Rassegna stampa 20 gennaio

 

Cagliari: Camera Penale;

a Buoncammino nessun diritto per i detenuti

 

Ad Maiora Media, 20 gennaio 2005

 

"A Buoncammino, come in tutte le carceri sarde, c’è un paradosso: le persone sono rinchiuse nella struttura perché non hanno rispettato la legge e poi è lo Stato stesso che, all’interno delle prigioni, non osserva le norme che garantiscono il diritto al lavoro, alla salute e all’istruzione". Lo affermano gli avvocati della camera penale di Cagliari, sentiti in audizione dalla commissione "diritti civili" della Regione.

Le precarie condizioni delle strutture sono aggravate dalla complicatissima burocrazia carceraria che rende impossibile un trattamento umano. Per Leonardo Filippi, presidente della Camera penale di Cagliari, servono istituti nuovi e moderni. Filippi ha ricordato che il campo di calcio del carcere non è agibile e che nella biblioteca non si può accedere perché mancano le guardie. Inoltre, ha sottolineato, "a Buoncammino il detenuto passa gran parte del suo tempo in ozio, sdraiato sulla sua branda, perché nella cella non c’è spazio per stare in piedi". Situazioni difficili sottolineate anche dagli avvocati Roberto Sorcinelli, Rosanna Mura e Antonio Incerpi.

La commissione ha chiesto al presidente della camera penale di preparare un dossier sui "diritti negati" ai detenuti per avviare una collaborazione più stretta tra l’organismo del Consiglio, gli avvocati penalisti e il volontariato delle carceri.

Giustizia: Cossutta; piena solidarietà a infermieri penitenziari

 

Ansa, 20 gennaio 2005

 

"Esprimo piena solidarietà a Marco Poggi, segretario nazionale del sindacato degli infermieri (SAI), e a Sandro Quaglia, suo vice, che stanno conducendo una protesta più che giustificata e sacrosanta". Lo ha comunicato in una nota Maura Cossutta, responsabile nazionale stato sociale del partito dei Comunisti Italiani, commentando lo sciopero della fame indetto oggi da Poggi.

La protesta è stata indetta dal Sai per sollecitare l’attenzione sul problema degli infermieri nelle carceri. "Il Governo non ha pagato gli arretrati per l’aumento della paga oraria degli infermieri parcellisti - ha precisato l’onorevole Cossutta - e il bando di concorso per l’assunzione non riconosce il servizio svolto nelle carceri, escludendo il passaggio della medicina penitenziaria all’interno del SSN". "Siamo alle solite - ha concluso Maura Cossutta - il Governo lavora a senso unico e non muove mai un dito dalla parte dei più deboli, a partire dai lavoratori e per migliorare la vita e le condizioni di ampi settori della società, in questo caso, dell’intero universo penitenziario".

Omicidi in famiglia: Francesco Bruno; in Italia sono in aumento

 

Ansa, 20 gennaio 2005

 

In Italia gli omicidi di massa avvengono prevalentemente in famiglia e stanno aumentando perché "è venuto meno il controllo sociale ed è carente, anzi non funziona affatto, il sistema di prevenzione". Dopo le ultime due vicende di padri che hanno ucciso, il primo ieri a Bologna la figlia di 10 anni, il secondo oggi in provincia di Firenze, la moglie ed il figlio di 27 anni, togliendosi poi a loro volta la vita, parla il criminologo Francesco Bruno.

