Rassegna stampa 11 ottobre

 

Pisa: Alessandro ha lasciato 48 euro, di Adriano Sofri

 

Panorama, 11 ottobre 2004

 

Stavo scrivendo questo articolo quando c’è stato un improvviso subbuglio. Un detenuto si è impiccato alle 11 di mattina. Ha lasciato la lista della spesa. La copio, qualcosa vorrà dire.

Può darsi che ci sia ancora chi pensa che la depressione sia un’invenzione per ricchi. "Quando si faceva la fame nessuno si poteva permettere la depressione". Non è vero, naturalmente: ma fa piacere dirlo. In generale, si è capito che c’è una malattia, che bisogna curarla, che chi ne soffre non è colpevole di soffrirne, che perché si aiuti a uscirne bisogna che il suo Dio o qualcun altro lo aiuti.

Questo nella società. In quei sordidi scantinati che la società non ama vedere e che si chiamano carceri, non solo la depressione, ma qualunque ingrediente più che zoologico dell’esistenza appare come un lusso oltraggioso. Anzi, neanche solo zoologico, e sia pure della zoologia reclusa, poiché i direttori degli zoo vanno fieri degli accoppiamenti e tanto più delle nascite in cattività, mentre nelle galere l’idea di normali relazioni sessuali appare come una provocazione ai benpensanti. È quello stato d’animo che fa ancora esclamare: "Hanno anche la televisione!". Niente sesso, che evidentemente è ritenuto una voluttà superflua, o un premio alla buona condotta, e niente malattie troppo sofisticate, come appunto la depressione. Un detenuto che si dica depresso è uno spiritoso.

Ho letto coi miei occhi provvedimenti di giudici di varie località d’Italia che dichiaravano la malattia mentale immeritevole di considerazione circa la compatibilità con il regime carcerario, dato che si tratta appunto di una questione mentale, dunque, secondo loro, non organica.

Il grossolano pregiudizio sulla inorganicità di malattie mentali e ferite della psiche si combina esplosivamente, in galera, con il più tipico pregiudizio di tutti i carcerieri, che i carcerati simulino. Pregiudizio non del tutto infondato (chi di noi non simula qualcosa) ma destinato a danni collaterali: perché non di rado i carcerati spingono la simulazione a una perfezione tale da lasciarci le penne, e allora tutti ci rimangono male, se non altro per le statistiche. Insomma, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla depressione, chiarendo che si tratta di una malattia non solo per i liberi ma anche per i carcerati e dunque rientra, salva la gravità, fra le sindromi da prendere in conto trattando dei casi di incompatibilità col regime carcerario, per ragioni di salute. Pronunciamento importante, benché ovvio, che farà adesso i conti con la competenza di medici e di magistrati incaricati di dargli applicazione.

Un pronunciamento altrettanto importante è venuto dalla Corte di cassazione a proposito delle cardiopatie. Qui l’ovvietà, direte, è addirittura clamorosa. Già, ma vige largamente un altro pregiudizio: quello secondo cui il malato di cuore (parliamo di malati gravi, a rischio di morte) può curarsi allo stesso modo in carcere o fuori, e anzi in carcere addirittura meglio, dato che le norme della casa costringono a una vita regolare cui fuori magari non ci si sottoporrebbe (non scherzo: c’è chi lo dichiara davvero). Naturalmente, è una pazzia. Non solo perché un assalto cardiaco in carcere ha un’alta probabilità di essere soccorso con un ritardo irreparabile. Ma soprattutto perché la reclusione in cella è per sé un’aggravante penosa di ogni patologia, anzi è essa stessa una malattia, di quelle che mettono d’accordo organicisti e spiritualisti, che prostrano corpo e anima, e tanto più pesante per chi abbia il cuore provato e pronto a spezzarsi. Ho l’impressione che della sentenza memorabile della Cassazione non sia arrivata, nella generalità delle carceri italiane, neanche un’eco lontana.

I medici e gli infermieri penitenziari, di cui ho parlato tante volte qui, hanno a loro volta un regime morale speciale, per così dire. Per essere bravi medici, dentro una galera devono essere bravi il doppio; e se sono cattivi medici, sono doppiamente cattivi. Si misurano con una umanità per definizione vulnerata, con un ambiente materiale e psicologico pesantemente patogeno, con la concorrenza continua fra la loro gerarchia di valori e di doveri ("la salute prima di tutto") e la gerarchia che vuole la "sicurezza", e l’inerzia di riti spesso inutili, sempre logoranti, al primo posto. Occuparsi di salute in carcere si può per due ordini di motivazioni. Perché non si è trovato un posto migliore. Perché si è scelto di prendersi cura del prossimo e si prova una passione più forte a prendersi cura degli ultimi fra i propri prossimi.

Ero arrivato a questo punto e martedì mattina c’è stato un improvviso subbuglio, medici agenti e infermieri che correvano. Uno si è impiccato, Alessandro M., un uomo di 41 anni, pisano, l’hanno soccorso freneticamente, ma non ce l’hanno fatta. Uno che era entrato e uscito, era stato operaio metalmeccanico, una sequela di reati legati alla tossicodipendenza, questa volta era più disperato, si era separato da sua moglie, aveva una bambina, non sopportava che gli fosse stata tolta, né che, nonostante il tribunale avesse stabilito che potesse vederla una volta alla settimana, non gliela portassero.

