Rassegna stampa 14 febbraio

 

Mantova: istituito un reparto dell’Opg per i minorenni

 

La Repubblica, 14 febbraio 2005

 

Il nome esatto è Ospedale psichiatrico giudiziario, ma tutti lo chiamano manicomio criminale. Quel posto lì, insomma, dove sta rinchiuso chi ha ucciso per colpa della follia. Lì dentro esiste da qualche mese, ma nemmeno molti addetti ai lavori lo sanno, un nuovo reparto. Sperimentale: sarà per questo che non l’hanno fatto troppo sapere in giro.

Ci stanno dei ragazzi, prelevati dagli istituti dove scontano le loro condanne. Quel che tutti gli addetti ai lavori sanno bene, invece, è che la legge vieta di rinchiudere dei minori in un ospedale psichiatrico giudiziario.

Diciamo allora che, negli ambienti della psichiatria, c’è chi si è parecchio allarmato per questa misteriosa novità. La questione è stata sollevata all’ultimo Forum per la salute mentale. Ha cominciato a circolare.

Tiziana Valpiana, parlamentare di Rifondazione, ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute: Castiglione delle Stiviere è infatti gestito, in base a una convenzione con il ministero della Giustizia, dalla sanità pubblica della Lombardia. Ha risposto il sottosegretario Cesare Cursi: il reparto per i minori è collocato in un’ala separata, "garantendo così la non commistione con gli adulti per tutte le fasi del processo terapeutico".

Risposta insufficiente, ha ribattuto la Valpiana: "È una cosa fuori dalla grazia di Dio. Si tratta di una soluzione inaccettabile e indegna di un paese civile, che non può rinchiudere minori in un ospedale psichiatrico giudiziario. È una collocazione assolutamente inadatta ai minori e tale da precludere ogni speranza di recupero e reinserimento sociale, considerato che i minori, anche quando sono autori di reato e di difficile gestione, hanno bisogno di essere sostenuti all’interno di strutture adeguate a questa finalità". Aggiunge che la sperimentazione - non si sa bene da chi voluta e avviata, e in base a quale ragionamento - le sembra "pericolosa" e figlia "delle spinte giustizialiste del ministro Castelli".

Il reparto sperimentale è un piccolo reparto. Spiega Antonino Calogero, direttore dell’ospedale psichiatrico: "Può ospitare al massimo dieci ragazzi. Ora ne abbiamo quattro. Nei mesi passati, dopo l’avvio in luglio, ce ne sono stati al massimo sei, contemporaneamente. Il reparto è stato ricavato accanto a quello femminile. Non c’è alcuna possibilità di incontro con i degenti adulti, e anche lo staff è diverso: uno psichiatra, uno psicologo, due educatori, un infermiere professionale, undici assistenti". Aggiunge che la sperimentazione "nasce dalla necessità di far fronte ai problemi psichici emergenti fra i minori detenuti". Questa, dice, "è l’ultima ratio, o almeno così ha funzionato".

Come sono stati scelti i ragazzi per il reparto sperimentale? Uno psichiatra che vuole rimanere anonimo dice: "Li hanno convinti dicendo che a Castiglione si sta bene, e che c’è anche la piscina. Poi, una volta verificato che il regime era stretto, sono cominciati i problemi e i tentativi di fuga". Il direttore Calogero dice che sono stati "inviati da Roma su segnalazione dei centri per la giustizia minorile, in base ad alcune caratteristiche della diagnosi, delle motivazioni, del percorso".

Il sottosegretario Cursi specifica nella sua risposta all’interrogazione dell’onorevole Valpiana: "La comunità ha accolto sino ad oggi complessivamente otto minori che hanno riscontrato disturbi della personalità di tipo borderline (due minori), disturbi di grave condotta (due, di cui uno associato a ritardo mentale), disturbo antisociale (uno) e schizofrenico (uno), nonché portatori di disturbo di personalità paranoidea (uno), e un minore con diagnosi da definire". Il corsivo è nostro: forse non sono andati per il sottile.

Quello che non dice è che, verosimilmente, si tratta in grande maggioranza di ragazzi con problemi di tossicodipendenza. Questa è la realtà delle carceri minorili ( e di quelle dei grandi, peraltro). Problemi che, di norma, si affrontano all’interno delle comunità e non certo degli ospedali psichiatrici.

I "disturbi di grave condotta" e i "disturbi antisociali" sono pane quotidiano negli istituti, ma nessuno aveva mai pensato di curarli con l’isolamento. Nessuno che, ovviamente, non si ponesse innanzitutto l’obiettivo del contenimento, dell’ordine da mantenere. Questi di Castiglione delle Stiviere sono tutti ragazzi segnalati dai centri di giustizia minorile, dice il direttore. Chissà quali. Da queste parti nessuno lo sapeva.

Non sapeva della sperimentazione Livia Pomodoro, presidente del Tribunale per i minori di Milano. Non sapeva Emilio Quaranta, procuratore dei minori di Brescia. Cade dalle nuvole anche don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile milanese Beccaria: "Qui da noi, come altrove, se ci sono ragazzi con problemi psichici, si provvede con il trattamento interno. È una cosa assolutamente nuova che si pensi a una struttura apposita: in 32 anni che faccio questo mestiere non ne ho mai sentito parlare. Sono molto preoccupato, perché si sa che, fatto un ospedale, si trovano poi i malati".

Che il problema esista, questo è certo: c’è un grosso aumento di malattie psichiche fra i ragazzi degli istituti, soprattutto fra gli stranieri che sono la maggioranza. Quello che a molti pare incredibile è che, una volta deciso di creare una struttura nuova e sperimentale ad hoc, la si piazzi dentro al manicomio criminale. "Tutta la cosa è assai poco chiara - dice l’onorevole Valpiana - e vogliamo verificare bene. Come mai si presta una struttura sanitaria per adulti a un progetto securitario, per ragazzi che hanno soprattutto bisogno di recupero? Resta poi un fatto: a norma di legge quei ragazzi non dovrebbero stare lì". Un gruppo di parlamentari di Rifondazione andrà quanto prima a visitare il nuovo reparto sperimentale.

Il divieto di legge è, diciamo così, aggirato dalla spiegazione che il reparto sarebbe totalmente separato da quelli che ospitano adulti. Ma sulla questione la risposta del governo lascia qualche dubbio: si dice il "processo terapeutico" assicura la "non commistione".

Ma poi si accenna a "circolazione negli spazi comuni" e di "partecipazione alle attività". C’è poi un passaggio curioso: "Il collocamento in comunità specialistiche, in grado di accogliere minori particolarmente difficili soggetti a misure penali, deve tendere ad evitare processi di etichettamento". E per tenersi ben lontani da "processi di etichettamento" si prendono dei ragazzi e li si manda dentro al manicomio criminale. Si punta al loro reinserimento isolandoli, nel bel mezzo di una struttura di cura e contenimento per adulti. Perché poi, a parte le considerazioni professionali, bisogna anche pensare agli effetti giù in basso, dalla parte degli "ospiti": "Mio figlio l’hanno mandato a Castiglione delle Stiviere", o anche "Stai un po’ più tranquillo, o ti mando a Castiglione delle Stiviere".

Foggia: assessore Del Carmine scrive al Ministro Castelli

 

Teleradioerre, 14 febbraio 2005

 

L’assessore alla sicurezza e alla legalità, Michele Del Carmine, ha inviato una lettera al Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, in cui descrive la situazione dell’Istituto Casa Circondariale di Foggia, sollecitando un intervento incisivo da parte del Governo.

