Rassegna stampa 19 dicembre

 

Milano: 36enne si suicida in carcere a San Vittore

 

Merate on-line, 19 dicembre 2005

 

Si è tolto la vita probabilmente nella notte e fare la macabra scoperta del cadavere legato con un lenzuolo alle sbarre della cella sono state le guardie carcerarie. Per lui, purtroppo, non c’è stato nulla da fare e i sanitari non hanno potuto che constatarne il decesso. R.O., classe 1969 di Merate, si trovava rinchiuso nel carcere di San Vittore di Milano con l’accusa di reati contro il patrimonio. Questa notte con un lenzuolo l’uomo, spostato e con residenza in Via Como, ha deciso di farla finita e ha legato il telo all’inferriata della finestra e poi attorno al collo. Si è lasciato cadere, morendo soffocato o per la rottura dell’osso (a stabilirlo sarà l’autopsia che probabilmente il magistrato disporrà nei prossimi giorni) e le guardie carcerarie hanno rinvenuto il suo cadavere solamente all’alba di venerdì 16 dicembre.

Genova: 41enne condannato a 20 anni si suicida in carcere

 

Adnkronos, 19 dicembre 2005

 

Si è ucciso nel carcere di Marassi a Genova Piero Bertagni, il 41enne genovese condannato a 20 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzata Paola Toma. La scoperta è stata fatta ieri alle 17.45 dal compagno di cella di Bertagni, che lo trovato in bagno, impiccato, appeso alla finestra con una corda ricavata da materiali diversi, forse da tute. Secondo la direzione del carcere, la corda non è stata ricavata da indumenti o materiali proprietà del detenuto o a lui assegnati.

Il fatto è avvenuto tra le 17.30 e le 17.40, mentre il compagno di cella assisteva a un programma tv. L’intervento del 118 è stato immediato. L’uomo all’arrivo dei soccorsi era ancora vivo, la morte è avvenuta, nonostante i tentativi di rianimazione, durante il trasporto in autoambulanza, quando la vettura stava uscendo dal carcere. Bertagni era titolare di un negozio di integratori alimentari a Genova-Rivarolo. Era stato condannato per avere massacrato nel retrobottega a colpi di mazza in testa la propria ex fidanzata e amica di infanzia Paola Toma, nel luglio 2004. Era stato sorpreso dalla polizia stradale in una piazzola di sosta in autostrada all’altezza di Savona, con il cadavere della donna in un sacco. Dell’omicidio non aveva mai dato una spiegazione.

 

Suicida in carcere l’assassino dell’ex fidanzata

 

Secolo XIX, 19 dicembre 2005

 

Un mese fa era stato condannato a vent’anni per l’omicidio dell’ex fidanzata, la ragazza con cui era stato quand’era adolescente. Ieri Ugo Bertagni, 41 anni, di Rivarolo, si è ucciso nel carcere di Marassi. Da tempo le sue condizioni fisiche erano precarie, anche se dal penitenziario mantengono uno strettissimo riserbo: "Confermiamo il decesso - è stato riferito ieri sera al Secolo XIX - e il fatto che si sia trattato di un suicidio". La vicenda di Bertagni aveva destato enorme scalpore nell’estate del 2004 quando l’uomo, un commerciante che gestiva un negozio d’integratori alimentari in via Jori, massacrò con un gancio di ferro Paola Toma, 37 anni, assistente sociale fidanzata con un operaio suo coetaneo. Era la sera del 14 luglio e Bertagni, dopo averla fatta entrare nella rivendita con una scusa banale e averla colpita nel retrobottega cui si accedeva attraverso una scaletta, con un’efferatezza inspiegabile nascose il cadavere in un sacco. Poi, incredibilmente, uscì a cena con un’amica e tornò in via Canevari solo dopo diverse ore, caricando il corpo di Paola in macchina. Dopo aver vagato in stato confusionale per alcune ore, prese l’autostrada e cercò di disfarsene in una piazzola di sosta all’altezza di Altare, in provincia di Savona, ma fu sorpreso dalla polizia stradale e catturato. Da allora il killer è sempre rimasto in prigione, anche se le analisi degli psicologi e le indagini della squadra mobile non hanno mai permesso di fare luce sulle motivazioni profonde del raptus: "Sentivo delle voci - ha ribadito durante i ripetuti interrogatori - suoni strani e non le sue grida". Le perizie condotte dai medici legali dimostrarono che aveva persino tentato di sezionare il cadavere. Il processo con rito abbreviato si era celebrato il 3 novembre. Ed era stato il giudice Maurizio De Matteis a punire con vent’anni un omicidio tra i più crudeli, e ormai per sempre inspiegabile, commessi a Genova negli ultimi anni.

