Rassegna stampa 21 agosto

 

Il Pacchetto Sicurezza e le responsabilità del centrosinistra

 

Il Manifesto, 21 agosto 2004

 

La proposta di amnistia avanzata dall’Udc è stata respinta con toni sdegnosi dai capigruppo dei principali partiti d’opposizione, onorevole Luciano Violante, Ds, onorevole Pierluigi Castagnetti, Margherita. Non vogliono sentirne parlare perché "le amnistie non hanno mai risolto il problema" (il diessino), e perché "noi non partecipiamo alla sagra delle chiacchiere" (il margheritino). Difficile dire se Violante abbia ragione o torto. Quel che invece si può affermare con triste certezza è che il suo partito, come quello di Castagnetti, hanno fatto il possibile per peggiorare e rendere pressoché irresolubile il problema.

Le patrie galere non sono mai state un posto civile, ma l’attuale abominio deriva in buona parte da una legge, certamente "di destra" nello spirito e nella lettera, ma varata nel 1999 da un governo di sinistra, quello guidato da Massimo D’Alema, "il primo ex comunista salito a palazzo Chigi". Tra le altre audaci innovazioni, quello che venne allora definito "pacchetto sicurezza" si distingueva per la trasformazione aggravante di alcune fattispecie di reato. Lo scippo veniva equiparato senza mezzi termini alla rapina, il furto passava da reato contro il patrimonio a reato contro la persona: in entrambi i casi con cospicuo aumento di pena. Il pacchetto consentiva inoltre di disporre con maggiore facilità la oggi assai discussa, e a ragion veduta, custodia cautelare.

A chi gli faceva notare che una legge simile avrebbe riempito, in assenza di una reale emergenza, carceri già stracolme, il premier ex Pci rispose con il suo peculiare tono di superiorità e sufficienza Se la prese in particolare con la ministra degli interni Rosa Russo Jervolino, colpevole di aver segnalato in sede di consiglio dei ministri, dati e statistiche alla mano, che in Italia non c’erano "aumenti significativi della criminalità". La replica è passata alla storia, per la sua rara capacità di rivelare per intero il cinismo di una classe politica già allora squalificata: "Saranno pure diminuiti gli omicidi, ma uno scippo a Milano crea più allarme sociale di parecchi omicidi in Sicilia". Il conto alla ministra rompiscatole venne presentato qualche mese dopo, quando fu sostituita dall’eccezionale Enzo Bianco, quello che, a Napoli, anticipò lo scempio del G8 di Genova, con tanto di pestaggi inauditi e torture vergognose.

La campagna sulla sicurezza e l’"emergenza microcriminalità" portarono acqua, come era ovvio per tutti tranne che per i leader del centrosinistra, solo al mulino della destra. Nel centrosinistra non mancarono voci scellerate, già allora rigorosamente anonime, che gongolavano perché il nuovo governo di centrodestra si sarebbe trovato fra le mani, con le carceri vicine al punto di esplosione, una bella bomba.

È in questa situazione che, nell’estate 2002, prese le mosse la farsa passata alla storia come "indultino". All’origine c’era la proposta Pisapia-Buemi di un alleggerimento condizionato di due anni per chi avesse già scontato metà della pena. In stretta coerenza con la campagna emergenziale sulla sicurezza messa in scena prima delle elezioni, la legge non piacque né al centrodestra né al centrosinistra. Bocciarla però appariva disdicevole, soprattutto visto lo schieramento a favore del provvedimento del papa, che arrivò a parlarne nell’aula di Montecitorio, nel dicembre 2002.

I poli, mai prima e mai in seguito così omogenei, si produssero di conseguenza in un turpe gioco delle parti. Il centrosinistra propose e/o accettò una seri di paletti che miravano a vanificare il più possibile l’aborrita legge. Forza Italia finse un gioco al rilancio e propose di passare direttamente all’amnistia, con il non celato obiettivo di salvare la faccia agli occhi del pontefice ma allo stesso tempo di silurare un provvedimento che minacciava di rovinare l’immagine forcaiola che in Italia tutti, a torto o a ragione, sono convinti si traduca in centinaia di migliaia di voti sonanti. E altro non gli interessa.

Alla fine, dopo un anno e passa di estenuanti tira e molla, il cosiddetto indultino fu approvato, ma in forma estremamente limitata. Anche così permise la liberazione di circa 5.600 detenuti. Un passo avanti, ma del tutto insufficiente anche solo per iniziare ad affrontare il problema delle condizioni di vita nelle carceri.