"L’indice di presenza carceraria" - scrive del Carmine - "è ben oltre la normale ed indicata affluenza; il personale della struttura risulta numericamente insufficiente, al di sotto del dovuto rapporto detenuto/operatore. Inoltre, lo stato igienico di diversi reparti non è consono alle attuali esigenze normative, nel particolare l’Ufficio matricola, e la mensa è altamente inadeguata in riferimento ai servizi erogati e alla struttura".

Nei giorni scorsi l’assessore alla sicurezza ha visitato l’istituto penitenziario di Foggia ed incontrato alcuni detenuti sottolineando la volontà, da parte dell’amministrazione comunale, di promuovere iniziative tali da offrire opportunità di crescita, morale e culturale, all’interno di un ambiente che deve diventare un incubatore di stimoli e valori positivi.

Ancona: detenuto tenta suicidio, soccorso con l’autoambulanza

 

Corriere Adriatico, 14 febbraio 2005

 

Ha cercato di suicidarsi nella sua cella nel carcere di Montacuto. Un detenuto di 45 anni ha assunto alcuni farmaci per cercare di farla finita. Ad accorgersi del malore accusato dall’uomo, ieri intorno alle 19, sono stati gli uomini della polizia giudiziari in servizio all’interno della casa circondariale che hanno chiamato i soccorsi. Sul posto sono subito giunte le ambulanze. Il carcerato è stato trasportato urgentemente al pronto soccorso dell’ospedale di Torrette. Le ambulanze erano scortate dalla polizia giudiziaria. Sottoposto dai medici ad una lavanda gastrica, l’uomo si è subito ripreso.

Roma: detenuti stranieri malati, interventi per migliori cure

 

Agi, 14 febbraio 2005

 

Il 50% della popolazione penitenziaria italiana è costituito da stranieri, provenienti in massima parte dai paesi africani e ma anche dal Sud America e dall’Est europeo. Una miriade di linguaggi, di culture e di esigenze che mette a dura prova l’attività del personale medico al lavoro negli istituti di detenzione.

Il dottor Andrea Franceschini, dirigente sanitario del "Regina Coeli" di Roma, intervenuto al seminario "Immigrazione e salute, tra mito e realtà" alla mostra convegno sui servizi sanitari (Sanit) in corso in questi giorni a Roma, ha posto l’accento sulle difficoltà che quotidianamente si incontrano nelle case circondariali del paese. A volte anche la sola interpretazione della malattia è complicata, per una lunga serie di ragioni, come la lingua.

Quello offerto dal servizio sanitario penitenziario è spesso il primo contatto dello straniero con una struttura medica organizzata. E le patologie più frequenti sono quelle legate all’assunzione di stupefacenti, al contagio di malattie infettive e a problemi psichici. Molto è stato fatto. Sempre più spesso per risolvere i problemi più urgenti si ricorre all’aiuto dei mediatori culturali o agli interpreti (che nella maggior parte dei casi sono compagni di detenzione del malato).

Ma anche attraverso corsi scolastici e tramite depliant si cerca di avvicinare il detenuto malato alla informazione. Anche una volta uscito di prigione l’immigrato ha a disposizione un sistema sanitario e al momento della scarcerazione gli viene fornita una scheda sanitaria e gli indirizzi ai quali rivolgersi. Ma purtroppo - probabilmente per la mancanza di una adeguata sensibilità - la maggior parte non si rivolge a queste strutture.

Milano: "Baci rubati", ecco l’amore attraverso le sbarre

 

Vivimilano, 14 febbraio 2005

 

"Che forma ha l’amore? Sapevo che era quella del tuo viso. Ora che l’odore, il calore e la forma sono svaniti so solo che brucia la carne, l’anima e i sogni". Questi versi sono di Gregorio Facchini, uno degli autori di "Baci rubati", raccolta di poesie e testi in prosa scritta dai detenuti di San Vittore redattori del web magazine "Il due", e dai partecipanti al corso di lettura e scrittura creativa condotto da Silvana Ceruti nel penitenziario di Opera.

Ideato e curato dalla giornalista Emilia Patruno, il libro è una risposta a tutte le mogli e le fidanzate con il partner in carcere. Come Arjel, la cui lettera fa da prefazione al testo: "Ho 31 anni - racconta -, un bambino di 2 anni e mezzo, un lavoro "chic" e il mio amore, da ottobre 2003, in galera. Lui è lì ed io, da fuori, continuo ad amarlo fottutamente, a contare i giorni che mi separano da un nuovo colloquio oltre una lastra di vetro".

Pensato anche come regalo di San Valentino, il testo è scaricabile gratuitamente su www.ildue.it e per qualche giorno anche sul nostro sito. Al bar Acquaviva di piazza Filangieri, invece, sono in vendita, a partire da 18 euro, delle scatole di cioccolatini contenenti messaggi romantici create ad hoc dagli stessi detenuti. In alternativa, potete richiederle scrivendo all’indirizzo e-mail emilia@ildue.it.

Sirchia: banca dati del Dna per detenuti reati gravi

 

Asca, 14 febbraio 2005

 

"Caldeggio la banca dati del Dna" per i detenuti che hanno compiuto i reati più gravi. Lo ha confermato il ministro della salute, Girolamo Sirchia, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano in quali termini il comitato di sicurezza ha avanzato questa ipotesi al consiglio dei ministri di ieri.

"Siamo l’ultimo paese - ha sottolineato Sirchia, a margine di un convegno a Conegliano - che deve ancora fare questo provvedimento". Si tratta, come ha spiegato il ministro, di "acquisire, per i reati gravi, ovviamente non per le piccole cose, la possibilità di risalire alla diagnosi, quindi all’identificazione dei soggetti implicati e, dunque, di arrivare alla prova dei reati".

Per Sirchia basta "usare la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione ai fini della sicurezza". Il ministro ha poi osservato che "sicurezza vuol dire non solo il vigile ed il carabiniere di quartiere, ma anche la capacità di risalire a chi compie reati gravi e di metterlo in galera, perché i delitti impuniti non garantiscono sicurezza".

Minori: approvato progetto di e-learning per gli Ipm

 

Giustizia.it, 14 febbraio 2005

 

Attraverso l’impiego di nuove tecnologie e della comunicazione multimediale, il progetto persegue l’obiettivo di garantire il diritto allo studio e alla formazione professionale al fine di facilitare l’inserimento lavorativo dei minori presenti nel circuito penale e di consentire opportunità concrete di reingresso nel contesto sociale, inibendo al tempo stesso fenomeni di recidiva.

L’impiego delle tecnologie più avanzate e il collegamento telematico degli studenti minori ristretti in istituto o in situazioni di limitazione della libertà personale con una piattaforma di e-learning a ciò predisposta consente di migliorare la qualità della vita dei minori del circuito penale interno, impegnandoli in attività didattiche che diventino parte integrante del processo trattamentale e di reinserimento socio-educativo.

Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione di corsi formativi e preparatori alla nuova organizzazione delle attività didattiche, blended e/o in e-learning, per il personale tecnico-operativo dei servizi minorili e della polizia penitenziaria, che assumeranno il ruolo di formatori dei minori nei suddetti percorsi.