Nella maggior parte dei casi, ha spiegato l’esperto che al tema dei "Mass murders italiani" ha dedicato un libro che sarà presentato venerdì a Roma, ad uccidere sono gli uomini che generalmente hanno patologie mentali gravi. "Ma - ha sottolineato - prima di giungere a questi delitti, ci pensano a lungo e danno segnali che evidentemente vengono trascurati o sottovalutati. E soprattutto trovano le armi. Segnali di sofferenza psicologica e mentale che soprattutto i padri di famiglia possono avere - mentre di solito si fa più attenzione ai figli - che invece non vanno sottovalutati". Negli ultimi 20 anni, ha aggiunto, i mass murders italiani sono più di una cinquantina.

delitti di massa, che il libro racconta dal caso di Doretta Graneris a quello di Erika e Omar, ha detto Bruno, "in Italia, riguardano prevalentemente la famiglia. Si tratta di persone che apparentemente senza motivo si alzano la mattina e uccidono, finendo spesso con l’uccidersi a loro volta. Questi sono i cosiddetti family mass murders, compiuti generalmente dal padre depresso o dal figlio schizofrenico".

Le ragioni più gravi di tali gesti, ha proseguito, "sono costituite dalla malattia mentale, che più frequentemente è la depressione grave e qualche volta la schizofrenia. In alcuni casi, invece, non c’è alcuna malattia mentale, ma gravi situazioni sociali, che possono andare dall’usura alla droga". In particolare, ha spiegato Bruno, "nella maggior parte dei casi si tratta di uomini che hanno delle patologie mentali non riconosciute e quindi non curate e appartengono a due diverse fasce di età: 20-30 anni e 40-60 anni.

Nel primo caso di solito si tratta di schizofrenici, nel secondo di persone depresse". "In Italia - ha proseguito il criminologo - gli omicidi familiari sono molto frequenti e stanno aumentando in quanto è venuto meno il controllo sociale, che prima era più forte. Molti omicidi potrebbero essere evitati. E anche se non è facile, dobbiamo fare di tutto per evitarli. Ma sotto questo profilo non abbiamo un sistema di prevenzione che funziona. Anzi - ha concluso - purtroppo in Italia il sistema salute mentale non funziona affatto sotto il punto di vista preventivo e a volte anche quello terapeutico. E poi c’è da fare un discorso culturale: da troppo tempo pensiamo che il disturbo mentale non esiste, che non ci riguarda...".

Giustizia: Italia indietro in Ue su rieducazione autori reati

 

Ansa, 20 gennaio 2005

 

In Italia sono ancora "pochissimi" i casi in cui i responsabili di reati adulti vengono inviati ai centri di mediazione penale, servizi specializzati nella rieducazione. E di fatto la mediazione penale , basata sull’incontro tra vittima e colpevole alla presenza di specialisti e il cui obiettivo dichiarato è arrivare al superamento del conflitto relazionale e alla riparazione del danno, viene applicata "esclusivamente" nel campo della giustizia minorile.

È una "situazione anomala" quella in cui si trova l’Italia a un anno dall’entrata in vigore di una direttiva della Ue che vincolerà tutti i Paesi che ne fanno parte ad adottare questa strategia giudiziaria riparativa, predisponendo le relative norme e procedure. A rivelarlo sono due indagini (una tra i mediatori, l’altra tra i magistrati) condotte dall’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr di Bologna, che saranno presentate domani in un convegno a Roma. "La mediazione penale viene applicata esclusivamente nella giustizia minorile da circa un decennio, seppure non esistano norme specifiche - spiega Anna Mestitz, che ha pubblicato in un volume la ricerca -.

Viceversa la legge prevede che i giudici di pace possano utilizzarla con gli autori di reato adulti, ma di fatto pochissimi casi sono inviati ai centri e servizi specializzati". In Europa i Paesi in cui si applica maggiormente questa strategia rieducativa sono Spagna, Lussemburgo e Norvegia: il 17 per cento dei casi denunciati riguardanti minorenni vengono inviati in mediazione. Seguono l’Austria (15%), Svezia (7 %) e Germania (4%). In Italia non esistono statistiche, ma i dati raccolti nella ricerca, rivelano che in sei centri di mediazione sparsi nelle maggiori città italiane i casi mediati sono stati l’9 per cento di tutte le denunce presentate alle sei rispettive procure per i minorenni. "Un dato positivo - sottolinea Mestitz - anche se non è una percentuale nazionale". Quali sono gli ostacoli a una più ampia diffusione?

