Rassegna stampa 25 gennaio

 

Reggio Emilia: arrestato per minacce a farmacista s'impicca in cella

 

Il Resto del Carlino, 25 gennaio 2005

 

L’essere finito in carcere ha fatto precipitare una situazione forse già instabile e si è tolto la vita, impiccandosi con i lacci delle scarpe in una fredda cella della Pulce. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno trovato quando ormai era troppo tardi e al medico non è rimasto che constatare il decesso.

Sabato pomeriggio, poco dopo l’ora di pranzo, un uomo di 43 anni (del quale non pubblichiamo le generalità per tutelare la figlia minore) si è tolto la vita. Tra le cause scatenanti forse anche l’onta di essere finito dietro alle sbarre agli occhi della figlioletta, che adorava.

Era stato arrestato venerdì mattina dopo aver tentato di rapinare una farmacia a Borzano di Albinea. Voleva un farmaco, ma non aveva la ricetta. Davanti al rifiuto del farmacista, ha estratto un coltello da cucina, di quelli con la punta arrotondata. Immediatamente immobilizzato dal titolare, ha atteso in modo pacifico l’arrivo dei carabinieri che l’hanno arrestato per tentata rapina e portato in carcere.

 

L’ultima telefonata

 

Era già dietro le sbarre quando ha telefonato alla moglie. "Non riesco ad andare a prendere la bambina a scuola - le avrebbe detto -. Per favore, pensaci tu". Nessun accenno a dove fosse e perché. Non voleva che la figlia sapesse quello che aveva fatto.

All’indomani, non avendo più notizie del marito, la donna ha telefonato ai carabinieri. Solo allora ha saputo dell’arresto. Da lì a poche ore l’uomo si sarebbe tolto la vita. L’udienza di convalida dell’arresto era in programma per ieri, ma non ha voluto attendere. La notizia della morte è arrivata nella casa della coppia, in un anonimo condominio poco fuori dalle mura cittadine, sotto sera. Poche parole per telefono: "Suo marito è morto, si è suicidato".

Parola all’avvocato. "Presenteremo un esposto alla Procura (il titolare dell’inchiesta è il sostituto procuratore Luciano Padula, ndr) affinché questo accerti, anche tramite autopsia, se l’arresto è stato legittimo, se lo stato psichico e emotivo dell’indagato al momento dell’ingresso in carcere è stato sottovalutato e se i soccorsi sono stati efficaci e tempestivi". La vedova ha affidato all’avvocato Maria Napolitano il compito di far luce sull’intera vicenda. "Con ogni probabilità sarebbe uscito dal carcere oggi (ieri, ndr) - continua il legale -.

Era incensurato e non ha opposto resistenza, elementi che ci fanno pensare che il suo stato psichico e emotivo dovesse escludere la detenzione per 48 ore. Depositeremo anche un’istanza per avere la copia integrale del procedimento penale a carico della vittima. Voleva un farmaco per il quale non aveva la ricetta, e dalla reazione che ha avuto possiamo desumere uno stato di dipendenza. Chiederemo infine di sentire i farmacisti. Era un padre di famiglia, incensurato, ha estratto un coltello innocuo e ha atteso in modo pacifico l’arrivo dei carabinieri. Era disperato. Occorrevano cautele diverse".

Firenze: donna polacca muore di freddo in un vagone merci

 

Redattore Sociale, 25 gennaio 2005

 

"Non esiste l’emergenza freddo, esiste un’emergenza sociale a cui rispondere con l’accoglienza come dovere civico e morale che prescinde da un permesso di soggiorno, dall’età, da un’iscrizione". L’associazione Aurora - onlus, centro diurno, attivo da anni a Firenze accanto a chi vive l’emarginazione – torna a ribadire i concetti che stanno alla base del suo impegno all’indomani dell’ultima storia di abbandono e solitudine.

Una donna polacca di 58 anni (di nome Danka, secondo le informazioni fornite all’associazione da un’altra persona polacca che la conosceva) è stata trovata senza vita lo scorso 20 gennaio dentro un vagone merci alla stazione fiorentina di Campo di Marte. Sono ancora poche e confuse le informazioni raccolte dall’Aurora. La donna era arrivata in Italia lasciando in Polonia due figlie, non era riuscita a trovare un lavoro, a costruire un percorso di vita e a mettersi in contatto con chi poteva darle un aiuto. Viveva per strada e dipendeva dall’alcol, era conosciuta per la sua abilità a dipingere (dicono di lei che "aveva l’oro nelle mani"), ritraeva le chiese della città.

"Purtroppo dobbiamo prendere atto del fatto che quest’anno il Comune ha fortemente ridotto i posti letto dell’emergenza freddò per le persone senza fissa dimora - commentano dall’Aurora -. Sono 88 i posti per gli uomini, 20 quelli per le donne, la metà rispetto allo scorso inverno. Sono sempre occupati e comunque insufficienti per far fronte ai bisogni della circa 300 persone che dormono per strada".

ciò si aggiunge il fatto che, stando alle previsioni meteorologiche, nei prossimi giorni assisteremo ad un ulteriore brusco abbassamento delle temperature, con la conseguenza di veder peggiorare una situazione già critica. "È quindi urgente che il Comune predisponga, come ha pensato la città di Roma, un piano di emergenza mettendo a disposizione tendoni, individuando immobili - chiese sconsacrate, caserme, palestre - per accogliere quante più persone possibili e fornire bevande, coperte, assistenza sanitaria. Si potrebbe anche pensare ad un luogo, da affiancare al nostro, per approntare un momentaneo centro diurno antifreddo".

Ma il problema più profondo va oltre l’emergenza. "Il Comune dovrebbe provvedere a garantire una o più strutture attive come centri diurni a bassa soglia, a cui chiunque possa accedere in qualunque momento, che siano quindi aperte il più possibile anche in orari non convenzionali. È necessario prima di tutto abolire i requisiti per l’accesso, l’accoglienza deve essere aperta a tutti, indipendentemente dall’età, dal permesso di soggiorno, dalla presenza dell’iscrizione".