Amnistia: Violante: c’è poco tempo, ora è possibile solo l’indulto

 

Apcom, 19 dicembre 2005

 

Nelle poche settimane di lavoro che mancano alla fine della legislatura non ci sono le condizioni per varare una amnistia, l’unica cosa che si può fare è un indulto. Lo dice a Radio Radicale il capogruppo DS alla Camera Luciano Violante.

"Senza creare illusioni false nel mondo dei detenuti che già soffrono abbastanza - premette l’esponente della Quercia - dico che un provvedimento di amnistia è strettamente legato ad alcune riforme del codice di procedura penale e del codice penale. Io spero che si possano fare il più rapidamente possibile e che si possa varare a questo punto anche un provvedimento di amnistia. Oggi come oggi mi pare, sentendo un po’ in giro, non c’è una maggioranza dei due terzi in Parlamento tra Camera e Senato e allora bisogna evitare che qualcuno per mettersi in luce e farsi pubblicità giochi sulla pelle e sui sentimenti delle persone detenute".

"Quindi - prosegue Violante - siamo seri, ciascuna coalizione dica che tipo di riforme vuole fare nei primi due mesi di lavoro parlamentare della prossima legislatura, come si connette a questo un provvedimento di clemenza e di indulgenza per poter consentire alle riforme di andare avanti, questa è la strada giusta. Il resto francamente mi sembra un po’ di pubblicità e basta perché in questa situazione trovare i due terzi alla Camera e al Senato mi pare difficile se non impossibile, tenendo presente che ormai la legislatura è sostanzialmente finita, riapriamo le Camere a metà gennaio, a febbraio si scioglie, trovare il tempo per fare un provvedimento di amnistia è difficile".

"Adesso - conclude il capogruppo dei Ds alla Camera - se una cosa si può fare è probabilmente un indulto, quello sì che per il mondo delle carceri avrebbe un effetto positivo".

Amnistia: appello di Pannella; "Berlusconi e Prodi, incontratevi"

 

La Repubblica, 19 dicembre 2005

 

Mancano sette giorni alla Marcia di Natale per l’amnistia e il leader radicale Marco Pannella non rinuncia alla speranza che la manifestazione non sia solo simbolica ma ottenga anche un concreto risultato politico. Per questo rivolge un nuovo appello, è il terzo ormai da quando è partita la sua battaglia, a Romano Prodi e Silvio Berlusconi perché s’incontrino "subito", si mettano d’accordo, portino l’Unione e la CdL a votare un provvedimento di clemenza "che sia il più ampio possibile. L’aveva chiesto ad entrambi anche venerdì, durante la conferenza stampa per fare il punto sui suoi tre giorni di digiuno, ma Prodi e Berlusconi non avevano risposto. Il primo ha già fatto la sua mossa, con Fassino e Rutelli ha proposto solo un indulto, da sei mesi a un anno a seconda delle condanne e delle pene da scontare. Per Berlusconi ha preso posizione il presidente della Commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella che ha affidato all’avvocato palermitano Nino Formino un giro d’orizzonte tra le forze politiche. Diceva ieri Pecorella: "Martedì saprò com’è andata. Ma personalmente sono scettico perché il dibattito sull’amnistia sta degenerando, viene usato come strumento elettorale. Ormai è uno scontro tra fazioni, e nessuno finora ha detto con chiarezza un sì o un no".