"I risultati rivelano la carenza di politiche pubbliche chiare e determinate - spiega ancora l’esperta - nonché di una nuova normativa che sancisca la mediazione penale nella fase pre-processuale per evitare ai minori le conseguenze negative dell’entrata nel circuito penale. Per altro verso i giudici di pace dovrebbero cominciare ad applicare le norme che già esistono e consentono di ricorrere alla mediazione di reato anche per gli adulti".

Gran Bretagna: no a proposta braccialetto per i genitori separati

 

Ansa, 20 gennaio 2005

 

Divieto di uscire la sera, lavori sociali, e multe: i genitori - nella maggior parte dei casi le madri - britannici che negano accesso ai figli agli ex coniugi potranno incorrere in queste misure ma non nel braccialetto elettronico che era stato ipotizzato per i recidivi.

La proposta verrà con ogni probabilità scartata dopo che Lord Falconer, ministro che ha la responsabilità degli affari costituzionali, ha affermato che lui ed altri ministri che lavorano per regolamentare questo delicato settore "sono contrari a questa misura, perché è sbagliata e sproporzionata". Falconer si è anche detto contrario alla richiesta dell’organizzazione Fathers 4 Justice, protagonista di clamorose proteste come quella di un loro militante vestito da Batman sulle mura di Buckingham Palace, per un accesso ai bambini 50-50 da parte dei genitori separati.

"Non stiamo discutendo di cosa è meglio per i genitori, ma di cosa è meglio per i bambini", ha dichiarato. Falconer, nel dichiararsi contrario al braccialetto e in generale a misure che implicano il carcere per genitori che rifiutano di obbedire agli ordini dei tribunali sul diritto di visita, ha detto che il piano del governo prevede una serie di misure disegnate per aiutare i genitori separati a condividere le responsabilità legate alla crescita dei figli. In particolare, è prevista una maggior assistenza dei servizi di consulenza e sociali. La versione finale delle misure governative verrà pubblicata ad aprile.

Uganda: 417 condannati a morte contestano legalità sentenza

 

Misna, 20 gennaio 2005

 

Potrebbe essere deciso oggi il destino di circa 417 detenuti ugandesi condannati all’impiccagione, che hanno presentato un’istanza per contestare la legalità delle pene capitali introdotte dalla legge anti-terrorismo.

Il quotidiano indipendente Monitor riferisce che la Corte d’Appello di Kampala, dopo aver rinviato l’udienza nei giorni scorsi per l’indisposizione di un giudice, colpito da malaria, stamani dovrà esprimersi in merito. I prigionieri, rappresentati da cinque loro delegati, sostengono che la condanna a morte sia una forma di tortura e di atto crudele, inumano e degradante, vietato dalla Costituzione.

Nell’istanza si chiede che la pena capitale si incostituzionale e venga così abrogata. La fondazione iniziativa diritti umani, un’organizzazione non governativa, si è fatta carico delle spese legali in quanto sostiene la lotta contro la pena di morte. Tra coloro che si sono espressi a favore della richiesta dei prigionieri ci sono anche il Commissario generale delle carceri ugandesi, Joseph Etima, e il suo vice, David Byabashajia.

Iran: Premio Nobel Shirin Ebadi; basta con le celle-tortura

 

Il Manifesto, 20 gennaio 2005

 

La Premio Nobel per la pace iraniana Shirin Ebadi ha denunciato ieri come "forma di tortura", assieme ad un gruppo di dissidenti, l’uso da parte delle autorità iraniane di lunghi periodi di detenzione in isolamento in minuscole celle e ha chiesto alla magistratura di porre fine a tale metodo. E subito dopo la denuncia della Ebadi, il governo di Teheran ha annunciato che la recente convocazione dell’avvocatessa premio Nobel da parte di una corte rivoluzionaria è il frutto di "un errore" e che il provvedimento sarà probabilmente annullato.

