Rassegna stampa 24 agosto

 

Roma: per un carcere sempre più "umano"

 

Roma One, 24 agosto 2004

 

Delegazione di assessori comunali e consiglieri regionali al penitenziario di Regina Coeli. Più istruzione e l’attivazione dei corsi di formazione professionale sono le richieste dei detenuti. Luigi Nieri: "Sarà istituita una commissione che avrà il compito di verificare i progressi"

I detenuti del carcere di Regina Coeli non chiedono un’amnistia, ma che il penitenziario sia un’istituzione che consenta un percorso di reinserimento nel tessuto sociale. Questa è la richiesta che una rappresentanza di carcerati, dopo le proteste dei giorni scorsi ha girato all’assessore alle politiche del lavoro capitolino, Luigi Nieri, venuto oggi a visitare la casa circondariale insieme agli assessori regionali Loredana Mezzabotta e Clemente Ruggiero.

"I detenuti - ha spiegato Nieri - hanno sollevato il problema dell’istruzione, con la richiesta di poter istituire una scuola media all’interno del penitenziari e l’attivazione di corsi di formazione professionali. Il Comune e la Regione - prosegue l’assessore - si serviranno, per raggiungere questi obbiettivi, del centro di orientamento al lavoro". Problemi e soluzioni saranno discussi da una commissione che dovrà incontrare mensilmente i carcerati. È stata la volontà ad ascoltare i problemi dei carcerati quella che ha determinato la fine delle proteste.

I politici hanno assicurato che si batteranno perché i lavori di ristrutturazione della quarta sezione, quella più deteriorata, dove ci sono state le proteste più accese, inizino al più presto.

L’importanza di un continuo dialogo tra istituzioni e detenuti è stato ribadito anche dal consigliere regionale dell’Udeur, Clemente Ruggiero: "Il rapporto continuo - dice il consigliere - con i detenuti è l’unica via che può funzionare per reintegrare i detenuti.Gli strumenti, che il Comune di Roma deve utilizzare, sono i corsi professionali e una stretta collaborazione con le aziende per il reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro".

Ma il lavoro fuori dal carcere aiuterebbe anche a risolvere i problemi del sovraffollamento: "Le carceri sono sovraffollate proprio perché vengono lasciati nelle galere persone che non dovrebbero esserci e perché non si sfruttano le politiche di detenzione alternativa"

RomaOne.it ha chiesto all’assessore Nieri quali sono le cause del problema della mancanza di personale nelle carceri, lamentato nei giorni scorsi da più parti. "Per le carceri - dice Nieri - si investe poco. Non è solo un problema di carenza di guardie carcerarie, ma anche di una serie di figure come sociologi e psicologi, fondamentali per il reinserimento delle persone".

I detenuti hanno bisogno di sentire le istituzioni vicino, e "non è un caso - dice il consigliere Mezzabotta - che la protesta sia esplosa in estate quando la politica si distrae dai problemi".

Il Comune di Roma, attraverso il sistema delle borse lavoro, un istituto di politica sociale, troverà lavoro per quei detenuti ancora non giudicati definitivamente. I permessi saranno concessi direttamente dal direttore del penitenziario, con un iter più breve di quello attuale.

La mancanza di personale è forte anche nel settore sanitario del carcere. "La Regione Lazio - spiega la Mezzabotta - dovrà risolvere il problema della mancanza di addetti, soprattutto nella sezione dei tossicodipendenti. La nostra proposta è di mettere a disposizione del carcere dei dipendenti delle Asl di zona".

In ultimo abbiamo chiesto al consigliere Loredana Mezzabotta qual è la situazione delle detenute che hanno dei figli in custodia nel penitenziario. "La situazione - risponde - è drammatica.

Bisognerebbe applicare una legge che già esiste: questa prevede la possibilità per le detenute madri con figli fino a 10 anni d’età e che hanno commesso reati minori di poter scontare la pena al proprio domicilio. . Il problema della sua non applicazione riguarda soprattutto le straniere, dal momento che le italiane possono contare su una rete di protezione familiare estesa. Bisognerebbe prendere ad esempio il quinto municipio che mette a disposizione una casa di accoglienza, ma la triste realtà è che mancano i fondi per progetti come questi e quella del quinto municipio rimane, purtroppo, l’unico esempio in Italia".

Mambro- Mantovani: memorie da terroriste, scoppia polemica

 

Vita, 24 agosto 2004

 

Mambro e Mantovani salgono sul palco del Meeting dei Cl e raccontano. Poi l’applauso e la polemica. Il portavoce del convegno: "Il perdono cristiano chiede misericordia". I familiari delle vittime : "Indegno l’incontro e i consensi".

Banelli: non "convince" il pentimento Sale sul palco, racconta e commuove. La sua platea è quella del Meeting di Comunione e Liberazione (CL), la sua storia parla di sei condanne all’ergastolo e del rapporto che ha stabilito con alcuni familiari delle persone che lei e il marito Giusva Fioravanti avevano ucciso. È Francesca Mambro (tra i fondatori dei Nar - nuclei armati rivoluzionari -) che si rivolge alla platea appena dopo Nadia Mantovani (che fu anche compagna di Renato Curcio) a cui la lega oggi un legame di amicizia. Poi la parola a Luigi Manconi e Renato Farina.

A spiegare le ragioni dell’invito alla kermesse riminese delle due ex terroriste è Robi Ronza, portavoce del Meeting di Cl: "Non vuol dire che vogliamo assolvere qualcuno, né che partecipiamo ad una posizione di perdono". Ronza sottolinea quindi che "il perdono cristiano passa attraverso l’espiazione ed implica l’idea di misericordia, che però non annulla il principio di responsabilità".

Parole che non bastano a sedare l’indignazione di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Bologna: "Era indegno l’incontro, è indegno l’applauso".

Poi, riferendosi all’applauso del pubblico alle ex terroriste: "Quella platea doveva chiedere a queste persone la verità, chiarire vuoti ed ombre per arrivare ai mandanti della strage". E ancora: "Il pubblico evidentemente non ha capito chi aveva di fronte. Non sono due personaggi pieni di umanità, ma due persone che l’umanità l’hanno tolta, uccidendo altri uomini".

Nell’ incontro della seconda giornata del Meeting per l’Amicizia fra i popoli non si fa però nessun accenno all’attualità, né alla vicenda di Cesare Battisti, o alla svolta di Cinzia Banelli.

 

Le parole delle ex terroriste

 

Mambro ha spiegato di aver inviato l’anno scorso assieme a Fioravanti una lettera al Meeting, tramite Francesco Cossiga, raccontando di aver sempre seguito la comunità di Cl che opera "senza esibizionismi". E ha ricordato quegli anni in cui "si moriva per poco", in cui anche lei credette "fosse giusto schierarsi dalla parte dei perdenti" cercando di distruggere il mondo per cambiarlo.

