Rassegna stampa 1 giugno

 

Bossi-Fini: il flop della legge, tutti liberi i clandestini arrestati

 

La Repubblica, 1 giugno 2004

 

Fax che vengono, fax che vanno. Fax che si incrociano nella notte italiana e che raccontano il surreale fallimento di una legge che non poteva fare altro che fallire. Un fallimento decretato dalle centinaia di fax con cui poliziotti, carabinieri, vigili urbani annunciano alla magistratura l’arresto centinaia di stranieri.

E che la magistratura mette in libertà la sera stessa o, al più tardi, la mattina dopo. L’aspetto surreale è che i poliziotti non possono fare altro che arrestare, e i magistrati non possono fare altro che liberare. Ognuno fa il suo dovere. Il risultato è una montagna di carta sprecata, una montagna di soldi buttati via, un gorgo che intasa commissariati e aule di tribunale. Arricchisce le statistiche delle forze dell’ordine e le tasche di qualche avvocato.

Ma non cambia di una virgola la realtà. La fa semplicemente più assurda. A dirlo non sono le toghe rosse di Magistratura democratica. Sono i pubblici ministeri che, in ogni luogo d’Italia, passano le lunghe ore del turno esterno a smistare le carte inutili di questo nuovo reato.

Il nuovo reato sta all’articolo 13 della legge 189 del 2002, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini. È la legge che, mantenendo una delle promesse elettorali sia della Lega che di An, doveva dare una sterzata rigorosa alle norme sull’immigrazione volute dai governi dell’Ulivo. Di quella sterzata, l’articolo 13 costituiva uno dei cavali di battaglia.

"Lo straniero espulso che viene trovato nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a quattro anni". E poi, subito dopo: "È obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con rito direttissimo".

Letto così, quando la legge venne varata, faceva impressione. Si immaginavano migliaia di stranieri, renitenti all’ordine di espulsione, venire arrestati, processati, incarcerati. Per una parte degli italiani era uno sogno che si realizzava. Per una parte era un incubo o quantomeno una visione sgradevole. Beh, non è arrivato niente di tutto questo. È arrivata solo una catastrofe poliziesca, burocratica e giudiziaria che intasa inutilmente l’apparato repressivo dello Stato. In tutte le maggiori città del paese, in un giorno qualunque, più della metà del lavoro di Volanti, gazzelle e pubblici ministeri è dedicato a questa gigantesca finzione di repressione.

Ecco come vanno, nella realtà, le cose. La pattuglia dei carabinieri ferma uno straniero per un controllo. Lo identifica - dal passaporto o dalle impronte - e scopre che è già stato espulso dall’Italia, e non ha obbedito all’ordine. Scatta l’arresto, obbligatorio e immediato. Dalla centrale operativa, viene avvisato il Pm di turno. A quel punto, i casi sono due.

Alcuni Pm ordinano immediatamente di rilasciare il fermato, ritenendo illegittimo il fermo. Altri - e sono, a occhio, la maggioranza - autorizzano il fermo, e ordinano di portare in aula la mattina dopo il renitente all’espulsione per il processo per direttissima. E la mattina dopo, in aula, dopo una notte in guardina, lo straniero viene liberato per ordine del magistrato. Per i motivi più vari: perché viene assolto, perché il processo viene rinviato di qualche giorno, perché patteggia una pena di un paio di mesi con la condizionale. La sostanza non cambia.

L’unica cosa certa è che il fermato non può finire in carcere, perché ha commesso non un delitto ma una contravvenzione, e il nostro codice proibisce la custodia cautelare in carcere per le contravvenzioni. In questo sta l’assurdità della legge: l’arresto è obbligatorio, ma il carcere è proibito. In poche ore, lo straniero torna nella clandestinità, in attesa del prossimo arresto, il prossimo processo, la prossima scarcerazione. Nel frattempo, la pratica è costata allo Stato - tra poliziotti, giudice, pubblico ministero, interprete e avvocato d’ufficio - non meno di due-tremila euro.
I numeri? Quelli raccolti nelle città maggiori sono eloquenti. A Milano, da quando è entrata in vigore la Bossi-Fini, sono stati arrestati 2.221 stranieri: in prigione davvero ne sono finiti quindici. A Torino, nell’ultimo trimestre del 2003, di 311 fermati in prigione non ne è arrivato neanche uno. Su tutto questo pasticcio pende, intanto, una sentenza ormai prossima della Corte Costituzionale.

