Rasegna stampa 11 giugno

 

Castelli: situazione allarmante… e il nodo della "sorveglianza"

 

Gazzetta del Sud, 11 giugno 2005

 

Quasi 60.000 detenuti. Che sia un record lo riconosce anche il ministro della Giustizia Roberto Castelli. Parla, il Guardasigilli, di situazione "allarmante" a causa dell’affollamento degli istituti penitenziari che non è mai stato così alto almeno dalla fine della II guerra mondiale. Il ministro aggiunge anche che il governo sta lavorando ad interventi "urgenti" ma non si dilunga sul contenuto di tali provvedimenti alludendo genericamente alla "dislocazione" e all’"utilizzo di nuovi locali" all’interno delle carceri. Il che potrebbe voler dire la messa in opera di nuovi penitenziari realizzati negli anni 80 e mai aperti, oppure come è già accaduto ad Alessandria, il recupero di quelli vecchi. Nella città piemontese, ad esempio, il nuovo complesso di San Michele doveva mandare in pensione l’antico reclusorio che, invece, proprio a causa del grande affollamento dietro alle sbarre, è stato riadattato al servizio.

Analoga situazione a Pontremoli mentre le cifre mettono paura anche per quanto riguarda il numero dei detenuti in relazione agli agenti di polizia penitenziaria presenti. Se ieri, dati alla mano, la sezione della Lombardia contava 8.650 detenuti, nel medesimo territorio erano stati assegnati dal Ministero 600 nuovi agenti. Di contro, però, circa 500 hanno lasciato contemporaneamente la zona per pensioni, distacchi, trasferimenti e quanto d’altro è possibile immaginare. Roba di questi mesi e problema di sempre: il personale è insufficiente e l’apertura di nuove strutture ingigantisce il nodo "emergenza sorveglianza". Resta il dato reale: 59.012 detenuti presenti di cui 19.176 stranieri. Il limite massimo regolamentare nel nostro Paese è di 42.540 anche se, sulla carta, risulta che le carceri italiane possono accogliere fino a 62.063 detenuti perché recentemente la capienza "tollerabile" è stata calcolata al rialzo (prima era di 59.438 posti). Vicini al collasso e il ministro Castelli non lo nasconde seppure lasciando trasparire una certa serenità: "I detenuti – ha detto – per fortuna sono molto più responsabili di certi politici e noi stiamo lavorando per un intervento urgente che ponga rimedio ad una situazione allarmante".

"Attualmente – ha concluso – siamo arrivati ad un record assoluto". Record, per il ministro. Record per i numeri. In ben otto regioni (Lombardia, Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Campania e Puglia) è stato superato il limite "tollerabile" regionale. L’aumento della popolazione detenuta fino a toccare quota 59 mila detenuti (di preciso 56.161 donne e 2.851 uomini) si è verificato soprattutto negli ultimi mesi, se si considera che alla fine di febbraio i detenuti erano 56.840. Negli ultimi dieci anni il numero di detenuti ha avuto un costante aumento, seppure con oscillazioni mensili: dai 47.350 presenti alla fine del 1996, si è passati mano mano ai 51.814 alla fine del 1999, ai 55.275 di dicembre 2001.

Il picco raggiunto in questi giorni non ha precedenti e pone diversi interrogativi. Come denunciato dagli agenti di polizia penitenziaria, la presenza di un numero eccessivo di detenuti nelle celle dei 206 istituti in funzione, aggiunto al caldo e al nervosismo, può costituire un cocktail micidiale per la sicurezza. Senza trascurare i rischi igienici di questa situazione e le conseguenze nefaste per la diffusione delle malattie infettive. I dati parlano di una concentrazione di persone infette per diversi tipi di malattie, di dieci volte superiore tra i detenuti rispetto alla media della popolazione italiana. Alcuni studi coordinati dall’infettivologo Giovanni Rezza, direttore del centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e condotti in collaborazione con il Ministero della giustizia, mostrano che il 7,5 % dei detenuti nelle carceri italiane è sieropositivo, il 38% risulta positivo al test per l’epatite C e addirittura il 50% risulta essere entrato in contatto con il virus dell’epatite B mentre il 7% presenta l’infezione in atto. Dati questi che, però, gli esperti reputano sottostimati fino al terribile sospetto che, nelle carceri, i sieropositivi possano essere uno su dieci. Inoltre, il test cutaneo per evidenziare la presenza del virus della tubercolosi, è risultato positivo nel 18% dei detenuti. Ma come intervenire? Con nuove strutture come suggerisce Castelli? Per Paolo Cento dei Verdi non c’è alternativa ad un provvedimento di amnistia o indulto. Ma anche l’avvocato Carlo Taormina, di FI, ipotizza soluzioni analoghe e denuncia l’abuso, da parte dei magistrati, della custodia cautelare.