"Ma ho distrutto la mia vita e quella di altre persone - ha raccontato - e ho subito sentenze giuste e ingiuste", riferendosi nel secondo caso a quelle per la strage alla stazione di Bologna, per la quale anche Mantovani e Farina si sono detti convinti della sua innocenza."Poi ho incontrato quella che io e mio marito chiamiamo la mafia delle persone per bene - ha detto ancora - e adesso ricambio il bene che ho ricevuto. Mi hanno cercato vittime (ha citato Adolfo e Paolo Bachelet, la nipote di un carabiniere e la moglie di un poliziotto uccisi) cui ho dato quella parte migliore di me che c’era sempre stata". Adesso, in semilibertà lavora per l’associazione Nessuno tocchi Caino.

Mantovani ha spiegato di salvare nella sua storia "la buona fede, le intenzioni, la solidarietà, l’amore per la giustizia", ma ha anche ricordato gli errori che le hanno fatto fare venti anni di carcere. "Dopo dieci anni - ha spiegato - ho capito e adesso per me l’ideologia ha poca importanza, è più importante la quotidianità, le cose fatte ogni giorno", ha detto trovando l’ applauso di un pubblico che, quando lei e Mambro agivano, in buona parte non era ancora nato. Ora Mantovani lavora con l’associazione Verso Casa che si occupa del reinserimento dei detenuti.

Dentro e fuori le mura: perché le rivolte in carcere

 

Firenze - Gruppo di lavoro permanente sul carcere, 24 agosto 2004

 

Vista l’accesa discussione che si è scatenata negli ultimi giorni sui fatti di Regina Coeli crediamo doveroso far sentire anche la nostra voce. Dobbiamo da una parte esprimere la nostra piena e totale solidarietà ai detenuti che hanno attuato la protesta, dall’altra tentare una riflessione sullo "stupore" generalizzato per una protesta non-pacifica.

In realtà ci si dovrebbe stupire sul fatto che episodi come quello di Roma non accadano giornalmente ed in tutte le carceri italiane viste le attuali condizioni di non-vita Negli ultimi quattro anni i detenuti italiani hanno effettuato decine di proteste pacifiche (molto spesso in accordo con la direzione) con il risultato di non vedere accolta neanche una delle loro rivendicazioni ma, anzi, di vedersi anche beffare con il cosiddetto "indultino" con il quale si mistifica la rimessa in libertà di 5600 detenuti.

I (pochi) difensori di questo aborto legislativo si scordano di dire che, essendo i requisiti per l’indultino più restrittivi di quelli di altre misure alternative come - ad esempio - l’affidamento, essi avrebbero potuto tranquillamente uscire con tali misure. Anzi è significativo che molti abbiano accettato un regime di fatto più penalizzante (firma giornaliera, possibilità di revoca per cinque anni a prescindere dalla durata del residuo pena, ecc) invece delle normali misure, segno inequivocabile che quest’ultime vengono concesse con sempre maggior difficoltà.

La trasversale criminalizzazione dei fatti di Regina Coeli segue il copione consolidato per cui è lecito rivendicare i propri diritti, ma solo nei modi e con le regole che il sistema stesso stabilisce in modo che, salva una parvenza di democrazia, la rivendicazione stessa sia del tutto inefficace (il parallelo con gli autoferrotranvieri non è assolutamente casuale).

Illusi, derisi, abbandonati a loro stessi e costretti a vivere (?) in quattro o cinque in loculi di pochi metri quadri per 21 ore al giorno, senza assistenza sanitaria, con un vitto del valore di 1,58 euro al giorno per colazione pranzo e cena, esposti a malattie, condizioni igieniche inesistenti, soprusi e umiliazioni (molto spesso anche pestaggi).

In questo quadro non stupisce affatto che anche il maggior deterrente (insieme all’immancabile repressione interna) a vere e proprie rivolte e cioè l’accesso a misure alternative previste dalla legge Gozzini (pur con un iniquo criterio di premialità) possa venire meno giacché tale accesso è sempre più virtuale che reale. In tale contesto invitiamo tutte le forze impegnate sul fronte carcere, oltre a manifestare la propria solidarietà ai detenuti "ribelli", anche a partecipare fisicamente al processo che (sic) verrà celebrato nei loro confronti, come atto tangibile d’appoggio alle loro giuste rivendicazioni. A quanti poi attribuiscono la degenerazione delle carceri esclusivamente all’attuale ministro della giustizia - sul quale non ci pronunciamo, visto che a dimostrare la sua assoluta incapacità ed inadeguatezza ci pensa benissimo da solo - ricordiamo che le cause legislative dell’incremento del numero di detenuti dai 25.000 del ‘90 agli attuali 57.000 sono state tutte varate dal centrosinistra: legge sull’immigrazione, legge Craxi – Jervolino – Vassali sulle tossicodipendenze per non parlare dell’ignobile pacchetto giustizia che ha portato, tra l’altro, il minimo della pena per un semplice furto da sei mesi a tre anni. Così come sempre più settori della sinistra appoggiano in pieno la cosiddetta politica della "restituzione del danno", sventolandola come progressista quando invece nel suo significato intrinseco ci riporta indietro di almeno vent’anni al concetto di pena come espiazione e riparazione nei confronti di una società perfetta alla quale non si può attribuire nessuna correlazione con il reato, atto di pura devianza individuale.

Tale concezione oscurantista era stata in qualche modo superata dall’introduzione della Gozzini che, pur con i suoi evidenti limiti, riconosceva un aspetto sociale del reato e quindi dell’esecuzione penale. In merito agli interventi da attuare per dare delle risposte concrete alla crescente disperazione dei detenuti, noi siamo convinti che esista una sola strada: un indulto vero e generalizzato per sanare una situazione d’illegalità nella quale versa ormai da anni l’Amministrazione Penitenziaria ma accompagnato da misure politiche senza le quali avrebbe un effetto solo temporaneo.

Tra esse crediamo prioritarie: una maggiore applicazione delle misure alternative previste per legge, anche creando le condizioni per cui non vengono concesse (di solito l’impossibilità di trovare un lavoro e/o un’abitazione); l’abolizione del "pacchetto giustizia" per riportare i limiti di pena ad una dimensione reale; una seria politica di depenalizzazione dei reati minori ed in particolare quelli legati ad immigrazione e tossicodipendenza. A questo proposito invitiamo tutti a partecipare alle due grosse manifestazioni nazionali su immigrazione e tossicodipendenza in programma a Roma nel prossimo autunno.

Lettera di Vallanzasca ai media: "Vorrei tornare a vivere"

 

TG Com, 24 agosto 2004

 

"Vorrei ritornare a vivere". Questo, in sintesi, quanto scritto da Renato Vallanzasca, in carcere da 32 anni, in una lettera inviata ai media. "Ritornare a vivere era un’opportunità a cui forse avevo rinunciato, è una speranza che cercherò di coltivare. Ho ucciso, ho rapinato, sequestrato, mai con cattiveria o odio verso gli altri... Ho cercato di fuggire e ci sono riuscito, ma il mio desiderio di libertà era forse soffocato da me stesso".