L’Aurora lancia dunque l’appello per una nuova politica sociale che preveda anche affitti popolari per una certa fascia di persone senza fissa dimora ("nuove povertà"), che si trovano a dormire per strada ma che potrebbero essere in grado di pagare un affitto sociale. Intanto ieri si è svolta una riunione alla presenza dell’assessore alla marginalità sociale, Lucia De Siervo, del Presidente Polo Marginalità, Francesco Colonna, e degli operatori di Ronda della Carità, Angeli della Città, Caritas. L’Aurora e le altre realtà di volontariato hanno ribadito i punti centrali della questione, chiedendo anche la possibilità di mettere a disposizione per segnalazioni e interventi il numero verde (800.055055) attualmente attivo per avere varie informazioni di natura tecnica.

A chiusura della riunione di ieri l’amministrazione comunale ha messo a disposizione 2 posti per donne alla struttura di San Paolino (Via del Porcellana, un posto è stato subito destinato dall’associazione ad una ragazza di 21 anni rumena con gravi difficoltà mentali) e 10 posti letto all’Istituto per uomini Montedomini (anche questi sono stati immediatamente occupati da persone in grave disagio), probabilmente ulteriori posti coinvolgeranno l’Albergo Popolare e altre strutture, su cui è in corso la valutazione. Inoltre nella sera di ieri gli assessori De Siervo e Cioni hanno accompagnato i volontari della Ronda e gli Angeli in un "sopralluogo", cercando di avvicinare e di avviare un contatto con le persone in strada. Con loro anche uomini della Protezione Civile che hanno messo a disposizione coperte.

Milano: tavolo di lavoro ministeriale per trasferire San Vittore

 

Ansa, 25 gennaio 2005

 

Un tavolo istituzionale per verificare la possibilità di limitare i vincoli monumentali del carcere di San Vittore, e trasferire il penitenziario milanese, in tutto o in parte, dall’attuale posizione centrale cittadina ad una zona periferica. È questo il risultato dell’incontro, che si è tenuto a Palazzo Marino, tra il sindaco Gabriele Albertini e i ministri Giuliano Urbani (Beni culturali) e Roberto Castelli (Giustizia).

Secondo fonti ufficiali del ministro Urbani, oggi a Palazzo Marino si sarebbe riaperta in questo modo, con la visita dei due ministri, la discussione sulle sorti dello storico carcere milanese, avviata già anni fa dal sindaco Albertini (che vorrebbe traslocare i detenuti in una zona più periferica e riqualificare urbanisticamente l’area dove ha sede l’istituto di pena).

Il tavolo fra le istituzioni, che sarà allargato anche alla Sovrintendenza di Milano, ha spiegato il portavoce di Urbani, e consigliere di Forza Italia in Comune, Fabrizio De Pasquale, "dovrà condurre ad una verifica delle condizioni che ci sono per rivedere il vincolo su San Vittore".

Per Alberto Garocchio, vicepresidente del gruppo di Fi a Palazzo Marino e membro della sottocommissione Carceri, "oggi è ripreso il confronto su una questione annosa, su cui non siamo pregiudizialmente contrari, basta però che ci dicano dove vogliono ricollocare San Vittore".

Sulla questione è intervenuto anche il consigliere Davide Tinelli (Prc), che fa parte della sottocommissione, sottolineando la propria contrarietà all’operazione, ritenuta "di mera speculazione edilizia, con 35 milioni di euro già stanziati per la ristrutturazione di San Vittore".

Infine, sempre per Tinelli, "eliminare il carcere significherebbe dovere aprire più carceri in città, con meno capacità di accoglienza".

Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha incontrato oggi a Palazzo Marino il sindaco di Milano Gabriele Albertini per discutere della eventuale nuova collocazione del carcere di San Vittore. L’argomento dell’ incontro di oggi è stato riferito dal vicesindaco Riccardo De Corato, che non ha però presenziato alla visita di Castelli a Milano.

Secondo la ricostruzione di De Corato, il motivo della visita di oggi è la ripresa dei confronti istituzionali sull’ipotesi, già affrontata molte volte in passato, di spostare l’attuale sede del carcere di San Vittore in una zona più periferica della città. Su tale ipotesi c’è però la contrarietà della sovrintendente ai beni monumentali milanese Carla Di Francesco, mentre i ministri Castelli, appunto, e Giuliano Urbani, in passato si sono dimostrati favorevoli all’ iniziativa promossa dallo stesso sindaco Albertini. Nei mesi scorsi era stata avanzata l’ipotesi di una città della giustizia, nella zona ovest della città, nei pressi della caserma Perrucchetti.

Sassari: pestaggi in carcere, al processo spunta un memoriale

 

L’Unione Sarda, 25 gennaio 2005

 

Processo aperto e rinviato con in più, agli atti, un memoriale che spunta fuori a sorpresa, presentato da uno dei tre condannati eccellenti per il maxipestaggio di San Sebastiano. Giuseppe Della Vecchia, all’epoca dei fatti, cinque anni fa, provveditore regionale degli istituti penitenziari. Della vecchia sembra deciso a dare battaglia, in sede di appello, affidando la sua versione dei fatti a una manciata di pagine fitte fitte.

Una cartelletta di cui si conosceranno tutti i dettagli già dalla prossima udienza, rinviata al 7 marzo prossimo, a causa di alcuni difetti di notifica. Avvio posticipato di due mesi, quindi, per il processo d’appello per i pestaggi avvenuti nel carcere di San Sebastiano a Sassari il 3 aprile del 2000. Questo secondo appuntamento riguarda i dodici imputati che il 21 febbraio 2003 furono condannati dal giudice delle udienze preliminari Antonio Luigi Demuro con rito abbreviato, e i 48 agenti che invece vennero assolti.