Gli stavano dietro, qui dentro, gli avevano parlato anche questa mattina. Ha ingannato tutti, forse anche se stesso. Impiccarsi a un lenzuolo alle 11 di mattina è una cosa che non si fa. Non ha lasciato lettere: deve aver pensato che fosse superfluo. Forse contava di scriverne una e spedirla. Ha lasciato 48 euro, 12,08 li aveva impiegati per l’ultima spesa, che gli sarebbe arrivata domani. La copio, qualcosa vorrà dire. Francobolli per lettere, 1. Buste bianche, 1. Nutella, grammi 54, zucchero, un pacco, 2 scatole di tonno, Alfa con filtro, 3 pacchetti, 1 bomboletta di gas.

Civitavecchia: l’On. Pietro Tidei (Ds) si appella al Ministro

 

Civionline, 11 ottobre 2004

 

L’Onorevole Pietro Tidei, ad un anno di distanza, scrive nuovamente al Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, per sottolineare i numerosi e gravi problemi che complicano il funzionamento del carcere di Aurelia. "Nell’istituto penitenziario di Civitavecchia - spiega il deputato diessino - che è stato progettato per ospitare 300 detenuti, oggi ne sono ammassati almeno il doppio, con conseguenti quotidiane disavventure che umiliano e mortificano la dignità umana e suscitano le giuste reazioni dei dipendenti, costretti a coprire la carenze con turni aggiuntivi e rinunce ai loro diritti di riposo e di ferie".

"La situazione del complesso penitenziario - prosegue Tidei - è così deteriorata da richiedere un immediato intervento ministeriale, al fine di accogliere, se pure con gradualità, le necessità prioritarie del personale e dei detenuti"

"Voglio augurarmi - conclude infine l’Onorevole - che questa lettera non subisca la sorte dell’interrogazione di un anno fa, alla quale non è mai stata data risposta, ma che incontri la doverosa disponibilità ad affrontare e risolvere i problemi più volte denunciati". 

Roma: per uscire dal carcere assume bacilli della Tbc

 

Libero News, 11 ottobre 2004

 

Piuttosto che stare in carcere ha preferito assumere un vaccino antitubercolare in pastiglie al fine di risultare positivo alla Tbc polmonare. Ora E.M., il 64enne protagonista della vicenda, rischia di pagare a caro prezzo il suo stratagemma, che potrebbe costagli un’altra condanna. L’uomo, ritenuto uno degli esponenti di spicco della criminalità organizzata romana, sta scontando a Rebibbia una condanna per associazione finalizzata a traffico di stupefacenti che scadrà nel 2010.

Lo scorso marzo il perito medico legale gli diagnosticò la tubercolosi dell’albero respiratorio giudicandolo "incompatibili con il regime carcerario" e suggerì il suo trasferimento in una struttura ospedaliera. Per un breve tempo i giudici ordinarono perciò lo spostamento per motivi di salute.

Ora il Pm Roberto Cavallone, conclusa l’inchiesta, si accinge a chiedere il rinvio a giudizio contestando all’indagato la frode processuale e la falsa perizia determinata dall’inganno altrui. Non concorda l’avvocato difensore Arrighi: "Mi risulta poi che non goda di ottima salute e forse è necessario che qualcuno faccia un accertamento medico serio per capire se abbia o no la tubercolosi. Se l’avesse, rappresenterebbe un pericolo per tutti gli altri detenuti". Gli inquirenti sono convinti che l’indagato godesse in carcere della compiacenza di qualche camice bianco.

Ordine pubblico e diritti umani, una riflessione comune

 

Tavolo dei Laici, 11 ottobre 2004

 

Malgrado la scarsa affluenza di pubblico il 24 e il 25 settembre a Padova si è tenuta un’importante tavola rotonda sull’incontro di due temi scottanti dell’attuale: il rapporto tra ordine pubblico (interno ed internazionale) e diritti umani.

Le più diverse personalità ed esperienze si sono confrontate, da Carlo Covi ad Alberto Trevisan, da Monsignor Pasini della Caritas al vicepresidente della commissione sui Diritti Umani del Senato Tino Bedin, da Ilario Simonaggio a Piero Ruzzante, dall’assessore Monica Balbinot a Francesco Morelli di Ristretti Orizzonti, da Nicola Ghirardi di Amnesty a Luigi Ficarra, da Mauro Tosi a Corrado Poli.

Ad iniziare dal contributo di Gianna Benucci dell’Associazione per la Pace che ha posto all’attenzione di tutti forse una delle riflessioni più concrete del convegno in rapporto alla gestione costruttiva e non violenta dei conflitti, in un mondo di conflitto e di violenza, e di silenzio se non nello scandalismo.

Questi due giorni patavini di riflessione erano stati dedicati al volume di Stanley Cohen Stati di negazione, un volume che esprime la questione del chiudere gli occhi, dell’abbassar lo sguardo, del far finta di niente, del voltarsi dall’altra parte, innanzi all’esperienza quotidiana della violenza degli Stati e dei loro apparati di ‘sicurezzà.

Nel corso del discutere ci siamo soffermati sulla condizione politico-sociale del migrante, nel rapporto inclusione/esclusione, nella realtà del lavoro, della scuola, della sanità. La dignità del migrante (con un bell’ intervento non scritto di Paolo Benvegnù) è da misurarsi nel concreto e nel quotidiano, tra multiculturalità e mediazione culturale, ove Monsignor Pasini ha portato un prezioso contributo alla complessità delle questioni.