"Tempo ne è passato e le carceri di oggi sono disperate Torri di Babele dove convivono razze diverse, drammi che si abbracciano nella disperazione dell’ uomo", ha raccontato Vallanzasca nella sue lettera consegnata al giornalista cosentino Mario Campanella ed alla scrittrice e psicoterapeuta Maria Rita Parsi.

"Aspetto ancora una declassificazione - ha aggiunto - per poter essere trasferito a Milano ed incontrare mia madre, anziana, che non vedo da circa tre anni. Il carcere ti cambia, ti raddrizza o ti stordisce, ti nutre di illusioni e ti porta a confrontarti con tutto ciò che eri e che non sei più.

Ti fa aspettare con ansia lettere di risposta, ti tiene legato comunque al mondo che in fondo non vuoi perdere, ti rende vulnerabile al giudizio burocratico che può decidere se incontrerai ancora una volta tua madre o se dovrai fissarla nel ricordo infinito di immagini mentali che sbiadiscono, di sogni che conservano rumori e date, come un sottovuoto che non si fa scalfire dal tempo".

"Ma il carcere è il luogo evangelico per eccellenza - ha concluso Vallanzasca - dove il giudizio degli uomini e sugli uomini rimane sospeso, perché veramente a nessuno è dato giudicare".

Da Associazioni importante dossier: "Morire di carcere"

 

Social Press, 24 agosto 2004

 

 

È tragico che ogni anno, in estate, "esplodano" le carceri italiane. Ancora più drammatica la fermezza con la quale il Ministro Castelli vieta in questi giorni l’ingresso nelle carceri ai parlamentari, additando proprio in questi i "responsabili" delle rivolte.

In carcere si sta male e si muore. Le associazioni e i singoli che lavorano a stretto contatto con gli istituti penitenziari ogni anno presentano alla stampa e al pubblico dei dossier da brivido, come il recente "Così si muore in galera - 2° Rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane" di Luigi Manconi, Andrea Boraschi ed Elina Lo Voi dell’associazione "A Buon Diritto".

Il dossier fa emergere un "profilo medio" del detenuto che si toglie la vita: per lo più giovane, in attesa di giudizio, con un curriculum criminale recente, con capi d’imputazione relativamente poco gravi e con poche settimane di detenzione alle spalle. Dal dossier citato: "Nelle carceri sembra esistere un rapporto inversamente proporzionale tra "speranza di libertà" e propensione al suicidio: ci si uccide molto di più tra quanti, per posizione giuridica, età, permanenza detentiva, potrebbero sperare in una reclusione breve o relativamente breve; o tra quanti potrebbero attendere, espiata la pena, un "ritorno" alla società". 500 detenuti, il 50% sotto i 40 anni, hanno perso la vita, uno ogni due giorni, tra il 2001 ed il 2003, anno in cui i suicidi sono stati 65, tra cui due minorenni. È questa la realtà dei 205 istituti penitenziari dove vivono in condizioni precarie 56.578 detenuti, 14.360 in più del limite previsto dalla capienza regolamentare.

Si muore anche di malattia in carcere, non solo per suicidio, e spesso per malattie che, all’esterno degli istituti di pena, sono perfettamente curabili. Il meccanismo è diabolico. Per alcune patologie la legge stabilisce l’incompatibilità con il regime carcerario: chi è gravemente malato non dovrebbe stare in carcere. Le persone spesso rimangono però all’interno degli istituti di pena provvisti di "Centri Clinici", strutture che dovrebbero provvedere alle cure ma che sono però inadeguate, perché vi manca tutto.

Accade così che detenuti con l’Aids, l’epatite, gravi insufficienze renali o tubercolosi, muoiano perché questi Centri non sono provvisti di medicine che sono invece facilmente somministrate da ospedali o farmacie. Oppure succede anche che questi detenuti si suicidino per non poter o non voler più tollerare la propria condizione. La morte di queste persone è fortemente paragonabile all’ingiustizia delle morti per Aids o malaria che si verificano nei Paesi più poveri del mondo, così come veniva poco tempo fa denunciato dalle associazioni che lavorano sul diritto alla salute (cfr. "L’Africa in zona Magenta" ).

Il carcere come luogo dell’esclusione sociale. Lo conferma l’alta percentuale di detenuti stranieri. I dati elaborati dall’associazione Antigone mostrano che gli italiani in carcere hanno un numero medio di imputazioni superiore a quello degli stranieri, mentre l’associazione A Buon Diritto ci informa che "gli stranieri vanno in carcere e ci rimangono più a lungo degli italiani non solo perché - percentualmente - "delinquono con maggiore frequenza" (anche per evidenti ragioni economiche, sociali e ambientali); ma soprattutto perché "pagano" difficoltà linguistiche e di comunicazione, scarsa conoscenza del sistema giuridico e una minor tutela delle garanzie di difesa. Basti pensare al ricorso alla custodia cautelare; tra gli stranieri, il 60% è composto da detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%". Continua il dossier: "infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente assai più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo la sentenza".

Di notevole interesse, per approfondire le notizie dal e sul carcere, il sito dell’associazione Ristretti Orizzonti, "Pagine di cultura e informazione dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca realizzate da detenuti, detenute, operatori volontari", al sito www.ristretti.it. Nelle pagine della rassegna stampa, in relazione ai fatti di questo ultimo agosto, Ristretti Orizzonti dà spazio all’ennesimo dibattito sull’amnistia e l’indulto.

Tema scottante e delicato, spesso utilizzato come tema di propaganda politica dai diversi partiti, quando, come sempre accade, rischia semplicemente di far nascere false speranze all’interno della popolazione detenuta. Il sito ospita un altro dossier sulle morti in carcere, aggiornato ogni mese e utilizzato peraltro come fonte importante anche nel lavoro di Luigi Manconi. Tra le pagine anche una serie di "storie" di morti e suicidi. Dodici morti solo nel luglio 2004.

"Bisogna difendere il diritto ad essere inadeguati!" così affermava perentoriamente qualche tempo fa Luigi Ciotti. Lo sguardo lucido del presidente del Gruppo Abele parlava delle ingiustizie del qui ed ora. Di un pezzo d’Italia, il carcere appunto, paragonabile ai luoghi più poveri e disperati del pianeta.

Bolzano: più di 160 detenuti, invece degli 80 previsti

 

L’Adige, 24 agosto 2004

 

Era il marzo del 2003, quando scoppiò la polemica - l’ennesima - sul nuovo carcere di Bolzano. La futura consigliera provinciale Michaela Biancofiore, riferendo di un incontro tra Castelli (giustizia) e Frattini (esteri), affermava che i due ministri del Polo avevano già deciso: la nuova casa circondariale dell’Alto Adige sarebbe sorta ad Appiano, all’interno della caserma Mercanti.