In primo grado le pene inflitte erano comprese tra i 6 e i 18 mesi: quelle più alte furono comminate proprio al provveditore Giuseppe Della Vecchia, a Maria Cristina Di Marzio, direttore del carcere di San Sebastiano, e ad Ettore Tomassi, comandante degli agenti di polizia penitenziaria. Una sentenza arrivata dopo mesi di udienze, spese fra ricostruzioni e testimonianze, con decine e decine di detenuti incalzati dal sostituto procuratore Gianni Caria, che dall’inizio aveva coordinato un’inchiesta che aveva fatto traballare poltrone pesanti.

Alla fine la sentenza aveva scontentato tutti: il pestaggio feroce nei confronti dei detenuti, pronti per un trasferimento, veniva ammesso ma quelle ombre sugli autori materiali, per il gup, erano troppe. Era finita con una manciata di condanne e una raffica di assoluzioni. La motivazione della sentenza era stata oggetto di un ricorso dai toni feroci, in cui il pm sottolineava l’incongruità di una ricostruzione che usava, in molte sue fasi, due pesi e due misure.

All’impugnazione della sentenza da parte del pubblico ministero era seguito l’ovvio ricorso degli agenti di custodia condannati, oltre che dei tre personaggi eccellenti. Da tutti questi giochi a porte chiuse erano rimasti esclusi nove agenti che avevano scelto di andare a dibattimento pubblico. Per loro il processo, stavolta con rito ordinario, prosegue venerdì prossimo. In quell’occasione saranno ascoltati cinque detenuti dei ventotto che si erano costituiti parte civile.

I detenuti ascoltati fino ad oggi hanno raccontato in ogni dettaglio quel pomeriggio terribile, dislocando in qualche caso gli agenti di custodia nei corridoi e nelle sale colloqui n cui sarebbero avvenute le violenze. Racconti precisi e minuziosi, che cinque anni fa erano serviti al magistrato per costruire il castello accusatorio, forte anche dei riscontri, fra deposizioni incrociate e certificati medici. Con l’apertura del processo d’appello ora, per la stessa vicenda, si procede su un doppio binario.

Guantanamo: almeno 23 detenuti tentarono di suicidarsi

 

Repubblica, 25 gennaio 2005

 

Coordinandosi tra loro, cercarono di impiccarsi o di strangolarsi almeno 23 sospetti estremisti islamici rinchiusi a Campo Delta, già Campo Raggi X: il carcere speciale annesso alla base navale americana della Baia di Guantanamo, l’enclave Usa all’estremità sud-orientale di Cuba.

Lo ha reso noto in Florida il tenente colonnello Jim Marshall, portavoce del Comando Sud statunitense, secondo cui gli episodi "simultanei", da lui definiti "autolesionistici", si susseguirono fra il 18 e il 26 agosto 2003, con ben dieci concentrati nel solo giorno 22. Due di essi furono schedati come tentativi di suicidio, ha aggiunto Marshall, ma né quelli né alcun’altra iniziativa analoga è mai giunta a compimento nel discusso centro di detenzione, ove secondo le organizzazioni umanitarie sono violati i diritti fondamentali di difesa, e anche altri; inchieste sono in corso al riguardo da parte delle Forze Armate e del ministero della Giustizia di Washington.

A detta del portavoce del Comando Sud Usa, però, i prigionieri avrebbero in realtà mirato a "sconvolgere le operazioni nel campo e mettere in difficoltà un nuovo gruppo di guardie di sicurezza". Attualmente nella Baia di Guantanamo si trovano incarcerati circa 550 presunti terroristi, per lo più indicati come membri di al-Qaeda o miliziani dell’ex regime afghano dei Talebani, alleati di Osma bin Laden.

Nuoro: caso Acquaviva, secondo difensori agenti non fu pestato

 

L’Unione Sarda, 25 gennaio 2005

 

"L’ordine di sorvegliare il detenuto a vista l’agente Calaresu potrebbe non averlo mai ricevuto, perché era stato impartito a voce e non a lui. Solo l’indomani il direttore del carcere firmò quell’ordine, quando cioè Acquaviva era ormai morto".

Questo il succo della tesi difensiva su cui ieri mattina l’avvocato Giuseppe Luigi Cucca ha basato la sua richiesta di assoluzione per il principale imputato nel processo contro le otto guardie penitenziarie finite nei guai per la morte di Luigi Acquaviva, il detenuto campano trovato impiccato alle sbarre della sua cella di Badu ‘e Carros all’alba del 23 gennaio del 2000. Angelino Calaresu, 41 anni, originario di Desulo, è accusato di omicidio colposo perché - per usare le parole del pm Ornella Chicca - "aveva il dovere di sorvegliare il detenuto e non lo fece".

Su di lui pesa però anche l’accusa contestata agli altri agenti penitenziari (Antonio Deidda, 45 anni, Vittorio Leoni, 46, Giovanni Dessì, 39, Franco Ignazio Trogu, 39, Guido Nurchi, 35, Mario Crobu, 43, Antonio Salis, 43), e cioè quello di aver preso parte al pestaggio a cui Acquaviva sarebbe stato sottoposto la sera prima della sua misteriosa morte (la tesi ufficiale è infatti quella di un suicidio, ma sul punto lo stesso pm ha manifestato più di un dubbio).

Un pestaggio che, nell’impostazione fatta dall’accusa, intendeva vendicare l’onta subita da un collega la mattina del 22 gennaio, quando il detenuto si era armato di lametta e aveva preso in ostaggio per alcune ore la guardia Firinu (situazione risolta solo grazie all’intervento del suo legale, l’avvocato Antonello Spada che adesso, insieme al collega Antonello Cao, tutela i familiari del detenuto). "Se pestaggio c’è stato - ha affermato l’avvocato Cucca ieri mattina - Calaresu non vi prese certo parte, visto che il suo turno di lavoro iniziò a mezzanotte del 22 gennaio".