Casson: la Bossi - Fini sta paralizzando i tribunali

 

La Repubblica, 1 giugno 2004

 

La Bossi-Fini? "Una legge inapplicabile e fatta male", secondo Felice Casson, sostituto procuratore della Repubblica a Venezia, intervistato da Repubblica. Nel mirino del magistrato è l’articolo 13 che si applica nei confronti dei colpevoli di renitenza all’espulsione. E i provvedimenti di arresto nelle grandi città, sostiene Casson, superano il 50 percento degli arresti in flagranza.

"Il problema - dice - è che nella legge ci sono buchi normativi incolmabili. Evidentemente quando è stata preparata e approvata non si sono affrontati i problemi concreti che questa forma di arresto avrebbe comportato. E il buco maggiore è che questa legge si basa su un presupposto irreale, che è l’accompagnamento alla frontiera dei clandestini, la loro espulsione eseguita fisicamente per mano delle forze di polizia. Ma le espulsioni non avvengono perché le forze di polizia non sono in grado di eseguirle, se a Venezia dovessero provarci mezza questura passerebbe le giornate a fare su e giù dal confine. Quindi ci si arrangia in qualche modo, ordinando allo straniero clandestino di andarsene con le sue gambe entro cinque giorni.

Lui ovviamente non se ne va, e al primo controllo scatta l’arresto obbligatorio". "Si crea così una situazione paradossale - secondo Casson - La polizia esegue l’arresto. La mattina dopo il fermato viene processato per direttissima. Nel mezzo c’è la notte: e io, come pubblico ministero, non posso mandare il fermato in carcere, perché per il suo reato non è ammesso dal codice il carcere preventivo, la custodia cautelare.

Così rimane in una stanza di commissariato, dove spesso non ci sono neanche le camere di sicurezza, nelle mani degli agenti che a volte devono comprargli i panini di tasca propria. Già questa è una situazione a rischio, perché genera spesso strascichi, polemiche, denunce per percosse vere e presunte, processi per calunnia, insomma un sacco di lavoro.

È una situazione conflittuale, che genera rischi sia per lo straniero che per le forze di polizia. La mattina dopo, lo straniero viene portato in aula. Qui a Venezia la prassi è che si convalida l’arresto, se possibile si fa anche il giudizio per direttissima, in genere si patteggiano un paio di mesi e lo si libera ordinandogli di lasciare il paese: e sapendo perfettamente che non obbedirà neanche stavolta", conclude il magistrato.

Deiana (Prc): 41 bis rischia essere pena aggiuntiva

 

Ansa, 1 giugno 2004

 

Le situazioni di disagio create in carcere per chi è sottoposto al regime del 41 bis possono diventare una vera e propria "pena aggiuntiva". Lo sostiene la deputata del Prc Elettra Deiana al termine di una visita al carcere di massima sicurezza "Le costarelle" dell’Aquila, che ospita 82 detenuti per reati di mafia e camorra.

"Il regime di sorveglianza speciale 41 bis - ha detto Elettra Deiana - pone per noi una serie di problemi di ordine giuridico e costituzionale che abbiamo più volte sollevato anche in sede parlamentare e che continueremno a sollevare. Pensiamo infatti che le esigenze di sicurezza e di efficacia nella lotta contro la malavita organizzata che lo Stato adduce per giustificare tale trattamento non dovrebbero confliggere con lo stato di diritto e la garanzia delle tutele che la Costituzione italiana mette a presidio della pena detentiva".