Lecce: lettera dal carcere denuncia "la posta non arriva"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 11 giugno 2005

 

Sabato 4 giugno, nel pomeriggio, una battitura alle sbarre viene fatta in una sezione A.S., per protestare contro la mancata risposta, da parte della direzione del carcere, alle domandine presentate dai detenuti ed in particolare alle richieste di telefonate. Dopo la battitura, sale un ispettore e dice che le telefonate non potranno essere effettuate con certezza, dal momento che un virus ha colpito il computer del centralino.

Domenica 5 giugno vengono fatte fare molte delle telefonate richieste, ma a pomeriggio una nuova battitura coinvolge tutte e sei le sezioni A.S., stavolta per protestare contro la mancata consegna della corrispondenza: dal 31/5 infatti non viene più consegnata ai detenuti. Dopo la battitura, il comandante Colazzo (comandante delle guardie a livello regionale) passa per le sezioni e, da tre sezioni su sei, porta via da ogni cella pentole, fornelli e, da alcune, anche le bombolette del gas; poi dà disposizione di portare via anche sgabelli, tavoli e brande, qualora la battitura continuasse. In una cella, per portare via la pentola, viene buttata per terra anche la carne che stava cuocendo. Nasce qualche scazzo e alcuni detenuti vengono portati nelle celle di isolamento.Intanto nelle sezioni dove non sono stati ritirati fornelli e pentole, viene consegnata la corrispondenza. A sera, quelli portati nelle celle vengono fatti risalire e viene consegnata un po’ di corrispondenza anche nelle altre sezioni, mentre prima era stato detto che non ce n’era e che c’era uno sciopero alle poste.

La mattina dopo, prima di scendere all’aria, vengono riconsegnati fornelli, pentole e bombolette del gas. Oggi 6.6.2005, hanno consegnato un po’ di posta, tutta vecchia di almeno una settimana e non delle nostre persone più care.

 

Un detenuto della C.C. di Lecce

Vigevano: teatro - carcere nell’auditorium dei Piccolini

 

L’Informatore, 11 giugno 2005

 

Martedì scorso presso l’Auditorium del carcere dei Piccolini di Vigevano si è tenuta una satira grottesca sul potere. La "pièce" teatrale "Ubu a Vigevano" è stata tratta liberamente da Andrea Cereda dal testo francese "Ubu Re" di Alfred Jarry. Un lavoro confezionato al maschile dove anche le parti destinate a ruoli femminili diventavano ancor più grottesche proprio perché interpretate da uomini che esibivano atteggiamenti lontani dalla gestualità che ci regalano le donne.

Un grottesco che ha saputo costruire l’azione teatrale come proiezione della psicologia delle passioni umane che perdono la loro dimensione umana per assumere caratteristiche bizzarre che si riproducono in quei corsi e ricorsi storici, in quella real politik dell’assolutismo del potere privo di qualsiasi controllo, quell’alternanza di potere che è avvenuta attraverso regicidi e omicidi e non per processi democratici. Gli interpreti, tutti bravi, e che qui elenchiamo nei nomi di Francesco, Franco, Gaetano, Bartolo, Roberto, Jabel, Raduan, Marco e Marco, Gaspare e Emiliano, sono in parte detenuti e in parte componenti della Compagnia teatrale "ditta Gioco e Fiaba", che produce spettacoli teatrali per biblioteche, scuole e istituti assistenziali.