Mentre Buganza ha insistito nelle problematiche dell’interpretazione in rapporto alla dimensione concreta del tema dell’ordine pubblico e del "chi custodisce i custodi", Carlo Covi ha dimostrato nel quotidiano della sua esperienza di politico e di avvocato il difficile del far giustizia, alla ricerca, in molti, di quel giudice a Berlino innanzi alle prassi del potere. Così Francesco Morelli. Così Alberto Trevisan, ripercorrendo il contributo e la storia della non violenza italiana, sulla quale Mauro Tosi ha riflettuto anch’esso sulla base di sue lunghe esperienze in tema di Palestina.

E Luigi Ficarra ci ha scaraventato sul tema della difesa dello stato di diritto dall’arroganza mafiosa nelle problematiche della cecità del politico e del riciclaggio del denaro che avviene anche in questo nostro meraviglioso Nord-Est in giacca e cravatta.

Impossibile offrire una sintesi di questi due giorni di discussione, il cui intento era di rendere popolare un riflettere non solo di pochi e per pochi. Se non ritornando a Stanley Cohen e alla riflessione di Gianna Benucci, quando offriva al nostro pensare il concreto della possibilità reale di istituire dei corsi, una formazione, sull’interpretazione non violenta dei conflitti del quotidiano, in tutti gli ambiti, dal politico al sanitario, per gli uomini con la divisa addosso. Un riflettere il suo che affrontava con pragmatismo l’incontro-scontro tra le necessità dell’ordine pubblico e quelle dei diritti umani e civili, pienamente immerso nella pacifica ciurma di questa "nave" di "illusi e sognatori", quella dei venti relatori che ha per due giorni solcato il burrascoso mare del rapporto tra ordine e diritti.

 

Gianni Buganza, Portavoce del Tavolo dei Laici. Associazione politico-culturale liberal

Reggio Calabria: Progetto "Icona", la creatività e il recupero

 

Quotidiano di Calabria, 11 ottobre 2004

 

"Progetto Icona", che in senso figurato significa anche "progetto che rappresenta una realtà": questo il nome ed allo stesso tempo questo il contenuto dell’iniziativa presentata ufficialmente con una cerimonia, presso la Sala Teatro della casa circondariale di Reggio Calabria.

Il progetto, realizzato con il finanziamento ed il contributo dell’amministrazione provinciale in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, destinato nello specifico alle donne detenute presso la casa circondariale di Reggio Calabria, ha come finalità base, appunto trasferire, rappresentare all’esterno, le realtà, le capacità ed attività espresse all’interno del carcere dalle persone detenute, e rendere sempre maggiormente valicabile il limite che separa il mondo della detenzione da quello esterno.

Nel corso della presentazione del "Progetto Icona", si è tenuto un incontro dal titolo "Carcere, ambiente vivo", che ha visto la presenza e gli interventi di: Maria Carmela Longo, direttrice della casa circondariale, Ornella Milella, assessore provinciale alle Pari opportunità, Giuseppe Valentino, sottosegretario alla Giustizia, Marcello Scordo, presidente del Tribunale di Sorveglianza, Paolino Maria Quattrone, Provveditorato regionale Amministrazione penitenziaria, Suor Patrizia Cannizzaro, persone detenute, rappresentanti delle istituzioni locali, operatori dell’Amministrazione stessa e del servizio di volontariato.

"A distanza di un anno dalla nostra proposta, oggi siamo qui a presentare questo progetto che è finalizzato ad un carcere positivo, concretizzato grazie alla collaborazione anzitutto della Provincia e di tanti, in particolare gli operatori del volontariato, che hanno sostenuto in quest’ultimo anno la nostra attività", ha detto in apertura dell’incontro, la direttrice del penitenziario reggino, aggiungendo: "Qui c’è una realtà che vuole essere valutata e che aspetta di poter impiegare le giornate lavorando e non nell’ozio".

"Il Progetto Icona, rappresenta l’unione tra carcere e società, affinché l’istituto di pena sia un ambiente vivo", ha detto Emilio Campolo, operatore del servizio di volontariato delle carceri.

La parola è poi passata a suor Patrizia Cannizzaro, che ha spiegato il contenuto del "Progetto Icona", mentre su uno schermo gigante venivano proiettate foto che ritraevano le donne detenute nei loro vari momenti di lavoro per la realizzazione di opere di vario genere.

"È importante osservare queste foto, flash di una realtà poco conosciuta; guardare i volti delle ragazze, perché testimoniano l’entusiasmo con il quale queste donne, che sono quasi tutte madri e che convivono nella realtà carceraria con la sofferenza del distacco, della mancanza dei loro principali affetti, hanno vissuto l’esperienza del progetto ­ ha detto suor Patrizia, aggiungendo: Abbiamo lavorato insieme; ci siamo incontrate ed a volte anche scontrate, perché lavorare significa sopratutto costruirsi o ricostruirsi dentro, vicendevolmente, e di conseguenza, significa incontrarsi ed essere uniti, per aiutarsi in un percorso difficile".

Poi suor Patrizia ha chiamato sul palco, una per volta, tutte le ragazze, le donne, autrici dei lavori del progetto, consegnando a ciascuna un attestato: Cinzia, Patrizia, Anna, Maria, Giovanna, Giulia, Ferdana, Domenica, Antonella.