L’idea in realtà non era nuova: l’aveva proposta, quattro anni prima, il sindaco di Bolzano Giovanni Salghetti, provocando l’ira di Durnwalder. E anche l’anno scorso, come da copione, la Svp ha risposto per le rime, spalleggiata anche da partiti "italiani" (non ultima An, che nell’ex caserma di Appiano preferirebbe vedere alloggi per militari) e dai consigli comunali dell’Oltradige, che si sono dichiarati fortemente contrari all’ipotesi.

È passato un anno e mezzo, e nulla si è mosso. Soprattutto nella struttura fatiscente di via Dante, risalente al periodo asburgico a cavallo dei due secoli scorsi. Gli ottanta posti regolamentari sono un’utopia ormai da anni. Quando va bene, ha dichiarato recentemente la direttrice Immacolata Manarella, successore di Sarrubbo sceso a Trento, i detenuti sono 140. Quando va meno bene, invece, ed è la consuetudine, si passa a quota 160 e oltre, superando quindi il 100% di sovraffollamento. Come si fa a farceli entrare?

Non potendo aumentare le celle, si aggiungono letti a castello, fin quasi a toccare il soffitto. Non cresce invece il personale di custodia, costretto a turni massacranti. Nonostante tutto però, a differenza di quattro anni fa quando la rivolta nazionale arrivò anche in riva al Talvera, stavolta le lenzuola bruciate di Rebibbia non sono state imitate. Ma la situazione è critica.

"Per trovare spazi dove organizzare i corsi professionali - dice Luisa Gnecchi di Pace e Diritti, vicepresidente di giunta nonché competente per la formazione in lingua italiana - è stata anche sconsacrata la cappella. E l’emergenza aumenta, tanto che in futuro non so nemmeno se potremo continuare a tenere i corsi".

 

Ma perché in consiglio provinciale non si parla più di carcere?

"Ancora anni fa - spiega la Gnecchi - la giunta propose al Ministero tre siti possibili, ma non ci è mai stata data una risposta. Le ultime notizie risalgono a quella trovata elettorale della Biancofiore che parlava di decisione già presa da Castelli e Frattini".

 

Il nuovo carcere rientra nel programma di giunta?

"No, e non potrebbe, essendo una questione che non riguarda solo noi ma anche lo Stato. Però la volontà politica c’è. Recentemente è stato creato un gruppo di lavoro composto da due assessori provinciali e due del Comune di Bolzano, per elaborare una sorta di piano regolatore di via Einstein. Bisogna capire se è possibile estendere la zona produttiva o residenziale, e magari il nuovo carcere nella zona Agruzzo".

Recentemente il responsabile del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, parlando di sviluppo dell’edilizia carceraria, ha detto che i due nuovi istituti di Trento e Bolzano - a differenza degli altri sparsi in Italia - saranno realizzati con i fondi delle due province autonome.

"È così, la Provincia si è già impegnata in tal senso. E anche se il carcere non è inserito nel bilancio programmatico, i fondi si possono trovare con l’assestamento".

La calma piatta sul carcere viene confermata anche dall’ex capogruppo della Svp in consiglio regionale: "Non ci sono novità. Domani (oggi ndr) - dice Herbert Denicolò - rientro dalle ferie e mi occuperò subito della faccenda, anche perché, come rappresentante della Comunità San Vincenzo che da anni opera all’interno del carcere, sono sempre più preoccupato per le condizioni della struttura. Mancano addirittura i soldi per offrire condizioni igieniche decorose".

Carcere: dopo proteste dei detenuti serve intervento politico

 

Ansa, 24 agosto 2004

 

Donato Capece, segretario del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, chiede un intervento politico per la questione delle carceri. Il governo, secondo Capece, deve affrontare il problema "non più con provvedimenti tampone, bensì in maniera definitiva e organica, nel segno della sicurezza di tutto il sistema penitenziario". Bisogna ridurre il sovraffollamento delle carceri e avviare un potenziamento degli organici di polizia penitenziari, già chiesto da tempo.

Calderoli: un aiuto dall’Ue? A ciascun paese 1000 clandestini

 

Apcom, 24 agosto 2004

 

L’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri è "il solito tema di agosto. Se le carceri sono troppo piene, allora è bene farne delle nuove". Lo ha detto il ministro per le Riforme, Roberto Calderoli, aggiungendo che un diverso rimedio al problema del sovraffollamento potrebbe venire dall’Unione Europea che "parla tanto di immigrazione".

"Se ciascun paese europeo - ha detto - si prendesse 1000 clandestini detenuti in Italia, visto che non sono italiani, il problema sarebbe risolto".

Regina Coeli: verifica mensile sui problemi dei detenuti

 

Corriere della Sera, 24 agosto 2004

 

Nel carcere romano di Regina Coeli nascerà una commissione permanente che, una volta al mese, discuterà i problemi dei detenuti. È questo il risultato dell’incontro di ieri tra il direttore dell’istituto Mauro Mariano, l’assessore Luigi Nieri, alcuni consiglieri regionali e i rappresentanti dei carcerati di via della Lungara.

Già tra trenta giorni la commissione si riunirà per valutare un pacchetto di proposte avanzate dai detenuti stessi: al centro della discussione sarà lo stato della sanità e dell’istruzione all’interno delle case correzionali. Intanto il clima all’interno della prigione sembra essere tornato tranquillo: secondo il direttore, riferiscono gli amministratori al termine dell’incontro di oggi, "non si può assolutamente parlare di rivolta".

La condizione dei reclusi, però, rimane un problema molto sentito: nell’altro grande carcere romano, Rebibbia, è stata organizzata domenica una protesta pacifica in segno di solidarietà con Regina Coeli allo scopo di sollecitare iniziative urgenti contro il sovraffollamento delle prigioni. Più di trecento detenute, infatti, hanno chiesto di donare il loro pasto alla Comunità di S. Egidio, perché lo redistribuisse ai poveri.

Amnistia, Castelli: "In parlamento mancano i numeri"

 

Il Manifesto, 24 agosto 2004

 

Il Ministro della Giustizia Roberto Castelli è categorico: di amnistia non se ne parla proprio. Ed è tutta colpa dei Ds. Tanto per cominciare, dice in un’intervista a Radio Padania, "Violante e i Ds non vogliono l’amnistia. Che chiariscano la loro posizione. In Parlamento non ci sono i numeri per ottenerla".

E poi, tra l’altro, "si tratta di una materia che non è governativa ma del Parlamento", perciò non sta a lui decidere. Peccato che non sia affatto d’accordo il vicepresidente della Camera dei deputati. Anzi, a dirla tutta, Clemente Mastella si produce in un vero e proprio attacco al Guardasigilli: "Non è vero che il 70% del Parlamento sarebbe contrario - dice - basti ricordare il vasto consenso che riscosse due anni fa l’appello del Papa in occasione della sua visita a Montecitorio".

E invece non basta. Anzi. Il segretario dell’Ap-Udeur rincara la dose: "Castelli non cerchi alibi e non si lasci andare ad accuse ingenerose ed infondate. Amnistia ed indulto non sono dei palliativi, li può ritenere tali solo il ministro leghista, da sempre contrario per calcoli elettorali agli atti di clemenza". Prima l’attacco, poi la polemica, infine la sfida.