A negare fermamente la circostanza che il detenuto di San Giuseppe Vesuviano fosse stato malmenato prima di essere spostato nella cella in cui fu trovato morto, la numero dieci del reparto Alta Sorveglianza, sono stati invece i legali degli altri sette imputati (avvocati Antonio Busia, Pasquale Ramazzotti e Lorenzo Soro).

"Quelle lesioni che riscontrarono i periti - ha detto ieri l’avvocato Busia - Acquaviva se le provocò durante la colluttazione che ci fu con gli agenti al momento del suo trasferimento in cella, dopo che aveva rilasciato l’ostaggio". Come spiegare allora il fatto che, attorno alle 18,30 di quel giorno, quando fu visitato dal medico del carcere, ad Acquaviva non furono riscontrate che due banali ferite all’altezza dello zigomo e della gola?

"Perché - ha sostenuto Busia - i segni di quei lividi si manifestarono solo a distanza di qualche ora". Una tesi che cozza chiaramente con quella del magistrato inquirente, il quale, durante la sua requisitoria di venerdì in cui aveva chiesto pene per complessivi 32 anni di carcere, aveva osservato: "Abbiamo la prova che la sera prima dell’impiccamento il detenuto fu picchiato dagli agenti".

Prova che, a parere del pm, è arrivata dalle parole dei periti: "Sul corpo di Acquaviva - spiegarono in aula i medici legali Mingioni e Demontis - rilevammo ecchimosi e lividi, certo non compatibili con l’impiccamento ma piuttosto con calci e pugni, e probabilmente anche con corpi contundenti come manganelli e spranghe o proiezioni contro ostacoli fissi". Il processo proseguirà giovedì alle con l’arringa dell’ultimo difensore, l’avvocato Basilio Brodu e le eventuali repliche. Poi il giudice Elena Meloni si ritirerà in camera di consiglio per la sentenza.

Varese: l’omicida-suicida agli arresti domiciliari aveva già ucciso

 

Corriere della Sera, 25 gennaio 2005

 

Chi ha firmato il provvedimento che consentiva a Efisio Serra, l’autore della strage di venerdì in riva al Ticino, di girare liberamente nonostante fosse agli arresti domiciliari? Da ieri i tribunali di Bologna e di Varese si rimpallano la responsabilità, ma nel capoluogo emiliano sono arrivati gli ispettori mandati dal Guardasigilli Castelli.

Non si sa tuttavia se il blitz è direttamente connesso alla tragedia di Somma Lombardo. Efisio Serra, come è noto, poco prima di Natale aveva lasciato il carcere di Ferrara (dove scontava 9 anni per rapina) ed era stato assegnato agli arresti domiciliari: al beneficio avevano contribuito il fatto che il pregiudicato aveva collaborato con la giustizia e che era in precarie condizioni di salute.

Proprio per quest’ultima ragione l’uomo poteva godere anche di una "libera uscita" dalle 10 del mattino alle 17. È finita che Serra ha sfruttato quella libertà per uccidere la sorella Teresa, la nipote Isabella e una cliente del loro bar, prima di togliersi la vita. Il tutto perché voleva la restituzione di un prestito di 150 mila euro.

I cittadini di Somma e le loro istituzioni, i parenti delle vittime, il mondo della politica hanno chiesto conto dell’opportunità di quel provvedimento che all’inizio pareva fosse stato firmato dai giudici di sorveglianza di Bologna, competenti sul carcere di Ferrara. Ma ieri dall’Emilia una dichiarazione a sorpresa: "Abbiamo sì concesso la detenzione domiciliare - dice Giampietro Costa, presidente del Tribunale di sorveglianza bolognese -, ma le modalità esecutive sono state stabilite dai giudici di Varese, dove risiedeva il detenuto. È altrettanto vero che fa parte dell’istituto della detenzione domiciliare la facoltà di uscire per le esigenze vitali".

Ma a Varese questa versione non collima: dal palazzo di giustizia fanno sapere che il provvedimento riguardante Serra è stato trasmesso da Bologna completo già di tutti i dettagli, compresa la facoltà di uscire durante il giorno, e che qui non è stato più modificato. Il dubbio, dunque, rimane.

Da Bologna, infine, giunge notizia che gli ispettori ministeriali sono arrivati nelle ultime ore proprio negli uffici del tribunale di sorveglianza. Ufficialmente si tratterebbe di un controllo di routine, legato alla concessione di alcuni permessi premio. Tuttavia un’analoga verifica era stata effettuata, nei medesimi uffici, appena quattro mesi fa.

Taranto: ritrovato in una baracca clochard morto da 3 giorni

 

Ansa, 25 gennaio 2005

 

È stato trovato morto su alcuni materassi bagnati, sistemato in una specie di baracca di pochi tufi coperti da una lamiera ondulata; era morto da circa tre giorni. È finito così un clochard di 82 anni, tra i ferri vecchi che raccoglieva in città, in un posto che sembra una discarica di rifiuti, in mezzo ad un uno spiazzo incolto a Taranto.

Milano: il "Bivacco" che da sedici anni accoglie gli ex detenuti...

 

Il Cittadino, 25 gennaio 2005

 

Lavoro e accoglienza: sono gli obiettivi che persegue ormai da 16 anni "Il Bivacco", organizzazione di volontariato sita in via Castellini con una quindicina di soci operativi, che dal 1989 si adopera per la risocializzazione dei detenuti delle carceri del Nord Italia e delle isole (Opera, Bollate, Vigevano, Bolzano, Mamone, Sulmona e Pavia), promuovendo lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.