Proprio per questo Pannella insiste sul faccia a faccia Prodi-Berlusconi. Nel suo "fiducioso" appello ai due scrive: "Incontratevi subito. Insieme, se avete la volontà e la determinazione, potete da subito dare una risposta adeguata, esemplare, di buongoverno della massima crisi istituzionale sociale morale e politica del nostro Paese". Secondo Pecorella l’incontro sarebbe "inutile", perché quello che conta è l’intesa in Parlamento, dove però ci sono troppe "ambiguità", come quella dei DS, "che al Senato propongono l’amnistia, ma alla Camera dov’è radicato il dibattito, depositano un progetto per l’indulto". Domani, in Commissione, si andrà alla conta e si verificherà se ci sono le condizioni per andare avanti. Da oggi, invece, il diellino Roberto Giochetti, un passato di scioperi della fame per l’amnistia, Sofri, la legge sul conflitto di interessi, i giudici della Consulta, comincerà a raccogliere le 200 firme necessarie per chiedere una convocazione straordinaria della Camera tra Natale e Capodanno. "Non sarà certo una seduta per approvare l’amnistia, ma per fissare dei tempi, verificare se c’è la volontà politica". Pecorella boccia anche Giochetti: "È un’altra iniziativa elettorale anche se, intendiamoci, sarei ben felice se la commissione trovasse la forza per inviare in aula un testo da votare. Sull’amnistia Forza Italia è sempre stata limpida e a favore". Ma l’appello di Giochetti qualche probabilità di riuscita può averla perché sono molti i partiti favorevoli a un gesto per le carceri: DS, Margherita, Pdci, Rifondazione Comunista, i Verdi, i socialisti di Boselli potrebbero sottoscrivere la richiesta. Nominativamente già ieri hanno annunciato il SI Maura Cossutta dei Comunisti Italiani, e la diossina Fulvia Bandoli. Dopo la marcia della mattina di Natale una seduta straordinaria della Camera sarebbe un indubbio segnale positivo.

Giustizia: Pisapia; Ds e Dl pensano solo a non perdere voti…

 

Corriere della Sera, 19 dicembre 2005

 

Ipocrisia? "No, non direi". Allora troppa prudenza? "Nemmeno. Semplicemente, Ds e Margherita sono convinti che appoggiando l’amnistia perderebbero voti. Sono valutazioni che rispetto ma non condivido. E soprattutto non tengono conto di una cosa importante: se uno pensa di governare deve gestire una situazione che senza un intervento immediato sfuggirà di mano". Ministro "in pectore" della Giustizia per l’Unione, Giuliano Pisapia (Rifondazione comunista) è tra i più convinti sostenitori dei provvedimenti di amnistia e indulto ma ammette di "non essere ottimista".

 

Pannella chiede a Berlusconi e Prodi d’incontrarsi.

"Mi sembra poco probabile. E poi sarebbe più utile un confronto tra i leader dei partiti, insieme ai responsabili giustizia, per trovare una strada ragionevole e praticabile".

 

Qual è il problema? Amnistia e indulto sono argomenti impopolari, specie sotto elezioni?

"Il problema principale è questo. Basta vedere i silenzi e le dichiarazioni degli altri partiti: An e Lega sono contrari, Ds e Margherita dicono di sì solo all’indulto non comprendendo che, chiunque governerà, sarebbe un vantaggio partire senza due milioni di processi destinati a finire nel nulla".

 

Perché nel nulla?

"Approvare solo l’indulto vorrebbe dire scarcerare un certo numero di detenuti, alleviando in parte il problema delle carceri. Ma senza amnistia si farebbero fare due milioni di processi destinati o a finire in prescrizione, soprattutto dopo l’ex Cirielli, oppure con una condanna la cui pena sarebbe condonata proprio per l’indulto. Tre gradi di giudizio per non arrivare a nulla. Il massimo dello spreco: un assurdo politico e giuridico".

 

Lo avrà detto a suoi colleghi della Margherita e dei Ds.

"Sono cinque anni che lo faccio".

 

E cosa le rispondono?

"Nei dibattiti dicono tutti che si tratta di riflessioni ragionevoli. Poi quando arriva il momento delle decisioni entrano in gioco le valutazioni sull’impatto elettorale. Ma per dare una risposta a questi problemi bisogna prendere una decisione e portarla avanti fino in fondo anche perché spesso ciò che all’inizio appare minoranza può poi trovare il consenso della maggioranza".

