Rassegna stampa 8 giugno

 

Fini: modificare legge Gozzini e reprimere tossicodipendenti

 

Il Manifesto, 8 giugno 2004


Gianfranco Fini si avvia a concludere la campagna elettorale di An all’insegna della repressione contro le droghe e del giro di vite sulla giustizia. Dagli schermi di "Porta a porta", infatti, il vice premier ha parlato di tutto - rimpasto, tasse, voto europeo - ma in chiave interna ha anche lasciato trapelare le intenzioni di An per il dopo voto: avanti a spada tratta per la legge sulle droghe e, new entry, una riforma della legge Gozzini sulle pene alternative al carcere.

"Chiederò al consiglio dei ministri di esaminare un disegno di legge per limitare la discrezionalità dei magistrati nell’applicare la legge Gozzini", ha detto il leader di An dal salotto di Bruno Vespa. E nel successivo scambio di battute con Rutelli, Fini ha poi ribadito: "La certezza della pena si ottiene quando non c’è la discrezionalità dei magistrati nello scarcerare certi detenuti. Se lo facciamo non dite che stiamo attentando all’autonomia della magistratura". Uno sgambetto al guardasigilli Castelli e un tentativo di sorpassare a destra la Lega.

Infatti, in serata, un ministro della giustizia infastidito frena gli ardori e avvisa che "su una materia così delicata Fini dovrà prima parlare con me". L’impatto sul sistema penale del resto potrebbe essere enorme, basti pensare che alla fine del 2003 usufruiscono dei benefici di legge o ne hanno fatto richiesta più di 44mila detenuti. Secondo il ministero sono quasi 17mila i condannati affidati ai servizi sociali e altri 8.606 si trovano agli arresti domiciliari (mentre nelle carceri si affollano più di 54 mila persone).

La legge Gozzini, dal nome del primo firmatario (l’allora senatore comunista Mario Gozzini), fu approvata nel 1986 proprio con l’obiettivo di decongestionare gli istituti di pena: ha introdotto la detenzione domiciliare e la concessione di benefici ai condannati con sentenza definitiva. Gli arresti domiciliari sono oggi previsti in via "automatica" per le pene minori (non superiori a due anni) e per particolari categorie di condannati (donne in gravidanza o in allattamento, chi è in condizioni di salute particolarmente gravi, anziani sopra i 65 anni di età o giovani sotto i 21).

La Gozzini ha anche previsto l’affidamento in prova alle comunità per i tossicodipendenti o gli alcolisti che abbiano in corso un programma di recupero o "che intendano sottoporvisi".Le parole di Fini quindi potrebbero riguardare tutti quegli aspetti, non certo secondari, che sono oggi soggetti al giudizio della magistratura di sorveglianza: i permessi premio, il lavoro esterno, l’affidamento ai servizi sociali, la liberazione anticipata. Un vero e proprio giro di vite generalizzato.
Lapidario il giudizio di Stefano Anastasia, presidente di Antigone: "Una modifica della legge Gozzini vorrebbe dire controriformare l’ordinamento penitenziario". Secondo Antigone, nei casi in cui è possibile applicarla, la legge funziona e garantisce il reinserimento sociale. "Il problema vero infatti riguarda tutti gli altri, la grande maggioranza dei detenuti che non vi accedono e che sono quelli più esposti alla recidiva", conclude Anastasia.

Fini è poi intervenuto anche su un altro cavallo di battaglia di An, la legge sulle tossicodipendenze. È infatti impossibile non notare che il ddl è sparito dai calendari parlamentari nonostante sia passato più di un anno dalla sua presentazione in pompa magna con lo slogan: "repressione". Il vicepremier è quindi corso ai ripari, giurando tempi brevi dopo il voto.

Non è un caso, perché proprio La Stampa di ieri dà notizia di due sondaggi riservati condotti tra gli stessi elettori della fiamma. Solo il 30% darebbe priorità a quella legge, molti non la vorrebbero proprio. Fini è costretto a fare la faccia feroce, promettendo in tv quello che il suo partito non vuole fare in parlamento.

Castelli: le nomine DAP non finiscono qui

 

Agi, 8 giugno 2004

 

"Le nomine non finiscono qui". Così il ministro della Giustizia Roberto Castelli risponde ai giornalisti a proposito dei cambiamenti che stanno interessando i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

"Dopo essermi occupato di altri problemi, mi sto occupando in prima persona del Dap. Nel 2002 c’è stata, fra l'altro, una situazione difficile che è stata fortemente strumentalizzata, ora credo che sia necessario fare un passo in avanti", ha proseguito il Guardasigilli puntando alla sostanza e non alla burocrazia.

A proposito delle polemiche nate dalle dichiarazioni del deputato dell’Udc, Luca Volonté, il ministro ribadisce: "Tirar fuori questioni di carattere elettorale mi è parso un po’ curioso", e ancora: "Io combatto da sempre contro le pastoie burocratiche e che sia un alleato a ricordarmi che bisogna seguirle, mi lascia un pochino perplesso", soprattutto per un governo "che vuole snellire" i passaggi burocratrici.
Quanto alla nomina di Luigi Pagano, ex direttore del carcere di San Vittore, ora chiamato ad essere il provveditore regionale della Lombardia per le carceri, il Guardasigilli ha detto: "L’avvicendamento è finalizzato solo ad una migliore efficienza" del Dipartimento con particolare attenzione "alla Lombardia dove c’è un situazione pesante che il sovraffollamento delle carceri è superiore alla media nazionale così come lo è la mancanza di personale".

Pagano è "l’uomo ideale" per dare risposta a questi problemi data la sua competenza. "Cosa centra il criterio elettorale proprio non lo capisco. Ho scelto un uomo che è già al lavoro. Mi deve dare risposte rapide e credo che me le darà".

La carceri di Pianosa e dell’Asinara verso la riapertura?

 

La Sicilia, 8 giugno 2004


Le isole carcere di Pianosa e Asinara, da anni ormai chiuse, potrebbero riaprire, ma solo per uno scopo ben preciso: ospitare i detenuti impegnati nei lavori di recupero dell’ambiente e per dare loro la possibilità di reinserimento nella società. È questa una delle ipotesi emerse nel corso della firma dell’accordo tra il ministero della Giustizia e quello dell’Ambiente per promuovere l’attività lavorativa dei detenuti in 47 aree protette d’Italia (22 parchi nazionali e 25 aree parchi marini).

Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e il ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, sono cauti nel parlare di riapertura vera e propria dei due supercarceri di Pianosa e Asinara: questo progetto è finalizzato ed organizzato per detenuti a basso tasso di pericolosità - spiega il guardasigilli - se dobbiamo mandarli a lavorare in quelle isole è ovvio che la notte andranno a dormire nelle strutture del carcere. Non possiamo certo mandarli in albergo.

Il ministro dell’Ambiente, Matteoli, dal canto suo ricorda la sua ventennale battaglia per la chiusura del carcere di Pianosa: "ho sostenuto con forza la chiusura di quel penitenziario. Nel ‘94 quando ero ministro dell’Ambiente e dissi che volevo chiuderlo fui accusato di voler fare speculazione edilizia: una sciocchezza. Ma - aggiunge - ora non vorrei che Pianosa facesse la fine di Capraia dove, una volta chiuso il penitenziario, l’isola è stata saccheggiata in modo ignobile. Se si riapre il carcere per scopi ambientali e per dare una opportunità di lavoro ai detenuti, non mi sentirei sconfitto. Anzi, ben venga".

Anche per il ministro della Giustizia, Pianosa è al momento "simbolo dello spreco": "esiste una bella caserma, nuovissima, mai utilizzata. L’ipotesi è quella di recuperare situazioni recettive già esistenti, visto che gli unici abitanti di quelle strutture sono ora i topi". Ma, sia per Mattioli che per Castelli, il protocollo di intesa siglato stamane al ministero della Giustizia non significa che l’attività lavorativa dei detenuti a favore della valorizzazione e dello sviluppo della natura protetta italiana partirà proprio da Pianosa e dall’Asinara, ma "può darsi - dicono - che si cominci dal Parco del Pollino o dallo Stelvio". I progetti non sono stati ancora definiti ma lo saranno via via. e potranno riguardare attività lavorative come agricoltura biologica, agriturismo o sviluppo dei prodotti tipici. Insomma, tutto ciò che serve a tutelare l’ambiente. I detenuti potranno accedere ai lavori ambientali su base volontaria e - come ha spiegato anche il responsabile del Dap, Giovanni Tinebra - potranno accedere a questo tipo di programma i detenuti che si saranno distinti per buona condotta che "è l’unico indizio esterno della risposta al trattamento".

"Il progetto non sarà a costo zero, anche perché bisognerà provvedere a costruire o risistemare strutture in grado di accogliere i detenuti durante la notte. Il ministro Matteoli ha annunciato che saranno valutate ipotesi di investimento, mentre il ministro Castelli ha sottolineato come ciascun progetto verrà esaminato "caso per caso" anche perché - ha aggiunto - un detenuto che lavora costa di più di uno che non lavora. E inoltre c’è da risolvere il problema del trasporto dei detenuti, e quindi quello del personale "della polizia penitenziaria".

In ogni caso, entrambi i ministri hanno fatto notare come iniziative simili siano già in corso a livello locale. Ad esempio - ha detto il guardasigilli - nel penitenziario di Bergamo è stata siglata una convenzione con sei Comuni che consiste nel permettere ai detenuti di svolgere lavori di lavorare come operatori ecologici nel settore della manutenzione del fondo stradale".

Anche Matteoli ha ricordato come in alcuni negozi dell’isola d’Elba lavorano alcuni commessi "che sono detenuti, anche condannati all’ergastolo. La mattina lavorano, e la sera tornano nel carcere di Porto Azzurro".

Torino: arriva il Garante dei diritti dei detenuti

 

Ansa, 8 giugno 2004

 

È stata approvata questa sera dal Consiglio comunale di Torino una delibera presentata dal presidente del Consiglio comunale torinese, Mauro Marino, che istituisce la figura del Garante dei diritti dei detenuti. Questa figura sarà nominata dal Sindaco, previa consultazione con i Capigruppo, fra persone di prestigio torinesi di chiara fama nel campo delle scienze giuridiche e dei diritti umani negli istituti di prevenzione di pena e nei centri di servizio sociali e rimarrà in carica per cinque anni. I compiti che dovrà svolgere il Garante sono quelli di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone private della libertà personale del territorio di Torino.

Siracusa: s'impicca in cella con una maglia - casacca

 

La Sicilia, 8 giugno 2004

 

Morte per suicidio. È l’ennesima tragedia che si consuma all’interno della struttura penitenziaria di Brucoli. Un detenuto originario di Afragola, ex collaboratore di giustizia, che da qualche tempo soffriva di una grave crisi depressiva, si è tolto la vita ieri mattina.

L’uomo, Vincenzo De Rosa, 42 anni, condannato per associazione camorristica e altri reati, ha usato come cappio una maglia-casacca, annodandone una estremità alla presa d’aria. De Rosa si trovava in isolamento per ragioni connesse all’instabilità mentale derivante dalla crisi depressiva. Nel suo insano gesto ha sicuramente influito non poco la depressione - avvisano i medici e la direzione del carcere. "Per aiutarli a combattere la depressione i detenuti sono sottoposti a visite psicologiche e psichiatriche", asseriscono dalla direzione.

Per le stesse occorrono spese, per i medici e per i farmaci ed ultimamente, secondo le linee governative, ci sono stati dei tagli sopratutto per le visite specialistiche negli istituti di pena. Dalla direzione hanno sempre ribadito che è rimasto comunque lo stretto necessario.

Vincenzo De Rosa doveva scontare una pena residua di sette anni. Non ha resistito alla depressione di passare altri sette lunghi anni in cella ed, a modo suo, ha preferito una strana libertà. All’arrivo dei soccorsi non c’era più niente da fare.

Milano: don Gino Rigoldi racconta la solidarietà in un libro

 

Ansa, 8 giugno 2004

 

Il titolo dice già tutto: si chiama infatti "La solidarietà" il libro che don Gino Rigoldi, dal 1972 cappellano nel carcere minorile Beccaria, ha scritto e pubblicato nel tentativo di dare risposta a una serie di interrogativi e di quesiti emersi in alcuni colloqui con i ragazzi di due classi di scuole medie. Il libro, scritto in un linguaggio molto semplice che rispetta la formula domanda-risposta, parla di etica, fede e giustizia ma anche di temi molto concreti: la vita nel carcere, i percorsi personali, le scelte, la vita nella metropoli.

Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto a Comunità Nuova, l’associazione fondato dallo stesso Rigoldi nel 1973, che si occupa del reinserimento dei minori in difficoltà. "Io non mi sento particolarmente buono - ha detto don Rigoldi presentando il suo libro -.

Sono semmai un uomo fortunato perché nella mia vita ho incontrato persone che mi hanno insegnato ad aiutare gli altri. La cosa più importante che ho capito nel mio percorso di vita è che bisogna sforzarsi di non giudicare il prossimo perché solo così è possibile trarre dalle persone gli aspetti positivi e farli emergere".