"Il ministro ponga i due provvedimenti all’ordine del giorno delle Camere e vedremo chi è favorevole e chi contrario". Amnistia sì, amnistia no, amnistia basta. Luigi Manconi, ex parlamentare verde, oggi "garante delle persone private della libertà del Comune di Roma" e presidente dell’associazione carceraria "A buon diritto", di amnistia non vuol sentir parlare. Per adesso, almeno.

"Fino a quando non ci sarà un accordo vero, scongiuro tutti di non dar vita al solito, inutile dibattito agostano sulla pelle dei detenuti". È molto critico Manconi sui mezzi impiegati dal governo per risolvere l’emergenza carcere. In particolar modo se la prende con l’indultino, "provvedimento con risultati clamorosamente inadeguati", visto che doveva risolvere un problema, quello del sovraffollamento, che invece "è drammaticamente aumentato".

Chi invece si dichiara soddisfatto è il segretario dei Radicali, Daniele Capezzone: la "Giornata di non violenza e referendum" che il partito ha promosso il 22 agosto negli istituti penitenziari si è conclusa - per Capezzone - con un sostanziale successo. Più di 40 istituti visitati, molte firme a favore del referendum sulla fecondazione assistita, buone percentuali di adesione allo sciopero della fame. Insomma, "la migliore risposta a chi, come Castelli e Giovanardi, ha accusato i radicali di fomentare rivolte nelle carceri". Per adesso, comunque, l’unico risultato realizzato dalla "piccola politica", quella locale, è una commissione permanente sui problemi dei detenuti che si riunirà una volta al mese per cercare di affrontare le problematiche dei carcerati della capitale.

È questo il frutto dell’incontro tenutosi ieri tra i rappresentanti dei detenuti del carcere romano di Regina Coeli, il direttore Mauro Mariano, l’assessore capitolino alle politiche del lavoro, Luigi Nieri, e alcuni consiglieri regionali.

Nel frattempo i diretti interessati protestano. Sciopero della fame nel carcere napoletano di Poggioreale, dove sono state bruciate lenzuola poi gettate dai finestroni. Sciopero anche nella casa circondariale femminile di Rebibbia, a Roma: tutte le 300 donne ospiti dell’Istituto hanno rinunciato al vitto. Lo hanno donato alla comunità romana di Sant’Egidio perché fosse distribuito ai poveri.

Salerno: proposta di utilizzare detenuti per ripulire i parchi

 

La Città di Salerno, 24 agosto 2004

 

Fuori dal carcere per ripulire i parchi e le spiagge. La proposta è stata fatta dal comitato di quartiere di Torrione, i cui rappresentanti andranno a sostenerla a Roma nei confronti del ministero di Grazia e Giustizia e del responsabile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Un esperimento che, come ha sottolineato il presidente del comitato Enrico Trotta, è stato già fatto nella casa circondariale di Verbania "dove i detenuti sono usciti dalle celle per ripulire un parco in Valgrande e le spiagge del lago Maggiore".

"Poiché anche Salerno ha emergenze nel settore igiene nel parco del Mercatello - scrivono quelli del comitato - delle spiagge e di un intero quartiere come Torrione, con strade sporche ed aiuole degradate, e dato che le società miste e le cooperative non sono in grado di mantenere standard accettabili, chiediamo al Governo di allargare l’esperimento di utilizzo dei detenuti anche a Salerno".

L’iniziativa del comitato di quartiere di Torrione sarà sostenuta dalla partecipazione di esponenti della società civile e di alcuni consiglieri comunali di maggioranza ed opposizione. L’esperimento preso ad esempio, investe un gruppo di detenuti della casa circondariale di Verbania che erano riusciti a ricostruire panchine e tavolini, e di rifare perfino un sentiero in Valgrande. Una iniziativa che era stata estesa anche alle spiagge della zona ed aveva dato ottimi risultati sotto il profilo sociale e della occasione offerta ai reclusi.

Salerno: sciopero della fame, aderiscono in 100

 

La Città, 24 agosto 2004

 

Sono stati un centinaio i detenuti della casa circondariale di Fuorni che hanno aderito alla protesta di Regina Coeli, rinunciando al vitto dell’amministrazione penitenziaria. L’annuncio era stato dato nel corso della visita di domenica scorsa del componente del comitato nazionale dei Radicali italiani, Michele Capano, e del consigliere comunale di Socialismo e Libertà, Francesco Colucci.

"È stata una iniziativa simbolica e pacifica che è durata una sola giornata", ha precisato ieri la vice direttrice del carcere, Sergio. Ma nel corso della visita dei due ospiti, che non avevano mancato di segnalare all’uscita "il clima di grande tensione che si vive dietro le sbarre", era stata strappata la promessa di ritornare nelle celle di Fuorni.

Sarà una delegazione di europarlamentari dei Radicali (gli unici sono Emma Bonino e Marco Pannella) o di consiglieri regionali "a rendersi conto di persona delle condizioni di vita all’interno del carcere". La denuncia di un ex detenuto, che aveva raccontato alla "Città" la sua terribile esperienza di cinque anni a Fuorni, era stata consegnata anche a Capano e Colucci.

Presunte rappresaglie nei confronti dei reclusi che protestavano per la qualità del cibo, pestaggi per i tossici (ce ne sono una ottantina) che si lamentavano perché in crisi di astinenza, la mancata apertura dei luoghi ricreativi come campi di calcio e palestra. Ieri, il vice direttore Sergio ha marcato come "una assurda montatura" questo tipo di accuse.

"La ricostruzione di questo ex detenuto lascia il tempo che trova - ha precisato la funzionaria dell’amministrazione penitenziaria di Fuorni - Per quanto ne so, non mi risulta nessun episodio di violenza o intolleranza nei confronti dei detenuti. Anche la protesta di domenica, che si è concretizzata solo nel rifiuto del vitto che viene fornito ogni giorno ai reclusi, si era svolta in modo assolutamente pacifico e senza nessun riflesso preoccupante".

Restano difficili, come hanno confermato anche i due ultimi visitatori, le condizioni all’interno delle celle per il loro sovraffollamento. Oltre 400 gli ospiti, nelle otto sezioni del carcere di Fuorni, sistemati in spazi che al massimo potrebbero contenerne la metà.

La casa circondariale cittadina rientra, infatti, nel dossier degli istituti di pena dove maggiormente si avverte il problema degli spazi. I vertici di Fuorni, anche ieri, hanno spiegato che il servizio di somministrazione del metadone ai circa 80 tossicodipendenti ospiti della struttura "viene garantito dal Ser.T.".

Grazie ad un protocollo sottoscritto, nel settembre del 2003, con l’Asl Sa 2. Ma era stata necessaria una indagine della magistratura, che si era mossa in seguito alla denuncia proprio dei Radicali, per risolvere uno dei problemi più sentiti all’interno della casa circondariale. Dove, dati alla mano, la percentuale dei suicidi continua ad essere quasi del doppio rispetto alla media degli altri istituti.