La storia de "Il Bivacco" è scandita da numerose tappe e innumerevoli iniziative che hanno contribuito a creare, afferma il presidente, Giancarlo Ferrari, con un certo orgoglio, "un unico grande corpo con diverse membra". E così, al nucleo originario, nel corso degli anni si sono aggiunti la cooperativa sociale "Il Bivacco Servizi", che si occupa delle attività di accompagnamento e di tutoring, e la cooperativa sociale "Soligraf", impegnata nel reinserimento lavorativo all’interno del carcere di Opera con la realizzazione di opere in pietra commissionate dalla "Veneranda Fabbrica del Duomo", laboratori di data entry, di lavorazione del legno e del ferro.

Sono quattro le aree in cui paiono maggiormente orientati i volontari: le attività all’interno e all’esterno delle carceri; i corsi di formazione per l’équipe degli educatori; le azioni di sensibilizzazione su tutto il territorio, che prevedono la testimonianza diretta all’interno delle scuole; e da ultimo i progetti orientati verso i minorenni. Negli ultimi tempi l’attività ha conosciuto un’ulteriore qualificazione. Nel 2002 "Il Bivacco" presentato alla regione Lombardia il piano "La mediazione culturale in carcere", con l’opportunità offerta ad alcuni detenuti di acquisire competenze specifiche nell’ambito della mediazione culturale.

Nel 2003, poi, in collaborazione con l’Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini) di Melegnano e completando un progetto dell’Asl locale, ha dato vita ad un percorso sperimentale di sostegno a genitori detenuti e figli nelle relazioni familiari, denominato "Papà è via per lavoro".

L’associazione ha creato inoltre per la provincia di Milano il progetto "Sbarre multietniche", che comporta la sperimentazione di servizi innovativi volti al reinserimento sociale di soggetti extracomunitari, detenuti ed ex detenuti, privi di altra possibilità.

Ed infine, per il comune di Milano, l’iniziativa "Un tetto per tutti", che mira all’accoglimento di persone sottoposte a misure penali e ai propri familiari, prevedendo nel contempo un percorso di recupero individuale. Ma il vero punto di forza dell’associazione è la casa di accoglienza, sempre in via Castellini: costituita da tre monolocali, essa è destinata ad ospitare, durante i permessi premio, tutti quei detenuti sprovvisti di altra adeguata dimora. In attesa di ricominciare una nuova vita.

Cagliari: autobomba al carcere; Sappe, è strategia tensione

 

Ansa, 25 gennaio 2005

 

"È un segnale preciso: c’ è in atto una strategia della tensione contro l’istituzione penitenziaria". Questo il commento della segreteria generale del Sappe sull’autobomba esplosa nella notte davanti al carcere di Cagliari.

"Lo avevamo detto l’ 1 aprile scorso - ricorda il sindacato - in occasione dell’ invio di altri due pacchi bomba al direttore del Dap Giovanni Tinebra ed al direttore dell’ ufficio detenuti Sebastiano Ardita, destinatari delle due videocassette esplosive. Lo avevamo nuovamente sostenuto lo scorso 10 dicembre, in occasione del rinvenimento di una videocassetta esplosiva tra la corrispondenza diretta alla Segreteria generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, a Roma. Lo ribadiamo con forza oggi. Questa ennesima inaccettabile azione minatoria - sottolinea - palesa sempre più un disegno criminoso che ha come obiettivo l’ istituzione carceraria, le sue finalità istituzionali, gli uomini e le donne che con sacrificio per quell’ obiettivo lavorano".

Il Sappe esprime dunque "a tutto il personale che lavora nel carcere Buoncammino di Cagliari la solidarietà degli oltre 12 mila iscritti e ribadiamo che la Polizia Penitenziaria non accetta provocazioni ed intimidazioni da parte di nessuno e continuerà sempre con orgoglio a rappresentare lo Stato democratico e repubblicano come ha sempre fatto".

Bergamo: spettacolo folcloristico al carcere di via Gleno

 

L’Eco di Bergamo, 25 gennaio 2005

 

La Sesta Circoscrizione organizza, venerdì 28 gennaio alle 13.30 alla Casa Circondariale di via Gleno a Bergamo, l’ultimo dei cinque spettacoli aventi per tema: Folklore nei luoghi di solitudine e sofferenza. Interprete di danze e canti regionali del 700-800, il Gruppo vanta la partecipazione di elementi di esperienza nel campo delle manifestazioni folk.

Dopo aver tenuto i precedenti quattro spettacoli presso il Centro Anziani di Celadina, l’Istituto Bonomelli, Villaggio Gabrieli di Via Carnovali e le suore Ancelle del Sacro Cuore di Via Maglio del Lotto, il Gruppo Folkloristico Orobico si esibirà nel Carcere di Via Gleno per i detenuti.

Interprete di danze e canti regionali del 700-800, il Gruppo, composto da 20 - 25 elementi, può vantare la partecipazione di elementi dalla vasta esperienza nel campo delle manifestazioni folkloristiche, avendo partecipato a manifestazioni internazionali in Francia, Spagna, Israele, Brasile e Turchia, portando il messaggio del colore e delle tradizioni di Bergamo.

Argentina: rivolta nel carcere di Victoria, bilancio di due morti

 

Vita, 25 gennaio 2005

 

Si è conclusa con due morti la rivolta scoppiata in un carcere argentino. Una guardia penitenziaria e un detenuto sono morti in una rivolta scoppiata questa mattina nel carcere di Victoria, nella regione di Entre Rios. Lo rende noto l’Adnkronos.

Altre quattro persone sono rimaste ferite, quasi tutti in modo molto grave. Secondo la ricostruzione della polizia, poco dopo la mezzanotte ora locale circa 12 detenuti, tra cui alcuni minori, si sono avventati contro gli agenti mentre stavano per chiudere le celle con armi artigianali, in grado però di uccidere una guardia penitenziaria. La rivolta non si è ancora completamente placata, ma un giudice di sorveglianza sta cercando di dialogare con i capi della protesta.