"Per essere di aiuto agli altri, però, - ha concluso don Rigoldi - non basta il buon cuore. Con quello si va in paradiso ma non sempre si danno le risposte adeguate a chi è in difficoltà. Competenza, studio e soprattutto esperienza sono fattori assolutamente necessari per imparare a fare bene il bene".

Polizia Penitenziaria: fiaccolata di protesta a Napoli

 

Ansa, 8 giugno 2004

 

Dopo aver già manifestato a Firenze e Torino, l’Oganizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osap) scenderà in piazza stasera a Napoli, per protestare contro "le gravi condizioni del personale" e lo "stato di disorganizzazione e aggravio dei carichi di lavoro" nei confronti dei quali "il ministro della Giustizia Castelli mostra una totale disattenzione". La fiaccolata di protesta - spiega Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - partirà stasera alle 21 da piazzetta Bovio fino a piazza del Plebiscito, mentre domani alle 10 il sindacato ha indetto una conferenza stampa e successivamente una assemblea del personale nel carcere di Secondigliano.

"Oltre alla disattenzione del ministro nei confronti dei disagi del personale su tutto il territorio nazionale, vogliamo denunciare - afferma Beneduci - l’assenza di interventi politici per la riorganizzazione del corpo, in particolare il blocco del ddl Pecorella che prevedeva l’istituzione della direzione generale di polizia penitenziaria".

L’Osapp, che subito dopo le elezioni europee terrà sit-in di protesta anche a Milano e Roma, denuncia infine la mancata autorizzazione da parte del ministero della Funzione pubblica alle assunzioni di 1.870 uomini e 520 donne nel corpo di polizia penitenziaria per il 2004; unità, queste, già previste dalla finanziaria. "C’è carenza di personale - conclude Beneduci - servirebbero 5 mila unità in più. Almeno ci diano subito queste 2.390 già previste".

Suicidi nelle carceri: troppi morti dietro le sbarre

 

www.korazym.org, 8 giugno 2004

 

Negli istituti di pena italiani si muore ancora troppo spesso. A scegliere di farla finita sono soprattutto detenuti giovani ospitati presso carceri sovraffollate: un segnale d’allarme serio e preoccupante per un paese civile.

I dati parlano chiaro e non lasciano via d’uscita: in carcere il suicidio è ancora troppo diffuso. I detenuti che negli ultimi anni si sono tolti la vita sono tanti, troppi. Per la precisione sono diciassette volte più di quelli che dovrebbero essere, prendendo come punto di riferimento il tasso di suicidi relativo all’intera popolazione italiana. E se non stupisce più di tanto che siano concentrati soprattutto negli istituti di pena sovraffollati, colpisce maggiormente il fatto che la metà siano giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni.

Sono questi i dati principali della seconda edizione della ricerca "Così si muore in galera", realizzata dall’associazione "A buon diritto" e presentata qualche giorno fa in Campidoglio nel corso della presentazione del nuovo ufficio del Garante delle persone private della libertà personale, istituito per la prima volta in Italia dal Comune di Roma, che ha nominato garante Luigi Manconi.

La ricerca mette in evidenza che nelle carceri italiane il tasso di suicidi nel 2003 è stato pari a 11,2 ogni 10mila detenuti, diciassette volte più alto di quello registrato tra la popolazione italiana. Particolarmente delicata la prima fase della detenzione, nel corso della quale si verificano oltre il 60% dei suicidi. Nel 2003 quasi la metà dei suicidi è avvenuta nei primi sei mesi di reclusione del soggetto. Se a questo incrociamo anche i dati sull’affollamento delle carceri, che indicano che il 93% dei suicidi si verificano in carceri affollate (nel 2003 lo erano 147 istituti di pena su un totale di 205), appare evidente che l’ambiente carcerario costituisce una con-causa non indifferente per la messa in atto dell’atteggiamento suicida.

"L’ingresso e la prima permanenza nel carcere – ha spiegato Manconi – costituiscono la fase più delicata della detenzione. È lì che vanno concentrate le energie e le risorse". La sola via per ridurre il numero dei suicidi passa attraverso un’umanizzazione del carcere e l’aumento del numero degli psicologi, dei medici, degli assistenti sociali e dei volontari.

In termini assoluti, negli ultimi due anni si è registrata una lieve flessione nel numero complessivo dei suicidi dietro le sbarre. Nel 2001 furono settantadue, ma nei due anni seguenti (2002 e 2003) il numero si è stabilizzato su cifre molto alte (rispettivamente cinquantasette e sessantacinque suicidi). Praticamente c’è un suicidio ogni cinque giorni.

La maglia nera carceraria spetta, con 17 morti negli ultimi due anni, a Sardegna e Lombardia. È il dato dell’isola a far riflettere, dal momento che a fronte degli 8.500 detenuti nelle carceri lombarde, quelle sarde ospitano solo 1800 detenuti. Un’incidenza dunque quanto mai elevata, che fa davvero scalpore. A seguire vi sono la Campania con 12 suicidi in due anni, l’Emilia Romagna, la Sicilia e il Lazio con 11 morti ciascuna, e il Piemonte con otto.

Bologna: direttrice del carcere "suicidio detenuta ci sconforta"

 

Adnkronos, 8 giugno 2004

 

"È un fatto estremamente grave e sconfortante. Purtroppo in questi casi i secondi sono davvero pochi e, com’è accaduto, anche un intervento tempestivo non riesce a salvare una vita".

Commenta così all’Adnkronos Manuela Ceresani, direttrice della Casa Circondariale Dozza di Bologna, il suicidio, avvenuto ieri verso mezzogiorno e mezza, della detenuta nativa di Mostar, nella Bosnia Erzegovina, che si è tolta la vita impiccandosi nel bagno della propria cella.

Cardinale Martino: occorre rispettare i diritti dei detenuti

 

Asca, 8 giugno 2004

 

Un maggiore rispetto dei diritti dei detenuti, alla luce delle torture subite dagli iracheni nel carcere di Abu Ghraib. Ad invocarlo è il card. Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace al termine della visita al carcere di Fossombrone, in provincia di Pesaro - Urbino, avvenuta ieri.

Intervistato dalla Radio Vaticana, il porporato, commentando le torture inflitte ai detenuti iracheni nel carcere di Abu Ghraib, ha detto che "il fatto che si sia potuto arrivare a tanto, mostra come un inaccettabile concetto di sicurezza ispiri ancora gli atteggiamenti ed i comportamenti del personale addetto agli interrogatori ed alla sorveglianza dei detenuti".