La preparazione è durata quattro mesi, per uno spettacolo che ha riempito l’Auditorium di centinaia di detenuti, di operatori sociali che operano all’interno della struttura, di pubblico ammesso e di autorità che non hanno mancato di applaudire attori, testo, scenografie, luci e trucchi. La sala recepiva l’intensa atmosfera che segnava il confine tra valori diversi, quando le battute sulla riforma della giustizia, sulle gabelle di chi le pagava e di chi le percepiva, portava a batter le mani una parte di pubblico che aveva subito sulla propria pelle e sulla rinuncia alla libertà la giustizia di uno Stato di diritto. Si percepiva chiaramente il dissenso, ma non l’anarchia di chi aveva rotto con la legge. Uno spettacolo che ha offerto una scuola di educazione sociale e ci convince come certe iniziative portano successo tra chi ha coscienza e conoscenza di metodi educativi.

Tra le autorità presenti, il vescovo monsignor Claudio Baggini, che nel suo breve messaggio ha chiamato "fratelli" e "sorelle" quelle persone più sfortunate di noi. Sono seguiti parecchi interventi significativi: tra l’altro quello della professoressa Maria Grazia Dallera, preside dell’istituto "Casale", che sta portando a compimento il progetto "Sirio" e quest’anno diplomerà i primi ragionieri tra gli allievi detenuti.

Papillon Rebibbia: emergenza carceri, un appello alla concretezza

 

Comunicato stampa, 11 giugno 2005

 

Considerando che alla vigilia dell’estate è consuetudine abbastanza diffusa rilanciare l’allarme sulla situazione delle carceri (da alcuni in perfetta buonafede, da altri per normale speculazione politica e da altri ancora per il meschino scopo di lucrare un po’ di soldi pubblici) noi detenuti ci permettiamo di tornare a chiedere una seria e pacata riflessione tra tutte le forze parlamentari sulla necessità di un reale provvedimento di "Amnistia e indulto per tutti; nessuno escluso", che sia la base di partenza per quelle riforme da tutti e da tempo auspicate.

Ci rendiamo conto che parlare apertamente di Amnistia e indulto e affrontare concretamente in Parlamento una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile, ma non per questo è tollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità. A meno che, per puri fini di speculazione politica/elettorale, non si voglia continuare a vendere ai Cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi "fuorilegge" è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto Diritto alla sicurezza quotidiana.

Del resto, non siamo soltanto noi detenuti e la Chiesa Cattolica a sottolineare il limite di guardia ormai raggiunto nelle carceri. Anzi, un dato importante della nuova situazione è che oggi alcuni tra i più importanti sindacati del personale penitenziario riconoscono che per ristabilire nelle carceri un equilibrio minimamente accettabile occorrono misure che alleggeriscano davvero un sovraffollamento di oltre 15.000 detenuti.

Ecco perché, nel mentre rinnoviamo a 360° i nostri appelli, ci sentiamo vicini alle migliaia di Cittadini e ai tanti Giuristi, Avvocati, Parlamentari e Consiglieri degli Enti Locali che domani scenderanno in piazza a Napoli contro l’imbarbarimento del Diritto, la criminalizzazione di tutte quelle figure sociali che sono costrette ad organizzarsi e a lottare per vedere riconosciuti i loro più elementari Diritti (casa, lavoro, reddito) e per un provvedimento generale di amnistia e indulto come primo passo per affrontare la drammatica realtà delle carceri italiane.

La manifestazione di domani a Napoli, se saprà mantenere con autonomia e coerenza gli obiettivi su cui nasce, potrebbe costituire il primo significativo passo per rilanciare un’ampia battaglia di civiltà contro lo stravolgimento del Diritto (Diritto Costituzionale, Diritto Penale, Diritti civili, Diritto del Lavoro e Diritto Penitenziario) a cui potrebbero partecipare i più diversi e in parte persino opposti soggetti sociali, politici, culturali, sindacali e religiosi. In tale battaglia di civiltà, la richiesta di un provvedimento di "Amnistia e indulto per tutti, nessuno escluso" potrebbe costituire appunto uno dei più importanti obiettivi unitari tra forze anche molto diverse tra loro.