 

Non crede che partiti come i Ds o la Margherita, ma anche quelli del centrodestra, perderebbero voti appoggiando l’amnistia?

"No, se la questione viene spiegata bene. E cioè se si dice che si tratterebbe di provvedimenti revocabili: ad esempio se chi ha beneficiato dell’indulto commette un nuovo reato entro cinque anni, sconta la pena sia vecchia che nuova e questa è una garanzia per la sicurezza dei cittadini. Ma soprattutto se si spiega che questo dovrebbe essere solo il primo passo per ridisegnare il sistema della giustizia: sanzioni alternative al carcere, intervento sulla prescrizione per accelerare i processi, eliminazione di tutti gli effetti negativi della Cirielli e delle altre leggi penali di questi ultimi anni".

 

Ma ormai alle Camere mancano poche settimane di lavoro.

"E infatti questi sono impegni da prendere, al di là dell’esito di questa mobilitazione, per le prime settimane della prossima legislatura".

 

Dalla Margherita Roberto Giachetti propone di riunire la Camera tra Natale a Capodanno. Sta raccogliendo le 200 firme necessarie. Servirà?

"È una sollecitazione utile e credo che le 200 firme, tra cui quelle di Rifondazione, si troveranno. Il problema sarà trovare poi gli oltre 400 voti per approvare la legge. Legge che non sarebbe né aberrante né buonista ma solo l’applicazione di un principio della Costituzione: dal 1947 al 1990 abbiamo avuto 42 amnistie e indulti. Dal 1990 nemmeno uno. Qualcosa vorrà pur dire, no?".

Amnistia: perché sto con Pannella, di Egidio Sterpa

 

Il Giornale, 19 dicembre 2005

 

Non sarò a Roma per Natale alla marcia indetta da Pannella per l’amnistia, ma condivido quasi del tutto le motivazioni del leader radicale. A Pannella, di cui personalmente, come egli sa, non condivido il passaggio nelle file di Prodi - gliel’ho rimproverato in una lettera aperta - va riconosciuto il merito di affrontare, da decenni ormai, battaglie di alto valore civile. E questa dell’amnistia lo è sicuramente.

So bene che non pochi lettori del Giornale sono contrari ad atti di clemenza in questo particolare momento storico, e però non esito a farmene sostenitore, illudendomi che essi quanto meno non disprezzeranno la franchezza e la chiarezza di posizioni che non mancano mai nei miei scritti. In questo caso ci sono ragioni serie e solide ad indurmi a favore di un provvedimento di giustizia che risponde, a mio parere, innanzitutto ad uno stato di necessità ed è giustificato, come scrive Croce nel suo Etica e politica dalla considerazione che la giustizia è fatta anche di compassione umana.

Veniamo al sodo. Nelle oltre duecento carceri italiane ci sono oggi, stando a dati ufficiali, circa 60mila detenuti, quando ne potrebbero contenere sì e no 40mila. Una assurda e vergognosa condizione che lo stesso Guardasigilli Castelli, pur contrario a provvedimenti di clemenza, non si stanca di segnalare sottolineando l’urgenza di un programma di edilizia carceraria.

Ma non è la sola indegnità della nostra giustizia. Sull’apparato giudiziario italiano gravano nove milioni circa di processi inevasi, di cui oltre tre di carattere civile e più di cinque di carattere penale.

è giustizia questa? Qualche responsabilità va ascritta alla inadeguatezza quantitativa della struttura giudiziaria, ma non poca ne va addebitata alla magistratura. È una questione che risale a decenni di incuranza, aggravatasi in questi ultimi anni. Evitando le solite compiacenze tartufesche e interessate, è innegabile che questa è la oggettiva situazione. Ci sono processi che durano anni, mentre migliaia di altri giacciono in fascicoli in attesa di venire esaminati e discussi.

Sono oneste osservazioni, queste, che vengono da uomini del diritto, fra i quali appunto alti magistrati, che ne soffrono l’umiliazione. Un grande moralista francese, La Bruyère, annotava già nel Seicento una considerazione valida ancora quattro secoli dopo: "È ingiustizia quella che fa aspettare troppo tempo l’imputato e ogni cittadino che vi ricorre".