"Dobbiamo riaffermare con forza che il fine non giustifica mai i mezzi. - ha concluso il Card. Martino. Il rispetto di una persona detenuta e dei suoi diritti è un principio fondamentale che caratterizza il grado di civiltà di ogni sistema penale".

Vibo Valentia: dopo 2 suicidi, Sen. Iovene (Ds) incontra direttore

 

Asca, 8 giugno 2004

 

A seguito dei due recenti tragici casi di suicidio nel carcere di Vibo Valentia, il Senatore Nuccio Iovene ha incontrato la Direttrice del carcere, Rachele Catalano, per avere ulteriori notizie sull’accaduto e per comprendere quali misure possono essere sollecitate per ridurre tutti i fattori di rischio, oggettivamente presenti in una "istituzione totale" quale il carcere.

Il Sen. Iovene, che ha annunciato una nuova visita nei prossimi giorni - si legge in un comunicato - all’istituto penitenziario di Vibo Valentia per avere una visione diretta della condizione di reclusione degli oltre 350 detenuti, attualmente ospitati, ha preso atto delle importanti iniziative, avviate, grazie anche all’apporto del volontariato, per avvicinare la detenzione agli obiettivi del recupero e del reinserimento sociale e lavorativo, cui si impronta la nostra civiltà giuridica ed all’impegno che in questa direzione viene profuso da tutti gli operatori coinvolti.

"La riattivazione di alcune aree non utilizzate da tempo - dichiara Iovene - la pubblicazione di un giornalino da parte dei detenuti, la moltiplicazione dei corsi di studio e delle attività formative e di socializzazione sono tutti passi in avanti significativi, che misurano i cambiamenti rispetto alla mia prima visita di circa un anno e mezzo addietro (ottobre 2002).

Alla luce di quanto drammaticamente accaduto, continua Iovene, occorre però accelerare i tempi, visti i ritardi accumulati, da parte dell’Azienda Sanitaria della messa a disposizione degli esperti per le tossicodipendenze (che come si sa sono una percentuale alta della popolazione detenuta), e sarebbe indispensabile un aumento del monte ore degli altri esperti nonché una copertura dell’organico per quanto riguarda gli educatori, in modo tale da poter monitorare e limitare il più possibile il disagio ed i fenomeni di autolesionismo.

Dei problemi del carcere di Vibo, e della popolazione detenuta, debbono occuparsene sempre di più tutte le istituzioni, presenti sul territorio, e non soltanto chi vi lavora. Una pena certa e giusta, condizioni di sicurezza sia per i detenuti che per chi vi lavora, una costante azione per contrastare la ricaduta nell’azione delittuosa del maggior numero possibile di persone detenute, sono elementi attivi - conclude Iovene - ed importanti per affermare sul territorio la cultura della legalità e contrastare concretamente la delinquenza e la criminalità organizzata".

Nel corso dell’incontro con la Dottoressa Catalano il Sen. Iovene si è dichiarato disponibile a compiere tutti i passi necessari nei confronti del Ministero e degli altri soggetti istituzionali responsabili, affinché vengano garantite le risorse, materiali ed umane, e le misure necessarie a sostenere lo sforzo in atto per realizzare una condizione detentiva e lavorativa migliore e più rispettosa della dignità umana.

Lucca: espulso presidente dell’Associazione Italia - Marocco

 

Il Manifesto, 8 giugno 2004


La prefettura lucchese dà ragione alla questura e conferma il rimpatrio di Salah Chufka, presidente dell’associazione di amicizia Italia Marocco e interprete del tribunale e della stessa questura. Aveva chiesto il rinnovo del permesso in ritardo.

Due righe per confermare che la questura di Lucca ha fatto bene a decidere di espellere Salah Chufka, di nazionalità marocchina, rappresentante dell’associazione Aimac (Amicizia Italia-Marocco), mediatore culturale, interprete del tribunale e - quando è servito - per la stessa questura e il carcere. La prefettura, con due righe firmate dalla vice prefetto vicaria, dottoressa Strano, ha confermato il provvedimento di allontanamento dall’Italia senza aggiungere una parola di più e senza entrare nel merito.

Alla faccia della mediazione avviata tra istituzioni e associazioni sul caso specifico, ma anche sui numerosi rifiuti che stanno piovendo sui migranti residenti a Lucca sconvolgendo vite impostate da anni nel nostro paese. Nel caso di Salah Chufka il 21 maggio, giorno in cui è stato emesso il provvedimento di espulsione i 60 giorni massimi di validità del permesso dopo la data di scadenza (come per lo yougurt, insomma) erano trascorsi. Ma il procedimento di rinnovo era stato aperto dall’appuntamento all’ufficio immigrazione nei termini fissati dalla Bossi-Fini. In seguito, Salah aveva fatto presente a voce che non erano ancora disponibili i documenti contabili per rendicontare l’attività lavorativa autonomo. "A questa mia preoccupazione - racconta Chufka - è seguita la rassicurazione che avrei potuto presentare i miei documenti quando fossero stati pronti".

Difficile sostenere - come sembrano voler far credere polizia e prefettura - che Salah Chufka possa essersi "dimenticato" di rinnovare il permesso di soggiorno: il 26 settembre 2003, dopo quindici anni di lontananza, erano arrivate a Lucca sua moglie e le due figlie. Alle quali era stato dato un appuntamento per presentare i documenti necessari a richiedere il permesso di soggiorno solo il 4 febbraio scorso.

Un ritardo che aveva creato numerose tensioni nel nucleo familiare: la figlia maggiore, Ymane, ha 19 anni e ha vinto in Marocco una borsa di studio per iscriversi alla facoltà di economia. Ma in Italia ha perso un anno di studi per i ritardi nella concessione del soggiorno. Che non è ancora arrivato perché manca il rinnovo del capofamiglia. Così, la sorella quindicenne che ha frequentato a Lucca, con profitto, il primo anno dell’istituto per il turismo e la madre oggi non sono né regolari, né clandestine. Nonostante il nullaosta all’ingresso rilasciato dalla stessa questura e il visto ottenuto all’ambasciata italiana. Nelle loro mani, al momento, neppure la lettera che la questura dovrebbe inviare, per legge, avvisando dell’apertura del procedimento di rifiuto del documento di soggiorno.
Per la questura di Lucca Salah Chufka "non ha mai richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno" e per la prefettura i poliziotti dell’ufficio immigrazione hanno ragione. Se Salah avrà voglia di questo si discuterà davanti a un giudice, con la magistratura impegnata a dire la sua nell’alta disputa legale sul fatto che richiedere l’appuntamento - là dove la questura lo preveda - valga o meno come apertura del procedimento di rinnovo del maledetto pezzo di carta celeste, gioia e angoscia di tutti i migranti.
Alla notizia del parere negativo della prefettura sulla revoca dell’espulsione, l’assemblea delle associazioni lucchesi impegnate sul fronte dell’immigrazione, ha risposto indicendo una manifestazione regionale per venerdì 18 giugno. Virginio Bertini, responsabile Cgil di Lucca, ha annunciato che, ne frattempo "tra Cgil, prefettura e questura è sospesa qualsiasi relazione sul tema dei migranti. Impossibile non leggere la decisione della prefettura come un atto di rottura che taglia le basi di un dialogo e di rapporti che da anni si erano con difficoltà sviluppati tra società civile, associazioni, sindacati e istituzioni locali sui temi dell’immigrazione. Essa rappresenta la negazione dei più elementari diritti umani e di cittadinanza e conservatrici e alimenta un clima di razzismo istituzionale".

