Rassegna stampa 28 dicembre

 

Livorno: detenuto di 57 anni muore in cella, forse per infarto

 

Il Tirreno, 28 dicembre 2004

 

Ha chiesto aiuto dalla sua cella, un’ora dopo è morto all’ospedale. Angelo Vincenti, pugliese, 57 anni, potrebbe essere stato ucciso da un infarto. Questa la prima ipotesi, anche se il magistrato di turno (il dottor Giuseppe Rizzo) ha ordinato comunque l’autopsia.

Vincenti era rinchiuso in una cella della seconda sezione, doveva scontare una pena per associazione di stampo mafioso (aveva legami con la Sacra corona unita) e sarebbe uscito nel 2017.

Alle Sughere da due anni, era un tipo tranquillo e benvoluto (amava cucinare per gli amici) e soprattutto non risulta che avesse mai avuto problemi di salute, se si eccettua una specie di artrosi a un gamba.

Fumava molto, sì, ma dal suo diario clinico non emergono sofferenze cardiache. Alle tre della notte tra domenica e ieri l’uomo si è sentito male. "L’ambulanza è arrivata dopo appena dieci minuti" assicurano i sorveglianti delle Sughere. Poi la corsa all’ospedale, dove purtroppo l’uomo è morto. I figli sono stati avvertiti dalla direzione del carcere.

Morte e mistero nel carcere di Livorno, di Luigi Manconi

 

L’Unità, 28 dicembre 2004

 

Questa è la cronaca di una sconfitta. Oltre un anno fa (25 novembre 2003), in questa stessa pagina, scrivemmo di Marcello Lonzi, morto il 12 luglio 2003 nel carcere delle Sughere di Livorno. Era in prigione per tentato furto e gli rimanevano da scontare quattro mesi di reclusione. Sulla circostanze della sua morte si manifestarono subito molti dubbi. I primi esami autoptici indicarono in una aritmia maligna la causa più probabile del decesso, attribuito a un evento naturale patologico spontaneo ("sindrome di morte improvvisa"). Ma il corpo di Marcello Lonzi riportava ferite, lesioni e traumi che difficilmente potevano essere spiegati dal malore che lo ha ucciso.

Sul volto del giovane l’autopsia riscontrò tre ferite non superficiali, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente"; e, sul torace, una escoriazione a forma di V. La relazione di consulenza tecnica medico-legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputò le ferite sul volto alla dinamica del decesso: Lonzi, secondo questa ricostruzione, sarebbe stato colto da malore e, nella caduta, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri rilievi autoptici vengono imputati ai tentativi di rianimazione (ad esempio, la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta-cartilaginea).

L’evidenza e la gravità delle ferite spinsero Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, a indagare sulla morte del figlio, a non accontentarsi delle ipotesi formulate dalla consulenza tecnica medico-legale, a tentare di andare fino in fondo. Così iniziò a raccogliere prove e indizi e quelle voci che, sempre più insistenti, circolavano nel carcere e negli ambienti più prossimi: e che adombravano violenti pestaggi ai danni del figlio. Inoltre fece realizzare una prima autopsia di parte, che sollevava molti dubbi sulla dinamica del decesso. In sostanza: la morte dovuta a cause naturali, per quanto fosse l’unica presa in considerazione, si rivelava un’ipotesi assai debole. Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche - davvero le uniche - alterazioni rinvenute nella sua fisiologia, giudicate dall’autopsia del tribunale "relativamente modeste", erano a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario): ma non furono rilevate occlusioni tali da portare all’infarto del miocardo. L’ipertrofia ventricolare era (ed è rimasta) la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo. Dunque, non potendosi dimostrare alcuna patologia letale, per una fisiologia sana e vitale, se ne è ipotizzata una che non avesse bisogno di "prove". Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, fu proprio la loro entità a sollevare dubbi e interrogativi. Una raggiungeva l’osso sottostante, un’altra penetrava profondamente fino a comunicare con il vestibolo. La perizia di parte si domandava se fosse "compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo"; e chiedeva se non fosse "necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze".

D’altra parte, le testimonianze raccolte da Maria Ciuffi sostenevano che il figlio, durante l’isolamento, era stato ripetutamente picchiato dalle guardie carcerarie. E, inoltre, che - a fronte della terapia metadonica cui era sottoposto - Marcello Lonzi continuava a "farsi" con il gas delle bombolette da cucina a disposizione dei reclusi. Ma dell’isolamento, delle tensioni e degli scontri che Lonzi aveva avuto con altri detenuti e con il personale penitenziario, Maria Ciuffi non era mai stata informata dalla direzione del carcere: e venne avvisata dell’avvenuto decesso del figlio con dodici (12!) ore di ritardo.

La vicenda giudiziaria, nata dalla morte del giovane Lonzi - e, soprattutto, dalla determinazione modesta ed eroica della madre - ha trovato la sua conclusione poche settimane fa, il 10 dicembre 2004, quando il Gip del tribunale di Livorno, Rinaldo Merani, ha archiviato il caso.

È lo stesso giudice che, nel settembre scorso, aveva respinto una prima richiesta di archiviazione del pubblico ministero. A suo avviso, il supplemento di indagini avrebbe portato "a escludere ipotesi diverse da quelle che riconducono la morte del Lonzi a cause naturali". Nell’autopsia accreditata dalla decisione del giudice, il medico legale parla di "un’aritmia maligna instauratasi su una ipertrofia ventricolare sinistra". Il caso, dunque, al momento è chiuso e appare "risolto". Resta però da dire - e molto - a proposito delle incongruenze, se non dei veri e propri misteri, di cui è disseminata questa vicenda.

Chi volesse documentarsi ulteriormente può cominciare da una ricostruzione puntigliosa e circostanziata degli ultimi istanti di vita di Lonzi e del soccorso prestato dal momento del rinvenimento del suo corpo esanime (http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/lonzi/cronaca.htm): già da questa documentazione, che riporta fedelmente le evidenze dibattimentali, risultano molte zone d’ombra. Sia chiaro: non abbiamo motivi per contestare nello specifico il lavoro del tribunale di Livorno: ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta come reazione ai traumi all’origine di quelle stesse ferite: qualora queste non fossero state provocate dalla semplice caduta seguita al malore, ma avessero preceduto quest’ultimo. Qualora queste ferite, in altre parole, gli fossero state inferte.