Nella visita alla struttura aquilana Deiana dice di aver "constatato che, come è inevitabile, il 41 bis comporta un meccanismo di intepretazione applicativa da parte delle autorità competenti da cui può scaturire un aggravamento aggiuntivo della pena. Il 41 bis insomma - aggiunge - non soltanto crea una situazione di eccezionalità negativa rispetto allo spirito costituzionale del recupero sociale del condannato, ma tende a produrre una quotidianità di estremo disagio e sofferenza che diventa pena aggiuntiva".

Tale norma, secondo la deputata di Rifondazione, mostra la "faccia disumanizzante" della carcerazione, attraverso "spazi bunkerizzati, la mancanza di prospettive per i detenuti, la privazione totale di possibilità di contatto fisico con i familiari impedito nei colloqui da vetri divisori, l’assenza di attività volte al recupero". "Resta ferma - conclude Deiana - la necessità di assicurare che i detenuti non abbiano alcuna possibilità di tessere con l’esterno relazioni con il mondo della criminalità organizzata, ma rimane per noi aperto il problema di trovare un’alternativa al 41 bis".

Cambiano sede alcuni Provveditori dell'Amm. Penitenziaria

 

Ansa, 1 giugno 2004

 

Cambiamenti in arrivo alla Direzione per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap). Molti provveditori regionali per le carceri a breve cambieranno sede, con uno spostamento a scacchiera che - secondo quanto si è appreso - potrebbe portare Enrico Ragosa (attuale responsabile della direzione generale beni e servizi del Dap) ad assumere l’incarico di vicecapo dell’amministrazione penitenziaria presieduta da Giovanni Tinebra.

Tra gli spostamenti che il ministro della Giustizia Roberto Castelli non ha ancora ufficializzato vi sarà quello di Luigi Pagano, attuale direttore del carcere milanese di S. Vittore, che dovrebbe diventare facente funzioni di provveditore regionale per le carceri della Lombardia, al posto di Felice Bocchino, il quale - sempre secondo quanto si è appreso - verrebbe spostato al provveditorato degli istituti di pena del triveneto.

A sua volta Ettore Ziccone, attuale responsabile degli istituti di pena di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, verrebbe trasferito a Roma, in un primo momento come provveditore regionale del Lazio per assumere successivamente l’incarico di responsabile della direzione beni e servizi, al posto di Ragosa.

Tra gli altri spostamenti in vista quelli di Francesco Massidda, attuale provveditore regionale delle carceri della Sardegna, che andrebbe in Emilia Romagna, al posto di Aldo Fabozzi; quest’ultimo verrebbe trasferito nel provveditorato di Abruzzo e Molise, al posto di Nello Cesari, che andrebbe in Sardegna.

E ancora: l’attuale provveditore del Lazio, Angelo Zaccagnino, verrebbe destinato in Piemonte. Tra le ipotesi che circolano in questi giorni, ma su cui non sarebbe stata registrata al momento una convergenza di opinioni, vi potrebbe essere un avvicendamento al vertice del Gom, il Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria, il cui comandante è il gen. Alfonso Mattiello.

Sassari: detenuti e agenti, naufraghi su una zattera alla deriva

 

L’Unione Sarda, 1 giugno 2004

Sono esausti, naufraghi su una zattera alla deriva, che ospita in egual misura carcerieri e carcerati.
A rappresentarli c’è una raffica di sigle sindacali. Loro, gli agenti di polizia penitenziaria di San Sebastiano, scrivono a tutti, dal ministro della Giustizia al direttore del carcere sassarese. L’impossibilità di un piano ferie riacutizza il malessere degli agenti, dopo l’ultimo brutto incidente, un lametta al collo di un poliziotto durante il trasferimento dall’infermeria alla cella. Poteva finire in tragedia, ed è solo dei tanti episodi: la maggior parte delle aggressioni non varcano le mura del carcere.
Alla base di tutto, denunciano i sindacati, una fortissima carenza di personale, una cronica insufficienza di risorse umane che è sempre stata denunciata a tutti i livelli di responsabilità e in tutte le sedi, ma che "continua a essere sistematicamente ignorata dal Provveditore regionale e dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria". La pianta organica di cui parlano i vertici (tra l’altro vecchia di dieci anni) "non tiene conto dei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti approdati a Sassari senza assunzione di personale".