C.E.I.: necessario "un coraggioso ripensamento del carcere"

 

Redattore Sociale, 25 gennaio 2005

 

Per i vescovi italiani sono necessari "un coraggioso ripensamento del carcere, ricercando anche altre forme alternative di pena; la valorizzazione di itinerari formativi per agevolare, al termine della pena, il reinserimento nel mondo del lavoro; l’opportunità per i detenuti di essere accompagnati nel loro cammino di fede, nonché di essere coinvolti in progetti di solidarietà e carità".

Le conclusioni del Consiglio permanente della Cei sull’importanza della pastorale penitenziaria svolta da cappellani, religiosi e volontari. La sessione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi nei giorni scorsi a Bari, ha dedicato ampio spazio alla riflessione sugli eventi drammatici nel sud-est asiatico e un’attenta analisi delle problematiche sociali e pastorali concernenti la realtà carceraria italiana e la situazione degli italiani emigrati all’estero.

Accogliendo diverse istanze formulate da operatori del settore, il Consiglio Permanente "ha avviato un approfondimento sulla pastorale carceraria, a partire dalla condivisione di esperienze maturate nei contatti personali dei presuli con tali realtà e segnalando i problemi concreti che affliggono i detenuti e coloro che a vario titolo operano nelle strutture penitenziarie, come i cappellani, i volontari e gli agenti di custodia", fa sapere la Cei.

Al termine del confronto sono emerse alcune considerazioni, tra cui "la valorizzazione del tempo del carcere quale tempo di espiazione, ma anche, e soprattutto, di ricostruzione umana e di riscatto; il necessario collegamento tra la realtà carceraria e la società civile". I vescovi si sono soffermati, quindi, sul ruolo del cappellano che, insieme ai volontari, è "espressione della presenza della Chiesa locale nell’ambiente del carcere e annovera tra le sue responsabilità quella di sensibilizzare la comunità cristiana ai problemi della pastorale carceraria, favorendo la crescita di vocazioni al volontariato caritativo e spirituale".

Sul fronte dell’emigrazione, i vescovi sono stati informati sulle problematiche inerenti l’assistenza spirituale degli emigrati italiani nel mondo, con un particolare sguardo alla situazione nell’Unione Europea. È stato ricordato che ci sono quasi 4 milioni di cittadini italiani nel mondo (e circa 50 milioni sono i discendenti da italiani). Si assiste, oggi, "a fenomeni di nuove mobilità, più qualificate a motivo di progetti formativi e di mobilità di lavoro qualificato, a cui tuttavia continuano ad affiancarsi situazioni di precarietà e di emarginazioni - hanno osservato i vescovi -.

Per gli emigrati italiani nel mondo oggi si contano 461 tra centri, parrocchie, missioni e altre strutture che forniscono una cura pastorale anche in lingua italiana; vi operano 516 sacerdoti, 166 suore e 45 operatori laici". Tuttavia si avverte "la difficoltà di garantire sacerdoti e religiosi per queste comunità italiane all’estero, specie per le 214 missioni in Europa".

Già nella precedente sessione del Consiglio Permanente si suggeriva alle Conferenze Episcopali Regionali di "farsi garanti di preti accompagnatori e, se possibile, in numero proporzionale ai battezzati della propria Regione che vivono all’estero". In questa circostanza si è ribadita l’intenzione di incoraggiare l’invio di sacerdoti al servizio temporaneo di Chiese sorelle in Europa, "sia come opportunità di formazione per il clero diocesano sia al fine di evitare la chiusura di missioni pastorali in città importanti".

Padova: cittadino prossimità tra clandestini, economia sommersa

 

Il Gazzettino, 25 gennaio 2005

 

Palazzo Santo Stefano ha ospitato, ieri mattina, la presentazione della tavola rotonda dal titolo "Immigrazione irregolare, microcriminalità, economia sommersa nella provincia di Padova: il ruolo del cittadino di prossimità nella società civile", che si terrà giovedì dalle 17 al circolo unificato del presidio militare di Prato della Valle. All’appuntamento in Provincia hanno partecipato l’assessore regionale ai Flussi Migratori Raffaele Zanon e gli assessori provinciali Flavio Manzolini (Identità veneta e Immigrazione e relazioni con gli stati esteri di provenienza) e Mario Verza (Trasporti pubblici).

"Giovedì sarà un incontro importante - spiega Manzolini - perché a Padova il fenomeno dell’immigrazione è in continuo aumento e di conseguenza abbiamo una crescita della criminalità. È necessario controllare i flussi migratori direttamente dall’estero". Nella stessa lunghezza d’onda Mario Verza: "L’immigrazione clandestina, oltre ad incrementare la criminalità, diventa un volano per l’economia sommersa.

Di questi fondamentali temi si parlerà giovedì prossimo. Dobbiamo anche valorizzare lo spirito di accoglienza, ma bisogna nello stesso tempo salvaguardare la sicurezza". Ricorda alcuni dati Raffaele Zanon: "Nelle carceri venete sono presenti 2.782 detenuti e il 51 per cento sono stranieri. L’immigrazione irregolare fa aumenta la criminalità e in un immediato futuro i flussi migratori dovranno essere regolati dal mercato del lavoro.

La tanto vituperata legge Bossi-Fini ha ridotto la clandestinità di un terzo. Il rigore paga ed è nello stesso tempo una forma di rispetto per chi viene in Italia a lavorare". Il convegno (l’entrata è gratuita, ma è gradita la giacca e la cravatta) patrocinato da Provincia, Regione e Comune, aprirà un ampio spazio al progetto di collaborazione tra i vari corpi di polizia esteri nel tentativo di controllare insieme alle nostre forze dell’ordine l’immigrazione clandestina.