Un’amnistia, la prima dopo 14 anni (e ce n’erano state 20 tra il 1946 e il 1990), probabilmente non sarebbe risolutiva. Ma certo darebbe una mano. In ogni caso, sarebbe il segnale di un’inversione di tendenza. Ai Ds e alla Margherita però non interessa. Sono troppo occupati a rendere il problema sempre più grave, sperando di incassare in cambio una manciata di voti.

L'Udc rilancia l’amnistia e la Cdl si spacca di nuovo

 

Repubblica, 21 agosto 2004

 

Basta una semplice parola per far dimenticare il clima di vacanze e riaccendere i malumori e le divisioni all’interno della Casa delle libertà. La parola è "amnistia". La pronuncia in tarda mattinata il centrista Luca Volontè dopo il dibattito sui disagi nelle carceri che sta imperversando da giorni. E subito si leva un coro di no che istituisce l’alleanza Lega-An contro l’Udc. Ma contemporaneamente si stabilisce un ponte Forza Italia - Nuovo Psi che si schiera con i centristi.

"È necessario - è il ragionamento di Volontè - approfondire il tema di una possibile amnistia a partire dalla condivisione che ci fu dopo le parole del Santo Padre a Montecitorio".

E poi: "È ora che il Parlamento, assieme al tema della situazione logistica delle carceri e al dettato costituzionale che prevede nella detenzione un’occasione di recupero dell’individuo, approfondisca anche il tema di una possibile amnistia".

La prima reazione è quasi in tempo reale e viene da Alleanza nazionale, che ribadisce la sua immagine di partito della fermezza. "Mi sembra una boutade d’agosto - dice il coordinatore del partito Ignazio La Russa - Sull’argomento tutte le proposte sono valide ma ne parleremo con calma a settembre... Non intendo partecipare a dibattiti agostani su boutade".

E a sgomberare il campo da equivoci ci pensa il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri: "Sono assolutamente contrario all’amnistia: lo ero prima, continuo ad esserlo perché la ritengo una tesi profondamente sbagliata. Una cosa è umanizzare le pene, rivedere la carcerazione preventiva contro gli abusi, altro è aprire le carceri a chi ha avuto condanne".

Anche la Lega ribadisce la sua posizione dura sul provvedimento di clemenza con la responsabile giustizia del partito, Carolina Lussana, che osserva tra l’altro: "Per varare questo provvedimento ci vogliono i 2/3 in Parlamento e credo che oggi non ci siano le condizioni politiche". "Siamo contrari all’amnistia - dice ancora Lussana - abbiamo forti perplessità. Il problema delle carceri esiste e riemerge nel periodo estivo, però provvedimenti di questo tipo non risolvono il problema alla radice".

Fin qui i contrari. Favorevole è invece il presidente della commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella di Forza Italia: "L’amnistia è un intervento doloroso ma senza alternative. È come se ci fosse la peste. Non si può essere a favore o contro. L’amnistia e l’indulto sono ad oggi le uniche strade percorribili per risolvere il problema del sovraffollamento".

Anche il vicesegretario del Nuovo Psi Bobo Craxi è favorevole. La scelta dell’amnistia, dice, "metterebbe alla prova la capacità e la forza garantista del Parlamento e sarebbe un modo per voltare pagina e rilanciare nuove regole, con un forte consenso fra magistratura e Parlamento".

Perplessa l’opposizione. "Su questi temi vanno evitate le boutade di Ferragosto", dice il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. E Gianfranco Pagliarulo dei Comunisti italiani: "O si parla sul serio di un provvedimento di clemenza o è meglio tacere. Non si può dare una speranza a decine di migliaia di detenuti e poi affondarla come il titanic sotto i colpi di An e Lega".

Il Papa a Montecitorio chiese un "gesto di clemenza"...

 

Gazzetta del Sud, 21 agosto 2004

 

Le parole del Papa sulla clemenza nei confronti dei detenuti, ricordate dal capogruppo dell’Udc alla Camera Luca Volontè affrontando il tema di una possibile amnistia, risuonarono nell’aula di Montecitorio il 14 novembre 2002, in occasione della prima, storica visita di un Pontefice. Di fronte al Parlamento il Papa rilanciò la sua richiesta che aveva formulato a tutti i paesi del mondo in occasione del giubileo del 2000.