Non è esagerazione dire con Pannella che questa della giustizia in ritardo e delle disonoranti carceri sovraffollate è forse oggi la più grande questione sociale italiana. Sta qui la motivazione più razionale per un appello all’amnistia e all’indulto. Giorni fa uno dei nostri più insigni giuristi, Giuliano Vassalli, ha dichiarato: "Non c’è mai stato, nella storia dell’Italia prima monarchica e poi repubblicana un periodo così lungo - ben quindici anni - senza amnistia e indulto. Per questo le carceri scoppiano". L’ultima amnistia fu nel 1990.

Dove sta l’impedimento al tempestivo svolgersi di un’azione che pure tanti saggi ritengono giusta? I motivi sono diversi.

Prevalgono senza dubbio il timore dell’impopolarità - nell’opinione pubblica c’è in effetti preoccupazione per l’eventuale ritorno in libertà di pericolosi criminali (ma un provvedimento ben congegnato potrebbe evitarlo) - il calcolo, interessato e peloso, che amnistia e indulto favoriscano gli avversari, infine - questo assai farisaico e demagogico - il giudizio che un atto di clemenza può essere sfruttato a fini elettorali.

Ipocrisia ce n’è tanta indubbiamente. Il 14 novembre del 2002 Papa Wojtyla fu accolto trionfalmente a Montecitorio (c’è una targa a ricordarlo nell’aula) e venne applaudito senza riserve dai parlamentari di tutti i partiti quando invocò l’amnistia. Non a caso l’Osservatore Romano non ha esitato a parlare di "presa in giro". Va aggiunto che c’è purtroppo una norma della Costituzione, l’articolo 79, approvato nel 1992 in un clima politico assai controverso, che rende impervia la strada verso amnistia e indulto. Eccone il testo (primo comma): "L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale". Fatti i conti, alla Camera, per esempio, la maggioranza dei due terzi si raggiunge con 407 voti. Come dire che l’obiettivo, con i tempi che corrono, è quasi irraggiungibile. Il che però non impedisce di sperare, come Pannella, in un improvviso scatto di saggezza da parte delle diverse parti politiche. Il mio pragmatismo non mi induce ad illusioni, ma la mia coscienza e il mio senso del diritto mi portano a sperare con Pannella che il miraggio possa diventare realtà.

Sappe - Sinappe - Fsa: "bloccheremo le carceri a Natale"…

 

Comunicato Stampa, 19 dicembre 2005

 

"Ha avuto molto successo il nostro primo giorno di volantinaggio per protestare contro le disattenzioni e le promesse non mantenute del Governo verso la Polizia Penitenziaria. La gente ci ha spronato ad andare avanti, ci ha espresso sincera solidarietà per il nostro duro lavoro ed è rimasta sorpresa dalle garanzie non rispettate dell’onorevole Luigi Vitali, Sottosegretario alla Giustizia. Ci auguriamo di incontrare nei prossimi giorni il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Gianni Letta, che gode della nostra massima stima per il suo equilibrio e senso dello Stato, per individuare una soluzione alla grave situazione carceraria che si ripercuote principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Ma non è escluso che ricorreremo alla sciopero bianco nei prossimi giorni, che di fatto paralizzerà le carceri italiane! A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che così commenta il primo giorno delle iniziative di protesta dei Sindacati di categoria Sappe, Sinappe e Fsa davanti a Palazzo Chigi, alla Camera dei Deputati ed al ministero della Giustizia.

