Rassegna stampa 27 maggio

 

Amnesty: "Troppi diritti violati nelle aule giudiziarie italiane"

 

La Repubblica on line, 27 maggio 2004

 

In Italia nel 2003 "il funzionamento del sistema giudiziario non è stato conforme agli standard internazionali" così come le condizioni di detenzione in alcune strutture; ci sono state nuove denunce di "uso eccessivo della forza e maltrattamenti da parte di agenti delle forze dell’ordine" e rapporti su persone detenute "morte in circostanze controverse". Lo scrive Amnesty International nel capitolo dedicato all’Italia del proprio rapporto annuale, presentato ieri in diverse capitali, inclusa Roma.

L’organizzazione cita tra l’altro il rapporto alla Commissione Onu per i diritti umani del relatore speciale sull’indipendenza dei giudici dopo una missione in Italia nel novembre 2002. Ne ricorda, in particolare, le affermazioni riguardanti la tensione tra magistratura e governo che permaneva "a detrimento della dovuta amministrazione della giustizia".

Allo stesso tempo è criticata l’usanza di alcuni magistrati di candidarsi alle elezioni senza dimettersi dalla carica giudiziaria e di "esprimere pubblicamente opinioni su argomenti politici controversi". Conclude il capitolo dedicato all’Italia un aggiornamento sul caso Sofri, "uno dei tre uomini condannati nel ‘95 dopo procedimenti penali la cui equità - è scritto nel Rapporto - era stata ripetutamente messa in dubbio" per partecipazione a un omicidio politico avvenuto nel ‘72". Si ricordano, al riguardo, la richiesta di grazia firmata da oltre 300 parlamentari e il fatto che "nonostante il presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio abbiano espresso il loro favore alla richiesta di grazia, il ministro della giustizia abbia bloccato il provvedimento".

Amnesty: Il reato di tortura diventi legge entro un mese

 

La Repubblica on line, 27 maggio 2004

 

Appello dell’organizzazione al Parlamento italiano durante la presentazione del Rapporto 2004. Un libro sugli orrori consumati nel carcere di Abu Ghraib, una campagna (e uno spot per la tv) contro la violenza sulle donne, ma soprattutto l’invito, fermo, rivolto al Parlamento italiano affinché introduca il reato di tortura nel codice penale, di qui a un mese.

E ancora: la richiesta al governo Berlusconi di vietare ai militari italiani la consegna a terzi, in particolare alle forze della coalizione, dei prigionieri iracheni, in assenza di precise garanzie sul rispetto del diritto umanitario e della convenzione di Ginevra. Questi i punti fermi espressi da Amnesty International nel corso della presentazione, a Roma, del Rapporto Annuale 2004 redatto dall’organizzazione. Oltre settecento pagine, un lungo elenco di luoghi dove i diritti umani praticamente non esistono più, dalla A di Afghanistan alla Z di Zimbabwe. E quattro schede-Paese in più, 155 rispetto alle 151 del 2003.

"Incombe sull’umanità una nuova guerra planetaria" ha detto Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty, una "guerra contro i valori globali" scatenata da governi e gruppi armati. L’organizzazione ricorda e condanna l’attentato di Madrid dello scorso 11 marzo o l’attacco contro la sede Onu in Iraq, il 19 agosto 2003, nel quale perse la vita l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Sergio Viera de Mello.

Ma il problema sta anche nell’"agenda della sicurezza globale creata dagli Usa - spiega Bertotto - che ha reso il mondo insicuro ed instabile come non mai". I principi del diritto internazionale e gli strumenti dell’azione multilaterale che dovrebbero proteggerci vengono minacciati, o distrutti, "da governi potenti che stanno sacrificando i valori globali dei diritti umani al cieco perseguimento della sicurezza". In pratica, "non vogliamo mettere sullo stesso piano Bin Laden e Bush - dice Bertotto - eppure se gli obiettivi delle azioni sono opposti è vero che l’effetto finale rischia di essere lo stesso".

Per questo, grande spazio nel Rapporto è dedicato all’Iraq e alla denuncia di uccisioni illegali ad opera, sì, di gruppi armati, ma anche delle forze della coalizione. Casi di maltrattamenti o torture in Iraq, Afghanistan, a Guantanamo e in altri luoghi, dove vi siano prigionieri detenuti dagli Usa o dai loro alleati senza accusa, processo o possibilità di accedere ad un avvocato o di beneficiare della Convenzione di Ginevra.