"Il trattamento riservato ai prigionieri politici è peggiore di quello per i criminali", ha denunciato la Ebadi, che da anni si batte per la difesa dei diritti umani e che è stata lei stessa tenuta in isolamento in carcere per 25 giorni nel 2000. "È stata un’esperienza durissima - ha affermato - che mi ha provocato il ritorno di un handicap della parola di cui avevo sofferto nell’infanzia". La Ebadi ha quindi chiesto al capo dell’apparato giudiziario, l’ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, di fare applicare un divieto dell’uso di questa pratica, divieto che lui stesso aveva annunciato sei mesi fa.

Cagliari: perde la dentiera, disperato si cuce occhi e bocca

 

Sardegna Oggi, 20 gennaio 2005

 

Si è cucito occhi e bocca in un estremo tentativo di farsi ascoltare dall’amministrazione carceraria e non solo. Il fatto, accaduto nella Casa circondariale di Iglesias, in Loc. Sa Stoia, ha avuto come protagonista un extracomunitario che un mese fa aveva perso la dentiera nel viaggio che lo ha portato in Sardegna.

L’episodio è stato raccontato ieri, in una audizione della seconda Commissione, "Diritti Civili", del Consiglio Regionale, dal giudice di Sorveglianza di Cagliari, Leonardo Bonsignore. "Il Magistrato - dice il Presidente della Commissione Paolo Pisu (Rifondazione Comunista) - ci ha riferito questo caso in cui quest’uomo continuava a non essere ascoltato in una situazione che ha portato a questa forma drammatica di protesta che evidenzia come lo Stato e l’istituzione carceraria sia spesso ai limiti dell’illegalità". Pisu, in particolare, fa riferimento alle tante situazioni di disagio e di difficoltà in cui si vengono a trovare i detenuti.

Il quadro che è emerso anche dalle audizioni di Francesco Massidda, Provveditore regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, i sindacati della Polizia Penitenziaria, padre Salvatore Morittu, e i rappresentanti del Comitato 5 novembre, non è confortante. Gli istituti (a parte l’eccezione di Alghero) sono fatiscenti, inadeguati, spesso sovraffollati e non adeguati alla riabilitazione del detenuto e al suo conseguente reinserimento nella società.

Il problema più grave rimane, però, quello sanitario. Il provveditore regionale ha chiesto alla commissione "Diritti Civili" di vigilare affinché non vi siano tagli nelle somme da destinare all’acquisto dei farmaci per i detenuti. Dal 2002, infatti, l’assessorato regionale alla sanità fornisce gratuitamente l’assistenza farmaceutica. Ora la situazione potrebbe cambiare perché sembra, come ha detto Massidda, che alcuni direttori generali vogliano sospendere questo tipo di fornitura. In carcere c’è un gran numero di tossicodipendenti. Solo nel carcere di Buoncammino il 60% dei detenuti ha problemi di droga e di questi il 90% è affetto da malattie psichiatriche.

Milano: dal carcere di Bollate lo spettacolo "Radio Settanta"

 

Corriere della Sera, 20 gennaio 2005

 

C’è chi gli anni Settanta li ha vissuti sulla propria pelle e chi invece li ha scaricati da Internet e quindi non può veramente conoscere quell’emozione collettiva che era illudersi e sperare in un mondo diverso, anni in cui la passione, la creatività e la ribellione erano l’unico modo di partecipare davvero.