Polizia Penitenziaria: "Celle sovraffollate, serve una soluzione"

 

Giornale di Vicenza, 24 agosto 2004

 

A pochi giorni dalla rivolta nel carcere romano di Regina Coeli non si arresta la polemica sul sovraffollamento nei penitenziari italiani, drammaticamente aumentato, e più in generale sulle condizioni dei detenuti al loro interno. Mentre riaffiorano nel dibattito politico le proposte di provvedimenti di amnistia e indulto.

Donato Capece, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria invece chiede: "È necessario e urgente un intervento politico per ridurre il grave sovraffollamento delle carceri, anche e soprattutto attraverso il potenziamento dell’area penale esterna e per avviare un potenziamento degli organici di polizia penitenziaria, già richiesto da tempo".

Il governo, secondo Capece, deve affrontare la questione "non più con provvedimenti tampone, bensì in maniera definitiva e organica" e fa rilevare che se fino a oggi gli eventi non sono degenerati il merito è della polizia penitenziaria. Ieri è rientrata la protesta dei detenuti del carcere di Poggioreale, a Napoli, che sabato sera non hanno ritirato la cena.

Alla manifestazione avrebbe aderito circa l’85 per cento dei reclusi. Al padiglione "Livorno" alcuni detenuti hanno battuto le sbarre. Intanto Renato Vallanzasca, detenuto da 32 anni perché deve scontare quattro condanne all’ergastolo, che fu protagonista di rapine e omicidi, in una lettera ha definito le carceri di oggi "disperate Torri di Babele dove convivono razze diverse, drammi che si abbracciano nella disperazione dell’ uomo".

Che la situazione carceri "non sia più gestibile" è un "dato acquisito" ma "per favore, non si parli più di privatizzazione delle carceri", afferma il sindacato autonomo giustizia del settore polizia penitenziaria aggiungendo che "purtroppo le problematiche del carcere emergono proprio d’estate quando a causa dell’esasperazione esplode la protesta dei detenuti che, loro malgrado, sono in molti casi letteralmente stipati in celle anguste e inadeguate ad ospitare umanamente chiunque".

Napoli: Poggioreale, ecco i primi focolai di protesta...

 

Il Mattino, 24 agosto 2004

 

La protesta dei detenuti arriva anche a Poggioreale. Facile prevederlo, il sovraffollamento e le condizioni disagiate dei carcerati hanno provocato forti proteste della maggioranza dei detenuti nella serata di domenica. Centro delle lamentele il padiglione Livorno, che ospita duecento persone, dove in serata alcuni detenuti hanno inscenato la battitura, ovvero la gavetta sbattuta contro le inferriate della cella. In più in molti hanno fatto per un giorno uno sciopero della fame, non ritirando il vitto del carcere. Infine sono state incendiate alcune lenzuola poi buttate dai finestroni del padiglione.

Alle proteste avrebbe partecipato l’85 per cento degli oltre 1800 detenuti del carcere di Poggioreale. Situazione rientrata dopo qualche ora. La protesta è stata fatta - come avvenuto in altri istituti penitenziari italiani, a iniziare da Regina Coeli - anche per denunciare il problema sovraffollamento. Ci sono anche diciotto detenuti per cella a Poggioreale. Una situazione, anche se non così critica, la si vive anche nel carcere di Secondigliano. Secondo fonti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, però, ieri i detenuti hanno ritirato regolarmente il vitto e non hanno battuto le sbarre.

"È necessario e urgente un intervento politico per ridurre il grave sovraffollamento delle carceri, anche e soprattutto attraverso il potenziamento dell’area penale esterna, e per avviare un potenziamento degli organici di polizia penitenziaria, già richiesto da tempo". Lo chiede Donato Capece, segretario nazionale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe).

Il governo, secondo Capece, deve affrontare la questione "non più con provvedimenti tampone, bensì in maniera definitiva e organica, nel segno della sicurezza di tutto il sistema penitenziario". Il segretario del Sappe dice che, dopo Regina Coeli e Rebibbia, anche a Poggioreale si è celebrata la protesta dei detenuti.

Ma fa rilevare che "se fino a oggi gli eventi non sono degenerati il merito è della polizia penitenziaria", tant’è che la direzione del Dap ha inviato un encomio al comandante di reparto di Regina Coeli "per la professionalità dimostrata da tutto il personale nel mantenere la calma e l’ ordine". Un segnale del "disagio e malessere delle carceri che si sta estendendo un pò in tutto il paese", secondo Capece, viene infine dall’ istituto di Montorio Veronese (in provincia di Verona), dove i detenuti "sono pronti a una manifestazione pacifica, con sciopero del vitto ed esclusione dal lavoro in questo fine settimana".

Salerno: medico sotto accusa per suicidio di un detenuto

 

La Città di Salerno, 24 agosto 2004

 

Altri dieci giorni di cella e sarebbe tornato in libertà. Ma la paura - o meglio, l’angoscia - di poter essere riarrestato, lo spinsero ad uccidersi in carcere. Una morte - quella del 31enne di Giffoni Valle Piana, Antonio Rinaldi - per la quale fu indagato il dottor Giovanni Di Cunzolo, responsabile sanitario della casa circondariale di Fuorni.

Una inchiesta che si è chiusa nel gennaio del 2003 con una richiesta di archiviazione nei confronti del medico avanzata dal Pm Sassano, ed impugnata dai familiari del 31enne. Le parti si troveranno ora a discutere di questa triste vicenda il prossimo 22 settembre quando, davanti al Gip Sgroia, si svolgerà l’udienza camerale (il dottor Di Cunzolo è difeso dall’avvocato Raffaele Francese, mentre i familiari di Rinaldi sono rappresentati dall’avvocato Michele Tedesco), nella quale decidere se archiviare le accuse nei confronti del medico oppure arrivare alla formulazione di una imputazione coatta.

Una storia, quella di Antonio Rinaldi, iniziata nel gennaio del 2002 quando gli fu notificato un ordine di carcerazione per scontare un cumulo di pena di sette mesi per reati legati allo spaccio di stupefacenti. Il 31enne, tossicodipendente, finì così a Fuorni per espiare la sua condanna. Ma, pochi mesi dopo, fu trasferito all’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli per essere sottoposto ad una serie di terapie. Nel giugno dello stesso anno il ritorno a Fuorni.

Ma, secondo i suoi familiari, Rinaldi non era più lucido. Da qui le continue istanze del legale di fiducia della famiglia affinché fosse sottoposto alle cure prescritte dall’Opg di Napoli o, magari, ad un nuovo ricovero nella struttura sanitaria carceraria. Appelli ed istanze cadute sempre nel vuoto. Nel frattempo, fuori dal carcere di Fuorni, si scatenò l’offensiva giudiziaria della Distrettuale antimafia contro i protagonisti della faida interna la clan Pecoraro.