L’innovatività dell’intervento risiede sia nella progettualità interistituzionale e nella condivisione delle risorse finanziarie tra ministero per l’Innovazione Tecnologica, dipartimento Giustizia Minorile e ministero dell’Istruzione, sia nella possibilità di continuare il percorso formativo e di studio anche dopo la fuoriuscita dal circuito penale interno, frequentando i corsi presso la Comunità ministeriale e/o l’istituzione scolastica di riferimento, creando fra l’altro una sinergia tra il "dentro" e il "fuori" che abbatta i muri del pregiudizio e della diversità ed educhi ad una cultura della convivenza solidale.

Cagliari: operatori penitenziari a scuola di pronto soccorso

 

L’Unione Sarda, 14 febbraio 2005

 

Inizia oggi il primo corso regionale di pronto soccorso per il personale degli istituti penitenziari, Frutto di un progetto denominato, "Gestione degli eventi critici", rappresenta una novità a livello nazionale e per questo vi parteciperanno osservatori per estenderlo agli istituti carcerari della penisola. Organizzato dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria cittadina in collaborazione con il 118 della Asl numero 8, la Facoltà di medicina e strutture esterne come l’associazione "Fradis" di Cagliari. Nasce da considerazioni di diverso tipo.

"L’incidenza relativamente elevata di eventi critici (suicidi, incidenti vari) con conseguenti problematiche sanitarie e medico - legali", spiega Luigi Cadeddu, presidente dell’associazione "Fradis" e veterano nel servizio del 118, "determina la necessità di avvalersi di personale medico, infermieristico e di polizia penitenziaria, addestrato a gestire efficacemente queste eventualità".

Gli operatori penitenziari impareranno a usare i defibrillatori automatici esterni, la gestione del paziente traumatizzato, la psicologia del soccorso, gli elementi di primo soccorso e la gestione farmacologia delle emergenze.

"Le finalità principali consistono nella diminuzione dei tempi d’intervento e conseguente riduzione della mortalità dei pazienti, in una maggiore specificità degli invii ospedalieri - continua Luigi Cadeddu - occupandosi nello stesso tempo degli operatori facendo in modo che abbiano la riduzione dello stress, grazie al miglioramento dell’autonomia personale e di gruppo".

Solo così l’intervento di primo soccorso sarà effettivamente essenziale, rapido e efficace. Bisogna conciliare l’equilibrio tra le norme di sicurezza, che devono essere rispettate e la rapidità della gestione di un’emergenza. "Il quarto d’ora d’intervento è sufficiente per la sopravvivenza del paziente, nell’ipotesi in cui per esempio sia necessario far entrare un’ambulanza all’interno del carcere per un trasferimento in ospedale".

Parma: inizia corso per 140 allieve di polizia penitenziaria

 

Gazzetta di Parma, 14 febbraio 2005

 

Tre squilli di tromba. Che la parata abbia inizio. Tappeti rossi per il palco d’onore, le autorità sugli attenti e i familiari pronti ad immortalare con le macchine fotografiche un grande momento. Ecco il giuramento: lo schieramento di 140 donne arriva marciando e già da lontano salta all’occhio il passo femminile: fermo ma delicato. Basco azzurro, divisa blu notte da cerimonia, con camicia bianca e cravatta nera, ghette, cintura, guanti e ben in vista la pistola mitragliatrice Pm12.

E pensare che fino al 1990 c’erano solo le vigilatrici: una tarda conquista quella dell’uniforme. Ma le donne che hanno deciso la carriera degli agenti di polizia penitenziaria sono agguerrite e uniscono la grazia al carattere. Cinque gruppi, preceduti dagli ispettori con la sciabola. Che danno il benvenuto agli ospiti con eleganti figure.

Il comandante di reparto, ispettore superiore sostituto commissario Lino Pulito con i suoi baffi bianchi assicura l’ufficialità della parata: chissà quanti ragazzi ha visto superare questi lunghi 13 mesi di corso per diventare agenti di polizia penitenziaria? Prima tanti uomini e ora tante donne. Ancora poche se si calcola che in tutto il territorio nazionale sono circa 40mila gli agenti e che il gentil sesso ricopre soltanto seimila posti. Comunque: "Onore al gonfalone della città di Parma, decorato al valore militare. E onore al gonfalone della provincia di Parma". Il reparto rende poi onore alla bandiera della scuola e i neo agenti cantano Mameli: l’emozione sale e non risparmia nessuno, in questa piazza d’armi della Certosa, sede della scuola di polizia penitenziaria dal 1975. La bella e antica chiesa, il cortile interno, le sale e questo grande teatro all’aria aperta, dove gli attori sono queste 140 ragazze, ognuna con la propria storia, ognuna con la propria famiglia. Ragazze da Roma in giù. Quelle da Roma in su sono andate a Verbania a fare il corso: altre 140.

C’è chi è fidanzata, chi è sposata, chi mamma e chi con un futuro familiare ancora da scoprire. Ragazze che a un certo punto hanno scelto con coraggio una professione non comune, certamente non alla portata di tutti. L’inno continua e il direttore della Scuola Silvio Di Gregorio accompagna il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Nello Cesari che saluta militari, religiosi e gli allievi del centocinquantaduesimo con un breve discorso: "In questi 13 mesi avete dato prova di grande capacità.

Siate orgogliosi di appartenere a questo corpo che ha grandi tradizioni e una grande storia. Il compito nostro è di infondere fiducia, sicurezza nei cittadini e speranza all’interno delle mura carcerarie: un’alta missione, dedita al recupero e alla rieducazione. Vi chiedo dunque sacrificio". Poi, Cesari ricorda i caduti, "il loro esempio ci sia da guida". Il direttore Di Gregorio legge il giuramento: " A me la bandiera. Le 140 allieve rispondono in coro: "Lo giuro". Segue la preghiera degli agenti di polizia penitenziaria e seguono gli onori finali al gonfalone della città e della provincia di Parma. Le autorità applaudono soddisfatte: il questore Stingone, l’assessore comunale ai Servizi sociali Guarnieri, il colonnello dei Carabinieri Garau, il colonnello dell’Aeronautica Bianchi, il comandante della Guardia di finanza Prisco, il vice comandante della Polizia municipale Monguidi, il presidente della Corte dei Conti Carlo Coscioni, il giudice del Tribunale Giuseppe Coscioni, il magistrato Nicola Sinisi e l’onorevole Rocco Caccavari, davanti ai labari delle Associazioni reduci, combattenti e d’arma.

La cerimonia si chiude: riposo. Lo spettacolo lascia il posto alle riflessioni: "Quello del giuramento è un momento commovente e sacro - ha osservato Cesari - , per una missione che richiede una forte carica umana. Le pene tendono al recupero: un principio che viene invidiato da altri sistemi penitenziari. Dal punto di vista legislativo l’Italia è al primo posto, dal punto di vista delle risorse e delle infrastrutture lasciamo un po’ a desiderare". E il direttore Silvio Di Gregorio ha concluso: "Il giuramento chiude un ciclo e ne apre un altro. Per entrare nel vivo di un sistema che comporta un compito difficilissimo quello del recupero della persona offesa. E la difficoltà è che bisogna coniugare il rigore della legge con i sentimenti di solidarietà. La scommessa è grossa".

