Rassegna stampa 14 giugno

 

Torno a scrivere "con osservanza", articolo di Adriano Sofri

 

Panorama, 14 giugno 2004

 

Era una formula che mi insegnò mia madre e che abbandonai quando cessai di credere in Dio. Ora l’ho riadottata. Anche per merito di un grande antifascista: Leone Ginzburg. Per l’età, e le circostanze deplorevoli, inclino a ripensare al passato remoto e agli antenati. Occasioni fortuite risuscitano ricordi e suscitano domande. Scrivo spesso istanze di vario genere per i miei vicini detenuti, o correggo le loro, moderando certe formulazioni di ossequio barocco o servile, in favore di parole più controllate e dignitose.

Il passaggio più delicato è il saluto finale, che precede la firma. Opto per un "Rispettosamente", o un "Ringrazia e cordialmente saluta". Tuttavia ho in mente un’espressione che impiegava mia madre, e che insegnò a noi bambini, iniziandoci alla compilazione per nostro conto di domande in fogli protocollo. Bisognava scrivere: "Con osservanza...". Mia madre era riservata e attenta alle forme. Aveva una bella scrittura corsiva, di quelle che si sono perdute, e ogni tanto ne riconosco l’eleganza sobria in qualche lettera di vecchie signore gentili. Sapevo imitare bene la sua scrittura, specialmente in quella conclusione: Con osservanza, e la firma.

Venne poi un momento in cui non fui più disposto a scrivere per mio conto Con osservanza. Dev’essere successo più o meno al tempo in cui non mi sembrò più possibile credere in Dio. Le autorità andavano destituite e le stesse formule del linguaggio comune, pronunciate da tempo immemorabile senza ricordarne un’origine umile o servile, finivano sotto osservazione. Perfino i saluti. "Servus!".

Chi si farebbe una questione dell’origine dell’affabilissimo "ciao", che è la parola "schiavo"? Eppure, viene una stagione in cui ci si vergogna anche di dire "ciao". Avevo un cugino, coetaneo, che l’educazione più rigidamente triestina aveva addestrato a rispondere al richiamo paterno: "Comandi!". Quel "comandi!" aveva ormai poco di disciplinare o di militaresco ed equivaleva a un "sì", un "eccomi" (sarà quella l’origine del cordiale saluto friulano "Mandi"?).

Insomma, in quella ribellione al linguaggio costituito per una adolescenziale correttezza politica, non c’era parola comune che la passasse liscia. Figuriamoci: "Con osservanza". Nell’osservanza risuonava un’obbedienza più ligia e conforme, una soggezione conventuale o una sudditanza asburgica.

Fra tutte le autorità quella anonima della burocrazia sembrava poi la più immeritata e offensiva: dunque le mie domande, a un’anagrafe o un ministero o una direzione didattica o qualunque altro ufficio competente, curavano di concludersi seccamente, con qualche formula brusca, o senz’altro con la firma nuda.

Mi accorgo ora che, sia pure a passioni spente, qualche coda di quell’iconoclastia è durata, sicché una delle prime imprese in cui mi impegnai al mio ingresso in galera, alcuni anni fa, fu di protestare contro le domandine carcerarie prestampate in cui figurava la formula: "Il sottoscritto... prega...". Mi sembrò che pregare fosse più appropriato a sudditi o devoti che a cittadini, sia pure a diritti sospesi, e che andasse meglio: "Chiede". Il ministero mi diede ragione, benché non del tutto. Sui nuovi prestampati è scritto: "Richiede". Così, per salvare la faccia. Bene. Di tanto in tanto, in calce alle istanze dei miei compagni detenuti, tornavo a scrivere: "Con osservanza". Alle mie no.

