Il laboratorio teatrale si inserisce in questo contesto anche variegato, sia pur insufficiente ai bisogni di una imponente popolazione detenuta, come un momento significativo di arricchimento culturale e crescita personale. Ha fatto intravedere la possibilità di una rilettura, più creativa e condivisa, di sensazioni ed emozioni vissute in solitudine o imprigionate in schemi e percorsi di vita che non lasciavano scorgere altri spiragli o diverse possibilità. Ha dato loro leggerezza e fantasia espressiva. Soprattutto, ha aperto un dialogo vero e inedito con la città palandole con il linguaggio vero e universale dei sentimenti profondi e coinvolgendola nella sfida della possibilità di un cambiamento.

Il laboratorio e la parte teatrale dello spettacolo sono curati da C.A.S.T. La parte video da Davide Ferrario. Gli interventi musicali sono eseguiti da Diego Vasserot alla tromba e al piano, Alessandro Raganella alle percussioni, Andrea Serra alla chitarra, Simone Arlorio al clarinetto e al sax, Valentina Ruberti alla voce. Per maggiori informazioni e prenotazioni, è attivo il sito web www.ilcontesto.org/dentroefuori, collegato al progetto, ideato, realizzato e gestito da Simone Natale, Matteo De Simone e Hermes Delgrosso.

Lecco: un concerto rock nel carcere di Pescarenico

 

La Provincia di Lecco, 20 giugno 2005

 

Un concerto rock - il primo concerto rock - nel carcere di Pescarenico. È quello che si è svolto ieri pomeriggio nella stessa sala che un anno fa ha ospitato la conferenza stampa del ministro Roberto Castelli per la riapertura della casa circondariale cittadina. La musica ha abbattuto sbarre e muraglioni, aprendo sulla città le pesanti porte del carcere. Per un’ora gli "Alter Ego", gruppo rock lecchese, hanno fatto vibrare quelle pareti bianche e grigie dandoci dentro con diciassette cover di Ligabue, Litfiba, Guns N’ Roses, Bon Jovi, Rage Against The Machine concluse con "Buoni o cattivi" di Vasco Rossi il cui repertorio è stato ampiamente proposto. Una trentina i detenuti - giovani e adulti, italiani e stranieri, con la testa rasata o con i capelli lunghi raccolti in una coda - che hanno assistito al concerto su una popolazione carceraria di 44 persone (17 in attesa di giudizio). Presenti all’evento anche una decina di agenti, il cappellano don Mario Proserpio, l’aiutante Giuseppe Pizzagalli, Matteo Polvara dell’Arci Lecco che con Luigi Gasparini di Chitarfisa hanno organizzato l’iniziativa, "accettata con entusiasmo dalla direttrice Cristina Piantoni". "Una iniziativa nata nel contesto della festa della musica. Ci pareva giusto dedicare attenzione anche ai detenuti" ha aggiunto Matteo mentre Gasparini non ha nascosto la propria emozione "per ritrovarsi in carcere per la prima volta". E poi loro, gli "Alter Ego", che hanno strappato più volte "bravi" da una platea che si potrebbe incontrare a un raduno rock e che ha scandito il ritmo battendo il tempo con ciabatte e scarpe da ginnastica, accompagnando a mezza voce i brani più noti come "Generale" di Francesco De Gregori o ironizzando alla presentazione di "La mia ragazza mena" degli Articolo 31. Il gruppo ce l’ha messa tutta per rendere più colorato quello che sarebbe stato un altro pomeriggio in bianco e nero. Don Mario ci ha quasi rimesso i timpani ma ha saputo strappare i sorrisi dei detenuti rendendo meno amaro il rientro in cella. Ha anche chiesto più occasioni per i detenuti. "Non si fanno attività. A settembre avremo la biblioteca, ma questo concerto è davvero un fatto importante". Lo è stato anche per i musicisti che hanno salutato con un "arrivederci". Bella prova, anche umana, quella offerta da Umberto "Baro" Baronchelli (voce e armonica) di Lecco,Roberto "Titti" Colombo (chitarra) di Lecco, Andrea Castelli (basso) di Olgiate Molgora, a Ivan "Totò" Giudiceandrea (chitarra) di Olginate e Marco "China" Rastelletti (batteria) di Germanedo di Lecco.