A rievocare il periodo, ecco "Radio Settanta", spettacolo (ancora in fase di studio) di Lucia Vasini e della sua compagnia Tekiero, in scena domani nella casa circondariale di Bollate, secondo una scelta, per l’appunto molto anni Settanta, della direttrice, la dottoressa Lucia Castellano. Dopo diversi laboratori teatrali realizzati all’interno del carcere con i giovani detenuti e attori professionisti, domani per la prima volta i cancelli della casa di detenzione si aprono al pubblico con uno spettacolo realizzato e prodotto da una compagnia esterna, impegnata nel sociale. L’intero spettacolo è affidato ai due attori Giorgio Nocerino, nei panni del giovane conduttore radiofonico di un programma sugli anni Settanta, super informato su canzoni, costumi, personaggi e gossip dell’epoca, e Marisa Miritello, nel ruolo di un’attrice costretta a mantenersi registrando demenziali jingle pubblicitari. "Una donna - spiega la Vasini, regista dello spettacolo - che conosce bene quel periodo, ma che gioca a fare la ragazzina superficiale. Si saprà chi è veramente solo nel finale, quando ai microfoni della radio rivelerà la verità, e sarà un vero pugno nello stomaco".

Tra musiche degli Inti-Illimani e canzoni di Jim Morrison, si racconta con divertita ironia l’atmosfera di quel periodo: le manifestazioni, la libertà sessuale, gli spinelli, la Milano radical-chic raccontata da Umberto Simonetta in "Arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi", fino al buio degli anni di piombo. "Non vuole essere uno spettacolo politico - sottolinea Lucia Vasini -, ma semplicemente il ritratto di quegli anni, visti con gli occhi di chi c’era e con quelli di chi ne ha sentito solo parlare".

È dedicato però anche a chi degli anni Settanta non sa proprio nulla perché era altrove, come i due ragazzi serbi detenuti, cui la Vasini ha affidato il prologo della messa in scena. "Per loro - spiega l’attrice - quel periodo significava una cosa sola, stare con Tito o contro Tito. E’ interessante vedere poi come un terzo personaggio, un ragazzino della periferia di Milano, ugualmente detenuto, non sappia a sua volta proprio nulla della loro storia, e si trovi dunque d’accordo con entrambi". Lo spettacolo è stato realizzato con la collaborazione della cooperativa Estia, responsabile del laboratorio scenotecnico interno al carcere.

 

"Il teatro fa sentire libero anche chi è chiuso qui dentro"

 

"Per i detenuti il teatro è una sorta di evasione metaforica, uno strumento davvero straordinario che riesce a far sentire libero anche chi è tenuto tutto il giorno al guinzaglio da limitazioni e burocrazie". La direttrice della casa di reclusione di Bollate, Lucia Castellano, 41 anni, napoletana, è entusiasta. Domani con "Radio Settanta" si apre la prima stagione teatrale serale aperta al pubblico, un’iniziativa organizzata in collaborazione con l’attrice Michelina Capato ideatrice, tra le varie attività, della rassegna "Teatro Dentro".

Una direzione illuminata, dunque, quella dell’istituto di Bollate? "Sto semplicemente cercando di mettere in pratica, a fatica, ciò che prevede la legge in materia di integrazione e recupero, con attività sportive e artistiche di vario tipo, come ad esempio il laboratorio scenotecnico della cooperativa Estia che prepara professionalmente i detenuti per trovare un lavoro una volta fuori da qui".

Due donne, tutte e due di nome Lucia: come si è trovata con la Vasini? "Benissimo dal primo momento, i detenuti l’hanno accolta con entusiasmo. Al di là della sua bravura, è davvero una persona molto disponibile. Mi auguro che questo sia solo l’inizio della nostra collaborazione".

Costarica: muore impiccato un detenuto italiano di 52 anni

 

Secolo XIX, 20 gennaio 2005

 

Roberto Robercio, l’ex barista savonese di 52 anni condannato dal tribunale di Savona a 12 anni di reclusione per aver cercato di uccidere l’ex fidanzata Cristina Colombini e da alcuni mesi detenuto in un carcere del Costa Rica per l’assassinio di un tassista, è morto.