Ora è successo che da Einaudi siano uscite le lettere dal confino (1940-1943) di Leone Ginzburg, che ho letto con grande emozione. Ginzburg fu infatti un uomo di ammirevole intelligenza, cultura, rettitudine e coraggio. E poi io ho conosciuto e amato le persone della sua famiglia, suo figlio Carlo mi è carissimo. Le lettere hanno un interesse soprattutto culturale e letterario, riguardando il lavoro editoriale della Einaudi negli anni di guerra. Io sono stato piuttosto colpito e commosso dai rari e discreti accenni alla vita di famiglia che Leone conduceva nel confino di Pizzoli, in Abruzzo, con la moglie Natalia e i bambini. Ne parlerò un’altra volta. Adesso mi premeva un dettaglio. Ricorderò che Leone Ginzburg sarebbe morto nel 1943 nel carcere romano di Regina Coeli. Claudio Pavone ha ricordato che quando Ginzburg venne consegnato dal braccio degli italiani a quello dei tedeschi che lo avrebbero torturato a morte, "da una cella qualcuno cominciò a fischiare l’inno del Piave. Fu un fischio limpido e sicuro. I Tedeschi probabilmente non compresero, gli Italiani si commossero".

Il dettaglio sta nelle istanze che dal confino di Pizzoli Leone Ginzburg indirizzava al ministero dell’Interno, per esempio per essere autorizzato a recarsi fino all’Aquila a farsi curare da un dentista. "Il sottoscritto sarebbe grato a codesto on. Ministero se l’autorizzazione di cui sopra potesse essergli rilasciata con cortese sollecitudine, dati i forti dolori da cui è affetto. Con osservanza" (4 febbraio 1942). Oppure per chiedere di essere autorizzato a soggiornare all’Aquila nella circostanza del parto della moglie Natalia, previsto per il marzo del 1943: "Il sottoscritto confida che codesto Ministero vorrà concedergli l’autorizzazione di temporaneo soggiorno all’Aquila. Con perfetta osservanza". Oppure per trasferire il confino in un comune della Valle d’Aosta, dove Natalia e i bambini avrebbero potuto trovare il sostegno dei genitori di lei: richiesta respinta. "Confidando in un sollecito accoglimento della presente domanda, il sottoscritto porge i sensi della sua perfetta osservanza" (10 febbraio 1943).

Dunque io ho ricominciato a chiudere le mie istanze di qualunque genere, comprese le autorizzazioni alle cure dentistiche, con la formula che mi insegnò mia madre: "Con osservanza". Ho fatto un lungo giro, prima di tornarci. Quando lo scrivo, provo una certa fierezza.

Livorno: al via indagini difensive per la morte di Marcello Lonzi

 

Ansa, 14 giugno 2004

 

Indagini difensive per chiarire le cause del decesso di Marcello Lonzi, il giovane morto in carcere a Livorno nell’ottobre scorso, che, secondo la madre, Maria Ciuffi, sarebbe stato ucciso in seguito a un pestaggio e non da un infarto. Lo ha annunciato l’avvocato difensore della donna, Vittorio Trupiano, che stamani ha depositato alla procura di Livorno un’istanza per chiedere se sia mai stata effettuata sul corpo di Lonzi una perizia tossicologica e, se non lo si è fatto, per quali ragioni. Trupiano ha annunciato di attendere le risposte del Pm Roberto Pennisi, che sulla vicenda ha aperto un fascicolo d’indagine contro ignoti per omicidio, prima di seguire altre strade, fino a chiedere l’eventuale riesumazione della salma. "Sarebbe infatti più facile - ha spiegato - individuare sui resti di Marcello i segni delle violenze subite".

Maria Ciuffi e il suo difensore infatti sono convinti che Lonzi non sia morto per cause naturali, ma in seguito alle percosse subite. La madre del giovane detenuto ha sempre sostenuto che suo figlio ha subito un pestaggio in carcere. "Andremo fino in fondo - ha concluso Trupiano - e avvieremo anche le indagini difensive, così come previsto dal codice di procedura penale. Stiamo già stilando una lista di persone da sentire come testimoni e chiederemo conto a tutti, dal direttore del carcere ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, della morte di Marcello Lonzi".