Oltre all’Iraq, il Rapporto 2004 (riferito agli eventi del 2003 ma con una sintesi del primo quadrimestre del 2004) contiene un riepilogo delle violazioni dei diritti umani, le tipologie e i Paesi coinvolti. In cima alla "classifica", le torture e i maltrattamenti (132 Paesi), poi le condanne a morte emesse (63 Paesi), le detenzioni senza accusa o processo (58), i prigionieri di coscienza (44), le azioni violente e le uccisioni (34 ). Seguono, ancora, le sparizioni (28), le condanne a morte eseguite (28), i rapimenti e la cattura di ostaggi (16 Paesi).

La conferenza stampa del Rapporto 2004 è stata anche l’occasione per presentare Abu Ghraib e dintorni (EGA editore), un istant book realizzato dall’associazione e dedicato agli orrori del carcere di Bagdad che Amnesty aveva documentato e denunciato già un anno fa. E per rivolgere un "caloroso" invito al Parlamento italiano affinché introduca "entro 30 giorni il reato di tortura nel codice penale italiano", ha detto Bertotto. Ai parlamentari italiani, l’organizzazione chiede di approfittare "della sensibilità del momento sulla scia di quanto accaduto nel carcere iracheno" per promulgare "una buona legge che stralci l’emendamento vergognoso sulla reiterazione del reato in applicazione piena della convenzione di Ginevra del 1984".

L’invito è per il 26 giugno, Giornata internazionale delle vittime della tortura, quando i deputati potranno "presentare atti concreti che dimostrino la loro volontà di essere in prima fila nella prevenzione e nella repressione della tortura in tutto il mondo".

Ultima, ma non per importanza, la nuova campagna "Mai più violenza sulle donne" . Tema al quale è dedicato un capitolo del Rapporto "perché spesso sono le donne a pagare per prime le violazioni dei diritti umani nel mondo, e suscitano preoccupazione le continue violenze che sono costrette a subire sia dentro che fuori le mura domestiche". Dunque ecco uno spot, fra breve in onda sulle reti Rai: un pugno che "sfonda" lo schermo nero, la scritta "Per alcuni è l’unico modo di toccarmi". In sottofondo, musica e voce della cantante Elisa, testimonial dell’organizzazione.

Aurelia: agenti in agitazione, manca un terzo del personale

 

Il Messaggero, 27 maggio 2004

 

Il carcere di borgata Aurelia straborda di detenuti, ma al contrario è estremamente deficitario di personale di polizia penitenziaria. È questo, in sintesi, quanto hanno denunciato i rappresentanti di tutti i sindacati degli agenti di custodia. A firmare il documento che in pratica avvia lo stato d’agitazione del personale della casa circondariale cittadina, sono stati Tronca (Cgil), D’Ambrosio (Cisl Fps), Nicastrini (Uilpa-pp), Rasicci (Sappe), Proietti e Consalvi (Osapp), Pierucci (Sinappe), Usai (Fsa), Lai (Salpe Asia) e Sberna (Cisal Ffp).

"La gravosa situazione della carenza di personale - spiegano i sindacalisti - non permette, a detta, dell’amministrazione locale del carcere, di poter garantire i diritti previsti dall’accordo quadro nazionale siglato il 24 marzo scorso presso il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.)". In sostanza, per gli agenti non è possibile andare in ferie, rispettare i turni di riposo e via dicendo.
Questi i motivi principali che hanno portato alla decisione dello stato d’agitazione ed alla richiesta di un immediato intervento da parte dei vertici dell’amministrazione penitenziaria. Richiesta che gli agenti di custodia porteranno anche in piazza, attraverso un sit in di protesta indetto per il prossimo 4 giugno di fronte alla sede del D.A.P. a Roma. Oltre a questo, le organizzazioni sindacali hanno deciso di sospendere, a livello regionale, tutte le contrattazioni in ogni sede e luogo, fino a quando lo stesso D.A.P. non assumerà provvedimenti idonei a supplire a queste gravi carenze. Insomma, una decisione che si è resa necessaria per far fronte ad una situazione diventata sempre più insostenibile.