Il suo corpo ormai privo di vita è stato ritrovato lunedì mattina nella stanza che occupava in una struttura sanitaria situata all’interno del penitenziario di San Josè, capitale del Costa Rica, dove stava scontando una condanna a 25 anni di carcere. Roberto Robercio è morto impiccato. Le autorità di polizia del Costa Rica, che ieri mattina hanno informato dell’accaduto l’ambasciata italiana, ritengono che si sia trattato di un suicidio.

La loro ricostruzione, però, presenterebbe alcune lacune, a partire dalla mancanza del motivo che avrebbe spinto il Robercio a togliersi la vita. Tanto più che poche settimane fa, per l’esattezza era il 27 dicembre scorso, l’ex barista savonese inviò via fax una lettera ad alcuni conoscenti savonesi nella quale si dichiarava soddisfatto della sua situazione di "carcerato privilegiato" in Costa Rica, ospite di una struttura sanitaria dove poteva comunque godere di una certa libertà e ususfruire di una serie di vantaggi che rendevano meno pesante la detenzione.

Le notizie giunte in Italia circa la morte di Roberto Robercio sono per il momento alquanto scarne. L’unica cosa certa è che il suo corpo privo di vita è stato trovato nelle prime ore della mattinata di lunedì. "I carabinieri, che hanno ricevuto la notizia della morte di Robercio attraverso l’Interpol - sottolinea il sostituto procuratore della Repubblica Alberto Landolfi - hanno informato dell’accaduto la madre che abita alle Fornaci. Personalmente non vorrei commentare l’accaduto. Nella mia carriera è la seconda volta che mi capita che una persona che ho fatto condannare si toglie la vita. La prima fu il suicidio di Ugo Boasso, autore del triplice omicidio di Giustenice, la seconda è questa. In entrambi i casi ero e sono rimasto più che certo della loro piena colpevolezza".

Milano: anche in Lombardia il "kit della libertà" per chi esce

 

Varese News, 20 gennaio 2005

 

Per chi esce da un carcere, il primo giorno di libertà non può che essere un giorno di disorientamento. Alcuni giorni, o magari anni, lontani dalle proprie città possono rendere chiunque uno straniero. E tenendo conto del fatto che la maggior parte dei detenuti è veramente composta da stranieri, le cose non possono che essere più chiare.

Spesso poi, il disorientamento, è causa di confusione e, purtroppo, di ritorno al crimine. In questo modo si instaurano dei pessimi circoli viziosi, che portano ai troppi casi di reati "con precedenti penali". Per questo motivo a Roma, già dal 22 dicembre del 2004, a chi esce di carcere viene consegnato un "Kit delle 48 ore". Questo kit contiene tutto ciò che può essere utile nei due primi giorni di libertà.

Ad esempio si possono trovare una mappa dei trasporti, informazioni in più lingue riguardo comunità e punti organizzati di assistenza sociale, dei buoni pasto, biglietti giornalieri dei mezzi pubblici, una scheda telefonica, prodotti per l’igiene personale, una maglietta di lana o di cotone o altri beni di prima necessità. Insomma, tutto il necessario per essere autonomi nei primi giorni, sperando di ricreare dei (buoni) contatti con il mondo esterno, per tornare velocemente ad una vita onesta ed indipendente.

Dopo Roma, ora, il Consigliere regionale del Prc Giovanni Martina chiede che questo servizio venga attuato anche nella nostra regione. "Nelle carceri lombarde", ha sottolineato Martina "come in tutta Italia, gran parte della popolazione detenuta è rappresentata da persone povere, non solo immigrate, in grave difficoltà al momento del reinserimento nella società". L’idea è sicuramente buona ma, come spesso avviene in questi casi, le procedure amministrative di attivazione possono portare confusione. Per questo, nella sua proposta, Martina chiede che il finanziamento giunga direttamente dalla Regione, attraverso i comuni sui cui territori è ubicato un istituto penitenziario, definendo questa scelta "un atto intelligente e concreto". La proposta sarà presentata in occasione della prossima riunione di Consiglio.