Porto Azzurro (LI): protestano gli agenti di polizia penitenziaria

 

Elba Oggi, 14 giugno 2004

 

Si fa calda la situazione nel carcere di Porto Azzurro. Gli agenti della polizia penitenziaria infatti lamentano da tempo turni massacranti a causa della carenza di organico, ma le loro richieste non trovano ascolto. Adesso scoppia la protesta e le guardie carcerarie scenderanno in piazza il 18 giugno...

"Le scriventi organizzazioni sindacali, che rappresentano la totalità dei Poliziotti penitenziari della Casa di Reclusione di Porto Azzurro, con il presente documento informano che, dal 14 al 20 giugno attueranno uno stato di agitazione del personale, utilizzando come forma di protesta uno dei pochi strumenti a propria disposizione: la non fruizione della mensa di servizio".

Inizia così una nota diffusa dagli agenti di custodia della casa di reclusione di Porto Azzurro, documento che in effetti riporta in calce le firme di tutte le sigle sindacali rappresentate, dalle tradizionali Cgil, Cisl e Uil ai sindacati autonomi della categoria Sappe e Osapp.

Alla base della protesta ci sono le difficili condizioni di lavoro in cui gli agenti si trovano ad operare, legate "principalmente- scrivono - alla gravissima carenza di personale di Polizia Penitenziaria che affligge il carcere elbano e impedisce ai lavoratori la regolare fruizione dei diritti previsti dal Contratto collettivo nazionale di lavoro, obbligando il personale stesso a turni massacranti sotto i livelli minimi di sicurezza e senza essergli garantiti riposi settimanali o licenze".

E non è tutto. Gli agenti della casa penale portoazzurrina non si limiteranno infatti alla protesta, simbolica, di non usare la mensa, scenderanno anche in piazza il 18 giugno, a Portoferraio, alle 15, davanti alla sede della Vice Prefettura. Daranno vita, civilmente, ad una "manifestazione di protesta, nell’auspicio di poter anche incontrare il Prefetto, Governatore del territorio, al fine di rappresentargli meglio l’oggetto della protesta stessa".

La situazione nel carcere di Porto Azzurro dunque si sta facendo davvero insostenibile. Del resto da tempo si parla di gravi disagi da parte delle guardie carcerarie, si parla di una sorta di poco interesse rivolto al pur importante istituto elbano da parte delle autorità centrali, soprattutto riferito alla carenza di personale ed a una serie di tagli che sono stati effettuati che hanno anche ridimensionato la valenza della casa penale come strumento di rieducazione.

Brescia: muore suicida un detenuto palestinese di 25 anni

 

Giornale di Brescia, 14 giugno 2004

 

Gesto estremo in carcere. Ne è stato protagonista un palestinese di 25 anni, detenuto da gennaio a Canton Mombello dove stava scontando una condanna per furto con fine pena a luglio. Probabilmente in preda a una forte crisi depressiva, il giovane si è tolto la vita l’altra notte. Solamente verso le 7, al momento del risveglio, i compagni di cella si sono avveduti dell’accaduto ed hanno cercato di prestargli i primi soccorsi, ma il palestinese non dava più segni di vita.

Vista l’inutilità di ogni sforzo, è stato richiesto l’intervento degli agenti di custodia che, resisi subito conto di quello che era successo, hanno dato l’allarme alla centrale operativa del 118. A sirene spiegate, è intervenuta un’ambulanza e il medico che era a bordo non ha potuto far altro che constatare il decesso del giovane.

I primi rilievi e le indagini per chiarire tutti i contorni della tragica vicenda sono stati svolti dagli stessi agenti della Polizia penitenziaria, con il coordinamento del Pm di turno, il dott. Paolo Guidi. È stato proprio quest’ultimo a disporre che la salma rimanesse nel carcere.