Questo è il passaggio, nel discorso di Giovanni Paolo II, dedicato alla situazione delle carceri: "È grande, quindi, il bisogno di una solidarietà spontanea e capillare, alla quale la Chiesa è con ogni impegno protesa a dare di cuore il proprio contributo. Tale solidarietà, tuttavia, non può non contare soprattutto sulla costante sollecitudine delle pubbliche Istituzioni.

In questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società".

Nei commenti politici all’intervento papale, il fronte a favore della clemenza, maggioritario, era guidato dal presidente del Consiglio: "Dal mio punto di vista e di quello della mia forza politica - disse Silvio Berlusconi - c’è sempre stata una grande apertura in tal senso, anche in considerazione del sovraffollamento delle carceri".

Il ministro della Giustizia Roberto Castelli disse di condividere le parole del Papa da cristiano, ma ricordò di dover tenere conto di altre ragioni "da ministro". Concluse che era comunque il Parlamento a dover decidere. Voce fuori dal coro fu quella del sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano: "Il seguito coerente alle parole del Papa sul sovraffollamento delle carceri – disse – è di varare un piano straordinario di investimento nel settore penitenziario, dall’edilizia al personale". Amnistia e indulto sono provvedimenti di clemenza previsti dalla Costituzione.

L’amnistia estingue il reato. Può essere applicata prima che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna (amnistia propria) oppure successivamente alla condanna stessa (amnistia impropria). Il codice penale prevede espressamente la possibilità che l’amnistia possa essere sottoposta a condizioni ed obblighi. Diversamente dalla grazia, concessa al singolo dal presidente della Repubblica, l’indulto e l’amnistia sono deliberati dal Parlamento. Dal 1992 è prevista una maggioranza qualificata molto alta (due terzi).

L’ultima amnistia risale al 1990. Un anno fa, fu concesso il cosiddetto "indultino", che in realtà è uno sconto di pena di due anni. L’indulto - insieme con la grazia, che è un provvedimento individuale, specifico, cioè, per una sola persona - "condona in tutto o in parte la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna". L’indultino - è uno sconto di due anni di carcere per chi ha già trascorso dietro le sbarre almeno metà della pena, cioè una sospensione condizionata della parte finale della pena.

Lo "sconto" può essere concesso una sola volta ma non riguarda chi è stato condannato per reati particolarmente gravi come mafia, terrorismo, omicidio, contrabbando, traffico di stupefacenti, sequestro di persona, rapina aggravata, violenza sessuale, pedofilia; riduzione in schiavitù, turismo sessuale. Esclusi anche i delinquenti abituali, professionali o per tendenza. L’amnistia, prevista dall’art. 151 del codice penale, "estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie". Può essere generale (cioè riferita a tutti i reati punibili con una pena detentiva non superiore ad un certo numero di anni) o particolare se comprende solo alcune categorie di reati (ad esempio delitti commessi in occasione di manifestazioni). L’amnistia non si applica ai recidivi, ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza "salvo che il decreto disponga diversamente".

Tinebra: "Privatizzazioni? Sì, ma solo per i servizi interni"

 

Corriere della Sera, 21 agosto 2004

 

Sovraffollamento? "Certo che esiste il problema, ma non nasce sicuramente oggi". Al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sembrano sorpresi per le polemiche di questi giorni. Nessuno è disposto a intervenire sulle valutazioni politiche, comprese quelle in tema di amnistia, "ma sui numeri c’è poco da discutere". Assodato che le carceri italiane sono troppo affollate "non si può certo dire che non venga fatto nulla".

"Abbiamo un vasto programma di ammodernamento e dismissioni - conferma il direttore del Dap Giovanni Tinebra - che nasce dalla precisa volontà di affrontare il problema". Progetti su tutto il territorio nazionale che riguardano anche Regina Coeli, il cui edificio potrebbe essere venduto "se venisse fatta un’offerta economicamente adeguata (il prezzo sarebbe altissimo) per realizzare un altro penitenziario alla periferia della Capitale", continua Tinebra.

E comunque, anche nelle condizioni attuali, quella romana è considerata una delle strutture in cui si è fatto di più. "Regina Coeli l’abbiamo rifatto quasi tutto - affermano al Dap -.

L’unica parte da completare è proprio la quarta sezione, che al più presto sarà chiusa per gli ultimi lavori". Insomma, a giudizio dei responsabili dell’amministrazione penitenziaria, il carcere romano non sarebbe il peggio in tema di vivibilità e se qualche problema di affollamento continua ad esistere sarebbe piuttosto il frutto delle pressioni che vengono dagli stessi detenuti romani, che in genere non gradiscono essere trasferiti in altre carceri per avere modo di incontrare più facilmente i familiari. Negli ambienti carcerari trasferire un romano da Regina Coeli è interpretato come un’autentica punizione.