Maria Ciuffi aveva scritto al ministro della Giustizia, si era rivolta ad alcuni parlamentari e aveva conquistato l’attenzione del presidente della Repubblica, che dichiarò di voler seguire la vicenda. Maria Ciuffi cercava una spiegazione a ciò che appariva inspiegabile. Questa spiegazione, infine, è giunta. Rimane solo un punto, uno solo: talmente clamoroso e orrendo da impedire di considerare il caso definitivamente chiarito. Ci riferiamo ad alcune foto che ritraggono il corpo di Marcello Lonzi riverso sul pavimento di una cella sporca, e macchie di sangue ovunque. Mostrano, quelle foto, delle profonde ferite lacero-contuse ed ecchimosi diffuse sul corpo. Sono le immagini di un corpo cui sono stati inferti gravi traumi e colpi pesanti. C’è qualcosa di evidente, di vistosamente evidente, in quelle immagini, che va ben oltre la patologia vascolare che avrebbe ucciso Lonzi. C’è qualcosa di oscenamente violento. Marcello Lonzi sarà anche morto per cause naturali: ma qualcuno è in grado di fugare il dubbio che sia stato colpito ripetutamente, prima della morte?

L’11 dicembre scorso l’avvocato Vittorio Trupiano, annunciando un ricorso al Csm e un esposto al Consiglio Europeo di Strasburgo, dichiarava: "questa storia non può e non deve finire qui, farò tutto il possibile perché il caso venga riaperto". Staremo a vedere. Non ci resta che ricordare che in quel carcere di Livorno, le Sughere (costruito per ospitare 270 detenuti e che la scorsa estate ne conteneva 420), carente di personale, dotato di un impianto elettrico fatiscente, e dove le finestre delle celle non resistono più neanche all’acqua piovana: in quel carcere, dicevamo, nell’ultimo anno e mezzo si sono verificati tre tentati suicidi; e nell’ultimo anno e mezzo si sono tolti la vita quattro detenuti. E poi, nel luglio del 2003, un altro detenuto, stroncato da un malore, è morto. Ma prima, non molto prima, per quanto la ragione e il buon senso ci suggeriscono, aveva subito violenze.

Segio: "Cirielli-Vitali" farà aumentare detenuti a San Vittore

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

Il rovescio della medaglia della legge Cirielli-Vitali sulla recidiva approvata alla Camera, che include la cosiddetta misura "Salva-Previti", sarà l’incremento dei detenuti. Lo ha sottolineato Sergio Segio, del gruppo Abele, in apertura di un incontro nel carcere milanese di S. Vittore, tra il "Gruppo lavoro" composto dai rappresentati dei detenuti delle diverse sezioni e delle detenute della sezione femminile e i promotori dell’iniziativa "Carcere: un disastro annunciato".

Sulla cosiddetta Cirielli-Vitali - ha fatto notare Segio - "l’attenzione pubblica e politica si è sinora soffermata solo sugli eventuali ‘salvati’ che essa produrrà, ove venisse confermata dal Senato, mentre sono stati sottaciuti gli effetti che saranno determinati sui ‘sommersi’: vale a dire il largo incremento nel numero dei detenuti (in un sistema peraltro già sovraffollato e al collasso), il sensibile aumento delle pene per la gran massa dei detenuti, l’impedimento all’accesso alle misure alternative, lo svuotamento della riforma Gozzini".

A conclusione dell’incontro - al quale hanno preso parte, tra gli altri, la segretaria generale della Cgil Lombardia, Susanna Camusso, esponenti della Caritas ambrosiana, volontari di Antigone e i parlamentari Antonio Pizzinato, Piera Capitelli, Gianfranco Pagliarulo e gli assessori regionali Gianni Confalonieri, Giovanni Martina e Marco Cipriano - è stato sottoscritto un documento in cui si propone anche in Lombardia l’istituzione della figura del "Garante dei diritti delle persone private della libertà", così come già avvenuto in altre Regioni.

Lavoro, deficit di assistenza, sanità , la questione dei bambini e delle madri che continuano ad essere detenuti in carcere: questi gli altri problemi affrontati, ponendo l’accento in particolare sulla non applicazione di leggi già esistenti.

Tinebra: bilancio positivo per la settimana ambientale

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

Il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Giovanni Tinebra, parlando con i giornalisti a Catania ha tracciato un "bilancio positivo" della "Settimana del recupero del patrimonio ambientale", l’iniziativa promossa dal Dap alla quale hanno partecipato più di mille detenuti che in varie regioni hanno lasciato il carcere per "utilità sociale", per trascorrere una giornata come volontari a ripulire boschi o aree verdi.

Tinebra, insieme con il direttore dell’ufficio centrale detenuti e trattamento penitenziario Sebastiano Ardita, ha assistito alla pulizia del Parco Gioeni da parte di 12 detenuti del carcere di Brucoli. "Contiamo di costruire delle occasioni di lavoro retribuito di carattere stabile - ha detto Tinebra - devo dire che questa nostra speranza comincia a diventare certezza perché dal Piemonte e dalla Calabria abbiamo avuto occasioni di lavoro per i nostri detenuti, con riferimento alla salvaguardia dell’ambiente".

Il capo del Dap ha auspicato altre iniziative analoghe. "Questo tipo di sinergia che abbiamo cercato di costruire tra amministrazioni locali, volontariato e carceri - ha aggiunto - cerca di sopperire a diverse esigenze di trattamento, inteso quindi come possibilità di lavoro e a quella del mantenimento delle zone verdi e dei beni ambientali di cui il nostro Paese è molto ricco".

"Non bisogna perdere mai di vista - ha proseguito Tinebra - l’interesse generale e il dettato della Costituzione, che ci impone di usare l’esecuzione della pena non solo come retribuzione ma anche come tentativo di riabilitazione, di trattamento, di offerta ad ogni singolo detenuto di un’ occasione nuova per potersi reinserire in maniera civile nel mondo civile.