A loro, in rappresentanza di tutte le donne detenute, sono andate le pergamene, motivate, come ha letto suor Patrizia, dall’impegno ed dall’impronta della personalità che ciascuna ha espresso nel compiere il proprio lavoro. La premiazione è stata accompagnata da un segno di vicinanza, di affetto, espresso dagli applausi di tutti i presenti.

Ha concluso l’incontro il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino, che ha espresso parole di sdegno per il recente gesto intimidatorio, che egli ha definito "rivolto non a Giuseppe Scopelliti, ma all’amministratore, al sindaco, allo Stato ed alle Istituzioni", sottolineando: "ad uno Stato però capace di reagire". Dopo questa breve parentesi, Valentino, si è rivolto a tutti i detenuti presenti dicendo loro: "Vedo tanta convergenza, tanta partecipazione per la realizzazione della finalità del recupero. Ho osservato le opere da voi realizzate: in esse c’è una parte di voi; la vostra intelligenza, soprattutto il vostro talento che riesce a venire fuori anche dalle mura del carcere".

Parma: Castelli risponde alle parlamentari Motta e Soliani

 

Gazzetta di Parma, 11 ottobre 2004

 

Nei giorni scorsi il ministro della Giustizia ha risposto ad una lettera che le parlamentari Carmen Motta e Albertina Soliani gli avevano inviato a luglio sulla situazione di emergenza in cui si trovano gli Istituti penitenziari di Parma.

"Nella lettera - affermano le parlamentari - che fa seguito a una serie di interrogazioni, interventi e incontri da noi promossi, avevamo evidenziato la grave carenza di personale che ha determinato pesanti condizioni di lavoro con inevitabili ricadute negative anche sulle condizioni delle persone recluse".

Il ministro, fanno sapere le parlamentari, ha risposto che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha provveduto ad inviare personale in missione da istituti del Sud Italia e che "sta per essere emanato un bando di concorso per 1500 nuovi agenti di cui almeno i due terzi saranno assegnati alle carceri attualmente in grave carenza di organico, fra cui Parma".

Vista "l’ennesima denuncia - proseguono la Motta e la Soliani - da parte delle organizzazioni sindacali della mancanza di personale, l’impegno del ministro non risponde ai problemi rappresentati dal personale degli Istituti di Parma; a novembre andranno in scadenza i contratti di nove agentiausiliari e la situazione continuerà ad essere di emergenza. Quindi continueremo il nostro impegno".

Roma: grazia per Bompressi, via libera del giudice

 

Correre della Sera, 11 ottobre 2004

 

Sono trascorsi più di sei mesi dal 30 marzo: quel giorno, dopo un lungo braccio di ferro, il capo dello Stato inviò al Guardasigilli due richieste: trasmettere al Quirinale il fascicolo con la domanda di grazia presentata in favore di Ovidio Bompressi e, ove non fosse già stato fatto, aprire un’istruttoria relativa al caso "strettamente connesso" di Adriano Sofri.

In questi 6 mesi, il comitato per la concessione della grazia ai due ex esponenti di Lotta continua - condannati insieme con Giorgio Pietrostefani a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi - ha continuato la catena di digiuni osservando "un rigoroso silenzio". Ma ora, che la nuova istruttoria del ministero della Giustizia su Bompressi è terminata, Franco Corleone e Silvio Di Francia annunciano di essere "pronti a riprendere lo sciopero della fame affinché il presidente della Repubblica sia messo in condizione di decidere il più presto possibile".

Il fatto nuovo c’è. Infatti, "l’aggiornamento dei pareri" tecnici non vincolanti su Bompressi richiesto dal Quirinale è stato completato dal ministero. Dopo quello negativo della Procura generale di Milano (23 luglio), a settembre è arrivato in via Arenula il parere del magistrato di sorveglianza di Massa, città nella quale il detenuto vive agli arresti domiciliari a causa di gravi problemi di salute.

La relazione della dottoressa Mencattini (Massa) confermerebbe, dunque, quella precedente della collega Rascioni (Pisa) e, quindi, non sarebbe negativa come quella firmata dal sostituto procuratore generale milanese La Stella che ha ravvisato la mancanza di pentimento da parte di Bompressi. "Caro presidente, sappiamo che il tempo considerato necessario per l’esame serio e approfondito della documentazione relativa alla grazia per Ovidio Bompressi si è esaurito".

Così, con una lettera del 3 luglio, Corleone si rivolgeva al capo dello Stato. Ma dalla risposta del 28 luglio fornita dal consigliere di Ciampi per gli Affari giuridici, Salvatore Sechi, emergeva che il Quirinale era ancora in attesa di un segnale del ministero della Giustizia.

Ad aprile, quando fu inviato al Quirinale, il fascicolo Bompressi conteneva le due istanze di grazia (del 2001 e del 2003) e la prima bocciatura di Castelli. Ma ora, con i pareri aggiornati, la pratica può ritenersi completa anche perché la famiglia del commissario Calabresi, al quale Ciampi ha recentemente conferito una medaglia d’oro alla memoria, si è rimessa alle decisioni del Quirinale. Resta da vedere, osserva Corleone, "se quei pareri su Bompressi sono stati trasmessi al capo dello Stato".