I problemi più seri sarebbero invece altrove, soprattutto nel Sud Italia e in Sardegna, dove ci sono strutture fatiscenti che dovrebbero essere al più presto chiuse. "Abbiamo un piano di interventi che riguarda 23 carceri - afferma Tinebra -. In Sicilia, per esempio, saranno chiusi Piazza Lanza a Catania, le carceri di Sciacca e Mistretta. Altri quattro saranno chiusi in Sardegna".

Nella geografia della vivibilità il Dap ha individuato tre fasce. Nella prima ci sono 60/70 carceri in ottimo stato, una fascia media in condizioni discrete che ne comprende 100/110 e in fondo alla lista ci sono 30 strutture da smantellare.

I programmi di intervento riguardano 23 di questi 30 istituti di pena. "Ci sono già i finanziamenti pubblici per 8-9 carceri, una legge del 2002 che ci consente di fare due istituti col leasing a Varese e Pordenone e un padiglione a Bollate che da solo vale un intero carcere perché ospiterà 500 persone. È poi prevista la costruzione di 11 carceri con il ricavato della vendita dei penitenziari dismessi, grazie alla società Dike Aedifica, costituita ad hoc. Questi sono gli interventi programmati, ma non è detto che di volta in volta non si possa operare anche altrove".

Quanto alla possibilità di privatizzare le carceri italiane qualcosa in effetti si muove, ma non certo sul modello americano dove i privati gestiscono anche i detenuti. "Quel modello non è neanche proponibile - taglia corto Tinebra - è invece possibile privatizzare alcuni servizi come mensa, lavanderia, luce, manutenzione. Ma non la sicurezza e il trattamento dei carcerati. Con questi paletti, però, la privatizzazione sarebbe antieconomica: limitandosi alla gestione di alcuni servizi, infatti, nessuno avrebbe un ritorno economico nel costruire e gestire un carcere. Perciò sono molto scettico. Ci sono anche problemi di natura contabile. Comunque quella della privatizzazione è una strada che non va chiusa del tutto: la Costituzione ci dà il compito di gestire sicurezza e trattamento. Del resto si può parlare".

In ogni caso anche nelle condizioni attuali, precisa Tinebra, il sovraffollamento non significa di per sé cattivo trattamento. C’è solo una questione di limitazione degli spazi, ma tutti gli altri servizi ai detenuti sono attivi. Non dobbiamo dimenticare che la condizione del carcere è per sua natura una condizione di disagio. Anche qui non confondiamo la sofferenza dovuta alla reclusione con la sofferenza dovuta al degrado dell’ambiente".

Roma: Nieri e Manconi fermati malgrado i permessi

 

Corriere della Sera, 21 agosto 2004

 

Il magistrato di sorveglianza e il direttore di Regina Coeli avevano autorizzato l’ingresso in carcere della delegazione bloccata due giorni fa all’ingresso del penitenziario romano. L’ordine di bloccare Luigi Manconi (garante dei detenuti), Luigi Nieri (assessore capitolino) e Patrizio Gonnella (associazione Antigone) è dunque stato preso a un altro livello, sostengono i diretti interessati: "Qualora si sia trattato di una decisione politica assunta dal ministero della Giustizia ci sembrerebbe corretto che il Guardasigilli ci fornisse una spiegazione. Non vorremmo dover pensare che si sia voluto impedire l’accesso per ostacolare la conoscenza di quanto successo a Regina Coeli".

A poco più di 24 ore dalla mancata visita a Regina Coeli della delegazione capitolina durante la manifestazione dei detenuti, scoppia il giallo dell’autorizzazione. Per i disordini di martedì nel carcere di via della Lungara saranno indagati 9 detenuti (i loro nomi sono citati dal rapporto della polizia penitenziaria alla Procura), mentre in 47 sono stati già trasferiti in altre carceri laziali. Per l’assessore capitolino alle Periferie Luigi Nieri e il garante comunale per i diritti dei detenuti Luigi Manconi, il documento che avrebbe permesso alla delegazione (composta anche da Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone) di entrare era arrivato in tempo, ma sarebbe stato "nascosto". Mentre il direttore del carcere, Mauro Mariani, se la prende con i "tempi tecnici" e la giornata "difficile", sull’ingresso negato non si placano le polemiche. In una dichiarazione congiunta, Nieri e Manconi lanciano pesanti accuse: "Il magistrato di sorveglianza era d’accordo a farci entrare, la sua autorizzazione era arrivata in tempo. Ci chiediamo chi abbia deciso per il no, quando avevamo detto di essere pronti ad aspettare". E aggiungono: "Qualora si tratti di una decisione politica del ministro della Giustizia, ci sembrerebbe corretto ricevere da lui una spiegazione. Non vorremmo dover pensare che si voglia impedire l’accesso a Regina Coeli per ostacolare la conoscenza di quanto successo".