Al momento, la morte del giovane palestinese viene inquadrata come causo di suicidio, senza alcuna responsabilità di terzi. Va comunque, ancora una volta, sottolineato che il cronico e notevole sovraffollamento di Canton Mombello, più volte denunciato, non favorisce certo le iniziative per il recupero dei detenuti, la maggior parte dei quali sono stranieri.

Siracusa: "Non vogliamo con noi in cella pedofili e violentatori"

 

La Sicilia, 13 giugno 2004

 

"I nostri reati sono svariati: furto, rapina e altri reati contro il patrimonio anche omicidio, ma al confronto di chi si macchia di pedofilia, i nostri sono accettabili. Perché chi può accettare la violenza carnale che un padre fa ai propri figli o ancora di più un padre come può accettare di veder subire una violenza sui propri figli?"

A scrivere è un gruppo di detenuti della casa circondariale di Cavadonna a Floridia, tra i quali figura un augustano. Hanno cominciato lo sciopero della fame ad oltranza e hanno scritto al direttore e inviato questa lettera per essere pubblicata perché, dicono, vogliono far sentire i loro diritti.

"Non ci dilunghiamo a elencare tutti i nostri problemi - scrivono - sorvoliamo sulla sanità, sulle attività per avviarci verso un sicuro e più veloce inserimento nella società, inesistetenti. Ma il problema principale è la convivenza imposta dalla direzione con persone macchiate dei più infamanti reati come pedofilia e violenza carnale. Dopo esserci rivolti alla direzione ed al comandante e siamo rimasti inascoltati, siamo costretti a intraprendere lo sciopero della fame; una protesta pacifica altrimenti veniamo isolati". "Esiste un codice d’onore - ha commentato l’ex detenuta Lucia Pandolfo - la società li convince che non li vuole e loro non vogliono i pedofili".

Siracusa: chiedono chiarezza i familiari del detenuto morto suicida

 

La Sicilia, 13 giugno 2004

 

In un primo momento su disposizione della Procura la salma era stata sottoposta al solo esame cadaverico. Per il medico legale erano chiari i motivi del decesso, ma i familiari hanno denunciato che 15 giorni prima, al colloquio, De Rosa, 42enne, aveva detto loro di essere in pericolo di vita e li aveva pregati affinché si adoperassero per un suo trasferimento in altro istituto.

La denuncia è stata fatta ai carabinieri di Afragola, in provincia di Napoli, dove risiede la famiglia. L’altro ieri su disposizione della magistratura è stata eseguita l’autopsia. "È stato fatto l’esame tossicologico, - dice Corrado Cro, medico legale - per sapere se prima avesse ingerito qualcosa. I risultati li sapremo non prima di 40 giorni".

De Rosa doveva scontare una pena residua di altri 7 anni, troppi per chi soffre di depressione, era stata la prima versione sull’accaduto. Il suicidio di De Rosa è il secondo nel giro di pochi mesi, nel carcere di Brucoli. La depressione comune a tutti, a detta di quanti sono stati in carcere, non trova spesso soluzione anche se dalla direzione ribadiscono che i detenuti sono seguiti da psicologi e personale specializzato.

Tolmezzo: il carcere non sarà destinato ai soli mafiosi

 

Il Gazzettino, 14 giugno 2004

 

Viene meno il progetto del carcere riservato ai soli criminali mafiosi. A darne notizia è lo stesso Franco Corleone - l’ex sottosegretario alla Giustizia nei governi del centrosinistra, attualmente consigliere provinciale della Colomba - che il 22 maggio aveva lanciato l’allarme in occasione della presentazione della lista "Voler bene a Tolmezzo e alla Carnia".

"Ho saputo per certo - riferisce Corleone - che il ministro Castelli in una nota ha chiesto di cancellare il progetto di ristrutturare la casa circondariale in modo da destinarla ad accogliere i soli detenuti sottoposti all’articolo 41 bis". Questo significa anzitutto, sottolinea Corleone, "che il progetto esisteva davvero, se il ministro ha dovuto esplicitamente bloccarlo.