Così, dopo l’impasse in Parlamento dove si è impantanata la legge Boato sull’esercizio autonomo del potere di grazia da parte del capo dello Stato, l’iniziativa del Quirinale ha prodotto due risultati: la trasmissione del fascicolo Bompressi da parte del ministro e l’apertura di un’istruttoria su Sofri con l’acquisizione dei relativi pareri (negativo sia quello del Procura generale di Milano sia quello del magistrato di sorveglianza di Pisa) anche in assenza di una istanza di grazia presentata dall’interessato. E ora, sei mesi dopo il passo del Quirinale, Corleone e Di Francia hanno deciso di rompere il silenzio: "Il tempo delle decisioni è arrivato. Che sia un sì o un no".

Spoleto: quando i detenuti hanno l’hobby di vincere…

 

Il Messaggero, 11 ottobre 2004

 

Un gemellaggio senza barriere e pregiudizi quello che hanno stretto l’associazione "Giovanni Parenzi" ed i detenuti della casa di reclusione di Maiano in occasione della prima edizione del "Torneo della Fratellanza", cui ha partecipato anche una rappresentativa di immigrati marocchini che vive e lavora in pianta stabile da alcuni anni in città. La manifestazione è stata inserita nell’ambito della "Festa dei quartieri".

Un appuntamento che si rinnova ogni anno e che ha centrato anche stavolta il suo obiettivo: quello di aggregare maggiormente chi vive nel quartiere più popoloso della città coinvolgendo anche altre realtà vicine ed importanti nel tessuto socio economico: prima fra tutte quella del carcere.

E la prima partecipazione dei detenuti al torneo si è rivelata vincente in tutti i sensi. A cominciare dal risultato che ha visto la loro squadra aggiudicarsi tutti i trofei messi in palio. E sono stati attimi decisamente emozionanti quelli vissuti durante la cerimonia di premiazione, che si è svolta all’interno del penitenziario ed alla quale hanno preso parte i detenuti cui è stato concesso di assistere alla finale. "È stato un momento importantissimo non solo per i detenuti ma anche per l’intera realtà carceraria che si è sentita pienamente inserita nel contesto cittadino", ha sottolineato il direttore dell’istituto di pena, Ernesto Padovani.

Ma il carcere è entrato nella vita del quartiere dalla porta principale grazie ad una mostra di dipinti su ceramica realizzati dagli stessi detenuti che partecipano al corso di ceramisti. Tantissime le persone che hanno visitato ed apprezzato i lavori esposti nello stand allestito all’interno della scuola media "Pianciani". E la solidarietà del quartiere si è concretizzata non solo nei confronti dei detenuti, ma anche a favore delle associazioni "Aglaia", "Gillo" , nonché per la Casa di accoglienza per anziani della parrocchia del Sacro Cuore. 

Verona: "Se tuo figlio è un omicida diventi un appestato"

 

L’Arena di Verona, 11 ottobre 2004

 

"Non esiste male che l’uomo, qualsiasi uomo, non p ossa commettere. Così come non esiste male che Dio non perdoni". Queste parole, di fra Beppe Prioli, il francescano che ha impegnato quarant’anni della sua vita ad avvicinare il popolo delle carceri, chiudono il libro che gli è stato dedicato dalla giornalista Emanuela Zuccalà, "Risvegliato dai lupi, un francescano tra i carcerati:delitti, cadute, rinascite", edizioni Paoline.

Questi temi, la rinascita e il perdono, sono stati a loro volta il filo conduttore della serata che si è svolta al convento di San Bernardino con Alfredo Bonazzi, ex ergastolano e poeta, da molti anni impegnato nel volontariato, Nello Andriotto, padre di un giovane finito in carcere per un omicidio e diventato testimone delle famiglie "bollate" dalla società per i crimini commessi dai figli, il procuratore capo di Verona Guido Papalia, don Rino Breoni, abate di San Zeno, la giornalista Emanuela Zuccalà e Vincenzo Andraous, ergastolano in semilibertà, autore di numerosi libri sulla realtà del carcere. Moderatore della serata è stato l’avvocato Guariente Guarienti.

Bonazzi, un’infanzia vissuta per strada, testimone dello stupro e dell’uccisione di una sorella, passato attraverso i gironi infernali del riformatorio, del carcere minorile, del manicomio giudiziario, in carcere c’è restato 28 anni per un omicidio, uscito con la grazia concessa dal presidente Sandro Pertini, ha sottolineato che il novanta per cento dei detenuti è composto da emarginati. E si è chiesto se oggi la legge vada a colpire il reato o piuttosto la condizione che lo ha determinato. "Al fondo di noi stessi c’è sempre qualcosa che ci giustifica ma non ci assolve", ha detto."Da trent’anni vado testimonio come si possa cadere e rinascere, mostrando le mie ferite. Ma vorrei tanto stringere una mano senza pregiudizi".

Vincenzo Andraous, un passato tumultuoso, con il carcere conosciuto ad appena 13 anni, per furti e rapine, e poi una spirale di sangue, di omicidi, una vita che pareva votata al massacro, infarcita di rabbia ed ergastoli. "Il problema non era la povertà della mia famiglia, né il fatto che mio padre ci avesse abbandonati. Il problema ero io". Questa consapevolezza ha ispirato nove libri e un’intensa attività di volontariato nel carcere:"Non sono uno scrittore né un poeta", ha detto Andraous," ma una persona che da 31 anni è in carcere. Per molti anni ho giustificato i miei errori dando la colpa agli altri. Ma il problema ero io. Se ora ho questa consapevolezza, quella che mi ha fatto cambiare vita, è perché ho trovato sul mio cammino tanti San Francesco che mi hanno ascoltato e fatto riflettere. Per questo Francesco è il mio santo, perché ci insegna come andare incontro agli altri in modo paritario. Con un santo così non puoi barare. Questa è l’esperienza che porto ai ragazzi che potrebbero fare i miei errori. Non ho nulla da insegnare ma posso mettere loro davanti cos a può succedere prendendo la china della droga, dei vandalismi, della violenza".