 

Manca almeno un terzo del personale necessario

 

Il personale di polizia penitenziaria del carcere di borgata Aurelia, da ieri è entrato in stato d’agitazione. La decisione è arrivata subito dopo un incontro che i rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali della categoria hanno avuto con la direzione dell’amministrazione dello stesso penitenziario cittadino, e dove si è discusso di quello che è il problema principale della casa circondariale della periferia cittadina, ovvero la grave carenza di personale in servizio.
Volendo dare i numeri di quella che è la situazione al carcere locale, basta sottolineare come gli agenti in servizio sono 211 di cui 10 agenti donne a turno, a fronte di una pianta organica che invece prevede la presenza di ben 358 persone impiegate. "Tutto questo - aggiungono i sindacalisti - fa capire l’impossibilità di poter garantire l’ordine, la sicurezza e le attività trattamentali, compito istituzionale di tutto il personale, ma con particolare riferimento a quello di polizia penitenziaria femminile, costretto ad operare con una forza di organico di appena 10 unità. Non va dimenticato inoltre che alcune decine di agenti donne sono state applicate al padiglione femminile di Viterbo, ma che già da tempo ha chiuso, eppure le agenti non sono tornate in servizio da noi".
Altro grave problema messo in evidenza dai sindacati, è la presenza di appena due educatori, assolutamente insufficienti a poter garantire colloqui con gli oltre 500 detenuti. "Per cui - aggiungono - non c’è da stupirsi se poi ogni tanto si leggono sui giornali notizie di tentativi di suicidi da parte degli ospiti di questo carcere. Possiamo garantirvi che anche loro si lamentano della scarsità di personale all’interno del carcere". Intanto, per far fronte a questa situazione, gli agenti sono costretti a turni massacranti, anche di dodici ore consecutive, oltre a dover rinunciare spesso ai riposi e addirittura anche alle ferie.

Altro aspetto inquietante che i sindacalisti hanno sottolineato, e derivante dalla cronica carenza di personale, è l’ingresso in carcere di droga. "E’ piuttosto evidente - concludono - che senza un adeguato numero di personale anche i controlli non possono essere adeguati, ed allora si presenta il problema. Oltretutto ci sono colleghi che hanno passato e che stanno passando guai per motivi come questo. Oggettivamente, non ci sembra di stare a chiedere la luna, bensì solo l’applicazione di quelli che sono i nostri sacrosanti diritti".

L’impressione comunque, è che questo sia solo l’inizio di una battaglia che si preannuncia piuttosto lunga, ma che gli agenti di polizia penitenziaria non hanno alcuna intenzione di interrompere fino all’ottenimento delle loro richieste.

Macomer: Sabato convegno "Carcere, chiesa e volontariato"


L’Unione Sarda, 24 maggio 2004

 

Carcere, chiesa e volontariato. Su iniziativa della Caritas regionale, queste tre realtà si incontrano alla ricerca di soluzioni che consentano un effettivo reinserimento di chi è condannato a pagare il suo debito nei confronti della società attraverso la reclusione.

Il confronto si svolgerà sabato nel salone parrocchiale dalla chiesa Sacra Famiglia di Nazareth.
Parteciperanno il vescovo di Alghero-Bosa Antonio Vacca, il presidente della Conferenza episcopale sarda, monsignor Piergiuliano Tiddia, e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Francesco Massidda.

"Vogliamo richiamare all’attenzione l’articolo 27 della Costituzione, che recita con chiarezza che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere al recupero del condannato", dice don Lorenzo Piras, delegato regionale della Caritas, "l’intera società è chiamata a partecipare a questo compito.

L’ordinamento penitenziario consente ai privati cittadini di entrare nelle carceri, come volontari, per svolgere attività educative e per dare assistenza ai detenuti che stanno espiando la loro pena.
Questo convegno nasce dall’esigenza di interrogarci sui pregiudizi nei confronti delle persone che hanno sbagliato, per favorire una giustizia riparativa attenta anche alle vittime del reato, per una riconciliazione sociale nelle nostre comunità, che blocchi la spirale di violenza".

L’appuntamento è per le 9: dopo il saluto del sindaco Marco Mura e dello stesso don Lorenzo Piras, inizierà il convegno, dal titolo "Le carceri sarde: luogo di rieducazione e di reinserimento sociale?", coordinato da don Ettore Cannavera, responsabile della Conferenza regionale Volontariato -giustizia.
Gli interventi saranno aperti dal Provveditore penitenziario Francesco Massidda, a cui seguiranno Leonardo Bonsignore, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, don Giuseppe Meloni, delegato regionale cappellani carcerari, Rossana Carta, responsabile regionale Esecuzione penale esterna, don Giovanni Usai, responsabile della comunità "Il samaritano" di Cagliari, Ettore Angioni, procuratore presso il Tribunale dei minorenni, Livio Ferrari, responsabile nazionale della conferenza Volontariato e giustizia e don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana.