Rossano Calabro: storie tra cibo e ansia di riscatto sociale

 

Gazzetta del Sud, 8 giugno 2004

 

Brillano come oro le grosse chiavi che aprono e chiudono una lunga sequenza di verdi cancellate attraverso corridoi silenziosi: il sole buca le grate e riscalda speranze di un domani migliore.
La Casa di Reclusione di Rossano, che accoglie detenuti già sottoposti a tutti i gradi di giudizio, è attiva dalla primavera del 2000: un ampio fabbricato bianco che ospita il reparto reclusorio, gli uffici amministrativi, l’area educativa nella quale operano psicologi e assistenti sociali, la biblioteca, la cappella e un’attrezzata infermeria con ben sei branche specialistiche.

La dottoressa Angela Paravati è la direttrice, Salvatore Prudente il comandante, Pierangelo Bennardo l’ispettore sostituto, Don Emilio Marra il cappellano. "Abbiamo un obiettivo ambizioso -dice la dottoressa Paravati - quello cioè di risocializzare la persona finalizzando la nostra attività al recupero di chi è ristretto tra queste mura. Questo, per offrire ai detenuti opportunità concrete per concedere loro la possibilità, di reinserirsi nella società, anche se ci sono ancora tanti pregiudizi che ostacolano non poco questo processo di integrazione.

Abbiamo attivato corsi di pittura, miniatura, giornalismo, computer, riempiendo ogni spazio della giornata con forme di sport, teatro e momenti ricreativi. Abbiamo voluto privilegiare in particolare l’aspetto culturale: da quest’anno, infatti, in collaborazione con l’Istituto Commerciale e l’Istituto Alberghiero di Rossano sono stati istituiti corsi di scuola superiore e corsi professionali". Il giorno tanto atteso finalmente è arrivato.

L’invito, rivolto agli insegnanti del corso, reca la scritta: "Sezione Alberghiero 1°C. Casa di Reclusione. Pranzo di fine anno." La cucina, ampia e luminosa, è degna del miglior ristorante. Guidati dai professori Carmen Antonucci e Lillo Simone dell’Istituto Alberghiero, gli alunni del 1° corso intendono mettere a frutto tutto quanto appreso nell’anno. E vogliono fare bella figura.

A vederli così, seriamente impegnati nel preparare il ricco menù, non sembra di essere alla presenza di uomini che hanno sbagliato e che stanno pagando. Ogni volto una storia, ogni sguardo il muto racconto di una sofferenza che la consapevolezza di una giusta espiazione rende più accettabile, anche se il tormento maggiore resta il distacco dalla famiglia che attende e perdona. Per questi alunni speciali l’emozione più intensa offerta dal corso è stata quella di poter maneggiare nuovamente posate in metallo, abituati com’erano da anni a quelle di plastica. E lo confessano senza remore con un sorriso che colpisce e disorienta.

Ogni volto una storia: Lino, di Reggio Calabria, quattro figli, spacciava droga. Ha capito l’errore e per crescere nella stima dei figli si è iscritto all’università; Salvatore, invece, ha avuto rapporti "particolari" con le banche. Rapine? "Giammai, risponde, io lavoravo con la penna". Simpatico eufemismo per raccontare di un giro di assegni non proprio legittimi a danno di banche importanti ed un "incasso" di circa quattro miliardi.

Giovanni è il clone di Van Damme e Gaetano, il ragioniere, assomiglia tanto all’uomo con i baffi di una nota ditta di birra. Tutti studiano per diventare cuochi. Il pranzo è pronto. Don Mosè recita la preghiera di ringraziamento e impartisce la benedizione.

A gran richiesta, tra un profumato risotto all’astice ed un invitante involtino di pesce spada, Patrizio, napoletano, verace ed un passato di rapine, interpreta magistralmente "A Livella" di Totò: attimi di intensa commozione e un fortissimo applauso finale. Il presidente Michele Mario Grande è soddisfatto.

"Una giornata di riflessione e di sintesi a suggellare un anno didattico senza eguali. Ringrazio la dottoressa Paravati ed il comandante Prudente per aver autorizzato questo pranzo di fine anno, assicurando che questa esperienza intendiamo ripeterla anche il prossimo anno".

Alla fine del pranzo, gli alunni hanno consegnato ai loro professori una lettera di ringraziamento che chiude così: "Una palestra senza un buon istruttore non riesce mai a formare un buon allievo, la vostra forza, nel trasmettere bontà e semplicità ci accompagnerà sempre. Grazie". Una, giornata davvero speciale quella, trascorsa con gli alunni del 1° corso di cucina dalla, Casa di Reclusione di Rossano.

Roma: seminario di approfondimento sul processo penale

 

Papillon Rebibbia, 8 giugno 2004

 

Il dipartimento nazionale Giustizia e Legalità di Rifondazione Comunista ha organizzato una giornata seminariale di approfondimento sul processo penale allo scopo di confrontare le riflessioni elaborate al proprio interno con quelle elaborate in ambito professionale dall’avvocatura e dalla magistratura di area democratica per le quali erano presenti autorevoli esponenti.
Lo scopo di questa come di altre iniziative del dipartimento è quello di contribuire all’elaborazione di un programma politico sulla giustizia capace al tempo stesso di rispondere alle emergenze (eccessivo numero dei processi, deficienze organizzative, sovraffollamento carcerario) senza tuttavia rinunciare a prospettive di riforma più radicali che rispondano all’esigenza di invertire le tendenze neo-conservatrici in atto, finalizzate alla riduzione degli spazi di democrazia ed alla repressione del dissenso o del semplice disagio sociale.