 

Un corso impegnativo, che dura tredici mesi

 

Alla mattina alle otto e un quarto c’è l’alzabandiera, alle otto e trenta tutti in aula per la prima lezione e poi altre otto ore di studio con una pausa. Qualche parentesi di libertà dalle cinque e mezza del pomeriggio e, a mezzanotte, il rientro. È questa la giornata tipo del corso, terminato con questo giuramento. Angela Rizzari è una delle 140 neo agenti. È siciliana, viene da Messina: capelli biondi e due grandi occhi chiari. Senza dubbio una bella ragazza, che fino a 13 mesi fa frequentava l’università. Poi, un giorno, ha visto il bando del concorso pubblico per accedere al corso di agente di polizia penitenziaria e non ci ha pensato due volte: "Ho deciso all’istante - ha confessato Angela, 25 anni -, in quanto ritengo che sia un’esperienza fondamentale, che accompagna a un mondo diverso e parallelo".

E dopo lo studio, gli esami e il giuramento aspetta la sua destinazione: "Non so ancora dove andrò. Sapevamo già che non avremmo potuto decidere la nostra prima meta. L’importante è che ci sia la preparazione: una preparazione a livello universitario, con lo studio del diritto penale, diritto costituzionale, procedura penale, diritto del lavoro, pedagogia, psicologia, armi e arti marziali. E non vediamo l’ora di iniziare a lavorare per mettere in atto quello che abbiamo imparato". Daniela Rinaldis ha invece 27 anni. È calabrese ed è sposata con Nicola che fa il carabiniere in Puglia. E chissà quale sarà la sua destinazione?

"Ho fatto molti sacrifici ma ho desiderato tanto questo momento - ha detto Daniela -. La spinta è stata quella di appartenere a un corpo di polizia. Un corpo che non è molto conosciuto. Siamo ancora legati alla vecchia concezione dell’agente di custodia. E invece è un lavoro appassionante: una passione che è cresciuta progressivamente, soprattutto con i laboratori all’interno degli istituti penitenziari, con l’osservazione, l’aiuto alle persone e l’attenzione a quello che può succedere, alle problematiche e alla vita del carcere. Nonché le situazioni critiche, l’assenza delle famiglie e la mancanza di libertà. E non solo le donne detenute ma anche gli uomini sono molto sensibili e quindi il coinvolgimento è totale. Sono persone che possono aver commesso anche crimini atroci: c’è chi se ne pente e chi non se ne pente, ma noi dobbiamo cercare di aiutare tutti. Il nostro lavoro non si svolge però solo all’interno ma anche all’esterno: ci occupiamo dei collaboratori di giustizia, abbiamo il gruppo delle scorte, che è uno dei pi ù importanti di tutt’Italia". L’entusiasmo e l’orgoglio, quello di Daniela, che trapelano da ogni sua parola. Una ragazza che fino a un anno fa faceva la maestra. Ma oggi la sua vita è cambiata: "Mi auguro solamente di far bene il mio lavoro".

Giustizia: memorandum tra Dia e Onu, intervista a Pierluigi Vigna

 

Giustizia.it, 14 febbraio 2005

 

Che significato assume la firma di questo Memorandum con le Nazioni Unite?

La firma del Memorandum tra la Direzione Nazionale Antimafia e l’Onudc (l’organo delle Nazioni Unite deputato ad assistere gli Stati nel contrasto al traffico di droga, alla criminalità ed al terrorismo) rappresenta il punto più alto della collaborazione internazionale voluta e praticata dalla Direzione Nazionale Antimafia. I rapporti tra questi organismi sono in realtà iniziati da tempo e si sono sviluppati soprattutto durante i lavori preparatori della Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale e dopo la firma avvenuta a Palermo nel dicembre 2000. Su invito delle Nazioni Unite, infatti, Magistrati di questo Ufficio hanno partecipato a molte Conferenze internazionali per promuovere i principi e le norme della Convenzione e sollecitare i Paesi a ratificare la Convenzione stessa.

 

Quando è prevista la ratifica della Convenzione da parte italiana?

È la domanda che ci viene posta continuamente dalla Nazioni Unite e dai Paesi con i quali abbiamo stretto rapporti di collaborazione. L’Italia ha dato un notevole contributo alla preparazione del testo ed ha ospitato le due Conferenze delle Nazioni Unite, decisive per raggiungere l’obiettivo di unire tutti i Paesi nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale: quella di Napoli del 1994 nella quale, per la prima volta, un’assemblea di tutti i Paesi dell’ONU ha stabilito che si iniziassero i lavori per una Convenzione in questo settore; quella di Palermo del 2000 nella quale la Convenzione stessa e i protocolli sono stati firmati. Ebbene, va detto a chiare lettere che è difficilmente comprensibile che, dopo tali sforzi, proprio l’Italia non abbia ancora ratificato, dopo che già 99 Paesi l’hanno fatto. È ben vero che noi abbiamo già nell’ordinamento i principali istituti previsti in quel testo, ma la mancata ratifica, oltre al profilo di immagine internazionale, non ci fa sedere a pieno titolo al tavolo dei Paesi previsto per verificare che i vari Stati adempiano agli obblighi scaturenti dalla Convenzione.

 

Entriamo nei contenuti. La portata della Convenzione?

Ho già detto che per la prima volta Paesi molto diversi tra loro per cultura, tradizioni, sistemi giuridici hanno trovato un punto di convergenza in questa materia e hanno deciso di criminalizzare l’appartenenza ad un gruppo criminale organizzato, il riciclaggio, la corruzione e l’intimidazione a coloro che svolgono le indagini. Per molti di questi Paesi era concettualmente difficile prevedere un tipo di delitto, come l’appartenenza ad un gruppo criminale, che in qualche misura ricorda la nostra associazione per delinquere. La Convenzione è dunque un atto fondamentale per la collaborazione giudiziaria internazionale anche perché gli Stati hanno l’obbligo di inserire nella loro legislazione tutti i nuovi strumenti investigativi in essa previsti.

 

Un nuovo strumento, dunque, a contrasto della criminalità su scala internazionale?

I campi d’azione oggi si caratterizzano anche per la pluralità dei settori di incidenza. Essi si fanno risentire non solo "dentro" gli Stati con effetti dirompenti per la legalità, l’ordine pubblico e la vita associata, ma anche "oltre" gli Stati realizzando una rete che avvolge i Continenti attraverso la quale fare transitare i traffici illeciti di varia natura. Ma adesso i teatri operativi si sono diretti anche "contro" gli Stati, giungendo fino alle forme dell’impresa criminale multinazionale, agendo senza regole, senza limiti ma guardando solo al profitto e alla ricerca di nuove alleanze e nuova solidarietà, così attaccando gravemente lo stesso esercizio della sovranità statale.

 

In un contesto così allarmante, come si colloca l’attività del suo ufficio?

La Direzione Nazionale Antimafia ha sempre sviluppato un’azione parallela in campo nazionale e in campo internazionale, in quest’ultimo ha intessuto rapporti con i Paesi nei quali il fenomeno criminale è più allarmante allo scopo di uno scambio continuo di dati e informazioni. Con molte procure generali di altri Stati abbiamo firmato Memorandum proprio per meglio canalizzare queste informazioni e quello che firmeremo con le Nazioni Unite ci darà l’occasione di una collaborazione globale, unica e necessaria per raggiungere il comune obiettivo.