Arresti a raffica in tutta la Piana e nei Picentini. E tra le persone arrestate per associazione camorristica ci fu anche il cugino di Rinaldi, Aniello. Nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali comparve anche un fantomatico "Antonio". Il Pm Volpe, decise così di sentire semplicemente come testimone proprio Antonio Rinaldi. Nella mente del 31enne, già provata dalla carcerazione, si insinuò così la convinzione che, alla fine, sarebbe stato riarrestato.

Un timore ingiustificato, visto che quell’Antonio che compariva nelle intercettazioni non era di certo lui. Il Pm Volpe non riuscì mai ad interrogare Rinaldi: il detenuto si impiccò nella sua cella il 17 luglio del 2002. Ora, dopo la richiesta di archiviazione del Pm Sassano, la parola passa al Gip Sgroia che dovrà decidere se archiviare o meno il caso.

Suicidi, rivolte, affollamento: il dramma delle carceri italiane

di Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani delle carceri

 

Famiglia Cristiana, 24 agosto 2004

 

Sono stato cappellano del carcere milanese di San Vittore per 41 anni: di uomini detenuti morti ne ho visti tanti, troppi. Ogni volta nasceva in me un senso di sgomento, oltre che di dolore, e mi chiedevo se avessi fatto tutto quello che andava fatto per impedire quella morte e se la struttura avesse fatto tutto il possibile. Perché chi ha commesso reati, per quanto gravi siano, è sempre un uomo, e lo Stato, che ha dovuto togliergli la libertà fisica e lo ha in custodia, ha il dovere di proteggere la sua vita.

Il suicidio del sindaco di Roccaraso nel carcere di Sulmona ha fatto notizia perché è un personaggio pubblico. Ma in carcere muoiono tanti altri detenuti di cui quasi nessuno parla. In carcere si muore non solo per suicidio, anche se è un caso frequente, ma persino per malattia; per malori improvvisi; per uso di droga (overdose o per inalazione del gas delle bombolette); per finti suicidi messi in atto per avere benefici (ad esempio, la seminfermità mentale) e finiti male; per atti di autolesionismo che vanno oltre l’intenzione; non di rado per incendi appiccati in cella; per omicidio.

Però l’opinione pubblica non sa quanti detenuti, che hanno tentato di morire, sono stati salvati, quanti ammalati gravi non sono morti in carcere. L’Amministrazione penitenziaria è molto preoccupata per queste morti e ha quindi allertato gli operatori delle carceri e adottato strumenti di prevenzione: ad esempio, l’arrestato che arriva in carcere deve essere visitato pure dallo psicologo, che deve avvisare se lo trova in stato di depressione. Ma anche tutti gli altri operatori, i cappellani, i volontari, le suore, gli stessi compagni di cella segnalano i casi a rischio.

Non credo che il carcere di per sé sia causa di morte. L’impatto dell’uomo con la Giustizia che indaga, che giudica e che condanna è un grosso dramma. Tanto è vero che ci sono stati suicidi di indagati che erano a casa. Inoltre, anche il carcere fa paura, fa soffrire, deprime.

Non mi permetto di giudicare nessuno o di condannare né l’Autorità giudiziaria né l’Amministrazione penitenziaria, né gli operatori del carcere: tutti fanno il loro dovere e bene, ma a volte indagando su certe morti in carcere mi sembrava di vedere che qualcuno non avesse fatto tutto quello che avrebbe dovuto o avesse fatto quello che non avrebbe dovuto.

Dopo tanta esperienza mi sento di affermare che il carcere in quanto tale è una struttura anti-umana e quindi anche anti-cristiana: persino se è nuovo, moderno, con tutti i servizi, le attività, gli operatori validi, aperto all’esterno, è incapace di rieducare (sono le persone valide in esso operanti che riescono a rieducare, non le strutture), ma distrugge fisicamente, psicologicamente, moralmente. Se poi le strutture sono obsolete, i servizi mancanti e la conduzione dura, allora diventa ancora più negativo e distruttivo. Dico questo non per fare discorsi utopici, ma perché si sappia che cosa è il carcere e non pretendere da esso quello che non può dare. Allora mi domando: è proprio necessario che la Giustizia sia amministrata solo punendo e con il carcere? Non si potrebbero trovare altri strumenti alternativi alla pena e alla detenzione? Ci sono già nella legge le alternative: l’affido, la semilibertà, la detenzione domiciliare, la sospensione della pena, e altro.

Non si potrebbe tenere il carcere solo come extrema ratio e concepire l’amministrazione della Giustizia non come punizione, ma come costrizione, per chi ha commesso un reato, a ricostruire ciò che ha distrutto, a restituire ciò che ha tolto, a riparare ciò che ha rotto? Una Giustizia riparativa, ricostruttiva e rieducativa pure per l’uomo che ha violato la legge. Forse così si eviterebbero tutte le negatività del carcere, quindi anche il suicidio.

Però tutto questo non sarebbe sufficiente. Ci si meraviglia per chi muore in carcere, ma si uccide e ci si suicida persino fuori, e anche da giovani. Allora il discorso vero è un discorso di valori. Ai primi anni della mia missione come cappellano, i suicidi erano molto pochi, ora la nostra società ha perso i valori etici e morali, il valore della vita propria e altrui. Ciascuno pensa di essere l’assoluto, la misura di sé stesso. Nella società, a tutti i livelli, non si rispetta il concetto della vita: ecco allora gli aborti, l’uso degli embrioni, l’eutanasia, le guerre, il terrorismo, la schiavitù. Si nota una grande faciloneria nella violazione sia della legge morale sia delle leggi dello Stato. E quindi è solo il carcere la causa dei suicidi?

Sappe: "Servono più agenti e più misure alternative"

 

Il Messaggero, 24 agosto 2004

 

"Per ridurre il grave sovraffollamento delle carceri è necessario e urgente un intervento politico su due fronti: l’ampliamento dell’area penale esterna, attraverso le misure alternative, e il potenziamento dell’organico della polizia penitenziaria": per Donato Capece, segretario del Sappe, il più rappresentativo sindacato autonomo di polizia penitenziaria, "è il momento che la questione carceri venga affrontata dal governo, e non più con provvedimenti-tampone".

Segnala, il Sappe, che il disagio nelle carceri si sta estendendo dopo il caso-Regina Coeli: a Rebibbia femminile, a Poggioreale e nei prossimi giorni a Verona, anticipando quella campagna d’autunno per rinnovare la richiesta di indulto e di reale applicazione della legge Gozzini, campagna al centro di un dibattito e di una serie di documenti che circolano negli istituti di pena. A Regina Coeli, nel frattempo, ieri si sono recati il consigliere regionale Ds Loredana Mezzabotta e l’assessore capitolino Luigi Nieri che hanno poi annunciato la nascita di una commissione permanente carcere-città per affrontare di volta in volta tutti i problemi del lavoro, della scuola, della salute e del reinserimento dei detenuti in cui possono intervenire gli enti locali.