Così la discussione sul processo penale, introdotto con il codice dell’89, si è intrecciata, con l’intervento di Desi Bruno, con quella sulle profonde trasformazioni politiche e sociali che hanno attraversato l’Italia e non solo da quel periodo ad oggi, che hanno permeato di sé anche le (contro) riforme in materia di giustizia, spesso anche al di là della percezione degli stessi legislatori.
È così emerso come il nuovo codice di procedura penale recepisca le tendenze fondamentali presenti nell’esperienza processuale anglosassone che fa corrispondere ad un processo ordinario profondamente garantista, l’utilizzo sistematico dei riti cd. alternativi (che riguardano però anche oltre il 90% dei processi) spesso enormemente penalizzanti per coloro che non possono permettersi una difesa tecnica adeguata.

Insomma una struttura processuale pienamente corrispondente al modello sociale neoliberista di esclusione sistematica della classi subalterne dal sistema dei diritti pur ancora formalmente garantiti dalla Costituzione. E proprio sul sistema dei diritti e dei principi di derivazione costituzionale e non solo, è andata poi spostandosi la discussione tesa all’elaborazione di soluzioni tecnicamente praticabili - come auspicato in particolare nell’intervento di Mirko Mazzali - che ne garantiscano la realizzazione concreta.

È apparso evidente dai vari interventi come tutti i principi costituzionali in materia di giustizia, e di giustizia penale in particolare, siano sotto attacco, a volte diretto ed evidente, ad esempio il principio della indipendenza e autonomia della magistratura (sul cui senso si è soffermato Gianfranco Viglietta), a volte più subdolo, come ad esempio il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, garanzia della parità dei cittadini di fronte alla legge (sulla cui disapplicazione è intervenuto Marco Daltoso) o il principio della finalità rieducativa della pena, completamente neutralizzato da un sistema carcerario inadeguato e soprattutto dallo scarso utilizzo delle misure alternative alla carcerazione o ancora quello della tutela delle vittime del reato spesso troppo trascurato (come evidenziato da Roberto Lamacchia).

E proprio in relazione alla questione carceraria è emersa l’esigenza di lavorare nella prospettiva di una nuova depenalizzazione che riguardi i due grandi settori non toccati dalla precedente depenalizzazione voluta dal governo Prodi e cioè i reati in materia di droga ed immigrazione (puntualmente esaminati nell’intervento di Viglietta).

È stato sottolineato come la questione della riduzione dell’area di rilevanza penale debba essere una questione discriminante per la sinistra anche al di là dell’immediata finalità deflattiva rispetto ai processi in corso ed all’enorme beneficio che ne verrebbe all’ordinamento penitenziario.
Da più parti, infatti, nel corso del dibattito, si è fatto rilevare come sia assolutamente determinante contrastare la deriva securitaria che attraversa l’intero Occidente, che mira ad allargare a dismisura l’area di rilevanza penale e la carcerazione verso comportamenti la cui offensività sociale è invece da ritenersi minima se non del tutto inesistente.

Nelle conclusioni di Alberto Bugio si è sottolineato come, grazie alla grande qualità del dibattito e alla rete di contatti stabilita, si sia indiscutibilmente fatto un passo avanti per il raggiungimento degli obbiettivi di cui si è sopra accennato, tanto da poter mettere in calendario per il prossimo futuro una giornata seminariale di approfondimento sul processo del lavoro e in seguito due convegni (sul processo penale e su quello del lavoro) durante i quali presentare pubblicamente le conclusioni e le proposte del Partito.

Piemonte: progetto di educazione motoria nelle carceri


Movimento Difesa Consumatori, 8 giugno 2004

 

Un laboratorio di "Educazione del fisico", che comprende diverse discipline sportive, è operativo presso cinque Case Circondariali del Piemonte. Promosso dall’Assessorato allo Sport e dall’Assessorato alle Politiche sociali, il progetto dell’Associazione Iride, da anni impegnata in attività sportive, culturali e ricreative all’interno degli Istituti penitenziari, è stato avviato alle Vallette di Torino, alla Felicina di Saluzzo, alle Case Circondariali di Alba, Asti e Ivrea.
L’educazione motoria negli istituti, attuata in sinergia con le direzioni carcerarie, è affidata ad un Gruppo di Ricerca e Sperimentazione di Insegnanti di Educazione fisica, riuniti in Associazione senza fini di lucro, l’Iride, storicamente impegnata nel Carcere Le Vallette nello sviluppo di attività educative e risocializzanti, che usano lo sport come veicolo di recupero educativo.

I corsi, organizzati sulla traccia delle lezioni scolastiche di educazione fisica, coinvolgono diversi gruppi di venti persone che ogni due mesi turnano, per dare la possibilità a tutti i detenuti di usufruire del servizio; al termine del corso viene compilata una scheda individuale di osservazione che registra i progressi raggiunti dal detenuto, sia sotto l’aspetto fisico che sotto quello socio–comportamentale, in sinergia con gli educatori professionali che operano nel carcere.Gli Assessori regionali alle Politiche Sociali, Mariangela Cotto, e allo Sport, Ettore Racchelli, sottolineano l’importanza di un programma continuo e strutturato rivolto all’attività motoria nelle carceri, accanto alle attività di reinserimento lavorativo già in corso (in base alla Legge 45/95). È infatti necessario permettere di scontare la pena in modo positivo, dare la possibilità alle persone detenute di sentirsi protagoniste e più integrati nel contesto sociale. Obiettivi resi possibili grazie alla realizzazione di iniziative volte al miglioramento delle condizioni di vita durante la detenzione e attraverso attività tese a valorizzare le capacità e le risorse delle persone.

Tra le attività sportive, oltre all’organizzazione di vari tornei sportivi cui spesso aderiscono le Scuole di Istruzione Superiore presenti sul territorio, si promuovono anche momenti di defaticamento psichico con l’ausilio di varie tecniche di rilassamento (Training autogeno e Jacobson).
L’attività sportiva si avvale di Tecniche di potenziamento muscolare grazie alle moderne attrezzature sportive di cui sono state dotate le palestre all’interno delle carceri, a costo di grande sacrificio organizzativo e grazie all’aiuto economico della Regione Piemonte.