E in questo contesto ovviamente noi ce la mettiamo tutta". Rispondendo a una domanda sui detenuti che non tornano dai permessi premio, Tinebra ha detto che il fenomeno si può contrastare "rafforzando i controlli, cercando di essere più puntigliosi, scrupolosi ed attenti ma sicuramente non vanificando lo strumento, che è uno strumento che è servito e serve". "Se fate una statistica di quelle che sono le violazioni dei periodi di permesso e di quelli fruiti in maniera lecita - ha concluso - la stragrande maggioranza usufruisce del permesso e torna in carcere con una speranza nuova".

Tinebra: la legge "Smuraglia" basta e funziona bene

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

"La legge Smuraglia basta, speriamo di farla funzionare meglio e speriamo che ci possa dare i frutti che tutti ci auguriamo. Da quando è in vigore abbiamo notato un incremento del lavoro non retribuito all’interno del carcere, il che è un segnale assolutamente positivo".

Lo ha detto il capo del Dap Giovanni Tinebra a Catania, dove ha concluso il progetto "Settimana del recupero del patrimonio ambientale", alla quale hanno preso parte in varie regioni d’ Italia circa 1.000 detenuti che hanno pulito parchi e aree verdi.

Palermo: scarcerato per aids, ma respinto dai familiari

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

Antonio C. è ricoverato nel reparto di malattie infettive dell’Ascoli-Tomasello di Catania e per questione di privacy i medici non danno informazioni sulle sue condizioni di salute. Si apprende soltanto che il "caso" è seguito dagli assistenti sociali che avrebbero provato a contattare alcuni familiari del paziente.

Agli operatori del 118 che lo hanno soccorso in strada, Antonio C. ha raccontato di essere stato rifiutato dalla famiglia con la quale avrebbe voluto trascorrere il Natale dopo aver lasciato il carcere di Brucoli, di non sapere dove andare e di essere malato di Aids. In un primo tempo l’uomo è stato condotto nell’ospedale Muscatello di Augusta, ma poiché il nosocomio non è attrezzato per accogliere malati di Aids, è stato disposto il trasferimento nel centro Ascoli Tomasello di Catania.

Sofri: Vescovo Pisa; aggressività in chi è contrario a grazia

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

"Credo che la maggior parte dell’opinione pubblica sia abbastanza favorevole alla concessione della grazia ad Adriano Sofri, anche se ci sono persone che manifestano la loro contrarietà in maniera molto aggressiva". Lo ha detto l’Arcivescovo di Pisa e presidente della Conferenza episcopale toscana, Alessandro Plotti, in una intervista alla tv pisana Canale 50.

"Certamente Sofri, con quello che scrive, sta dando un contributo notevole per la riflessione su temi sociali, di attualità e culturali - ha aggiunto Plotti - e il suo comportamento è un segnale di come stia vivendo la detenzione in modo positivo e senza piangersi addosso".

Plotti questa mattina ha celebrato la messa di Natale nel carcere pisano, a cui ha preso parte anche l’ex leader di Lotta Continua. L’arcivescovo di Pisa ha voluto rimarcare come "spesso il carcere sia una cosa dura e troppe volte manchi un serio impianto di rieducazione", e ha citato l’esempio invece positivo della casa circondariale pisana che ha creato una sezione per i malati di Aids e organizzato, in collaborazione con l’Università, dei corsi per i detenuti.

"C’è comunque bisogno di grande speranza - ha detto ancora Plotti - affinché i carcerati non perdano la propria dignità e cerchino di ricostruirsi, per affrontare domani l’uscita dal penitenziario in maniera dignitosa".

Monza: Cardinale Tettamanzi; ascoltiamo le voci dei carcerati

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

"Nel carcere la convivenza è forzata, l’amicizia no, non è forzata. Nonostante la fatica, si possono trovare anche qui veri momenti di amicizia e persone veramente amiche". Parole di Sergio C., una condanna per droga da scontare, che il card. Dionigi Tettamanzi ha fatto proprie nell’omelia della messa che stamane ha celebrato nel carcere di Monza. Monza, dopo Opera, San Vittore e Bollate, è la quarta casa di pena visitata dal presule dal suo insediamento a Milano nella diocesi più grande del mondo per strutture e numero di religiosi.

Nell’aula di proiezione, fredda e spoglia, duecento detenuti hanno accolto con un lungo applauso l’ingresso del cardinale accompagnato dal direttore Massimo Parisi e dai sindaci di Monza e di Brugherio. Riprendendo la sua lettera "alle sorelle e ai fratelli detenuti" inviata nei giorni scorsi, Tettamanzi ha commentato le sacre scritture proprio con le parole dell’indirizzo di saluto letto da Sergio C. "Ci preoccupa il futuro inserimento nella vita sociale - aveva detto prima della messa -, la ricerca di un lavoro e a volte anche di una casa; ci preoccupano le diffidenze che rimangono verso i detenuti". In questa "occasione per pregare per le nostre famiglie, per i defunti e per le persone care che stanno soffrendo per noi e a volte anche a causa nostra", "invochiamo che la presenza di Gesù ci aiuti a sperare e ci faccia sentire meno soli lungo la strada della nostra vita presente e futura".

Il cardinale, che parlava a braccio ed è stato più volte interrotto dagli applausi, ha avuto parole di speranza per tutti "contro le tenebre che sono dentro di noi" perché "la storia insegna che alla fine è la luce a vincere.

"Questa messa con voi - ha esordito l’arcivescovo - è la più importante. Più importante di quella della mezzanotte, più importante di quella che andrò a celebrare tra poco in Duomo perché riproduce l’atmosfera del Natale a Betlemme: un Natale di povertà, di solitudine, di sofferenza, ma anche di speranza e di salvezza. Il carcere è uno spaccato della società, un momento nel quale sono stati spezzati i legami con le persone più care.

Vorrei in questo momento essere il vostro genitore, la vostra moglie, il vostro bambino, il vostro amico più caro: persone che credono ancora in voi, che vi accompagnano nel cammino di liberazione in attesa della libertà piena, in attesa di portare il vostro contributo alla società. Contributo di cui la società ha bisogno".

"A volte tutti noi siamo attraversati da sentimenti meno nobili - ha detto ancora il presule -: l’odio, la vendetta, la violenza, l’incapacità di riconoscere i nostri errori, che oltre a offendere il mondo esterno, offendono la nostra dignità e la nostra coscienza". E, come segno di riconciliazione e di riscatto, Tettamanzi ha concluso con le parole delle detenute leggendo una poesia che prima della messa gli hanno dedicato.