Catania: un computer e tanti libri per i detenuti di Bicocca…

 

La Sicilia, 25 gennaio 2005

 

La solidarietà non è fatta solo di eventi clamorosi e di raccolta di fondi, ma anche della spontaneità di alcuni gesti che per la loro naturalezza diventano tanto più importanti. È con questo spirito che l’assessore comunale al Bilancio, Nino D’Asero, ha avviato il progetto "Bilancio e solidarietà" che, ieri mattina, si è arricchito di un nuovo appuntamento.

Dopo i detenuti del carcere di piazza Lanza ai quali l’assessore D’Asero aveva consegnato, appena qualche giorno prima del Natale, attrezzature informatiche e volumi della biblioteca delle scomparsa Ivana Golino, ieri mattina, una tappa analoga si è svolta nell’istituto penitenziario di Bicocca. Stavolta le attrezzature informatiche erano state donate dalla preside dell’Einaudi, Rosalba Camilleri, espressamente per i detenuti della casa circondariale di massima sicurezza, mentre le centinaia di libri consegnati oltre che dal cuore grande e generoso di Ivana Golino, sono stati regalati da altri privati cittadini.

L’iniziativa "bilancio e solidarietà", conferma quindi il successo ottenuto lo scorso mese, confermato dall’entusiasmo dimostrato dai detenuti che hanno apprezzato moltissimo la vicinanza espressa dalla cittadinanza e dall’Amministrazione comunale. Oltre all’assessore D’Asero, alla cerimonia di consegna direttamente nelle mani del direttore del carcere di Bicocca, Giovanni Rizza, erano presenti anche l’europarlemantare Giuseppe Castiglione, il viceprefetto di Catania Stefano Trotta. Ciascuno a testimoniare la volontà delle istituzioni di portare avanti iniziative di solidarietà nei confronti dei detenuti. E così, nei prossimi giorni, un gruppo di insegnanti di informatica, coinvolti dall’assessorato nell’ambito dello stesso progetto, presteranno volontariamente il proprio tempo per l’avvio di corsi ad hoc per i carcerati. Si sta inoltre studiando la possibilità di promuovere analoghe attività nei quartieri della città particolarmente a rischio di devianza giovanile, coinvolgendo e impegnando i ragazzi e sottraendoli dalla strada.

"Il nostro progetto - ha spiegato l’assessore D’Asero - mostra come si possa fare solidarietà senza incidere sul bilancio comunale. Abbiamo adottato una politica di sensibilizzazione che Catania ha recepito molto bene. Siamo orgogliosi del successo ottenuto da queste iniziative e del sorriso che con queste abbiamo dato a coloro che vivono situazioni meno fortunate. Tutto ciò non può far altro che spingerci in questa direzione con ancora più entusiasmo, promuovendo nuovi progetti e nuove iniziative in favore di chi soffre".

Brescia: dopo aver ferito moglie tenta di impiccarsi in carcere

 

Giornale di Brescia, 25 gennaio 2005

 

Ha tentato di farla finita impiccandosi alla branda della cella con la cintura di un accappatoio. Ed è salvo per un soffio il pensionato di Castelcovati che giovedì 20 gennaio era stato arrestato per aver ferito con una coltellata la moglie. Ora il sessantacinquenne finito a Canton Mombello (nella foto) con l’accusa di tentato omicidio è ricoverato in rianimazione ma è fuori pericolo.

Pare però che per parecchi minuti sia rimasto attaccato per il collo al letto a castello, senza che i compagni di cella si accorgessero di nulla. È stato salvato da una guardia che ha guardato nello spioncino e lo ha visto ormai cianotico.

Pochi minuti dopo non ci sarebbe stato più nulla da fare. L’inquietante tentativo di suicidio è avvenuto sabato 22 gennaio poco dopo le 7 del mattino. Il pensionato aveva trascorso la sua seconda notte in cella dopo l’arresto per quella coltellata, obiettivamente non gravissima, che aveva fatto finire la moglie all’ospedale con una prognosi di 40 giorni; era con tre compagni e anche se a lui erano stati tolti stringhe, cintura e qualsiasi altra cosa utilizzabile per autolesionismo, nella cella c’erano gli accappatoi con tanto di cintura degli altri detenuti.

E mentre i compagni dormivano, il sessantacinquenne ha preso una di queste cinture, se l’è annodata al collo e l’ha quindi attaccata alla parte alta della branda lasciandosi poi scivolare giù dal letto. Pare che non abbia rantolato, e i tre compagni non si sono svegliati anche perché pare che tutti utilizzino ansiolitici e sonniferi per dormire meglio.

Poco dopo una guardia è intervenuta e il pensionato è stato soccorso. Era in condizioni molto gravi ed è stato portato al Civile e ricoverato in Rianimazione. Solo ieri, dopo due giorni, i medici hanno comunicato che la prognosi resta riservata ma che l’uomo non è più in pericolo di vita. Poteva finire peggio, quindi, ma si poteva evitare? Sulla vicenda ora indaga il pm Federica Ormanni, titolare anche dell’inchiesta sul ferimento della moglie del pensionato, ma alcune indiscrezioni emerse ieri fanno pensare che l’uomo avesse dato tali segni di squilibrio da meritare una sorveglianza speciale, una visita e un trattamento farmacologico se non addirittura un ospedale invece del carcere.

Pare che il sessantacinquenne, fin dal momento dell’arresto, avesse dato chiari segni di confusione. Appariva spaesato, quasi non sapeva dove si trovasse, dice chi lo ha incontrato nelle 36 ore trascorse a Canton Mombello. Pare addirittura che avesse ripetutamente detto di volerla fare finita. Anche la spiegazione dell’accoltellamento della moglie sembra confermare uno stato psichico a dir poco confuso. L’uomo ha parlato di gelosia ma tutto fa pensare che si tratti di una sua fissazione.