Genova: ragazza rumena costretta a rubare, "meglio il carcere"

 

Secolo XIX, 14 febbraio 2005

 

Iolanda è alta e magra, e quasi scompariva dietro il borsone usato per commettere i furti. "Sono dispiaciuta di non andare in carcere, perché lì almeno potrei stare un po’ tranquilla. Loro non ci danno pace, loro ci costringono a rubare tutti i giorni, loro ci puniscono se siamo denunciate o se rifiutiamo di rubare. Non posso sottrarmi, altrimenti mi picchiano".

Iolanda D. è nata nell’ottobre 1986 a Timisoara, in Romania, ed è una delle cinque persone arrestate dall’inizio di gennaio dai carabinieri della compagnia Portoria, nell’ambito d’un maxi controllo organizzato per prevenire i colpi al supermarket. L’hanno presa sabato 22 gennaio, di pomeriggio, mentre cercava di uscire dalla Rinascente con un cappotto che, pagato, costerebbe 740 euro.

Iolanda piangeva, nella caserma di via Serra, dove l’hanno interrogata cercando di ricostruire la sua odissea. "Appena sono arrivata in Italia - ha ammesso singhiozzando - mi sono sistemata in un appartamento del centro storico. Ne ho cambiati due o tre, può succedere di doversi trasferire da una parte all’altra. E subito mi hanno fatto capire cos’avrei dovuto fare per andare avanti". Poche parole, ma chiarissime: "Scegli: o vai a rubare nei negozi, o vai a venderti sulle strade".

Iolanda dice che si è sentita morire, in quel momento: "Non ci ho dovuto pensare molto, evidentemente, però non immaginavo cosa sarebbe stato". Mattina o pomeriggio, non importa. "Ci muoviamo spesso in coppia, usando le borse che loro ci preparano". "Loro" non hanno mai un nome, e le borse sono uno strumento sequestrato spesso, sia dai carabinieri che dalla polizia.

Si tratta di grossi involucri foderati con carta stagnola o altro materiale, che permettono di nascondere la refurtiva senza che si azioni il dispositivo elettronico antitaccheggio. Normalmente sono a loro volta inseriti dentro zaini normali, in modo da non dare nell’occhio e non attirare l’attenzione dei vigilanti.

Ma chi sono, i destinatari della refurtiva generalmente composta da scatolame, buste di salumi e formaggi, prodotti per l’igiene personale? "Occorre distinguere - precisano alla compagnia Portoria - fra le indagini condotte nel ponente cittadino e quelle che stiamo portando avanti fra il centro e i caruggi". Da Sampierdarena a Voltri, sono stati spesso gli italiani, ad arruolare i romeni.

L’ultima indagine del Nas (Nucleo antisofisticazione) risale al mese scorso e aveva permesso di denunciare un cinquantenne che gestiva una rete di almeno quindici ladri, tutti stranieri, e poi rivendeva il provento dei furti a una rete di conoscenti stretti. "Qui la situazione è diversa - proseguono in via Serra - perché i romeni si rivolgono direttamente a pensionati e nuovi poveri, riciclando i prodotti a un terzo o alla metà del costo originale".

Iolanda ha trascorso una notte in cella, alla fine di gennaio, e il giorno dopo è stata processata per direttissima. Il giudice, dati i pochi precedenti e l’età, ne ha disposto la scarcerazione, con obbligo quotidiano di firma in caserma. Ha sospirato un’altra volta: "Restare in libertà significa che domani devo tornare nei supermercati, si ricomincia a rubare. Fino alla prossima denuncia, o al prossimo arresto".

Informazione: 5 radio che si occupano dei detenuti…

 

Papa Boys, 14 febbraio 2005

 

La situazione delle carceri italiane evidenzia di anno in anno la indelebile necessità di un ripensamento culturale che affermi la giustezza di un principio, non pubblicizzato da scuole di pensiero o strumentalizzazioni ideologiche: un carcere che umilia, che destruttura senza preoccuparsi di ristrutturare, porterà ad una delinquenza ancora più agguerrita, ad una insicurezza maggiore di quella vissuta nei nostri tempi.

Occorre davvero fare camminare insieme con equilibrio e senza dimenticanze la funzione di salvaguardia della collettività e quella di recupero fattivo delle persone detenute. I passi da compiere per realizzare un simile obiettivo sono ancora tanti, fin troppi, ma c’è chi, tramite emittenti radiofoniche, cerca da tempo di aiutare i detenuti a superare l’agonia dell’isolamento e a recuperare e far rispettare la propria dignità.

Riportiamo di seguito un articolo di Gisella Desiderato e Danilo Di Mita. "Radiopopolare cerca di risolvere i loro problemi. Radio Cittadella li mette in contatto con i familiari. Radio Maria offre sostegno morale. Radio Radicale e Radio Sherwood preferiscono il taglio politico. I destinatari del servizio, in ogni caso, sono i detenuti. Le uniche emittenti in Italia che parlano di loro sono queste cinque che, con un microfono, entrano nelle celle trasformandole in un spazi di discussione. La prima che ha superato le sbarre e creato un contatto coi reclusi è stata, nel 1981, Radiopopolare di Milano con Radio Due-Tre, la trasmissione che doveva il nome ai raggi di San Vittore.

"Cerchiamo di far parlare il più possibile i carcerati - spiega Danilo De Biasio, caporedattore di Radiopopolare -, ma senza l’idea del pietismo. Noi andiamo lì perché sono effettivamente calpestati dei diritti e vogliamo fare un’opera di denuncia". A seguire le orme dell’emittente meneghina è stata Radio Sherwood di Padova, con Radio Evasione, una trasmissione che dal 1987 affronta, con un’impronta prevalentemente politica, i problemi della vita carceraria. "L’idea è quella di rendere trasparente quel muro che divide i detenuti dalla società, coinvolgendo nel dibattito le istituzioni e i parlamentari locali", sottolinea Marco Rigamo, il conduttore, impegnato ogni lunedì dalle 21 per un’ora. Gli stessi temi sono trattati in modo intimista da Radio Maria che, dal 1992, manda in onda due trasmissioni, entrambe nella fascia serale, con la regia di un unico conduttore, Federico Quaglini. Fili di speranza da una finestra sul carcere è l’appuntamento mensile del martedì alle 22. 45. Il Fratello, invece, si ripete ogni sabato alla stessa ora. "Serve a far sentire i detenuti meno soli - spiega Quaglini -. Noi svolgiamo un’opera di mediazione tra i carcerati e i familiari, raccogliendo via telefono le loro testimonianze e i loro messaggi".

La stessa impostazione segue Radio Cittadella, il network ionico di Radio Vaticana, che dal 1996, con la conduzione di Luca Zito, unisce idealmente i carcerati tarantini con i loro parenti. Il programma va in onda ogni mercoledì e venerdì dalle 19 alle 20 e viene diffuso all’interno del carcere di Taranto. Si chiama Napoli ieri e oggi, perché la trasmissione è incentrata sulle canzoni melodiche napoletane che sono la dedica ai parenti detenuti. L’ultima a nascere, nel maggio dello scorso anno, è stata Radio Carcere, trasmissione di Radio Radicale che ha già ospitato il ministro della Giustizia Roberto Castelli e il suo predecessore Alfredo Biondi.