"Ho bisogno di te, mio Signore, di sentirti nel mio cuore, in ogni luogo. La pietra del mio cuore ha bisogno di tutto il tuo amore per rendere più lieve il macigno che pose il Male. Nell’attesa del Salvatore che ci libera e ci salva". A Monza la casa circondariale è stata inaugurata 12 anni fa e ospita 730 detenuti (la metà è composta da extracomunitari), di cui 101 donne.

Si tratta di persone condannate per reati associativi di mafia (alcuni protagonisti anche di fatti di sangue) o di spaccio di droga. Di questi un centinaio sono considerati ad alta pericolosità (nessuno è però sottoposto al 41 bis), 12 i collaboratori di giustizia, 54 i protetti (accusati di reati a sfondo sessuale), 24 i semiliberi, 7 ammessi al lavoro esterno. Le guardie penitenziarie sono 400.

Roma: c’è anche un neonato nel "reparto nido" di Rebibbia

 

Ansa, 28 dicembre 2004

 

C’è anche un neonato di 14 giorni tra i 18 bambini che vivono con le loro madri detenute nel reparto nido nel carcere femminile di Rebibbia a Roma. Lo ha accertato il deputato dei Verdi Paolo Cento, vice presidente della commissione Giustizia della Camera, che ha visitato oggi la struttura penitenziaria.

"Una cosa gravissima", ha detto il parlamentare, che ha comunque aggiunto che nel reparto di massima sicurezza, a differenza dell’estate scorsa quando c’erano tre bambini, ora non ci sono più piccoli. Cento, sottolineando che nel reparto femminile c’è mancanza di medicinali di fascia A, quelli per malattie semplici forniti dal servizio sanitario, come anche per curare un raffreddore o un mal di stomaco, "c’è preoccupazione tra le detenute per le normative in discussione in Parlamento e la legge Salva-Previti, che prevede l’aggravante delle pene per i recidivi.

Questo - ha spiegato il deputato dei Verdi - porterà ad un pericoloso aggravamento del sovraffollamento della popolazione carceraria. Questa è una situazione esplosiva sottovalutata, così come quella che provocherà la legge Fini sulla droga. Si tratta di situazioni inaccettabili per un paese civile. Il ministro Castelli così rende l’Italia più vicina alla Turchia, paese contro il quale il ministro della Giustizia e la Lega si battono per l’ingresso in Europa".

Cento ha inoltre detto che la polizia penitenziaria questa mattina, nel corso della sua visita in carcere, gli ha consigliato di non recarsi nel Reparto Cellulari al terzo piano del complesso femminile, dove sono recluse detenute comune, per una situazione di "tensione". Nessuna iniziativa di protesta, ha comunque spiegato Cento, che già domani andrà verificare la situazione.

Cuneo: l'On. Costa visita il carcere nella vigilia di Natale

 

Targa CN, 28 dicembre 2004

 

I 260 agenti penitenziari e gli oltre 300 detenuti del carcere di Cuneo hanno ricevuto nella serata prenatalizia la visita dell’on. Raffaele Costa nella sua qualità di presidente della Provincia di Cuneo e di parlamentare.

Particolarmente affettuoso l’incontro con molti agenti della Polizia Penitenziaria, alcuni dei quali hanno evidenziato i problemi della categoria a cominciare dalle necessità di un rapido completamento degli organici. Costa si è poi soffermato presso diverse decine di celle salutando i detenuti, raccogliendo tante diverse istanze: delicata la visita ad una sezione di carcerati (alcuni dei quali condannati all’ergastolo) ristretti in forme particolarmente rigorose di detenzione previsti dall’art. 41 bis del Codice di Procedura Penale.

Nel lasciare l’istituto Costa ha detto: "Ho espresso piena solidarietà agli agenti penitenziari. Quanto ai detenuti ci sono non pochi casi di sofferenza umana di cui va tenuto conto, anche se non possiamo dimenticare i reati talvolta gravi che hanno comportato le condanne. Ciò che mi propongo – ci vorranno alcuni anni – è di riuscire a rendere concreta l’aspirazione di molti fra i 1000 detenuti della provincia a lavorare in modo produttivo per sé e per gli altri.

Non dimentichiamo che l’ozio è il padre dei vizi e che quasi tutti oggi in carcere oziano con un tasso di rientro in carcere dopo la scarcerazione, elevatissimo in percentuale. È ovvio che prima di tutto si deve, da parte delle istituzioni, permettere il lavoro di chi è disoccupato e vive nella società ed è onesto, ma al detenuto che vuole riscattarsi lavorando abbiamo il dovere di offrire collocazione. Non sarà facile ma ce la faremo con l’aiuto del volontariato, delle nuove leggi già operative, di alcuni previsti finanziamenti".

Veneto: 747mila euro, in 2 anni, per i detenuti tossicodipendenti

 

Asca, 28 dicembre 2004

 

Anche per il 2005 e il 2006, la Giunta regionale ha disposto un provvedimento per assicurare la continuità delle attività di cura e assistenza ai detenuti tossicodipendenti ospiti degli istituti penitenziari del Veneto, assegnando in questo senso, alle Aziende Ullss del Veneto nel cui territorio ci sono istituti penitenziari, un finanziamento di oltre 747 mila euro.

Informa del provvedimento l’Assessore regionale alle politiche sociali Sante Bressan che l’ha proposto al governo veneto di concerto con il collega alla sanità Fabio Gava . "Per le Aziende Ullss capoluogo di provincia - ha spiegato Bressan - abbiamo deliberato un finanziamento destinato alla realizzazione, per il biennio 2005-2006, di progetti in materia di sostanze d’abuso.

Le Ullss hanno un mese di tempo per inviare in Regione un progetto della durata di 18 mesi, con scadenza nel mese di settembre 2006, che preveda l’attuazione di attività di cura e assistenza ai detenuti con dipendenze, ospiti nelle strutture carcerarie del Veneto, da parte del personale medico e paramedico (medici, infermieri e psicologi)".