Milano: "No smoking in cella", a San Vittore aderiscono 342 detenuti

 

La Provincia di Lecco, 27 maggio 2004

 

Nemmeno i promotori si attendevano una risposta tanto massiccia: sono stati ben 342 i detenuti di San Vittore che hanno accettato la sfida lanciata da Angelo Fontana (presidente "antifumo" della Polisportiva di Monte Marenzo) e per un mese hanno partecipato alla manifestazione "No smoking in cella". Da qualche anno, Fontana ha ideato questo campionato di "non fumo", passato dal focolare domestico alle spiagge e arrivato, nelle scorse settimane, nel penitenziario milanese, i cui ospiti non hanno certo deluso le aspettative.

"Ancora una volta ho bussato alla Casa circondariale di San Vittore per chiedere sostegno agli ospiti, al personale di custodia, agli educatori, ai responsabili, per una causa di alto valore sociale e civile. E ancora una volta – ha spiegato Fontana - ho ottenuto uno straordinario aiuto, un’attenzione e una partecipazione eccezionali". A dimostrarlo sono le cifre nude e crude: l’adesione è stata davvero imponente. "Mi sono davvero impressionato quando ho visto che gli iscritti al campionato "No smoking in cella" sono stati centinaia: 342 concorrenti che hanno autorizzato la Direzione del carcere a prelevare dal proprio conto da 1 fino a 40 euro, da destinare ad una iniziativa di solidarietà e di aiuto in favore di bambini".

Un gesto che, soprattutto per le condizioni in cui è stato compiuto (per chi ha questo vizio, sospendere il fumo in una situazione di costrizione come questa non è certo facile), è davvero significativo. La finalità della manifestazione, del resto, era davvero importante: i 367 euro raccolti serviranno infatti a sostenere il Centro Reds-Ranchi in India, che ha l’obiettivo di promuovere il riscatto dei bambini di strada e dei bambini lavoratori, che vivono in condizioni inumane.

"Voglio ringraziare il direttore del carcere Luigi Pagano, sempre attento ad ogni iniziativa che promuova l’affermazione della dignità e dei diritti dei detenuti; il comandante Francesco Muscariello e il personale di sorveglianza; due ospiti del carcere, Dino Duchini e Pasquale Cicala, che hanno svolto il prezioso compito di divulgare l’iniziativa nelle celle.

Un grazie anche agli educatori Barbara Campagna e Giovanni Fumagalli e alle associazioni che hanno sostenuto l’iniziativa: Rosalba Riva del Centro Terziario Ricreativo di Abbadia Lariana, Marina Mazzola dell’Aido e Carla Magni dell’Associazione Volontari di Monte Marenzo". La cerimonia di premiazione avrà luogo lunedì 31 maggio, in occasione della giornata mondiale della lotta al fumo.

Un aggiornamento sulla situazione del minorile di Treviso

 

Rovigo, 27 maggio 2004

 

Gianpietro Pegoraro, coordinatore Regionale per il Veneto

Fp-Cgil - Settore penitenziario

45100 Rovigo - Via Verdi, 27

Tel. 0425 428311

Fax 0425 428340

Mail fp.rovigo@mail.cgil.it

 

L’accantonamento del disegno di legge Castelli sulla soppressione dei tribunali per i minorenni è stato giustamente salutato come una vittoria della civiltà giuridica a scapito di un cupo revisionismo che, ammantandosi delle politiche della tolleranza zero, voleva abbattere principi e metodi volti a tutelare e prevenire il fenomeno della delinquenza minorile.

Quel disegno di legge, tuttavia, conteneva altri foschi intendimenti, che pur non avendo avuto il medesimo risalto di quello sopra richiamato, andavano comunque nella medesima direzione, ossia quella di irregimentare il disagio/devianza minorile nelle strette maglie del mero controllo penale.

Il riferimento è all’allungamento dei tempi di permanenza del minore in carcere oppure all’ampliamento dei margini di applicabilità della custodia cautelare.