E poi - fa notare ancora il consigliere provinciale che ha casa a Timau - che abbiamo fatto bene a metterlo in luce". Corleone parlò infatti di "conseguenze pesantissime" per il territorio tolmezzino, nel caso il progetto fosse andato in porto. Paventò lo spezzarsi del legame con il Tribunale di Tolmezzo e la possibilità di mettere a rischio anche quella struttura.

Non solo: un carcere per i soli criminali mafiosi avrebbe decretato, secondo l’ex sottosegretario, la fine delle esperienze di volontariato sviluppate negli ultimi anni per il reinserimento sociale dei detenuti. Il giorno successivo all’uscita di Corleone, il senatore leghista Francesco Moro ridimensionò l’allarme e al termine di un colloquio con il ministro Castelli assicurò che il progetto non sarebbe andato in porto.

"Non bisogna però abbassare la guardia - avverte Corleone - perché i progetti possono sempre rispuntare dai cassetti. E intanto bisogna continuare a battersi per allargare le esperienze di volontariato, difendere i diritti dei detenuti ma anche quelli delle guardie carcerarie, che quando vengono da fuori regione dovrebbero poter contare su interventi edilizi agevolati".

Verona: 90 incontri di calcio e pallavolo tra studenti e detenuti

 

L’Arena di Verona, 14 giugno 2004

 

Grandi numeri per l’ultima edizione di Carcere & Scuola organizzata dal Centro sportivo italiano, a cui hanno partecipato 55 Istituti superiori di Verona e provincia. L’edizione 2004 ha avuto inizio il 22 marzo ed è proseguita, senza interruzioni, fino al primo giugno. Sono entrati in contatto con la struttura e la popolazione carceraria 470 studenti, 417 studentesse, 159 insegnanti per un totale di 1.046 persone, che hanno dato vita per più di due mesi consecutivi a 42 incontri di calcio nella sezione maschile e 48 incontri di pallavolo nella sezione femminile. Ma Carcere & Scuola 2004 è stato anche opera di formazione nelle scuole. Quest’anno si sono tenuti corsi di educazione alla legalità (che prevedono un minimo di tre interventi per complessive 10 ore) alla Sacra Famiglia a Castelletto di Brenzone, all’Istituto Seghetti, al Montanari, all’Istituto Alle Stimate, all’Istituto d’arte - liceo artistico, al Magistrale Guarino da Verona a San Bonifacio e all’Istituto Salesiano don Bosco.

Precisa Maurizio Ruzzenenti, responsabile del Csi: "Abbiamo tenuto assemblee in diversi istituti, all’Ipsa Caldiero diurno e serale, alle Scuole riunite di Villafranca, al Calabrese di Bussolengo, al liceo Montanari (sempre con la presenza di detenuti), al liceo Levi di San Pietro Incariano, all’Alberghiero Carnacina di Bardolino e di Garda (qui senza detenuti). Per queste iniziative abbiamo espresso i nostri ringraziamenti per il loro utilissimo apporto ai giudici Lorenza Omarchi, Ernesto d’Amico e Pierpaolo Lanni, all’ispettore Silvano Filippi della Polizia di Stato, ai Sert di Verona e San Bonifacio, alla polizia penitenziaria con un particolare riguardo al gruppo cinofilo e a parecchi avvocati che, portando le loro esperienze, hanno contribuito alla buona riuscita delle varie iniziative".

"Crediamo di aver mantenuto alto il livello di coinvolgimento delle scuole secondarie superiori e di aver dato dimostrazione di professionalità e di cura dell’iniziativa", continua Ruzzenenti. "Non vogliamo dimenticare i 15 accompagnatori di Carcere & Scuola che hanno seguito le scuole durante tutto il periodo (di cui nove formati ex novo quest’anno attraverso un regolare corso di una ventina di ore ed un lungo tirocinio). Da rimarcare l’impegno straordinario offerto dal direttore della casa circondariale, il dottor Salvatore Erminio, dalla responsabile dell’area educativa-trattamentale, la dottoressa Enrichetta Ribezzi e da tutti i suoi collaboratori, e, non da ultimo, del personale dell’Ufficio del Magistrato di sorveglianza che, con un oscuro ma preziosissimo lavoro, ci ha fatto ottenere le più 1.200 autorizzazioni ex art. 17 legge 354/75 indispensabili per entrare in carcere ed incontrare la colazione detenuta".