Oggi, le visite saranno estese a Rebibbia nuovo complesso e a Rebibbia femminile dove le detenute domenica hanno rifiutato i pasti donandoli ai poveri della comunità di San’Egidio per protestare contro la condizione delle madri detenute e dei loro bambini sotto i tre anni, ce ne sono venti, a cui non vengono concessi i benefici di legge per la decarcerazione (detenzione domiciliare o in case-famiglia) o migliori strutture all’interno dell’istituto.

Marche: 200 mila euro per inserimento lavorativo dei detenuti

 

Avvenire, 24 agosto 2004

 

Un progetto pilota per il reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti negli istituti di pena della regione: la sua realizzazione sarà finanziata con 200 mila euro, destinati, come prevede il bando di accesso approvato dalla giunta regionale, a progetti integrati formazione-lavoro proposti da strutture formative pubbliche o private. "Un intervento - ha spiegato l’assessore alla Formazione e Lavoro, Ugo Ascoli – che non mira esclusivamente alla rieducazione sociale dei detenuti , che pure è un obiettivo fondamentale e un diritto sacrosanto, ma ad una vera e propria costruzione di percorsi di inserimento al lavoro.Si tratta di un progetto di particolare interesse e attualità – ha proseguito l’assessore - proprio nel momento in cui esplode palesemente che il sovraffollamento nelle carceri, dovuto sia alla lentezza della giustizia che alle carenze edilizie, sta provocando fortissime tensioni tra i detenuti.

Infatti, da un punto di vista sociale sta crescendo la consapevolezza negli operatori del settore che è necessario riempire il "vuoto" della carcerazione con attività trattamentali. Le misure legate al rafforzamento delle competenze dei detenuti rappresentano ormai l’alternativa più valida per la rieducazione e anche la più utile come opera di prevenzione della recidiva. Bisogna in molti casi - ha concluso Ascoli - ricostruire l’identità sociale, spesso gravemente compromessa dalle vicende giudiziarie. Saranno quindi coinvolti detenuti con una buona capacità di comunicare, che sappiano collaborare in maniera costruttiva e, soprattutto, in grado di assumersi responsabilità. " Il provvedimento prevede sia azioni di scambio delle esperienze eccellenti, maturate nei diversi istituti carcerari italiani, sia percorsi formativi da organizzare dopo una selezione dei destinatari da coinvolgere nella didattica in aula e nella fase di tirocinio esterno.

Una fase riguarderà la formazione d’aula, 100 ore, che si concluderà con attestato di frequenza per "orientamento professionale disoccupati"; una seconda tipologia formativa prevede 300 ore di formazione, l’80% delle quali svolte attraverso tirocini in imprese del territorio. Infine, sarà organizzato un seminario conclusivo a bilancio dell’iniziativa condotta, per un confronto di esperienze e di metodi.

Il bando approvato prevede quindi il finanziamento di percorsi integrati formazione-lavoro sperimentali, presentati da strutture formative pubbliche o private, capaci di creare le condizioni favorevoli per il reinserimento di detenuti con età superiore ai 18 anni e con periodo residuo di pena, alla data del percorso formativo, superiore alla durata del percorso stesso. Il numero minimo da coinvolgere nell’intervento è di 36 soggetti per la parte di formazione in aula e di 10 detenuti per la formazione alternata al tirocinio lavorativo, riservata a detenuti che si trovano nelle condizioni giuridiche di poter accedere alle misure alternative alla detenzione (legge 354/75). Il bando sarà reperibile anche sul sito internet www.lavoro.marche.it alla sezione bandi.

Roma: perplessità per commissione Comune - Regione

 

Asca, 24 agosto 2004

 

"Con la proposta avanzata da Regione e Comune - dichiara l’assessore provinciale al Lavoro e qualità della vita, Gloria Malaspina, a commento dell’incontro avvenuto ieri tra l’assessore capitolino Luigi Nieri, alcuni consiglieri regionali, il direttore della casa circondariale di Regina Coeli e i rappresentanti dei detenuti - di istituire una commissione permanente con il compito di affrontare le problematiche dei detenuti, si rischia di vanificare una vasta sinergia di progetti relativi al Piano carceri, su cui l’amministrazione Gasbarra sta lavorando da tempo".

"Gli enti locali, - aggiunge inoltre l’assessore - devono collaborare su questo progetto, ci stiamo avviando in fase di attuazione ed è necessario cercare di non sovrapporre ulteriori iniziative che appesantiscano la già avviata progettualità istituzionale rischiando così di vanificare un lavoro importante per affrontare fattivamente e positivamente le problematiche della vita in carcere". "La Giunta Gasbarra - conclude la Malaspina - ritiene quindi importante rilanciare il lavoro svolto con il Comune di Roma per la stesura del Piano carceri, perché i detenuti aspettano risposte concrete e non l’ennesima commissione".

Roma, Nieri: Regione recuperi controllo sanitario su carceri

 

Adnkronos, 24 agosto 2004

 

"La Regione Lazio deve prendere in mano la situazione e recuperare il controllo sanitario sulle carceri che le compete in base alla riforma Bindi, che assegna all'ente regionale competenze esclusive per la medicina preventiva e le tossicodipendenze".

È quanto affermato dall'assessore capitolino per le Politiche per le periferie Luigi Nieri, al termine di una visita al carcere di Rebibbia insieme ai consiglieri regionali dei Ds e della Margherita Loredana Mezzabotta e Giovanni Hermanin. Al termine della visita la delegazione ha lamentato una condizione di sovraffollamento dell’Istituto penitenziario con situazioni "di estremo disagio" per quanto riguarda i tossicodipendenti e le ragazze-madri.

Roma, Bonadonna (Prc Lazio): urgente commissione speciale

 

Adnkronos, 24 agosto 2004

 

Una Commissione speciale per monitorare i problemi delle carceri rappresenta il punto di partenza per porre la condizione dei detenuti nella Regione Lazio al centro dell’agenda politica. Lo sostiene il capogruppo del Prc alla Regione Lazio, Salvatore Bonadonna, il quale ricorda che il Consiglio regionale del Lazio, su proposta del gruppo di Rifondazione Comunista, nel giugno 2001 aveva approvato all’unanimità una mozione che riteneva necessario e urgente istituire una Commissione speciale per i problemi carcerari.

Roma, Capogrossi (Cigl): non bloccare piano preesistente

 

Adnkronos, 24 agosto 2004

 

"Poiché già esiste un Piano Carceri triennale sul quale si sta lavorando ritengo che si debba proseguire in questa direzione". È quanto afferma Capogrossi Gervaio, della Cigl Roma e Lazio, a commento dell'incontro avvenuto ieri tra l’assessore capitolino Luigi Nieri, alcuni consiglieri regionali, il direttore della casa circondariale di Regina Coeli e i rappresentanti dei detenuti nel corso del quale è stata avanzata l’ipotesi di istituire una commissione permanente Comune-Regione con il compito di affrontare le problematiche dei detenuti.

 

 

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