Indultino: 12% di revoche

 

Come sta fallendo l’indultino

 

Oltre il 12% dei detenuti che si sono avvalsi di questo provvedimento sono già tornati dietro le sbarre, spesso soltanto per non aver potuto rispettare regolamenti inflessibili

 

Vita, 30 gennaio 2004

 

A quasi sei mesi dall’approvazione dell’indultino, le zone d’ombra della norma diventano sempre più fosche. L’iter parlamentare aveva già prosciugato l’incidenza del provvedimento fissando la sospendibilità della parte residua della pena a soli due anni. Circostanza salutata con rammarico dallo stesso Enrico Buemi, parlamentare dello Sdi e padre della legge assieme a Giuliano Pisapia (Prc), che si è visto costretto a rivedere al ribasso le sue previsioni che indicavano in 9-10mila i carcerati che avrebbero beneficiato della misura.

L’ufficio statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria rende noto che al 15 gennaio risultano appena 4.051 i detenuti scarcerati per effetto della legge 207/2003. E aggiunge: "Di questi, 493 hanno fatto rientro in un istituto penitenziario per sospensione temporanea o revoca". In altri termini, per oltre il 12% dei beneficiari l’indultino è valso poco più di una boccata d’aria. Tanto più che la vita da "indultinato", e la testimonianza di Stefano Toninato che pubblichiamo di seguito è esemplare, può essere davvero dura.

Pagano, direttore del carcere di San Vittore, in una recente intervista rilasciata a Vita (n. 46 del 14.11.2003) aveva definito l’indultino "illusorio". A vestire i panni del pompiere è ancora Buemi che abbozza: "I limiti della legge sono volutamente stretti. Se uno non rispetta gli orari, anche per problemi di traffico, torna automaticamente dietro le sbarre. Prevale il diritto alla sicurezza dei cittadini". "Non dimentichiamo", conclude, "che non si tratta di cittadini liberi, ma di detenuti che godono di uno sconto di pena. Quanto ai numeri, considero fisiologica la quota del 10% di rientranti. Anzi, mi auguro che si stabilizzi in queste proporzioni".

 

Lo scorso 9 dicembre, Stefano Toninato, 39 anni, è uscito, con oltre sei mesi di anticipo, dal carcere di Padova dove stava scontando la detenzione per reati connessi all’uso di stupefacenti, "dal furto alla ricettazione nella mia vita ho fatto di tutto senza però far del male a nessuno". Tanto che il suo debito con la società è del tutto monetizzabile: 1.200 euro di spese processuali. Oggi, grazie all’indultino, si trova nella natìa Treviso, vive a casa dei genitori e fa il giardiniere. Dovrebbe fare ponti d’oro a quella legge e invece…

Stefano Toninato: E invece nemmeno avevo fatto la richiesta, è stato il magistrato di sorveglianza a consigliarmelo.

Vita: Non sembra un cattivo suggerimento…

Toninato: Certo, meglio vivere qui nel verde che in una cella. Ma il carcere mi manca, non lo nascondo. Lì avevo un sacco di amici, qui non ho nessuno. E i pochi che frequento non li potrei nemmeno vedere.

Vita: Perché?

Toninato: Uno degli impedimenti più assurdi dell’indultino è l’impossibilità di frequentare delinquenti, alcolisti ed ex tossici.

Vita: Quindi?

Toninato: Qualche giorno fa ho incontrato una ragazza che ha fatto un percorso simile al mio: la tossicodipendenza, la comunità, il carcere. Mi fa piacere vederla adesso che anche lei sta cercando di tirarsi fuori. Non è la mia ragazza, ma siamo molto intimi. Tanto più che due anni fa ho perso la mia convivente: morta per droga.

Vita: Ma se la frequenta torna diretto in carcere, è così?

Toninato: Sì. Anche se Treviso non è molto grande e qui le forze dell’ordine mi conoscono bene, spesso chiudono un occhio. Sono in balìa del loro buon cuore.

Vita: Altre limitazioni?

Toninato: Ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fra le 17 e le 19 devo presentarmi in questura a firmare, non posso espatriare e nemmeno lasciare il territorio di Treviso. Ma su questo punto ho già chiesto una deroga: due volte alla settimana torno a Padova per continuare il lavoro di rassegna stampa per una cooperativa sociale che lavora dentro il carcere. Quella gente mi ha dimostrato il bene che mi vuole. Infine, fra le 22 e le 6,30 devo essere sempre a casa.