In pratica, con questa decisione regionale si va ad integrare, con specifici fondi regionali, il budget nazionale da trasferire alle Aziende Ullss ampiamente insufficiente per garantire i livelli essenziali di assistenza a questi detenuti. Al 30 settembre 2004, secondo l’ultima rilevazione regionale, risultano esserci 2720 detenuti nelle carceri venete di 895 con problemi di dipendenza (pari al 32,9% del totale).

Il criterio adottato per il riparto del contributo regionale tra le Ullss è quello della presenza numerica dei detenuti con questo tipo di problemi che sono concentrati, per la maggior parte, a Padova (373 detenuti con dipendenze su un totale di 967 e un’incidenza del 38,6%) a cui spetta un finanziamento di oltre 311 mila euro. Seguono poi Verona (191 detenuti con dipendenze su un totale di 754 con un’incidenza del 25,3%) con un finanziamento di oltre 159 mila euro, Venezia (81 detenuti su un totale di 327 con un’incidenza del 24,8%) con circa 68 mila euro, Vicenza (83 detenuti su un totale di 248 con un’incidenza del 33,5%) con oltre 69 mila euro, Treviso (103 detenuti su un totale di 238 con un’incidenza del 43,3%) con un finanziamento di circa 86 mila euro, Belluno (30 detenuti su 101 in totale con il 29,7% d’incidenza) con un finanziamento di 25 mila euro, e infine Rovigo (con 34 detenuti su un totale di 85 con un’incidenza del 40%) con un finanziamento di oltre 28 mila euro.

Trento: troppi detenuti e poca igiene, carcere da migliorare

 

L’Adige, 28 dicembre 2004

 

I consiglieri della Margherita Giorgio Lunelli e Giorgio Viganò nei giorni scorsi hanno presentato un’interrogazione sul carcere di Trento e su quello di Rovereto, che i due hanno visitato nei mesi scorsi. Nel documento si fa riferimento alla necessità di formazione professionale e inserimento lavorativo dei detenuti, oltre all’assistenza sanitaria e alla formazione degli operatori e dei volontari.

Viganò e Lunelli fanno sapere di aver rilevato nelle strutture carcerarie trentine "profonde lacune e criticità in particolare per quanto riguarda le condizioni di salute dei detenuti, l’igiene, le condizioni di sovraffollamento, il disagio psicologico". E ancora: "Si dovrebbe attivare un progetto sperimentale nel campo dei reati sessuali, per la prevenzione di eventuali ricadute".

Verona: detenuti tossicodipendenti, da Regione 159mila euro

 

L’Arena di Verona, 28 dicembre 2004

 

Anche per il 2005 e il 2006, la Giunta regionale ha disposto un provvedimento per assicurare la continuità delle attività di cura e assistenza ai detenuti tossicodipendenti ospiti degli istituti penitenziari del Veneto con un finanzia mento di 747 mila euro. Lo rileva l’Assessore regionale alle politiche sociali Sante Bressan che ha proposto il provvedimento al governo veneto di concerto con il collega alla sanità Fabio Gava.

Per Verona, che è la prima per numero di tossicodipendenti e la seconda per incidenza a livello regionale, sono stati stanziati 159 mila euro. C on questa decisione regionale si va ad integrare, con specifici fondi regionali, il budget nazionale da trasferire alle Aziende Ullss ampiamente insufficiente per garantire i livelli essenziali di assistenza a questi detenuti.

Al 30 settembre 2004, secondo l’ultima rilevazione regionale, risultano esserci 2.720 detenuti nelle carceri venete di 895 con problemi di dipendenza (pari al 32,9 per cento del totale). Il criterio adottato per il riparto del contributo regionale tra le Ullss è quello della presenza numerica dei detenuti con questo tipo di problemi che sono concentrati, per la maggior parte, a Padova (373 detenuti con dipendenze su un totale di 967 e un’incidenza del 38,6 per cento ) a cui spetta un finanziamento di oltre 311 mila euro. Seguono poi Verona (191 detenuti con dipendenze su un totale di 754 con un’incidenza del 25,3 per cento ) e Venezia.

Spoleto: concluso un corso professionale per artisti-ceramisti

 

Redattore Sociale, 28 dicembre 2004

 

Si è concluso di recente il percorso formativo "Arte e ceramica - Terre creative" destinato a qualificare un gruppo di allievi del carcere di alta sicurezza di Spoleto (Perugia) quali "Addetti alla realizzazione di oggetti d’arte in ceramica".

Il percorso, finanziato dal Fondo sociale europeo gestito dalla Provincia di Perugia in favore della formazione professionale rivolta ai detenuti e attuato grazie alla società Forris ricerca e formazione con il supporto del direttore del carcere Ernesto Padovani, punta a costruire "un lavoro di rete - spiegano i promotori - che coinvolga le varie realtà territoriali come l’Amministrazione comunale, la scuola, le associazioni di volontariato, gli operatori sociali, il mondo produttivo, per favorire condizioni e interventi utili all’inserimento/reinserimento dei detenuti nella comunità, oltre e attraverso le mura del carcere". L’obiettivo ultimo è quindi quello di rinsaldare sempre più il legame tra il penitenziario e il territorio nel quale esso è collocato.

Sotto la guida esperta di maestri d’arte, artisti e insegnanti dell’Istituto d’arte di Spoleto Lencillo Leonardi, i detenuti hanno realizzato opere in ceramica che fino a domani, 28 dicembre, sono in mostra nel centro espositivo di via Aurelio Saffi, a Spoleto. Arte e ceramica- Terre creative. La creatività nei laboratori della Casa di reclusione di Spoleto raccoglie il frutto del lavoro di tutti, dicono ancora i promotori dell’iniziativa, "ma soprattutto quello dei detenuti che esprimono così le loro storie e le loro potenzialità in termini di competenze tecnico-operative e creatività, contribuendo attivamente alla valorizzazione delle vocazioni artistico-culturali del territorio".

La mostra intende anche promuovere l’avvio dell’attività di un laboratorio di ceramica interno al carcere, caratterizzato da una produzione di oggettistica di qualità e pezzi unici. Che l’attività artigianale sia considerata e scelta quale strumento importante della rieducazione e del reinserimento dei detenuti lo dimostra un’altra simile iniziativa che in questi giorni ha anch’essa riguardato una casa di reclusione umbra: a Terni i detenuti della casa circondariale cittadina hanno offerto alla città un’opera in ceramica realizzata nel laboratorio interno all’istituto.