Ogni martedì alle 21 Giovanni Reanda e Riccardo Arena, gli autori, parlano di carcere dal punto di vista politico-giuridico. "Il nostro faro - puntualizza Reanda - è la Costituzione, per la quale la pena non è solo punizione, ma anche rieducazione. E uno dei nostri obiettivi è far conoscere la realtà carceraria, spesso nascosta". Tra risocializzazione e carcere duro, tra sovraffollamento e indulto, il carcere è rimbalzato in primo piano. I numeri della disfatta (56mila detenuti contro i poco più di 40mila posti previsti all’interno delle carceri) sono recenti. Ma il sostegno silenzioso ai detenuti ha radici, anche se forse non troppo profonde. Si tratta di un aiuto spicciolo ma concreto. "Radio Evasione di Padova - racconta Rigamo - mette in contatto i detenuti che ne fanno richiesta con medici o avvocati, che rispondono ai loro quesiti".

"Ogni tanto - aggiunge Danilo De Biasio - viene chiesto alla radio di andare in carcere per organizzare partite di pallone, concerti, corsi di formazione. Così - continua - il detenuto impara e si sente meno escluso". Fuori di Cella di Radiopopolare porta le storie private fuori dal carcere permettendo al detenuto di superare gli intoppi che sembrano insormontabili. "Durante una delle ultime trasmissioni - annota Tiziana Ricci - la signora Raffaella, in carcere per spaccio di droga, poteva godere della libertà vigilata, ma non aveva una casa dove andare perché l’Aler, l’Istituto di case popolari, gliela aveva tolta. Con Fuori di Cella la signora ha trovato il suo tetto".

Ma il supporto della radio è anche e soprattutto di tipo morale. "Oltre alle dediche musicali - spiega Leo Spalluto, di Napoli ieri e oggi -, leggiamo in diretta i messaggi che si scambiano i parenti divisi dalle sbarre. Siamo un legame importante per tanti figli senza padre, e per tutti i padri detenuti a Taranto che riescono, grazie a noi, a partecipare anche se a distanza alla vita quasi quotidiana del figlio. E se non si può sostenere che un detenuto possa cambiare per una trasmissione, "l’interazione con il mondo esterno mantiene viva la sua capacità risocializzante", spiega Enrico Menduni, professore di Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo all’Università di Siena.

Fortissimo è l’impatto sociale. Nell’immaginario collettivo, infatti, la figura del detenuto cambia. Per Danilo De Biasio migliora: "Il merito di questo processo va riconosciuto anche ai media che abitano nelle strutture carcerarie, come i giornali". "Ma a differenza di questi ultimi le radio sono più calde - sostiene Menduni -.

Il concetto di prossimità va inteso come la possibilità di non sentirsi segregati e serve, appunto, a dare un senso di vicinanza alla vita a chi si trova isolato. Essere ascoltati è molto più importante che essere letti". E gli ascoltatori, effettivamente, sono numerosi. A Taranto, Napoli ieri e oggi è la trasmissione di punta di Radio Cittadella, perché mette in contatto le speranze di chi ha come obiettivo la riunione della famiglia".

Informazione: come parlare del carcere?, lettera da Milano

 

Gruppo Calamandrana, 14 febbraio 2005

 

In questi giorni nelle pagine milanesi dei più noti quotidiani (Repubblica e Corriere), è dedicato molto spazio al carcere di San Vittore luogo di eventi culturali e mondani: mostre, musica, sfilate, sit-com televisive, poesie d’amore, corsi di scrittura, e altro. Chi legge questi articoli immagina questo carcere come piacevole e quasi attraente, non può pensarlo come un luogo di sofferenza.

È giusto avere ammirazione per tutti gli operatori esterni e detenuti che svolgono belle iniziative lì dentro e per la direzione che ha favorito queste aperture. È anche giusto che di tutte queste iniziative, visto che esistono, si parli sui giornali. Ma perché non si parla e non si può parlare anche dell’altro che esiste anche a San Vittore come in tanti carceri?

Questo altro non si vede facilmente, se non si vuole occuparsene. Chi è a contatto con i detenuti come volontario, ogni volta che entra lì incontra sofferenza. Parlarne non è un compito facile. I racconti escono smozzicati, a pezzi e bocconi. Ci vuole prudenza. I detenuti sono sempre sotto il rischio di avere un rapporto e quindi perdere i già scarsi benefici. I volontari se raccontano all’esterno rischiano di non poter più entrare o peggio di nuocere a chi ha raccontato.

La sofferenza non viene solo dalla reclusione, ma dai diritti fondamentali spesso negati: cure mediche insufficienti, vitto scarso , sovraffollamento nelle celle, rapporti disciplinari ingiustificati, posta non ricevuta, disprezzo da parte di alcuni agenti, paura di quei detenuti diventati potenti perché lecchini o spioni, fino ai pestaggi. A volte si rimane ammirati dalla straordinaria vitalità e umanità con cui tutto ciò si sopporta. Quindi ben vengano le attività culturali alle quali alcuni detenuti riescono a partecipare.

Ma quanti sono questi? Certo, anche se i partecipanti sono pochi è sempre un gran bene che almeno loro abbiano queste possibilità, ma non si scriva sui giornali che queste attività culturali sono "un modo per far conoscere a chi è fuori la realtà di chi è dentro" Qui è l’equivoco. E a proposito di una imminente fiction televisiva , il Due Notizie scrive: Belli Dentro nasce da un’idea dei detenuti del carcere di San Vittore che, sotto la guida di Emilia Patruno direttrice del sito www.ildue.it, da tempo lavorano a innovare, attraverso una comunicazione auto-ironica, il racconto della vita "dietro le sbarre" al di là dello schema noto e già super frequentato di luogo di violenza, ingiustizia e isolamento sociale. Ma un conto è superare gli schemi narrativi banali ed usare l’autoironia nei racconti, un altro conto è voler mettere in testa alla gente che le cose ora sono cambiate, ed il carcere ora non è più luogo di brutte cose.

 

Gabriella Sacchetti, per il Gruppo Calamandrana

Milano: calcio e solidarietà, iniziativa nel carcere di San Vittore

 

Vivimilano, 14 febbraio 2005

 

Si chiama Sport - Solidarietà in rosa il torneo di calcio dalle grandi motivazioni educative, in programma sabato 19 dalle ore 10 al carcere di San Vittore a Milano. L’iniziativa è partita grazie alla conoscenza e alla collaborazione fra il Tradate calcio femminile (in particolare dalla dirigente sportiva Franca Oman), con la Polizia Penitenziaria (e con il Sovrintendente Francesco Carbonara) nata all’interno dell’oratorio San Francesco di Lainate, dove il Tradate si allena e con Marco Verza (collaboratore del C.S.I. per il progetto carceri, che ha aiutato alla sua stesura) che da quest’anno lavora anche con il Tradate.

Tra i volontari che quest’anno partecipano al progetto spicca anche una giocatrice del Tradate: Antonella Podio. La società ha organizzato quindi il torneo (a carico del team tutti i costi dell’evento, tra cui, premiazioni, rinfresco, palloni, gadget, arbitraggio) a cui partecipano, oltre alle atlete del Tradate, anche una rappresentativa di detenuti (chiamato team Bolognino, dal nome dell’arbitro che li allena), una squadra formata da una selezione di agenti della Polizia Penitenziaria e il team della Gazzetta dello Sport.