Vita: Come si vive fra questi paletti?

Toninato: Non me ne faccio un cruccio, ma tornare dentro è abbastanza facile. È successo a molti dei miei compagni. Basta un incidente in auto: uno si butta sotto, ti danno l’omicidio colposo e devi scontare tutto quello che hai risparmiato. Per cinque anni vivrò sotto una sorta di spada di Damocle. Ma per tornare dentro può bastare anche un sonno più pesante del solito.

Vita: Possibile?

Toninato: Noi siamo obbligati a installare in casa un campanello in modo che le forze dell’ordine possano entrare in qualsiasi momento della notte. Io non l’ho messo perché con meno di 300 euro non te la cavi.

Vita: Ha scelto di tornare dentro?

Toninato: Mi sono accordato con la questura. Se devono controllare basta che mi facciano i fari alla finestra e io apro. Per fortuna non dormo mai come un sasso. Ho il sonno leggero.

Vita: Come trascorre le sue giornate?

Toninato: Faccio il giardiniere, alle 7 devo essere sul posto di lavoro. Sono 10 chilometri da casa mia. Li percorro in bici. Il fatto di poter uscire solo alle 6,30 certo non mi facilita. Finisco quando cala il sole, dopo di che, se non devo firmare in questura, passo al supermercato e poi a casa. Qui a Treviso di sera non ho niente di sano da fare.

Vita: È stato difficile trovare lavoro?

Toninato: Il progetto era di fare il pizzaiolo a Padova. Ma non riesco a pagare un affitto. Quindi sono tornato qui. In venti giorni questo è quello che passa il convento. Non credo che il difficile sia trovare il lavoro. È molto più arduo far parte di un gruppo. In prigione era così. Non mi vergogno di dire che sento i miei ex colleghi almeno una volta al giorno.

L’insostenibile peso della libertà

Il commento di Ornella Favero sull’indultino

 

Paura della libertà è un espressione forte, che chiunque istintivamente sarebbe portato a ritenere assurda: dopo anni di galera, si pensa che uscire sia solo liberazione, gioia, voglia di ritrovare una condizione di vita accettabile. Si dimentica però una verità fondamentale, che oggi torna fuori prepotentemente, nel momento in cui, a distanza di pochi mesi dalla riconquistata libertà, cominciano a esserci i primi rientri in carcere. se uno esce e non ha nessuno che lo aspetti, un ambiente alle spalle capace di proteggerlo, si ritrova prigioniero di se stesso e della solitudine. E allora fatica a rispettare le regole, anche le più piccole, quelle che ti chiedono di rientrare a casa a una certa ora, o non abusare di alcolici.

Il fatto è che l’indultino è un provvedimento a metà strada tra l‘indulto vero e proprio, dove invece esci e sei libero, senza orari da rispettare, senza prescrizioni, e la misura alternativa. Al contrario di quest’ultima, però, arriva all’improvviso senza il tempo di abituarsi alla vita di fuori. Spesso quindi le persone che escono dal carcere si ritrovano in un territorio poco pronto ad accogliere, a volte perfino ostile, e dalla loro parte non hanno risorse personali e familiari valide. Lo spiega bene un detenuto, commentando i primi rientri in carcere di persone che non hanno retto al peso della libertà: "Alcuni compagni usciti con l’indultino sono già stati chiusi di nuovo in carcere e mi sembra che a nessuno di loro mancasse la volontà di restare fuori rispettando le regole, tanto è vero che non sono rientrati per aver commesso un reato".

Molte delle persone che hanno usufruito dell’indultino erano da tempo nei termini per uscire con le misure alternative, ma non erano ancora riuscite a costruirsi un percorso di quel tipo, Allora è difficile pensare che queste persone, una volta fuori, abbiano da subito la capacità di organizzarsi e gestire la propria vita, rispettando regole, orari ferrei, non affidandosi all’alcol come una via d’uscita alla solitudine, Proprio l’alcol rischia di essere il compagno più assiduo: se si sta fuori per lavorare e si rientra la sera, e il poco tempo libero davvero, quando c’è, non si sa con chi passarlo, è difficile reggere il peso della libertà.

Che cosa ci piacerebbe allora sognare? Un territorio più attento, iniziative perché queste persone siano meno sole, luoghi dove ci si possa sentire ancora utili, magari in un’attività sociale che sia anche coinvolgente, e non solo concepita come riparazione del danno che queste persone hanno fatto alla società.

 

 

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