Davanti alla difficile situazione degli Istituti Penitenziari, che possiamo definire senz’altro vicina alla soglia di emergenza, ci permettiamo inoltre di rivolgere un appello a tutti gli Operatori Penitenziari e a tutta la Magistratura di Sorveglianza italiana affinché recuperino completamente la lettera e lo spirito di tutte le Leggi che permettono l’applicazione di varie misure trattamentali e di misure alternative al carcere (liberazione anticipata, permessi premio, affidamento in prova ai Servizi Sociali o alle Comunità Terapeutiche, Lavoro Esterno, Semilibertà) e il differimento della pena per casi di incompatibilità con la detenzione.

Un appello particolare lo rivolgiamo anche a tutti gli Uffici preposti a vigilare sul corretto utilizzo della custodia cautelare in carcere, affinché siano posti finalmente dei limiti ad un suo utilizzo davvero scriteriato che riempie gli istituti penitenziari di oltre ventunomila detenuti, ben sapendo che statisticamente è provato che oltre la metà risulteranno innocenti.

Vista l’emergenza sanitaria in corso, che non permette a nessuno di trastullarsi in reciproche e sterili accuse di sapore elettorale, ci rivolgiamo infine al Ministro della Salute, On. Francesco Storace, e a tutte le Giunte e i Consigli Regionali affinché rivolgano unitariamente un appello al Presidente del Consiglio e al Ministro della Giustizia chiedendogli di porre straordinariamente almeno 2/3 dei circa ottanta milioni di Euro della "Cassa delle Ammende" (soldi già oggi fruibili immediatamente) a disposizione di interventi sanitari urgenti per i prossimi quattro mesi in istituti penitenziari delle diverse regioni ove sarebbero immediatamente necessari più medici, più infermieri e più medicinali. Ovviamente una siffatta copertura di questa emergenza non risparmia alle Regioni l’onere di compiere al più presto passi concreti e verificabili nella sanità penitenziaria.

Come si può vedere, non stiamo chiedendo la luna, ma la riapertura di una discussione sganciata dalla demagogia elettorale, l’applicazione piena ed integrale di leggi che già sono in vigore da anni e una serie di immediati e concreti atti amministrativi.

Oristano: un grande carcere? La preoccupazione del sindaco

 

L’Unione Sarda, 11 giugno 2005

 

"Siamo contrari alla costruzione di una grande struttura carceraria a Massama, temiamo l’arrivo di centinaia di detenuti anche pericolosi e possibilità di inquinamento sociale". La denuncia è del sindaco di Cabras, Efisio Trincas e lascia intravedere sullo sfondo pericolosi contraccolpi sullo sviluppo turistico del Sinis e ripercussioni di carattere sociale sul territorio. Per questa ragione ora vuole vederci chiaro sulla costruzione del nuovo carcere di Oristano. "La mia paura è che vogliano costruire un grande carcere e possano arrivare centinaia di detenuti da ogni parte di Italia. Investirò del problema il ministero dell’Interno e il sindaco di Oristano - ha detto il primo cittadino, aprendo una sorta di contenzioso con i cugini del capoluogo - per avere maggiori ragguagli sul progetto della nuova struttura carceraria, in particolare sulle sue dimensioni". È noto infatti che l’area individuata dal Comune di Oristano, d’intesa con gli organi ministeriali, è quella di Massama. "A due passi da Oristano - osserva Efisio Trincas - ma anche a un tiro di schioppo da una zona che punta al turismo per il suo sviluppo". A prima vista non ci sarebbe problema, anche i funzionari ministeriali hanno giudicato il sito della frazione di Massama idoneo per accogliere la nuova struttura carceraria. Quello che preoccupa - osserva Trincas - è l’ampiezza dell’area destinata al penitenziario. Otto ettari, ottantamila metri - continua - sono tanti, mi lasciano pensare a una grande struttura destinata a ospitare centinaia di detenuti.

Beh, in assenza di dettagli, lasciatemi dire che sono preoccupato perché verrebbe a crearsi un problema che supera i confini del Comune di Oristano per coinvolgere anche Cabras e gli altri centri del circondario". Efisio Trincas chiederà ora al Ministero dell’interno e al suo omologo di Oristano di avere maggiori ragguagli sul tipo di struttura. Sarà un carcere giudiziario oppure che cos’altro? "Riabilitativo - secondo le informazioni che mi sono pervenute, dice il primo cittadino - dunque un penitenziario, una sorta di Alcatraz. Non proprio il massimo per un territorio che guarda al turismo".

 

 

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