Ebbene, nonostante tali proposte siano state di fatto affossate insieme a tutto il resto del disegno di legge, dalla scorso anno si è andato registrando un numero di detenuti nelle prigioni minorili in crescita esponenziale.

Gli istituti del Nord Italia sono in continuo affollamento ed è sistematico il trasferimento di detenuti al sud in strutture che cominciano a scoppiare anch’esse.

Da quel che è possibile cogliere, sembra che tale condizione sia determinata dall’azione congiunta di due fattori: il ricorso sistematico al limite massimo consentito dei tempi di custodia cautelare in carcere e l’uso dell’arresto e della successiva applicazione di provvedimenti restrittivi in carcere.

Verrebbe da dire quindi che parte di ciò che è uscito dalla porta sta comunque rientrando dalla finestra.

Un giretto per le carceri minorili italiane farebbe scoprire oggi delle cose interessanti per quelli che lamentano un eccesso di perdonismo nei confronti dei minori devianti o di sussistenza di leggi troppo permissive e di altre amenità del genere. Si scoprirebbe ad esempio che ci sono minori detenuti che per un furto di motorino fanno più custodia cautelare di Callisto Tanzi.

Questa situazione è grave e preoccupante per due ordini di motivi, fermo restando il precario livello di tenuta delle carceri minorili in termini sia di contenimento sul piano dell’edilizia ma anche di capacità di gestione per tutti gli operatori.

Il primo attiene ad una cultura giuridica che oggi, al di là delle convinzioni del ministro Castelli e della maggioranza che le sosteneva, sembra comunque condividerne alcuni principi. Il primo di questi è che la galera non è più l’estrema ratio bensì il primo assaggio sanzionatorio per un minore autore di reato, soprattutto se straniero e senza fissa dimora.

Il secondo è legato al grado di accettazione di questa convinzione: il silenzio registrato a fronte di questo fenomeno non si capisce se sia assenso, disattenzione o semplicemente espressione di una ritirata da parte di chi credeva che affondando il disegno Castelli la partita sulla giustizia minorile era chiusa.

Se questa strisciante politica meramente repressiva della criminalità, soprattutto di strada, il cui unico risultato al momento è quello di aver riempito le carceri minorili di disgraziatissimi ragazzi dell’europa dell’est, trova sponde nel silenzio o nell’indifferenza si è portati a pensare che un disegno di legge come quello sopra citato è stato affossato perché chi lo presentava o non era molto simpatico o ha scelto politicamente la strada sbagliata. Qualche versione soft, probabilmente, avrebbe avuto maggiore fortuna poiché una cultura in grado di sostenerla era già esistente come i numeri impressionanti di detenuti minorenni stanno dimostrando.

Vogliamo credere che le cose non stiano così: il pianeta giustizia è ormai talmente ridotto male che questo fenomeno non è altro che una delle sue molteplici espressioni di crisi.

Sarebbe comunque il caso che tutto quel movimento composto da soggetti che hanno condotto la battaglia di civiltà avverso la contro-riforma della giustizia minorile, rialzino nuovamente lo sguardo verso questo universo e cerchino di capire cosa stia succedendo nelle politiche di controllo penale e di conseguenza nelle carceri minorili.

Non siamo ancora il paese della tolleranza zero; non abbiamo migliaia di detenuti minorenni come negli Stati Uniti. Non possiamo nascondere tuttavia che qualche tentazione in quel senso evidentemente c’è. Si tratta di capire chi è il diavolo tentatore, possibilmente con una certa solerzia.

Sulmona: i detenuti mettono in scena Pirandello

 

Il Messaggero, 27 Maggio 2004

 

Oggi pomeriggio alle ore 15.30 presso il Teatro del Carcere di Massima Sicurezza di Via Lamaccio, i detenuti di Alta Sicurezza metteranno in scena uno spettacolo da loro organizzato e preparato "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello.

La performance sarà ripetuta il 31 maggio, alla stessa ora, con il lavoro "Tra ironia e realtà". Quella dell'attività teatrale nel supercarcere di Sulmona è una tradizione nata tanti anni fa e che, come si vede, è sempre viva e vitale e trova disponibilità ed entusiasmo tra i detenuti che riescono sempre ad esprimersi al meglio sulle scene del teatro. Unendoci agli applausi che certamente non mancheranno quando si chiuderà il sipario ci complimentiamo con gli attori e con gli animatori di questa bell'iniziativa.

 

 

 

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