Siracusa: controtendenza-affollamento a Noto, 70 detenuti e 200 posti

 

La Sicilia, 20 giugno 2005

 

Detenuti in sovrannumero e personale di custodia carente. La situazione delle carceri siracusane rispecchia quella degli altri istituti di pena del Paese. La sola eccezione è rappresentata dalla casa di reclusione di Noto che - a fronte di una capienza di 200 posti - attualmente ospita solo 70 detenuti. Ma le favorevoli condizioni di questo carcere sono dovute principalmente ai lavori di ristrutturazione che dal 1995 interessano l’edificio e che hanno costretto ad una riduzione del numero di detenuti.

Lontane, invece, dagli standard ottimali la casa di reclusione di Brucoli e la casa circondariale di Cavadonna. La prima ospita circa 600 detenuti, malgrado la struttura sia stata originariamente progettata per accoglierne 300; la seconda 420, nonostante la sua capienza sia di soltanto 285 unità.

In entrambi i penitenziari si registra una consistente carenza di personale: nel super carcere di Brucoli lavorano 300 agenti; a Cavadonna 270. Le conseguenze del sovraffollamento e dell’inadeguato numero di addetti sono facilmente immaginabili.

"Le condizioni delle nostre carceri - denuncia Giuseppe Argentino, segretario provinciale della Cgil-polizia penitenziaria -, sono disastrose tanto per i detenuti, quanto per gli agenti di custodia. Celle in cui dovrebbero vivere solo 4 persone ne ospitano 8. Inoltre - continua - il numero di agenti è insufficiente. A Brucoli, ad esempio, siamo al di sotto dell’organico previsto di almeno 60 unità. Ed anche il personale civile non è in numero sufficiente a coprire le mansioni necessarie. Così - racconta -, gli agenti sono spesso obbligati a svolgere anche compiti di amministrazione".

E non solo: "Per la carenza di organico gli uomini della Polizia penitenziaria sono costretti a turni massacranti ed il quadro si complicherà con l’arrivo dell’estate, quando molti andranno in ferie. Lavorare in condizioni di stress - afferma - nuoce non solo al benessere delle guardie, ma anche a quello dei detenuti". A Brucoli sono oltretutto impiegati solo 2 educatori: pochi per una struttura di così grandi dimensioni. "Non arrivano notizie confortanti neanche dal Ministero della Giustizia, che - dice Argentino - invita a gestire la situazione con i mezzi già a disposizione".

Pur ammettendo la presenza di un elevato numero di detenuti, il direttore della casa di reclusione di Brucoli, Antonio Gelardi, definisce la situazione del carcere ancora "tollerabile", grazie soprattutto "all’impegno del personale di sorveglianza". Ma a rendere meno vivibile questo penitenziario c’è pure il fatto che la struttura non sia collegata all’acquedotto comunale. L’approvvigionamento idrico è assicurato dalle autobotti dei Vigili del Fuoco.

Carenze di personale anche al carcere di Cavadonna: anche qui ci sono solo due educatori. Solo a costo di grandi sforzi si riesce ad organizzare le attività di recupero per i detenuti (corsi di alfabetizzazione ed agraria). Gli ‘ospiti’ della struttura trovano occupazione anche in un biscottificio che funziona grazie alla collaborazione con una cooperativa sociale. Resta però ancora chiuso il reparto femminile dello stesso penitenziario. "Purtroppo - commenta la direttrice dell’istituto di pena di Cavadonna, Angela Gianì - le poche risorse e l’esiguo personale a disposizione non ci permettono di sfruttare a pieno le potenzialità di questo carcere".

Come detto in precedenza, in questo contesto poco rassicurante, sembrerebbe quasi "un’oasi felice" il penitenziario di Noto. "I detenuti di altre carceri - sostiene Angela Lantieri, direttrice della struttura - chiedono di essere portati da noi. Qui, infatti, grazie al ristretto numero di "ospiti" ed al sufficiente numero di addetti, la totalità dei detenuti è impiegata in attività lavorative". Nel carcere netino, però - lo segnaliamo -, c’è un solo educatore ad occuparsi di 70 detenuti.

 

 

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