I colleghi dislocati in servizi esterni lasciano il carcere in una situazione esplosiva, insistono i sindacati. Un istituto che scoppia, per numero e tipologia dei detenuti, attualmente circa 230 a fronte di una capienza massima di circa 190. "Una situazione che di giorno in giorno diventa sempre meno gestibile con sovrapposizione di funzioni, responsabilità rimaste a mezz’aria, precarietà di coordinamento e sbandamento nel personale, troppo spesso, purtroppo, lasciato in balia degli eventi".

"In tale contesto - scrivono i sindacati al ministro - ci si aspettava almeno collaborazione. Invece il Provveditore, aggravando ulteriormente la situazione, ha disposto l’invio in altri territori di 14 poliziotti, tra distacchi e missioni, senza prevederne la sostituzione. Facile immaginare il malcontento che tale inspiegabile scelta ha generato in tutto il personale, che proprio in questi ultimi giorni era già sottoposto a turni massacranti, anche a causa di numerosi ricoveri di detenuti piantonati in luoghi esterni di cura. Una scelta che tra l’altro ha risucchiato risorse dal reparto interno, sguarnendo posti di servizio che attengono alla sicurezza interna dell’istituto".

"Alle segnalazioni fatte pervenire alla direzione dell’istituto di Sassari dai vari sottufficiali della Polizia penitenziaria preposti ai servizi di sorveglianza, è seguito l’immediato invio, da parte del Provveditorato, delle predette unità in missione o in distacco presso altre sedi. Come a significare che le doglianze non devono essere rappresentate perché non gradite". In questo bailamme "diventa impossibile garantire una seria programmazione del servizio, dei turni ordinari, che solitamente terminano ben oltre l’orario prestabilito, saltano riposi settimanali e congedo ordinario e quant’altro rientri nei diritti inalienabili delle persone e dei lavoratori". Il 4 giugno gli agenti si danno appuntamento davanti al carcere, ancora una volta.

Catania: per i giovani detenuti l’abbraccio della riconciliazione

 

Avvenire 1 giugno 2004

 

Oggi le porte del carcere minorile di Catania si spalancano all’azione dello Spirito. "I giovani detenuti - sottolinea Maria Rita Casali, dello staff Giovani e Riconciliazione, già attivo durante il Giubileo del 2000 - avranno la possibilità di accostarsi all’abbraccio misericordioso del Padre, e partecipando alla gioia del cielo per ogni peccatore che si converte, sperimenteranno la gioia della riconciliazione".

L’arcivescovo di Catania, monsignor Salvatore Gristina, in vista della Pentecoste, ha scritto ai preti. Con voi, dice l’arcivescovo diventeremo sempre più capaci di dare una risposta ai giovani che espressamente o tacitamente ci dicono "Vogliamo vedere Gesù".

Ai preti ha ricordato che "il Signore ci chiama ad offrire ai giovani della nostra Chiesa un itinerario quanto mai significativo, che potrà permetterci di riprendere il testo del Sinodo dei Giovani svoltosi negli anni scorsi e camminare verso la Gmg di Colonia".

Riconciliazione, dunque, e narrazione del perdono ritrovato; infatti, l’équipe e la pastorale giovanile della diocesi di Catania, porteranno la loro esperienza, raccontandola ai detenuti. La scelta della diocesi è un segno di speranza "in un contesto segnato da un diffuso disagio sociale ed educativo". Oggi pomeriggio la conclusione al santuario di Mompileri alla presenza dell’arcivescovo.

 

 

Precedente Home Su