Anche nel reparto femminile delle Vallette di Torino, con le medesime modalità di gestione del "maschile", due volte alla settimana per due ore, le detenute hanno la possibilità di defaticarsi mentalmente attraverso tecniche di espressione corporea, di drammatizzazione, di ginnastica aerobica; tali momenti costituiscono degli appuntamenti con se stessi, con le compagne, nel rispetto delle regole, per vivere momenti di socializzazione in un ambiente reso più sereno dalle attività svolte.
Da quest’anno, grazie al contributo della Regione Piemonte, è stato possibile attivare un corso di Psicomotricità, rivolto ai figli delle detenute che le mamme possono trattenere con se, in carcere, sino al compimento del terzo anno di età. Una psicomotricista professionista, dell’Associazione Iride, una volta alla settimana, presso il nido interno al "femminile" aiuta con interventi di "mothering" i bimbi a superare il trauma connesso alla detenzione "forzata" cui sono sottoposti loro malgrado.

Como: i detenuti scrivono fiabe per i bambini malati

 

Corriere della Sera, 8 giugno 2004

 

Un ideale "ponte" tra il Bassone e il Sant’Anna, con i detenuti del carcere di Como a "interpretare" e, in qualche caso, a scrivere fiabe e i piccoli degenti del reparto di Pediatria dell’ospedale cittadino ad ascoltarle.

Il progetto, innovativo quanto singolare, è stato messo a punto dalla casa circondariale e dall’azienda ospedaliera e prevede l’allestimento di audio cassette accompagnate da musiche di Beethoven, Mozart e Mendelssohn. L’iniziativa, "firmata" da Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro, operatori di polizia penitenziaria, ha già suscitato l’interesse delle Tv nazionali e proprio domani a occuparsene sarà Unomattina, il programma di Raiuno, che sarà sul Lario con una troupe.

"Rendere la degenza pediatrica accogliente e sempre più confortevole - spiega il primario Riccardo Longhi - è un obiettivo perseguito fin dagli anni ‘60 con le prime scuole dentro l’ospedale e la creazione di sale giochi". Sempre in pediatria al Sant’Anna, a fine anni ‘90, aveva preso forma in corsia la figura di Patch Adams, ossia del medico-clown del West Virginia, teorico della "terapia della risata" interpretato al cinema da Robin Williams.

Non è tutto. Nell’unità pediatrica, dotata di una buona biblioteca, vengono organizzate periodicamente serate di lettura e altre iniziative destinate a coinvolgere i giovanissimi pazienti. Ora ci si prepara a tenere a battesimo le fiabe dei detenuti, che saranno scritte anche in lingua straniera proprio per venire incontro a tutte le esigenze: il 20 per cento dei bambini di pediatria, infatti, sono extracomunitari.

Milano: conclusa la manifestazione "No smoking in cella"

 

La Provincia di Lecco, 8 giugno 2004

 

Si è conclusa con la festa in carcere, la manifestazione "No smoking… in cella", ennesima evoluzione della campagna contro le sigarette lanciata ormai da anni dalla Polisportiva di Monte Marenzo. In occasione della giornata mondiale della lotta al fumo, il presidente del sodalizio locale, Angelo Fontana, ha raggiunto il penitenziario milanese di San Vittore, per celebrare la riuscita dell’iniziativa insieme ai detenuti che hanno partecipato.

Si è trattato di un’autentica sfida, per un fumatore: impegnarsi a non accendere sigarette per almeno un mese, con l’obiettivo di sconfiggere il vizio definitivamente. E la risposta dei carcerati è stata davvero eclatante: 342 di loro hanno deciso di partecipare, iscrivendosi con un’offerta che sarà devoluta in beneficenza. "Confesso che quando mi è venuta l’idea di proporre a voi una gara che chiedeva a fumatori il sacrificio di non accendere sigarette per un mese – ha detto Fontana ai detenuti -, dove i premi in palio non erano ricchi ed, inoltre, c’era pure una quota di partecipazione da versare, mi ha colto il dubbio che stavo sbagliando tutto.

Poi ho fatto due considerazioni: intendo tenere fermo l’impegno concreto su questo problema, perché ho vissuto dolorose esperienze personali per la scomparsa di persone care, a causa di malattie che possiamo ricondurre all’abuso del fumo. E ritengo che una persona reclusa, al pari di qualsiasi altra, debba essere coinvolta in iniziative che tentano di conservare la mente e il corpo in uno stato di benessere, anche quando si vive una realtà di privazione, perché dobbiamo tutti sentirci impegnati nella promozione e nella difesa della dignità umana nelle carceri. Anche in questa occasione – ha concluso - riceviamo da questo luogo una grande lezione di civiltà. I 367 Euro raccolti serviranno a sostenere la Fondazione "Padre Alessi Fratelli Dimenticati", Centro Reds - Ranchi in India, che ha l’obiettivo di promuovere il riscatto dei bambini di strada e dei bambini lavoratori, che vivono in condizioni inumane.

L’iniziativa aveva ricevuto il saluto del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il plauso, con il patrocinio, del Ministro della salute Girolamo Sirchia, che aveva espresso "stupore e ammirazione per la sensibilità manifestata da persone che, sia pure temporaneamente, sono costrette a vivere una realtà di privazione e che, ciò nonostante, sanno dimostrare un coinvolgimento attivo e partecipe, spesso non riscontrabile con tanta evidenza nel mondo della cosiddetta società civile".

Alla cerimonia hanno preso parte anche Antonella Maiolo, presidente della Commissione speciale sulla situazione carceraria della Regione Lombardia, Graziano Morganti, vice presidente della Provincia di Lecco, Marco De Capitani, responsabile del settore carceri del Comune di Milano, Giorgio Toneatto, vice presidente della Comunità Montana Valle San Martino. Durante la festa, prima delle premiazioni dei partecipanti, è stato possibile assistere ad alcune esibizioni musicali proposte da alcuni degli stessi detenuti.

Trento: da giornale "Dentro" provocazione su questione spazi

 

L’Adige, 8 giugno 2004

 

"Una normativa europea stabilisce che per ogni gallina ovaiola da allevamento debba essere assicurato uno spazio necessario e rispettoso della sua vivibilità, seppur ristretta. Tale diritto è garantito per la popolazione detenuta?"

È la provocatoria domanda che i carcerati pongono alle autorità penitenziarie e all’opinione pubblica dalle pagine di "Dentro. La voce delle case circondariali di Trento e di Rovereto", il periodico scritto nell’ambito delle attività scolastiche nelle carceri della provincia.
Pubblicato come inserto di "Oltre il muro", il notiziario edito dall’Apas, il giornalino contiene articoli e interventi che propongono il punto di vista dei detenuti sulle questioni più attuali e controverse sulla realtà penitenziaria.