Non è facile dire alla gente di avere un figlio in carcere, "perché la gente la croce te la butta addosso, ti tratta come un appestato". Dolore che si aggiunge all’angoscia, come ha raccontato Nello, padre di un omicida e coinvolto suo malgrado nella spirale del carcere, "di un mondo dove non ti aiuta nessuno, dove non c’è assistenza sanitaria, dove manca la dignità".

Ora Nello fa parte della Fraternità di fra Beppe e con il suo gruppo opera come volontario nelle carceri. "Ho trasformato la mia angoscia in un servizio, perché la gente sappia che il carcere non è un mondo a parte ma una realtà che appartiene a tutti noi".

Per Guido Papalia s’impone oggi una profonda riflessione sul carcere, "che resta un’istituzione indispensabile ma va rivisto nell’ottica della risocializzazione, della ricerca della collaborazione del condannato, che deve capire la sua colpa e partecipare attivamente al processo per il reintegro nella società. Per questo bisogna sviluppare forme alternative al carcere, veramente riabilitanti". Ma anche la società non può ignorare chi ha sbagliato rinchiudendolo in un "contenitore". Senza il perdono, ha concluso frà Beppe, non può esistere riconciliazione:"Il male non si può cancellare ma espiare, ripagando la società trasformandosi in persone nuove".

Roma: incontriamoci tra i colori, una mostra collettiva…

 

Redattore Sociale, 11 ottobre 2004

 

Verrà inaugurata domani, alle ore 18.30, la mostra "Incontriamoci tra i colori. 20 artisti di passaggio, 20 scatti per raccontare", promossa dal laboratorio di pittura "Horti Lamiani-Bettivò" in via Giolitti 163. L’esposizione si svolge nell’ambito del progetto sociale "Convivenze possibili", promosso dalla Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro e sostenuto dal Comune e dalla Provincia di Roma. "Bettivò" è il nome di una località "x", prodotta dalla fantasia di un ragazzo che trascorre molto tempo a dipingere in carcere, dov’è detenuto, "e che ha attribuito a questo nome il significato di un luogo meraviglioso, dove ogni artista può realizzare il proprio sogno e dove tutti vivono felici perché non esistono mali come l’ingiustizia e la povertà", spiega la Fondazione Di Liegro.

La mostra di quest’anno, a cura di Domenico Giglio, è centrata sul tema del passaggio, dell’incontro fra esseri umani, con i loro carichi umani, personali, culturali; rappresenta la prosecuzione ideale della mostra allestita alla stazione Termini nel luglio del 2003, dal titolo "Oltre l’orizzonte".

Insieme ai dipinti di Scamser Alam, Valeria Angelini, Anna Avona, Elena Broglia, Valentina Carta, Francesca Chiostrini, Maria Rosa Critelli, Antonino Di Meco, Pina Galateri di Genola, Nelson George, Paola Miotto, Daniele Mori, Roger Nicole, Anna Pitari, Fabiana Roscioli, Rozlia e Grazyna Sedrmir, saranno esposte anche le immagini di Cinzia De Nigro, fotoreporter esordiente che ha ritratto l’essenza della loro gestualità come in un backstage che ha accompagnato la produzione della mostra.

"All’inizio non riuscivo nemmeno a scattare una foto - spiega De Nigro, allieva dell’Istituto Superiore di Fotografia -. Ho dovuto prima cercare un contatto con gli artisti che venivano nel laboratorio ogni mercoledì. Attraverso la comunicazione tutto è stato più facile. A poco a poco, ho trovato una chiave di lettura per inserirmi in questo lavoro in comune, chi con i pennelli e chi, come me, ha invece scelto la macchina fotografica per tratteggiare un racconto".

Gli artisti e gli appassionati d’arte che frequentano il laboratorio di Via Giolitti 163 sono quasi sempre persone di passaggio, abitanti dell’Esquilino, ma anche – come nel caso della tedesca Roger Nicole, una delle artiste presenti in questa mostra -, persone che arrivano da lontano. Le opere esposte sono state cedute gratuitamente dai loro autori a Horti Lamiani - Bettivò e sono acquistabili mediante sottoscrizione libera. Il ricavato finanzierà il laboratorio di via Giolitti per continuare ad allestire altre mostre, offrendo uno spazio espositivo gratuito.

Il laboratorio artistico di via Giolitti 163 offre a tutti la possibilità di dipingere e ogni mercoledì dalle ore 14 alle 18 - trovandovi già tele, tempere e pennelli - si trasforma in una scuola d’arte senza obblighi, senza costi e attestati di fine corso, ma con la presenza a sorpresa di numerosi artisti di passaggio. Oggi pomeriggio inaugureranno la mostra Luigi Nieri, assessore alle politiche per le periferie, per lo sviluppo locale, per il lavoro del Comune di Roma, e Claudio Cecchini, assessore provinciale alle politiche sociali e per la famiglia. La mostra rimane aperta - dal lunedì al venerdì, ore 10 alle 18 - fino al 30 ottobre, a ingresso libero.