Il programma del torneo: alle ore 10, via con la partita tra la rappresentativa della Gazzetta dello Sport e il Tradate Calcio femminile; alle ore 10.30 ecco il team dei detenuti in campo contro la rappresentativa della Polizia Penitenziaria; alle ore 11, si gioca la partita tra la Gazzetta dello Sport e Polizia Penitenziaria; alle ore 11.30, via a alla gara tra il team Bolognino e il Tradate Calcio Femminile; alle ore 12 ecco la partita tra la Gazzetta dello Sport e il team Bolognino; infine alle ore 12.30 si sfidano la Polizia Penitenziaria e il Tradate Calcio femminile. E poi, dalle ore 13.30 in poi, si svolgono il rinfresco e le premiazioni. Per informazioni: tel. 392.6784040 (Marco Verza).

Verona: nuova guida per i detenuti tradotta in dieci lingue

 

L’Arena di Verona, 14 febbraio 2005

 

È uscita la nuova guida per i detenuti, un libretto di una quarantina di pagine prodotto dall’associazione di volontariato "La Fraternità" che ha sede in via Provolo 28. L’opuscolo, che è stato tradotto in una decina di lingue, tra cui sloveno, serbo, croato e arabo, intende agevolare i detenuti alla comprensione delle leggi e delle regole che disciplinano il regime penitenziario in Italia, in modo da fornire informazioni comprensibili a tutti, spiegando con parole semplici quali sono i diritti e i doveri di chi si trova in carcere, ma anche consigliando i comportamenti più opportuni nelle varie situazioni in cui una persona può venirsi a trovare al momento dell’ingresso in carcere.

L’iniziativa, ormai già collaudata, è frutto della collaborazione tra La Fraternità, di cui è responsabile fra Beppe Prioli, diversi enti pubblici, nell’ambito di un progetto per la creazione di una rete di solidarietà con gli immigrati in carcere. L’idea era nata proprio dall’esigenza di venire incontro a molti detenuti stranieri che si trovavano a dover affrontare il carcere senza conoscere l’italiano, senza sapere nulla di regolamenti in materia di colloqui con i familiari e con il proprio avvocato, di permessi e di possibilità di misure alternative alla detenzione in carcere.

L’opuscolo è suddiviso in sei capitoli: vita dell’istituto e rapporto con gli operatori, tutela della salute, leggi di maggior interesse penitenziario, gestione dei rapporti giuridici con le istituzioni e gestione dei rapporti economici delle istituzioni.

"La guida va consegnata al detenuto appena questi varca la soglia del carcere", precisa fra Beppe Prioli, "In questo modo si rendono più semplici i rapporti tra detenuto e amministrazione carceraria ma anche si offre alla persona un primo concreto aiuto per poter affrontare con meno ansia la sua condizione di recluso". Ulteriori informazioni sulla guida si possono chiedere all’associazione "La Fratenità" telefonando allo 045.8004960 oppure rivolgendosi alla casella di posta elettronica lafraternitalibero.it.

Verona: Antigone presenta le condizioni di detenzione

 

L’Arena di Verona, 14 febbraio 2005

 

Nel caffè letterario della libreria Rinascita è stato presentato il terzo rapporto biennale "Antigone in carcere" sulle condizioni di detenzione in Italia a cura di Giuseppe Mosconi e Claudio Sarzotti (Carocci editore). Paola Bonatelli, coordinatrice dell’Osservatorio Antigone per il Triveneto, ha presentato l’associazione.

"Nata alla fine degli anni Ottanta nell’emergenza dei prigionieri politici,con l’omonima rivista, che ora si pensa di ripubblicare, con Massimo Cacciari, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, operatori penitenziari, parlamentari, studiosi, insegnanti, magistrati, promuove l’elaborazione teorica sul tema della giustizia, ricerche e analisi empiriche e dal 1997 un Osservatorio per esplorare la realtà oltre le mura delle carceri; - ha spiegato Paola Bonatelli - i volumi pubblicati sono "Il carcere trasparente" (Castelvecchi, 2000), "Inchiesta sulle carceri italiane" (Carocci, 2002) e l’attuale, consultabile anche sul sito www.associazione.antigone.it. La situazione vede 57.000 detenuti in Italia invece di 40.000, con 500 educatori, il Veneto con le carceri più affollate, tagli sui servizi sociali e sanitari, suicidi, sedici inchieste in corso per maltrattamenti e violenza fra cui Genova e Napoli 2001, uno slittamento della legislazione verso modelli statunitensi con la Legge Cirielli salva-Previti e contro i recidivi".

All’elaborazione di Antigone sono riferibili la legge del 1992 sull’incompatibilità fra carcere e Aids e i progetti per le alternative al carcere, la depenalizzazione dei reati minori e del consumo di droghe, l’indulto per gli ex terroristi, l’istituzione del difensore civico dei diritti dei detenuti. Sin dal 1992 Antigone è impegnata nella campagna "Mai dire mai" per l’abolizione dell’ergastolo. "Sono state compiute visite in due terzi delle carceri della penisola, con una scheda d’analisi dettagliata, i cui risultati per settore sono stati analizzati da un ricercatore; - ha detto Giuseppe Mosconi, docente di Sociologia del Diritto a Padova, curatore, illustrando il metodo-; il volume comprende le statistiche, gli aspetti generali della detenzione in Italia, le figure particolari di detenuti (tossici, immigrati, donne, minori), gli eventi specifici come la tortura nella realtà americana; c’era una volta l’idea che attraverso la riforma si ottenessero risultati coerenti con il dettato costituzionale: la fiducia si è persa.

La pena appare pura sofferenza: quello che è preordinato al miglioramento e al recupero è fallimentare. La scommessa non si realizza per il legame profondo fra l’incapacità di risolvere i problemi sociali e la loro rappresentazione ideologica. Nel precedente rapporto con la legislazione a favore dei malati di Aids o di detenzione domiciliare per le madri di minori di anni dieci, si era aperto uno spiraglio, ma oggi la situazione è contro riformatrice: non ba-stano la visita del Papa e l’indultino. L’indurimento della pena è alla base della Cirielli. L’adozione di misure alternative alla carcerazione non ha modificato il numero di detenuti in crescita. La società lascia spazio a disinteresse e ideologia nell’uso dello strumento giuridico proponendo modelli mediatici e politici rassicuratori. È necessario un cambiamento di rapporti sociali per dare efficacia alla legge che da sola non è sufficiente".

"L’amministrazione e la società civile sono distratti nell’affrontare il tema della detenzione;- ha confermato Maurizio Mazzi, responsabile della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto ed esponente della comunità La Fraternità - in un ambiente degradante è difficile nascano sentimenti di miglioramento, chi è a metà della pena sente di aver già pagato ed è pieno di rancore, mentre la società si ribella a permessi o a detenzioni domiciliari a chi ha commesso gravi delitti.

Le vittime dei reati, quando si spengono i riflettori, vivono sole l’oltraggio subito. C’è un corto circuito di provvedimenti che non realizza il desiderato. A Verona il sovraffollamento è grave, il numero di educatori scarso, il servizio di igiene pubblica ha dato un parere negativo: siamo prossimi al quarto letto in cella con enorme degrado igienico. In altre città l’attenzione è maggiore: a Verona è il volontariato che stimola amministrazione e Chiesa. Il Comune, mostrando sensibilità, ha predisposto quattro tavoli con amministratori, terzo settore e volontariato su lavoro, diritti, educazione e accompagnamento degli ex detenuti".