L’opera, che si ispira all’Adorazione dei Magi di Giotto, è stata consegnata al sindaco Paolo Raffaelli nel corso di una cerimonia cui ha preso parte anche il direttore del carcere ternano Francesco Dell’Aira. L’iniziativa si inserisce nel progetto nazionale "Settimana di recupero del patrimonio" promosso dall’amministrazione penitenziaria.

City Angels: dormitori anche per i senza dimora clandestini

 

Redattore Sociale, 28 dicembre 2004

 

Aprire i dormitori per senza dimora anche ai "sans papier", gli irregolari e clandestini: è l’appello di Mario Furlan, fondatore dei City Angels, a cui si unisce Padre Clemente Moriggi, responsabile della Fondazione Fratelli di San Francesco.

"C’è ancora posto nei dormitori, ma spesso quei posti sono riservati ai clochard con i documenti in regola. Capita così che posti letto restino vuoti, e chi potrebbe dormire al caldo rimanga per strada" dice Furlan. L’appello alle istituzioni che gestiscono i dormitori è che almeno in questi giorni di emergenza freddo non si facciano distinzioni tra regolari e non, "perché il freddo non guarda in faccia a nessuno".

Gli irregolari, costretti a dormire per strada, sono extracomunitari e anche italiani privi di documenti. Lo scorso inverno un dormitorio comunale, quello di via Anfossi, gestito dai City Angels, era aperto a tutti, regolari e clandestini. City Angels hanno anche lanciato un appello ai milanesi: "Fateci avere coperte, vestiti pesanti e sacchi a pelo per i senza fissa dimora". Basta telefonare in Associazione, al numero 02.2360094, oppure al numero d’emergenza 338.9564704.

Trapani: manifestazione contro il Cpt "Serraino Vulpitta"

 

Melting Pot, 28 dicembre 2004

 

Oggi ricorre il quinto anniversario della strage del Centro di Permanenza Temporanea "Serraino Vulpitta" di Trapani. Il 28 dicembre 1999 sei giovani immigrati detenuti nel CPT persero la vita in un incendio divampato in una delle celle in seguito a un tentativo di fuga. Sono successe molte cose da quella notte di cinque anni fa.

Il Cpt di Trapani è stato chiuso e riaperto più volte, l’allora prefetto della città - Leonardo Cerenzìa - fu messo alla sbarra in un processo durato quattro anni che nell’aprile scorso si è concluso con la sua completa assoluzione.

Nel frattempo, la stretta repressiva attuata dal governo nei confronti degli immigrati ha raggiunto livelli intollerabili. Le palesi violazioni dei più elementari diritti umani e giuridici sono diventate una costante dell’azione statuale, e resta assolutamente emblematico ciò che è stato fatto quest’estate ai profughi della Cap Anamur e - più recentemente - agli immigrati detenuti a Lampedusa e deportati in Libia.

Per quanto riguarda Trapani, vera e propria frontiera della Fortezza Europa, registriamo con rabbia e preoccupazione il delinearsi di una linea repressiva che la locale questura sta ponendo in essere nei confronti dei richiedenti asilo: nelle scorse settimane sono stati emessi provvedimenti di espulsione e contestuale trattenimento nel CPT ai danni di persone a cui la Commissione nazionale ha negato l’asilo politico nonostante sia per loro impossibile far ritorno nei loro paesi dilaniati dalla guerra. Emettere un provvedimento di espulsione contro un richiedente asilo equivale a consegnarlo a un destino di persecuzione e di rischio concreto della propria incolumità. A dispetto della repressione istituzionale, non si contano più gli episodi di rivolta e le fughe di massa degli immigrati dai Centri di Permanenza Temporanea.

Nei mesi scorsi, decine di immigrati sono scappati dai lager di Trapani - che continua ad essere ingestibile -, Agrigento, Ragusa, Lecce e Crotone: questa è la risposta migliore a chi si ostina a difendere queste strutture detentive create da un governo di centrosinistra e mantenute e moltiplicate da uno di centrodestra. L’azione autonoma e indipendente delle realtà antirazziste siciliane a questo stato di cose non si è fatta attendere, e le ultime mobilitazioni in favore dei migranti hanno avuto il merito di tenere alta l’attenzione sul dramma dell’immigrazione nella nostra isola con interventi concreti per impedire o denunciare abusi umani e giuridici.

Nel ribadire dunque la nostra ferma e radicale opposizione alle politiche razziste e discriminatorie dello stato italiano e dell’Unione Europea lanciamo l’appello per una manifestazione da tenersi a Trapani il prossimo 28 dicembre:

per ricordare Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti, Nasim e chiedere che sia fatta giustizia per loro e per tutte le vittime morte dentro o ai margini dei confini dell’Europa di Schengen;

per la chiusura del CPT "Vulpitta" di Trapani e di tutti i CPT in Sicilia, in Italia e ovunque nel mondo;

per l’abolizione della Bossi-Fini;

per una legge in materia d’asilo politico che tuteli realmente i richiedenti e i rifugiati;

contro la logica delle espulsioni individuali e delle deportazioni di massa;

per un’accoglienza vera in cui siano rispettati i diritti delle migranti e dei migranti;

per la libertà di movimento di tutte e di tutti.

Bari: lettera a Ciampi per grazia a detenuto cieco

On. Niki Vendola (Rifondazione Comunista)

 

Gazzetta del Sud, 28 dicembre 2004

 

Gentilissimo Presidente Ciampi, sulla Sua scrivania è giunta una domanda di grazia che Carlo Le ha inviato (ma lui non l’ha scritta, non l’ha spedita, anche perché non sa cosa e chi sia un Presidente della Repubblica). Io mi permetto di rivolgerLe questa pubblica preghiera affinché voglia prendere in seria considerazione la povera istanza di libertà che Le è stata recapitata.