Ruzzenenti ha parole di plauso per la popolazione detenuta, "che ha accolto i giovani con spirito sereno e senza caricarli delle sue preoccupazioni, anche se i problemi a Montorio, sovraffollamento in testa, non mancano di certo". Tutto ciò è fatto in collaborazione con Csi di Verona, conclude Ruzzenenti, "in particolare del dottor Roberto Nicolis, con il finanziamento della Regione del Veneto, Assessorato ai servizi sociali".

Firenze: in scena 12 detenuti della C.R. di Sollicciano

 

Redattore sociale, 14 giugno 2004

 

Andrà in scena oggi alle 13 all’interno della casa di reclusione di Sollicciano a Firenze "Orrush", rappresentazione teatrale in cui saranno coinvolti 12 detenuti frequentanti la scuola del carcere. "Orrush", parola albanese per indicare una piccola cosa preziosa, è il momento finale del laboratorio di scrittura autobiografica in cui i detenuti della sezione maschile sono coinvolti dall’inizio dell’anno. Oggi i 12 protagonisti leggeranno alcuni degli scritti elaborati nel corso del laboratorio, scegliendo quindi di condividere con gli altri i propri ricordi di vita, legati alla famiglia, agli amici, ad esperienze con le ragazze.

"Questa rappresentazione chiude la quarta esperienza di laboratorio autografico - spiegano Lucia Dantini e Silvia Cocchi, assistenti sociali presso il Ser.T. dell’azienda sanitaria fiorentina - dopo quelle che hanno più volte coinvolto i detenuti dell’istituto a custodia attenuata Mario Gozzini e la sezione femminile di Sollicciano. La scrittura autobiografica diventa un vero e proprio strumento terapeutico e acquista valore pedagogico, perché consente di tirare fuori ricordi, emozioni, di rivedere la propria storia come spettatori, e quindi anche di riconciliarsi con la propria vita, pensando che si può andare avanti e diventare migliori".

I laboratori autobiografici, avviati in seguito ad un progetto finanziato dalla Regione Toscana, si sono svolti grazie alla collaborazione tra il Ser.T. e la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo), associazione culturale senza scopo di lucro che organizza seminari e corsi di formazione per tutti coloro che desiderano scrivere la propria storia di vita per finalità educative, terapeutiche, sociali e culturali. Tutte le informazioni sull’associazione al sito www.lua.it.

Bollate: agenti e detenuti insieme a studiare informatica

 

Corriere della Sera, 14 giugno 2004

 

Maurizio Bonallumi ha poco più di trent’anni e ha sempre sognato di laurearsi. È un ragazzo sveglio, fin troppo. Un giorno è finito in prigione per rapina, e ci rimarrà per i prossimi cinque anni. Oggi è il primo carcerato italiano che potrebbe tornare in libertà con una laurea in ingegneria informatica, conseguita via Internet. Massimo Uliano è entrato ed uscito varie volte: spacciava. Ha scoperto la sua passione, l’informatica e oggi è lui a mettere le mani nei computer di poliziotti e compagni di cella quando ci sono dei problemi: "Ho imparato un mestiere e spero di poterlo applicare una volta uscito, ormai ci sono quasi, ancora un annetto e torno in libertà". Poi c’è il giovane albanese Hoiaj Prapi, c’è Ademm Dushica, l’ex prestinaio Ottavio Monaco e tanti altri. Il tempo lo trascorrono al computer guidati dal professor Lorenzo Lento, che fuori insegna alla Scuola d’incoraggiamento arti e mestieri. Per tutti è una sorta di angelo custode, una guida volontaria nei misteri della rete, un faro verso la libertà.