Roma: "Presi per Caso", detenuti tra musica e teatro

 

Ansa, 11 ottobre 2004

 

Un disco. Difficile immaginare un modo più concreto per rompere il silenzio che avvolge il carcere. L’idea dei Presi per Caso, gruppo nato negli anni scorsi all’interno dei penitenziari romani, diventa ora realtà grazie al cd prodotto da Papillon, associazione culturale che da tempo lotta "contro la drammatica stupidità dell’istituzione carceraria" e per il miglioramento delle condizioni dei detenuti.

Copertina di Pablo Echaurren e direzione musicale di Sergio Gaggiotti (RossoMalpelo), il disco - si può richiedere a papillonrebibbia@katamail.com, tel. 328.0213759, sottoscrizione libera - contiene sette canzoni originali piene di ironia e poesia.

Nel libretto, oltre ai testi, un estratto del discorso pronunciato da Giovanni Paolo II per il Giubileo delle carceri e uno spunto polemico indirizzato all’assessore alla cultura del comune di Roma, Gianni Borgna, che non avrebbe mantenuto la promessa di sostenere il progetto.

Parte delle canzoni sono presenti anche nello spettacolo Radio Bugliolo, storia di un’emittente che entra nel carcere per raccontarlo dall’interno.

Scritto da Salvatore Ferraro (è lui a firmare anche le canzoni) e diretto da Michele La Ginestra, lo spettacolo è in scena in questi giorni e fino al 16 ottobre al Teatro 7 di Roma (via Benevento, ore 21. Oggi alle 18). Dal 18 in decine di carceri italiane riprende la lotta pacifica per l’indulto e le riforme.

Bologna: carcere minorile, le guardie contro la festa

 

Il Resto del Carlino, 11 ottobre 2004

 

Il direttore dell’istituto penale minorile di Bologna ha programmato la festa del corpo di polizia penitenziaria per il prossimo 17 ottobre, ma i lavoratori della struttura non hanno nessuna voglia di festeggiare.

"Abbiamo sottoscritto un documento- spiega Renato Cistaro, della Cgil funzione pubblica, in una nota inviata anche al ministero di Giustizia- nel quale si evince a chiare lettere la volontà di tutto il personale di polizia penitenziaria a non procedere ad alcun festeggiamento. Da molto tempo infatti- prosegue la lettera sottoscritta dal sindacalista- la situazione del personale di polizia penitenziaria che opera nell’istituto di Bologna è quella di una palese difficoltà, difficoltà derivante dalla situazione in cui si lavora, sott’organico in una struttura sovraffollata e con un cantiere di lavori aperto. Ancor più grave, che la direzione abbia dato disponibilità a continuare anche per il 2004 l’attività teatrale a favore dei detenuti, a discapito della sicurezza e ignorando la carenza d’organico".

Kenia: quando il carcere uccide più della scure del boia

 

L’Avanti, 11 ottobre 2004

 

Sono circa 1.900 i condannati a morte nelle prigioni del Kenya, stando ai dati forniti dalla Commissione Onu per i Diritti umani al governo di Nairobi. Ma per nessuno di loro si prospetta l’ombra del patibolo, dell’impiccagione, come prevede il codice penale. Le ultime esecuzioni, infatti, avvennero nel 1982, e riguardarono persone coinvolte in un fallito colpo di stato, sulla cui dinamica reale, peraltro, ancora si discute. Comunque, se le condanne a morte fioccano - basta una tentata rapina con ricorso alla violenza per vedersela infliggere, ed i giudici sono severissimi -, sono del tutto teoriche: in Kenya, però, si muore moltissimo in galera, di galera.

La prigione di Meru, nel centro del Paese, ne è divenuto un tragico simbolo quando nei giorni scorsi è emerso che almeno sette prigionieri erano morti nello stesso giorno: cinque picchiati senza pietà perché rifiutavano di entrare in una cella di un metro per due dove già erano stipati 12 prigionieri (i cinque, moribondi, erano stati comunque ‘lanciati’ nel cubicolo, e nessuno ha risposto agli appelli disperati che di lì venivano); gli altri due perché non erano riusciti a respirare in quella bolgia.

Ma questo dramma - ora sono stati sospesi direttore e vice del penitenziario - non ha fatto che rendere palese quella che è in realtà la spaventosa condizione normale del carcere di Meru, dove dall’inizio dell’anno alla fine di settembre sono morti, e stando a dati ufficiali, 47 detenuti. Del resto si tratta di un carcere previsto per circa 150 prigionieri, dove ne erano ammassati oltre 1.400 (ora sono iniziati alcuni trasferimenti) e la cui tenuta sanitaria era garantita da tre infermiere.

L’impressione, peraltro, è che quella di Meru non sia una condizione del tutto eccezionale per le carceri keniane (come del resto di buona parte dell’Africa), tutte chiaramente sovraffollate e prive di servizi anche minimi. Non a caso si parla molto di amnistie, o comunque di far uscire i condannati per reati minori. Così come di provvedere alla formale commutazione delle sentenze capitali: un’iniziativa del genere era stata presa 18 mesi fa, quando il nuovo governo appena entrato in carica aveva rimesso in libertà ventotto persone condannate a morte ed in galera da lustri; e formalmente commutato le sentenze capitali di altri 185.