Carlo è l’icona di un mondo marginale e dimenticato. Per me è l’immagine dell’umanità intera. Con le sue (le nostre) debolezze. Ma noi dobbiamo sradicare la violenza piantando semi d’amore, capovolgere le tenebre del male nella luce del Diritto, offrire grazia a chi ha conosciuto incolpevolmente disgrazia. Noi che siamo stati inerti quando Carlo veniva sbeffeggiato per le sue disabilità e non abbiamo mai saputo intuire le sue a noi ignote abilità.

Noi che abbiamo blindato il suo handicap in una condizione di minorità permanente e non abbiamo saputo sentirci ricchi della sua singolare umanità. Noi che forse abbiamo condannato lui per assolvere noi stessi. Io Le chiedo di porgere il Suo sguardo su quel periferico reclusorio di Turi, e di sentire la voce fragile di Carlo Pontrelli.

 

On. Niki Vendola

 

La richiesta di grazia dal carcere di Turi

 

Stimatissimo presidente della Repubblica, in una cella, angusta e buia, del carcere di Turi - a due passi dal minuscolo rettangolo in cui fu recluso dal fascismo Antonio Gramsci - vive come un bimbo sperduto un detenuto speciale: speciale perché tutti si occupano di lui, lo aiutano nelle più minute incombenze del quotidiano, i suoi coinquilini lo lavano e lo vestono, lo accudiscono con la normalità anti-retorica di quella cosa rara che si chiama solidarietà.

Questo carcerato ha 30 anni, si chiama Carlo Pontrelli, abita quella cella già da due anni e deve scontare una pena complessiva di anni 9 e mesi 11. Ma la sua pena è ancora più grande di quella comminata da una sentenza definitiva: è la pena di chi non sa, non può sapere, come mai la sua esistenza sia precipitata in quel buco nero, in quello spazio angusto, in quel tempo senza tempo, tra quegli estranei pure così premurosi.

Carlo era sul sedile posteriore di una Bmw la sera del 19 febbraio 1994, assieme ad altri tre ragazzi. Fu una sera maledetta, di quelle in cui i giochi si fanno pericolosi, l’adrenalina offusca il cervello, la vita diventa una sfida alla morte. La Bmw tamponò una Renault, su cui viaggiavano altri 5 ragazzi, e tra le due autovetture cominciò un inseguimento feroce, una gara a colpirsi, come in una giostra medievale replicata sulle strade che legano Noicattaro a Conversano.

La Renault, speronata malamente, schizzò nella campagna e nello schianto due ragazzi rimasero uccisi. Un’allegra serata di carnevale trasmutò in una immensa quanto assurda tragedia.

Il processo chiese conto di tanta irresponsabilità e la Corte, in tutti i gradi di giudizio, fu di una severità senza precedenti. Furono irrogate pene pesantissime. Anche nei confronti di Carlo. Il quale partecipò a quella "notte brava" imitando le urla che incitavano al rodeo: era felice, forse, di sentirsi parte di un "branco".

Ma sapeva effettivamente cos’era in gioco in quella sfida atroce? Aveva la percezione di cosa si stesse svolgendo attorno a lui? E dopo, seduto sul banco degli imputati, si rendeva conto di cosa effettivamente il giudice gli stesse contestando? E ora, uomo appeso all’albero della sua pena, è in grado di analizzare le coordinate spazio-temporali in cui si trova collocato, anzi imprigionato?

No. Non sa, non capisce, non percepisce. Perché Carlo è affetto da cerebropatia, da sempre i medici hanno accertato la sua gravissima insufficienza mentale, è assolutamente incapace di intendere e di volere.

E quanto ha sofferto, questo ragazzo goffo e ritardato, con il suo linguaggio dislalico, con la sua diversità fatta oggetto di scherno e di offesa gratuita. Per questo forse quella maledetta sera avrà provato gratificazione nel vivere un’esperienza emotiva in cui riusciva a rassomigliare agli altri, in cui non era escluso, cacciato, umiliato: ma che fosse un gioco criminale lui, che mai aveva fatto male neppure ad una mosca, non era in grado di elaborarlo.

Carlo è davvero un bambino sperduto nella sua mente ed esiliato in quel carcere. E i detenuti di Turi, a chiunque entri in quell’edificio vecchio e cadente, sussurrano soltanto un concetto: ma come si fa a tenere chiusa qua dentro quella creatura?

Lodi: la radio racconta la vita dietro le sbarre

 

Il Cittadino, 28 dicembre 2004

 

Un messaggio di speranza inviati sulle onde di Radio Lodi, che, alla vigilia di Natale per quasi due ore, è diventata "Radio Cagnola". Su iniziativa di "Uomini liberi", la rivista realizzata dai detenuti della Casa circondariale di via Cagnola e dei volontari del carcere e sulle frequenze FM di Radio Lodi è stato possibile ascoltare saluti e messaggi di fiducia da parte di amici, parenti, conoscenti, personaggi illustri e non, conosciuti per l’impegno sociale.

Prima della trasmissione ai detenuti è stata donata una radiolina per potersi sintonizzarsi sulle frequenze FM 100.500 e 89.000 di Radio Lodi. Ventitrè le telefonate mandate in onda in diretta ma molte altre non si sono potute trasmettere. In studio la trasmissione è stata condotta da Berny Zerella che ha fatto gli onori di casa dagli studi di via Paolo Gorini, con Andrea Ferrari, volontario del carcere e con il referente della redazione di Radio Lodi Giacinto Bosoni, curatori delle interviste.

Tra le telefonate pervenute quelle di don Luigi Ciotti, sacerdote in prima linea a servizio del mondo degli emarginati che ha visitato il carcere di Lodi in occasione dell’iniziativa della "Carovana contro la mafia". Nel suo lungo intervento durato sette minuti don Ciotti ha richiamato l’attenzione della società civile a un approccio alla pena e al carcere che metta al centro il recupero dell’uomo e la sua riconciliazione con la società, valorizzando l’accompagnamento della persona detenuta, della sua famiglia e delle vittime dei reati, ma anche il ricorso a nuove forme di giustizia; il coinvolgimento della società e della comunità cristiana a forme di accoglienza dei detenuti, la promozione di modelli culturali ed iniziative legislative che diano la possibilità di ricominciare una vita anche dopo l’errore. Telefonata toccante quella di Rita Borsellino, sorella di Paolo, celebre magistrato ucciso oltre dieci anni fa in un attentato della mafia a Palermo.