Droghe: assolto Pannella, accusato di spaccio in manifestazione

 

Tg Com L’Arena di Verona, 14 febbraio 2005

 

Assolto perché il fatto non sussiste. Questa la sentenza della Corte d’appello di Roma nei confronti di Marco Pannella, accusato di cessione di sostanze stupefacenti. Con lui sono stati assolti altri cinque componenti dei radicali, tra cui Rita Bernardini, che nel ‘97 a piazza Navona organizzarono una manifestazione di disobbedienza. In primo grado Pannella era stato condannato a 3 mesi di reclusione.

Oltre a Pannella e a Rita Bernardini, la prima sezione della Corte di Appello di Roma, presieduta da Giovanni Mannarini, ha assolto anche gli altri attivisti radicali che a piazza Navona nell’ottobre del 1997 parteciparono alla manifestazione antiproibizionista, ossia Pier Giuseppe Camici, Alessandro Caforio, Cristiana Puglisi e Mauro Zanella accogliendo, per questi ultimi le richieste del pg Elio Costa. Lo stesso Pannella, che ha fatto dichiarazioni spontanee, al termine dell’udienza, e i suoi difensori, hanno inoltre sollevato la questione di legittimità costituzionale rispetto all’articolo 73 del codice di procedura penale che sanziona con il carcere la cessione, a qualsiasi titolo avvenga, delle droghe cosiddette leggere.

Marco Pannella era stato condannato dal tribunale di Roma a tre mesi di reclusione per la distribuzione gratuita di hashish. La stessa pena era stata inflitta a Rita Bernardini e per entrambi i tre mesi di reclusione erano stati convertiti in 4.186 euro di multa. I giudici della IX sezione, avevano condannato anche Pugliese, Caforio,Zanella e Camici a due mesi e venti giorni di reclusione. Anche per loro la pena era stata convertita in una multa di 3.618 euro. Anche oggi i difensori degli imputati, nelle loro arringhe, hanno ripetutamente sottolineato "l’ irragionevolezza" della legge che "si presenta incostituzionale sotto il profilo tecnico". "Negli anni - ha detto l’avvocato Caiazza - abbiamo assistito a diversi pronunciamenti dei vari tribunali, ognuno diverso dall’ altro, a volte anche contraddittori. Tutto ciò perché la stessa legge non garantisce un’ univocità di giudizio".

Padova: senza dimora, una notte con i sopravvissuti dell’altra città

 

Il Gazzettino, 14 febbraio 2005

 

Il volto della disperazione della capitale del Nordest. Una notte insieme ai volontari dell’operazione "Siberia 2005" e l’immagine spesso esportata della Padova ricca e felice, si dissolve tra barboni, tossicodipendenti, extracomunitari clandestini, minori che vendono il proprio corpo, prostitute, spacciatori e una moltitudine di ragazzi del meridione in cerca di fortuna.

Il furgone di "Siberia 2005" parte dalla sede operativa di via Gradenigo verso le 22.30 munito di thermos con cioccolata e tè, coperte e brioche. La prima tappa è l’asilo notturno al Torresino. Gli operatori di strada vanno a prendere una ragazza di Pontebba (Udine) per portarla a dormire in uno dei due container di via Gradenigo. Non ha più di vent’anni, capelli rasta e occhi azzurro chiaro, con sé ha uno zaino e una sacca molto grande. L’impressione è che sia scappata di casa. Piuttosto timida e preoccupata chiede ad un volontario dove la stanno portando. Si tranquillizza quando capisce che dormirà nei container, dove ha già trascorso altre notti. Il camioncino di "Siberia 2005" prosegue la sua corsa verso la stazione per prelevare cinque persone che lo stanno aspettando nella "Casetta", ex sede delle poste ferroviarie ora adibita a centro di accoglienza per senzatetto.

Qui fuori, un gruppo di minori extracomunitari dei paesi dell’Est fumano e schiamazzano. Arrivano i cinque ospiti dei container. Sono tre donne, una italiana e due rumene, un ragazzo tunisino e Sandro, un passato da tossicodipendente e attualmente senza fissa dimora. "Le istituzioni non mi hanno aiutato - spiega Sandro - e con 650 euro al mese che ricevo di pensione non ho i soldi per affittare una casa. Da poco sono diventato anche papà e mi manca il denaro per poter mantenere la mia famiglia. A volte quando fa freddo non so dove andare a dormire e così per riscaldarmi mi ubriaco".

Il furgone di "Siberia 2005" è seguito da un’Apecar. A bordo ci sono altri due tunisini che hanno chiesto di poter dormire nei container. "Abbiamo posto ancora per due perosne nei container, vediamo chi troviamo" commenta l’operatore di strada Luca Bertolino. La realtà che ci attende è agghiacciante.

Parco Fistomba: in un buco di cemento sotto l’omonimo ponte, proprio dove la notte di Natale è deceduto un cittadino extracomunitario, troviamo due ragazzi tunisini. "Sono amici di quello che è morto - racconta Bertolino - vediamo se hanno voglia di dormire nei container". Luca, il volontario, scende giù per l’argine con un thermos e li chiama. Il momento non è dei migliori, i due stranieri si stanno sparando in vena una dose di eroina. "Quando si fanno - dice Bertolino - è meglio lasciarli stare. I posti nei container sono stati, ad ogni modo, riempiti (sono 12 posti letto, ndr). Andiamo nella zona banche a vedere se qualcuno vuole bevande calde e brioche".

Retro della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo di via Delù. In un angolo dorme una giovane coppia di tossicodipendenti. Anna e Marco (due nomi di fantasia) imbacuccati sotto le coperte, con i cartoni hanno costruito una sorta di letto matrimoniale con tanto di comodino. Sono circondati dalle videocamere della banca e non sembrano preoccuparsene.

"Le videocamere della banca - spiega Marco, molto educato e con l’erre moscia - ci proteggono. Dentro c’è una guardia che le controlla tutta la notte e se succede qualcosa di brutto chiama la polizia. Con la cattiva gente che gira ho paura per la mia ragazza". Lei, capelli lunghi e biondi ha un cappello bianco calato in testa. Non parla, ascolta con rispetto il suo compagno e cura la sua stanza da letto immaginaria. Gli operatori di "Siberia 2005" si spostano nel complesso di banche di piazzetta Salvemini.

Un giovane vagabondo, giubbetto da college americano e una sporta della spesa, chiede cibo, cioccolata e tè caldi.Si riparte, destinazione via Fra Paolo Sarpi ex sede Domenichelli. Entriamo, da un pertugio semi sbarrato dal filo di ferro, nell’area buia e abbandonata. Una perlustrazione tra gli edifici rotti e cadenti. Non c’è nessuno. "In questa zona, la sera della nostra prima uscita, quando ha nevicato - ricorda Bertolino - abbiamo trovato circa trenta moldavi che ci hanno accolto con i bastoni". La notte dei volontari di "Siberia 2005" finisce, intorno all’una, in stazione a distribuire bevande calde agli homeless che dormono nelle brandine (messe a disposizione dal Comune) di fronte alle biglietterie e ai tanti ragazzi del Sud che si riparano dal freddo in una sala d’aspetto vicino ai bagni. Chiunque voglia sostenere e partecipare attivamente all’intervento di strada e all’accoglienza notturna di "Siberia 2005" può chiamare il Telefono Bianco 049.775372, mentre per un contributo economico il versamento deve essere effettuato sul c/c bancario n. 100415, intestato a "Associazione Razzismo Stop", Banca Popolare Etica di Padova, Cin w-abi 05018, cab 12100 e casuale "Operazione Siberia".

 

 

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