Qualcuno faccia ammenda, articolo di Giacomo Nardone

 

Il Denaro, 11 ottobre 2004

 

Caro direttore, per introdurre l’argomento di oggi riporto integralmente la dichiarazione di Casigliani e Manfredi sull’emanazione del regolamento della Cassa delle Ammende: "Siamo finalmente riusciti a leggere il regolamento sulla "Cassa delle Ammende" contenente le istruzioni per la presentazione dei progetti previsti dal Dpr 230 del 2000: 80 milioni di euro (continuamente implementati) per finanziare programmi di reinserimento dei detenuti e di assistenza economica alle loro famiglie. Diciamo subito che, con quattro anni di tempo, il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) poteva produrre un testo migliore: in otto articoli abbiamo rilevato almeno altrettanti errori e omissioni gravi. Non basta: il 22 luglio scorso, il ministro Castelli, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha scritto che "In data 18 febbraio 2004 il regolamento è stato approvato; nello stesso tempo sono stati deliberati favorevolmente due progetti denominati "Va dove ti porta il cuore" e "La rete che cura", presentati dal Dap".

Ma il ministro Castelli già il 4 febbraio scorso, in una dichiarazione all’Ansa, dava per scontato il finanziamento dei due progetti, riguardanti la telemedicina e l’assistenza psichiatrica (7 milioni di euro complessivi). La cosa strana è che il regolamento è stato emanato solamente il 26 febbraio 2004 ed è stato inoltrato alle direzioni del Dap, ai Provveditorati Regionali e ai direttori delle carceri con lettera circolare del 30 luglio 2004. Come è possibile finanziare progetti ancor prima di rendere pubbliche le istruzioni indispensabili per presentare gli stessi? E come è possibile che il ministro sapesse in anticipo che tali progetti erano stati non solo presentati ma pure finanziati?

La ciliegina sulla torta: le competenze in materia di sanità penitenziaria (in cui rientrano i due progetti finanziati) sono state trasferite dal ministero della Giustizia al ministero della Salute ben cinque anni fa (D.Lgs.230 del 1999); inoltre, le finalità della Cassa delle ammende, chiaramente esplicitate sia nella legge che nel regolamento, sono volte al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti nonché al sostegno delle loro famiglie… ma in Italia l’attuazione delle leggi è una variabile dipendente dagli interessi del potente di turno!".

Effettivamente l’attesa di quattro anni è uno spettacolo indecente per un provvedimento teso ad avvicinare il detenuto, vessato in carcere da condizioni spesso di assoluta invivibilità, quando la prigionia non dovrebbe essere una tortura ma volta al pieno reinserimento. L’augurio è invece che i residui 73 milioni ancora disponibili possano stimolare l’impresa del sociale a produrre progetti di cui sarà importante monitorare efficacia e risultati.

Iran: uccise il marito per difendere figlia, sarà impiccata

 

Giornale di Brescia, 11 ottobre 2004

 

È stata programmata per dopodomani, mercoledì , in un carcere di Teheran, l’impiccagione di Fatemeh Haqiqat Paju, una donna condannata a morte per avere ucciso il marito tossicodipendente che le insidiava la figlia quindicenne nata da un precedente matrimonio. Se nulla interverrà a fermare il corso della giustizia islamica, finirà così la vicenda di questa madre, che già da sette anni è in carcere in attesa di conoscere la sua sorte. Inutilmente la stessa figlia di Fatemeh, Zahrah, si è rivolta al capo della magistratura, l’ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, per chiedere una sospensione dell’esecuzione.

Nonostante quattro lettere che gli ha inviato, ha detto, non ha ottenuto risposta. Per questo un nuovo appello allo stesso ayatollah è stato pubblicato l’altro ieri sulle pagine del giornale

Hamshahri. Il fatto per il quale la donna è stata condannata avvenne nel 1997 nel quartiere di Abouzar, nel sud di Teheran. Dopo la morte del primo marito, Fatemeh, che aveva 33 anni, contrasse un matrimonio a tempo determinato (Siqeh, ammesso dalla dottrina musulmana sciita) con un uomo che si rivelò essere appunto un tossicodipendente.

Un giorno la donna scoprì che il marito, approfittando di una sua momentanea assenza, aveva insidiato la figlia. Poco dopo l’uomo le disse che aveva "perduto" la ragazza in una scommessa. La sera stessa, approfittando di un momento in cui il marito era intento a drogarsi, Fatemeh lo strangolò con un foulard.

Cremona: Caritas e carcere, un’attenzione solidale

 

La Provincia di Cremona, 11 ottobre 2004

 

La Caritas Cremonese prosegue, anche nella Quaresima 2004, la sua attenzione nei confronti dei detenuti iniziata nella Quaresima 2003 con l’iniziativa "Vinci il male con il bene". Che è servita a finanziare la realizzazione di una casa per chi esce dal carcere. Quest’anno invece il progetto "Fratello Lupo" è rivolto ai detenuti della Casa Circondariale di Cremona. La notte tra il 16 e 17 ottobre, data indicata dall’Onu per celebrare la "giornata mondiale di lotta alla povertà" sarà quindi vissuta come "la notte dei senza dimora", momento di solidarietà con le persone senza dimora. Le varie iniziative saranno presentate mercoledì 13 alle 11 in conferenza stampa alla Casa dell’Accoglienza.

 

 

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