La Borsellino ha chiesto "di accompagnare chi ha sbagliato nel reinserimento sociale e di coniugare la parola accoglienza nella vita di tutti i giorni". Ha ricordato ancora Rita Borsellino. "Ho visitato anche il carcere di Lodi e conosco lo sforzo di tutti, non smetterò mai di chiedere di percorrere, come ha fatto mio fratello Paolo, le strade della giustizia e di percorrere le strade del rinnovamento della società". Il cappellano del carcere monsignor Mario Ferrari ha letto direttamente in studio il suo messaggio natalizio che ha messo in luce la centralità della ricorrenza.

"Il Natale è la manifestazione concreta dell’ amore infinito e incarnato del Signore. Un amore che non ci abbandona mai, che ci è vicino sempre, che ci avvolge con la sua potenza rinnovatrice, che ci dona speranza, gioia e pace".

Un amore, hanno sottolineato diversi messaggi giunti in redazione "che ha in sé la forza di cambiare la notte in giorno, la vendetta in perdono, la prigionia in libertà, la morte in vita".Diverse le telefonate di parenti e amici provenienti da Lodi, San Colombano, Sant’Angelo, Graffignana, ma anche da Bergamo, Roma, Lecce e Palermo. Messaggi che hanno ricordato la strada dolorosa e angosciante della lontananza e della solitudine di parenti, ospiti della casa circondariale."Ma su questa strada - ha detto una donna - non siete soli".

È intervenuto il sindaco di Lodi Aurelio Ferrari che ha voluto inviare un breve messaggio di speranza. Cosi come il direttore dell’Ufficio per i problemi sociali della diocesi Carlo Daccò che ha parlato dello stretto legame con il messaggio del Natale e del doveroso impegno della società civile e della comunità cristiana. Ancora altri messaggi di speranza.

"Non lasciatevi prendere dal dubbio dell’incredulità - ha sottolineato una volontaria - o dall’inquietudine della disperazione. Non dite mai: tutti ci hanno dimenticato". Ha parlato di dialogo e di buone possibilità per un lavoro proficuo nel carcere di Lodi "dove si può ben lavorare" il comandante degli agenti della casa circondariale Raffaele Ciaramella, che ha poi elogiato il lavoro prezioso del volontariato.

"Il volontariato compie un’azione di prossimità - ha spiegato - ai detenuti e alle loro famiglie". La trasmissione si è conclusa con l’annuncio di Andrea Ferrari dei doni (libri e generi alimentari) che in serata sono stati consegnati da alcuni volontari, vestiti da Babbo Natale, presso la casa circondariale di via Cagnola.

Firenze: "La poesia delle bambole" dalle detenute di Sollicciano

 

Redattore Sociale, 28 dicembre 2004

 

"La poesia delle bambole" è aperto a Firenze in via Tavanti 22/a rosso. È stato inaugurato lo scorso 28 novembre il negozio che espone e vende bambole, gnomi, fate dei fiori, presepi. Sono i prodotti realizzati in questi anni dalle donne detenute a Sollicciano, che hanno sviluppato le loro abilità grazie ai laboratori attivati con il sostegno del Comune di Firenze e portati avanti con l’impegno degli operatori dell’associazione Pantagruel.

L’idea di un laboratorio per la creazione di bambole nasce nel corso del 2001, con la volontà di fornire alla sezione femminile della casa di reclusione la possibilità di un’attività remunerativa e capace di coinvolgere e dare soddisfazione. Viene attivato così, con l’impegno di due operatrici, un corso di formazione per bambole delle scuole Waldorf di Rudolf Steiner e si forma un primo gruppo di partecipanti.

Gli ottimi risultati danno la possibilità di creare, accanto al corso, veri e propri laboratori per le attività, uno interno al carcere, l’altro esterno per facilitare coloro che usufruiscono di misure alternative alla detenzione (dunque semilibertà e affidamento ai servizi sociali). Sono oltre 50 le donne coinvolte in questi anni dal laboratorio interno, 5 quelle che hanno utilizzato il laboratorio esterno. Attualmente al laboratorio interno lavorano circa 20 detenute, all’esterno invece 3 donne con contratto di lavoro a progetto.

Si sono sviluppati anche corsi di formazione per persone esterne al carcere, che desiderano imparare a fare questo tipo particolare di bambole e che, in alcuni casi, continuano ad appoggiare il progetto come operatrici o come volontarie. L’apertura dello spazio esposizione-vendita è un ulteriore passo in avanti, è la decisione di essere maggiormente visibili e far conoscere il lavoro svolto ad un numero sempre maggiore di persone.

Presso la "Poesia delle bambole" si vendono anche libri di fiabe, insieme a prodotti naturali e del commercio equo e solidale. Il negozio è aperto da martedì a sabato, dalle ore 10 alle 19:30, lunedì dalle 15 alle 19:30, durante le feste è aperto anche la domenica con orario normale. La prospettiva è quella di dar vita anche ad un catalogo dei prodotti, aprire un sito in internet sul progetto bambole, creare una mostra fotografica.

In questo senso nel corso del 2004 non è mancato l’appoggio di singoli, associazioni, enti pubblici, non solo il comune ma anche la provincia di Firenze, l’associazione Marco Bigini, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena. L’associazione Pantagruel è attiva anche nel promuovere l’informazione sul mondo del carcere. La speranza per l’anno nuovo è infatti anche quella di riorganizzare l’impegno in questo ambito, dando vita ad un vero e proprio giornale di Sollicciano, come serio strumento di dialogo per i detenuti e l’intera città.

La prospettiva è ridare slancio al coordinamento dei giornali dalle carceri della Toscana, favorire anche attraverso dibattiti nelle scuole e nelle associazioni la conoscenza della realtà di chi vive il carcere. Intanto voci e informazioni dal carcere di Sollicciano e non solo arrivano attraverso le pagine di "Liberarsi dalla necessità del carcere", agenzia di informazione dell’associazione Pantagruel, che ogni uno-due mesi viene distribuita prevalentemente attraverso la posta elettronica. Per mandare un contributo, conto corrente postale n° 10019511 intestato ad Associazione Pantagruel, Via Tavanti, 20 - 50134 Firenze.

 

 

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