Un filo diretto che consente la comunicazione fra dentro e fuori in modo da allentare - almeno parzialmente - l’isolamento vissuto dentro le mura del carcere. Ma nel contempo un’attività didattica che aiuta alcuni detenuti a trascorrere in maniera costruttiva un tempo che appare sempre infinito.
"Ci pare - si risponde alla domanda iniziale - che spesso ci sia una discrepanza tra ciò che è sancito dalla legge e la sua applicazione nella realtà delle strutture carcerarie italiane. Le conseguenze di tale discrepanza sono facilmente intuibili. Si pensi, ad esempio, al problema del sovraffollamento. Il dipartimento di amministrazione penitenziaria è l’organo che impartisce le direttive ma è anche l’organo che ha il dovere di vigilare affinché sia garantita l’applicazione della legge, quindi sia rispettato il diritto della singola persona, seppur ristretta".

"Dentro" presenta le testimonianze dei detenuti sulla vita quotidiana in carcere (a partire dai servizi igienici piuttosto carenti), sull’importanza del lavoro (che spesso manca) e dei progetti formativi (sempre inferiori alle attese). Non mancano gli interventi che illustrano scelte positive effettuate all’interno delle due case circondariali: una raccolta di fondi utilizzati per un’adozione a distanza (grazie alla vendita di oggetti prodotti dai detenuti), la realizzazione delle Pigotte a sostegno delle attività dell’Unicef, la visita al Museo di Scienze di Trento. Importanti segnali che in carcere vi è molta voglia di vivere e di collaborare con l’esterno. Segnali che non devono rimanere senza risposta.

Brescia: teatro, detenute in scena con "L’Isola di Verziano"

 

Brescia Oggi, 8 giugno 2004


"Il morso di Eva - Esperienze femminili di teatro in carcere", dà il titolo al convegno nazionale proposto dall’Università Cattolica con Comune e Provincia di Brescia, in programma venerdì 11 giugno nell’Aula magna di via Trieste 17. L’idea del convegno nasce dalle esperienze di teatro sociale in carcere realizzate nella Casa circondariale di Verziano, per il secondo anno, con spettacoli animati dalle detenute, fra cui quello del 2004, dal titolo "L’isola di Verziano", sotto la regia di Sara Poli, che sempre l’11 giugno alle 14.30 verrà messo in scena sotto forma di prova aperta nel teatro del carcere di Canton Mombello.

Nella prima sessione, dalle 9.15, verranno analizzate le esperienze locali e nazionali di teatro sociale, con le testimonianze della giornalista Paola Carmignani, che relazionerà sulle esperienze bresciane finora condotte, di Gloria Manzelli, direttrice del carcere di Canton Mombello e Verziano, che approfondirà gli "Aspetti giuridici e relazionali nell’esperienza bresciana", e di Francesca Angonova dell’Università Cattolica, cui spetterà tracciare i confini del teatro in carcere in Italia.
A seguire, una ricca sezione dedicata alle "Testimonianze", con i contributi di Michelina Capato Sartore, regista di E.s.t.i.a., sulle esperienze femminili in un carcere maschile, di Donatella Massimilla, direttrice europea del Centro europeo teatro e carcere, e di Elena Chiesa, vice presidente Cetec, sulla situazione vissuta dalle "Donne recluse: in Italia e in Europa". Sarà quindi Ola Cavagna, regista nel carcere Le Nuove di Torino, a parlare di sfide e risultati nel portare il teatro in carcere, prima delle conclusioni di Giulia Innocenti Malini, docente di Teatro sociale allo Stars della Cattolica.

"In Cattolica esiste già un corso di formazione biennale per operatori di teatro sociale, realizzato con il Cut La Stanza: quello che vorremmo portare anche a Brescia è una cultura consolidata di teatralità sociale, sulla base dell’esperienza realizzata a Milano - spiega Innocenti Malini -. L’Università Cattolica, attraverso un gruppo di studenti e laureati, ha già portato avanti iniziative in questa direzione, come quelle mirate al Carmine, con laboratori teatrali in scuole e istituti per stranieri, o ancora i progetti di educazione alla teatralità realizzati con il Liceo Sociale dell’Istituto Gambara, fino al percorso formativo intrapreso con gli operatori della casa di riposo Arvedi".
Per il futuro, sarà uno l’aspetto fondamentale da potenziare: "aprire il più possibile l’Università alla città, perché la presenza di una cattedra in Teatro sociale ha senso solo se collegata al territorio - dice Innocenti Malini -. L’invito, rivolto a gruppi e realtà sociali che credono nell’esperienza teatrale trattamentale, è di riferirsi all’Università come un possibile partner per esperienze da condurre insieme".

Santa Maria C. Vetere: rugby e solidarietà nel carcere militare


Il Mattino, 8 giugno 2004


Un pomeriggio all’insegna dello sport, del divertimento, della reintegrazione sociale, della passione per uno sport, il rugby. Il rettangolo di gioco, custodito e curato con passione dai detenuti della casa circondariale militare di Santa Maria Capua Vetere è stato protagonista di un evento a tal punto condiviso ed apprezzato, da riproporne il bis per il prossimo mese di settembre. Già perché il triangolare promosso dal presidente del Rugby Clan, Giuseppe Casino, e fortemente voluto dal direttore dell’istituto, tenente colonnello Roberto Salucci, ha richiamato non solo l’attenzione dei media ma anche della gente comune e delle istituzioni.

Giuseppe Casino e Roberto Salucci, infatti, hanno lavorato per mesi alla preparazione di una formazione - gli Old - fatta di tutti detenuti dando vita al triangolare con Clan ed Orvieto in cui Salucci ha militato per anni. Il risultato? Oltre la vittoria conclusiva dei sammaritani, un pomeriggio di intense emozioni per tutti rovinato solo dalla pioggia battente. Calcio di inizio affidato ai piedi di Nicolò Cuscunà e via ai tre incontri cui hanno assistito il questore Roca, il sindaco Iodice, e rappresentanti del mondo della chiesa oltre a tanti cittadini ed appassionati.

Festa per la consegna di tre riconoscimenti importanti (ovale d’oro a Casino per i trenta anni di attività; ovale d’argento, invece, ad Antonio Masiello e Raffaele Piccolo per il ventesimo anniversario) e commozione per la meta messa a segno dallo stesso Masiello nell’incontro tra Clan ed Orvieto, terminato 30 a 5. Ancora vittoria del Clan sugli Old 15 a 7; questi ultimi ancora sconfitti da Orvieto 10 a 7. A margine della manifestazione la richiesta dei detenuti - attestato di stima per Salucci in odore di trasferimento ndr - affidata alle colonne de Il Mattino: "Vogliamo che il direttore resti al comando della struttura ancora per un anno convinti di terminare, grazie a lui, il percorso di recupero ed integrazione cui ci ha avviati. Il trofeo è prova concreta".

 

 

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