Siamo a Milano, nella casa circondariale di Bollate, il carcere più tecnologico d’Italia, dove è stata inaugurata un’aula didattica che darà ai detenuti la possibilità di seguire corsi di formazione sulle nuove tecnologie. L’iniziativa è nata dalla collaborazione tra Hewlett Packard che ha fornito le macchine e Cisco System. Quello di Bollate è un carcere maschile, che di tradizionale non ha nulla, a partire dalla direttrice, Lucia Castellano, una bella donna meridionale, energica e solare che come obiettivo ha di fare della detenzione "un trampolino di lancio per un futuro lavorativo, attraverso lo studio e la pratica". Ci guida attraverso i corridoi inondati dal sole e dall’aria calda milanese, dove le sbarre alle finestre si percepiscono appena e i detenuti circolano liberamente fino alle otto di sera. Tutti la salutano, c’è che si avvicina per chiederle di essere spostato in un altro reparto dove sono entrati certi amici d’infanzia, chi le parla di un progetto, e chi la chiama per mostrarle sullo schermo del computer un nuovo lavoro fatto con Photoshop. Lei ascolta, memorizza e quando può accontenta. In quasi tutte le celle ci sono computer, e il carcere è collegato in rete 24 ore. C’è solo qualche filtro per la navigazione, che avviene sotto il controllo del professor Lento, e per l’email.

Non ci sono solo i computer: c’è il corso di letteratura dove si discute di poesia e contenuti. La biblioteca è sempre aperta con i suoi 16.000 volumi, i muri sono pieni di disegni, quadri e colori. Nelle aule si conseguono i diplomi: elementari, medie e superiori. In una classe un’insegnante prepara gli studenti all’uso di Photoshop e alle tecniche di manipolazione d’immagini. Ma il fiore all’occhiello è il corso di formazione informatica, finanziato dalla Regione. Nell’aula sono sistemati dieci computer, collegati in una rete wireless attraverso gli Access Point Cisco Aronet. Per seguire il corso è richiesta ai detenuti una minima conoscenza dell’inglese e un’attitudine positiva nei confronti dell’informatica.

Chi termina consegue la certificazione Ccna (Cisco Certified Network Associate), riconosciuta in tutto il mondo da qualsiasi azienda e il modulo Hp It Essential. "È stato un onore - racconta la direttrice ricevere l’anno scorso a Johannesburg il premio come uno dei migliori progetti Cisco al mondo". Il caso di Maurizio Bonalumi che attraverso la rete dialoga con i professsori del Politecnico e si prepara per il prossimo esame a luglio è unico in Italia: "È una cosa meravigliosa", dice lui. "Partecipo ai Forum, seguo i corsi e studio". L’anno prossimo il progetto potrebbe estendersi: "Daremo la possibilità ad altre persone di iscriversi all’università e di laurearsi on-line", racconta Lento.

Mentre gli studenti si concentrano sui computer esprime un rammarico: "Ci manca la collaborazione delle aziende: solo se c’è chi utilizza il knowhow dei detenuti una volta tornati in libertà si può parlare di riabilitazione compiuta". Il tempo scorre così nel carcere di Bollate, e può capitare che detenuti e poliziotti, come l’ispettore Ennio Costa e l’agente scelto Marcello Marino, frequentino le stesse lezioni e si confrontino davanti al video: "È un po’ - scherza l’ex spacciatore Uliano - come mettere il gatto e il topo sullo stesso tavolo".

"Il Granello di Senape" - Libreria Mondadori

Spazio Eventi - Libreria Mondatori. Venezia, San Marco 1345

Lunedì 21 giugno 2004 - ore 17.30

 

Candido Cannavò, "Libertà dietro le sbarre" - Rizzoli

L'esperienza di un volontario nel carcere di San Vittore a Milano

 

Sarà inoltre presentato

 

"Donne in sospeso"

Libro realizzato dalle detenute della Giudecca

 

 

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