Ragusa: solidarietà, per l’Asia i fondi raccolti dai detenuti

 

La Sicilia, 20 gennaio 2005

 

I detenuti sono spesso destinatari di atti di solidarietà, ma in casi particolari possono essere loro i protagonisti di iniziative di beneficenza. In 105, nella casa circondariale di Ragusa, hanno voluto promuovere un intervento in favore delle vittime dello tsunami. Ciascun detenuto ha fatto detrarre dal proprio fondo di sostentamento l’importo di due euro, autorizzando la direzione del carcere a prelevare tale somma, per assegnarla alla causa del sud est asiatico.

"Avrebbero potuto essere davvero tutti ad aderire a questa iniziativa - spiega il direttore del carcere Aldo Tiralongo - ma alcuni detenuti sono realmente molto indigenti. Due euro, per chi come noi ha uno stipendio mensile, sono una bazzecola, ma per loro che non hanno una certezza finanziaria continuativa su cui poter contare, quella somma è davvero ingente". I detenuti hanno dei soldi solo tramite le attività lavorative che svolgono all’interno del carcere, oppure attraverso i versamenti che vengono effettuati dai loro familiari.

"La direzione gestisce questo fondo virtuale sulla base delle direttive che vengono impartite dai carcerati", dice Tiralongo, "definisco il loro fondo virtuale proprio perché loro non possono gestire dei soldi, ma devono affidarsi alla nostra gestione. Ritengo che la loro iniziativa è veramente pregevole, dal momento che non godono di grande autonomia finanziaria". I detenuti della struttura iblea stanno allestendo, da autodidatti, l’opera teatrale di Nino Martoglio dal titolo "Civitate in Pretura" e la commedia di Totò "A livella". I due spettacoli verranno messi in scena nel teatrino del carcere.

Sulmona: archiviato il caso del suicidio di Camillo Valentini

 

Il Mattino, 20 gennaio 2005

 

Sindaco di Roccaraso Csm archivia il fascicolo Il Csm ha archiviato il fascicolo su pm e gip che si occuparono dell’inchiesta nell’ambito della quale venne arrestato il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, poi suicidatosi nel carcere di Sulmona. La pratica era stata aperta su richiesta dei laici della Cdl dopo un esposto dei figli di Valentini sull’arresto del sindaco per concussione aggravata e calunnia e sull’audizione che non fu concessa a Valentini.

Cremona: progetti Caritas a favore di ex detenuti e malati di Aids

 

La Provincia di Cremona, 20 gennaio 2005

 

Si è tenuto nei giorni scorsi in provincia un incontro su due progetti della Caritas per il recupero socio-lavorativo di soggetti ex detenuti e di persone ospiti in Casa alloggio per malati di Aids.

Erano presenti il presidente Giuseppe Torchio, l’assessore ai Servizi Sociali, Anna Rozza, don Antonio Pezzetti, direttore della Caritas Cremonese e Presidente "Carità e lavoro onlus"; Gianni Risari, del Cda della Fondazione Cariplo-Housing sociale e Antonello Bovini, dirigente del settore Servizi Sociali.

Il progetto che interessa soggetti provenienti dall’ambito della detenzione, prevede azioni di recupero socio-lavorativo attraverso anche la ristrutturazione e valorizzazione globale di uno stabile a San Savino.

Per quanto riguarda la Casa Speranza, il progetto delineato dalla Caritas è altamente innovativo: trovare alloggi nelle vicinanze che permettano al contempo controlli e profilassi sanitaria ed una vita più autonoma, con possibilità di reinserimento lavorativo e sociale, attraverso la sinergia con il comune e la Provincia di Cremona.

 

 

Precedente Home Su Successiva