Caltanissetta: agente polizia penitenziaria ucciso da un collega

 

Tg Com, 25 gennaio 2005

 

Un agente della polizia penitenziaria è stato ucciso a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Si tratta di Pino Votadoro, un 40enne che prestava servizio nel carcere di Caltagirone. Poco dopo l’omicidio, un collega della vittima, Rocco Alesi, si è presentato al commissariato della Polizia di Stato e ha confessato di essere il responsabile del delitto. Sembra che tra i due ci fossero dissapori a causa di un prestito di denaro.

La vittima è stata colpita con un proiettile di pistola alla tempia mentre si trovava nella sua auto, una Golf, lungo la strada provinciale 10, tra Caltagirone e Niscemi. Le fasi dell’omicidio sono state ricostruite alla polizia dallo stesso omicida che avrebbe detto di aver premuto il grilletto per errore, avendo preso in mano la pistola d’ordinanza solo per intimorire la vittima che gli doveva circa 20 mila euro.

"Ho aspettato il collega - ha detto Alesi alla polizia - lungo la strada provinciale e ho fermato la sua auto. Poi sono sceso per discutere: mi doveva ridare circa 20 mila euro che gli avevo prestato perché si trovava in cattive condizioni economiche. Lui mi ha risposto che non aveva i soldi ed io ho estratto la pistola per minacciarlo, ma non volevo ucciderlo. Poi è partito il colpo". Dopo l’omicidio, Rocco Alesi si è diretto nel commissariato di polizia di Niscemi dove ha raccontato il tragico episodio. Entrambi gli agenti penitenziari sono sposati e con figli.

Minori: una cattiva idea di giustizia, così vengono lasciati soli

di Don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria

 

Corriere della Sera, 25 gennaio 2005

 

Quando degli adolescenti si comportano in maniera scorretta è sempre necessaria una risposta degli adulti. Il perdonare senza condizioni non solo diventa una specie di incitamento a ripetere gli stessi comportamenti, ma viene vissuto dagli stessi ragazzi come un giudizio, offensivo, di non considerazione.

Detto questo, la scelta deve avere delle caratteristiche almeno potenzialmente educative. Nel caso di Cesano, dopo molte discussioni, la risposta del consiglio di classe è stata seccamente negativa: 5 giorni di sospensione a casa. Al rientro, si vedrà. Stiamo parlando di due ragazzini che hanno meno di 14 anni, e che a casa forse saranno seguiti dai genitori o forse lasciati soli.

Sarebbe stato tanto semplice sospenderli con obbligo di frequenza, invece che lasciarli in giro o davanti alla televisione. Si sarebbe potuto mobilitare i compagni per ridipingere insieme gli ambienti danneggiati, dando vita a una impresa educativa e forse a un divertimento per tutto il gruppo.

Non si capisce invece a quale crescita o riparazione possa servire la sospensione secca. Non è la prima volta che questa cattiva idea di giustizia si afferma tra gli adulti, in difficoltà a punire in casa propria, ma giudici inesorabili dei figli degli altri. I nostri ragazzi non hanno bisogno di adulti semplicemente amici né semplicemente giudici: hanno bisogno di adulti capaci di chiamare le azioni sbagliate con il loro nome, ma preoccupati di aiutare la loro crescita, di essere con serietà e competenza dalla loro parte. Le punizioni devono servire ai ragazzi, non agli adulti.

Padova: Max Gallob (CSO Pedro); il Comune non aiuta senzatetto

 

Il Gazzettino, 25 gennaio 2005

 

L’operazione "Siberia 2005" è proseguita anche nel fine settimana. No Global e militanti di Razzismo Stop hanno continuato ad ospitare nelle loro sedi (è stato aperto pure il Cso Pedro), i senzatetto della città, una ventina tra italiani ed extracomunitari.

I "disobbedienti" sono riusciti ad avvicinare più di 150 vagabondi: "Noi continueremo - spiega il leader del Pedro Max Gallob - ad accogliere i senza fissa dimora fino a quando la temperatura sarà così bassa. Girando per Padova di notte ci siamo accorti del lavoro che le istituzioni svolgono per questi disperati e quello che abbiamo potuto osservare non è esaltante.

Il minibus di Aps Mobilità voluto dal Comune dove all’interno c’è solo un autista di Aps non fa altro che caricare alcuni senza tetto per poi depositarli in stazione. Sinigaglia aveva detto che la stazione sarebbe rimasta aperta tutta la notte. In realtà a mezzanotte e 44 minuti la sala d’aspetto viene chiusa e i vagabondi si riversano di fronte le biglietterie. È una vergogna. La cosa più incresciosa è avvenuta, invece, in centro nei pressi della questura dove dei vigili urbani hanno tolto le coperte ad un paio di extracomunitari che dormivano sotto un portico. Cacciamo i barboni per preservare il salotto di Padova".

I No Global, da martedì, escono tutte le sere divisi in tre unità ognuna composta da cinque operatori e si spostano per le strade della città usando un furgone e due macchine. Hanno trovato diverse situazioni di disagio e non sono mancati i momenti di tensione. "Molti di questi vagabondi - afferma Gallob - hanno paura ed avvicinarsi non è facile, ma ormai sanno chi siamo e ci riconoscono. Siamo riusciti a perlustrare buona parte della città e devo dire che le zone dove abbiamo trovato più senza tetto sono piazzetta Conciapelli e sotto i palazzi del polo bancario vicino alla stazione.

Abbiamo aperto il centro sociale perché lo usiamo come base operativa e diamo una possibilità ai giovani che vengono al fine settimana a sentire i concerti di poter partecipare all’operazione Siberia 2005. Molti studenti non sanno di questa realtà, ma una volta venuti a conoscenza si interessano e vogliono parteciparvi. Per chi sta fuori al freddo senza un tetto sulla testa - conclude Gallob - bisogna fare qualcosa e non cadere nel ridicolo come il minibus di Aps". All’operazione "Siberia 2005" continuano a partecipare anche i Verdi, mentre per ogni tipo di segnalazione, aiuto ed offerta basta chiamare il telefono Bianco 049.775372.

 

 

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