Prosegue il Sappe: ""È irresponsabile un Governo che, avendo sotto gli occhi il disastroso sistema penitenziario italiano, non assume alcuna iniziativa concreta nella Finanziaria ed anzi ha "sponsorizzato" una legge (la ex Cirielli) che incrementerà ulteriormente la già vertiginosa cifra dei 60.000 detenuti attuali (sono previsti 4.000 detenuti in più alla fine del prossimo anno e saranno oltre 70.000 nel 2008). La Polizia Penitenziaria ha bisogno di fatti concreti e la finanziaria 2006 deve garantire l’assunzione definitiva dei 500 ex agenti ausiliari, come ha promesso ai Sindacati dei Baschi Azzurri l’inaffidabile sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, oltre a maggiori fondi che permettano la predisposizione di piani straordinari per la sicurezza degli istituti di pena e per il personale"

"Saremo in piazza anche nei prossimi giorni a volantinare davanti alle sedi del Governo, della Camera dei Deputati e del Ministero della Giustizia perché l’opinione pubblica sappia le promesse fatte e non mantenute da importanti esponenti dell’Esecutivo Berlusconi. E il 21 dicembre saremo in sit-in permanente davanti a Montecitorio, per richiamare tutti i parlamentari sulla gravissima situazione penitenziaria nazionale. Ci auguriamo di incontrare nei primi giorni della prossima settimana il Sottosegretario Gianni Letta per individuare le soluzioni più immediate alle nostre rivendicazioni, per evitare di bloccare davvero - con la proclamazione dello sciopero bianco della Polizia Penitenziaria, sciopero che prevede l’applicazione tassativa di tutte le norme, le disposizioni e gli ordini di servizio che regolamentano la quotidianità di un istituto penitenziario - le carceri italiane!".

La Spezia: festa in carcere, pensando alla futura libertà

 

Secolo XIX, 19 dicembre 2005

 

Il segreto è imparare a non vedere le sbarre e continuare a progettare il futuro per quando sarai fuori". È questo il consiglio che Marcello dispensa a chi entra nel gabbio. Marcello è uno dei 180 detenuti nella casa circondariale della Spezia: il palazzaccio che apre portoni blindati su via Fontevivo. Ma ci vuole fantasia e quotidiana applicazione per non vedere le sbarre stando dentro le mura di Villa Andreini.

Il corridoio della sezione potrebbe sembrare un cortile interno di una casa di ringhiera, ma al posto dei panni stesi c’è una robusta rete metallica e dal ballatoio si affacciano celle sovraffollate, all’interno delle quali un muretto divide il "cesso" dal letto a castello.

Oggi però è giorno speciale. Nel corridoio sono spuntati amplificatori e microfoni. C’è un concerto, arriva gente "da fuori". Le "Voci di Strada" cantano De André. Il pubblico, disposto su due file di sedie addossate alle pareti del corridoio, è composto dai volontari del Centro solidarietà immigrati (Csi) e dai rappresentanti delle comunità locali di migranti: albanese, dominicana, tunisina, senegalese. In fondo al corridoio, una cinquantina di detenuti: un caleidoscopio di lingue, culture, religioni. Registe dell’evento due fatine dalla volontà d’acciaio: Antonella Franciosi, presidente del Csi e Maria Cristina Bigi, direttrice della casa circondariale. Si deve a loro - non solo, ma soprattutto - se oggi chi sta fuori può avere un incontro ravvicinato con chi sta dentro. Poche ore non bastano a capire, spiegare, narrare la realtà, il vissuto della comunità carceraria. Ma è un passo: non è il primo, non sarà l’ultimo, dicono tutti. C’è la percezione di sensibilità violate ed intelligenze deprivate. C’è il lezzo di istituzione totale, levatrice di arbitrio, astuzie e prepotenze. Ma Francesco, il detenuto cui Michele ha ceduto la chitarra, oggi può suonare il suo blues per i suoi amici, per il sindaco Giorgio Pagano e per Don Francesco, il giovane parroco di Piazza Brin, quartiere-avamposto di un destino multietnico. Mancano flash e telecamere. C’è, e si muove con la disinvoltura di un avvocato, l’assessore al Welfare Cinzia Aloisini.

"Gesù non ha trovato posto nella sua città, per nascere è dovuto emigrare. È stato perseguitato, carcerato, condannato a morte. Viviamo giorni importanti, sono quelli che precedono il Natale che richiama valori comuni ad ogni uomo: famiglia, focolare, patria. Sono contento di essere qui, mi fa piacere pensare di salutarvi anche per conto di quei vostri cari che sono ancora nei vostri Paesi d’origine". Così dice Don Francesco. L’applauso resta sospeso ad una riflessione poi parte convinto e prolungato.

"Questi incontri sono importantissimi - commenta Maria Cristina Bigi - . Il rapporto con il territorio e la scuola sono decisivi per arrivare a definire un sistema di valori condiviso: il lavoro, ad esempio, o la cultura. È un processo lento, ma necessario. La risposta del territorio, dai Comuni alle comunità, è positiva. Questo ci conforta". La metà dei reclusi sono maghrebini, ispanici, albanesi. Devono convivere sotto uno stesso tetto. Chi osserva il Ramadan, chi sogna il pranzo di Natale. Tutti conoscono le regole e i codici della vita carceraria. "La filosofia che ispira le nuove leggi tende a isolarci", teme Marcello. Ma sono in cantiere i corsi professionali presso la scuola edile, quelli di grafica con l’Einaudi entrano nel quinto anno, i Comuni erogano borse-lavoro ad aspiranti giardinieri. Francesco ha attaccato un altro blues.

Belluno: vigilia di Natale in carcere per monsignor Andrich

 

Il Gazzettino, 19 dicembre 2005

 

Un gesto di attenzione verso i più soli che domani toccherà anche la casa di riposo di Santa Croce del Lago. Obbedendo al messaggio del Vangelo che raccomanda di "visitare i carcerati", la vigilia di Natale il vescovo Giuseppe Andrich sarà a Baldenich, nella casa circondariale della città per celebrare la santa messa nel giorno della vigilia di Natale, sabato 24 dicembre.

La scelta del vescovo di Belluno-Feltre mons. Andrich appare chiara: in una giornata in cui, pur essendo essa una festività religiosa, molti dimenticano l’attenzione agli ultimi, ai più poveri e ai deboli, egli vuole ricordarsi proprio dei carcerati, di quelli che nella società sono molto spesso accantonati o dimenticati. È qui che trascorrerà alcune ore della vigilia celebrando la messa per tutti i detenuti. È, quella che si apre oggi, una settimana particolarmente ricca di celebrazioni e che culminerà proprio con le sante messe della vigilia e del giorno di Natale, domenica. Durante la settimana il vescovo sarà anche nella casa di Riposo di Santa Croce del Lago in comune di Farra d’Alpago (martedì 20 dicembre) per incontrare gli anziani ospiti.

Un tour tra le persone più bisognose di attenzione a testimonianza di come il Natale debba essere un valore di solidarietà e vicinanza e non occasione per far sentire ancora più solo chi già lo è. Ma anche e soprattutto un esempio affinché le festività siano la giusta occasione per stare assieme, per dare veri contenuti al Natale cristiano.

Milano: non ho un posto per dormire, arrestatemi…

 

Corriere della Sera, 19 dicembre 2005

 

"Signor giudice, mi dia il massimo della pena. Lasci perdere attenuanti e condizionale. Anzi, se è possibile, mi faccia restare a San Vittore fino a giugno. Così supero l’inverno e quando esco vado a Rimini a fare il cuoco per la stagione turistica". Stupore e ilarità in aula. Il giudice, il pubblico ministero e il difensore d’ufficio si guardano l’un l’altro, in silenzio. È la prima volta che al Tribunale di Milano si sente un imputato chiedere la pena più alta, un ladro d’auto che non vede l’ora di andare in carcere e di restarci il più a lungo possibile. Ma la vicenda di Tomas G., 30 anni, di Corsico, precedenti per spaccio di droga e diserzione del servizio militare, è quella di un "forzato" del crimine. Un mese fa, la moglie con cui ha avuto due figli e dalla quale si sta separando lo ha cacciato di casa. Da allora Tomas G. vive per strada. Mangia quando può e la notte si rifugia su una panchina alla stazione ferroviaria di Corsico. Una vita dura, tanto da fargli venire nostalgia del carcere. E così l’altra notte, alle 3, ha telefonato al 112 fingendo di aver visto un ladro armeggiare intorno a una Punto. Poi, ha aspettato la pattuglia dei carabinieri davanti all’auto, con gli arnesi da scasso in mano. Li ha salutati con un sorriso e si è fatto ammanettare. Il magistrato lo ha condannato a quattro mesi di reclusione. Due in meno di quelli sperati.

 

 

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