Ribatte e minimizza il direttore Mariani: "Ma quali ostacoli, il problema è che in giornate difficili come quelle che stiamo vivendo non si può fermare tutto per fare entrare dei visitatori". E spiega di essersi attivato per ottenere l’autorizzazione per gli inviati capitolini: "In genere questo tipo di visite richiedono un preavviso di 15-20 giorni. Stavolta è stata richiesta solo poche ore prima - aggiunge -. Mi è arrivata comprensibilmente tardi, quando erano tutti andati via. In più intorno alle 11.30 sono stato chiamato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per una riunione urgente. E poi sapevo che alle 15 sarebbe iniziata la battitura dei ferri in carcere: i tempi erano strettissimi". Tanto più che secondo Mariani non si trattava di parlamentari, cui per legge l’ingresso in carcere è sempre consentito: "Personalmente, mi chiedo perché non estendere tali benefici anche ai consiglieri comunali e regionali, ma le leggi sono queste e io devo farle rispettare".

Intanto anche ieri dalle 15 alle 16.30, i 190 detenuti della terza sezione hanno protestato battendo oggetti metallici su pentole, grate e inferriate. Ma la situazione all’interno del carcere è tranquilla.

Dike Aedifica Spa: undici ex penitenziari già sul mercato

 

Corriere della Sera, 21 agosto 2004

 

Viste da dentro, le carceri possono assomigliare a un inferno: "Altro che standard europei e capienza regolamentare. A Brescia, in una cella di 11 metri quadrati io ho convissuto per 10 mesi con altre 5 persone", racconta al Corriere R. C., 58 anni, condannato per bancarotta e ora affidato ai servizi sociali esterni. Viste dall’esterno, però, le vecchie carceri italiane possono anche essere considerate "gioielli di famiglia" dallo Stato che sta per vendere ai privati 80 istituti dismessi con la speranza di incassare 560 milioni di euro.

I pezzi più pregiati sono Regina Coeli e San Vittore: due complessi monumentali che, una volta liberati dai detenuti, faranno incassare centinaia di milioni di euro ciascuno alla società Dike Aedifica Spa controllata al 95 per cento dal Tesoro e presieduta dal rettore della Luiss Adriano De Maio. Ma questo riguarda il prossimo futuro, mentre l’argenteria di famiglia è già stata ceduta a questa società per azioni presentata dal ministro Roberto Castelli il 3 luglio del 2003: da un paio di mesi, infatti, 11 penitenziari già liberati dai carcerati non sono più nella disponibilità del Demanio. Si tratta di "edifici di valore storico collocati nei centri urbani", che Dike Aedifica sta per vendere ai privati o agli enti locali. Lo Stato, dunque, farà cassa (150 milioni di euro, la prima tranche) con le carceri di Casale Monferrato, Novi Ligure, Mondovì, Clusone, Ferrara, Frosinone, Avigliano, Velletri, Pinerolo, Susa e Verona.

Una seconda lista è già pronta e conterrebbe i nomi di altri 69 "penitenziari non utilizzati e di proprietà del Demanio". Dai complessi di Procida e di Pianosa, passando per le vecchie carceri di molti capoluoghi di provincia: "Il sollievo per le casse dello Stato sarà pari a 560 milioni di euro", ha spiegato il ministro Castelli rispondendo a un’interrogazione del verde Paolo Cento.

In quell’occasione il Guardasigilli si è dovuto difendere dalle accuse lanciate dall’opposizione: "Non esiste alcuna ipotesi di privatizzazione mascherata né, tanto meno, di spericolate speculazioni immobiliari. È poi inesatto che con Dike Aedifica si avvia la vendita di carceri come Regina Coeli e San Vittore, istituti funzionanti con migliaia di detenuti".

E ancora due giorni fa il ministro è corso a correggere il sottosegretario Giuseppe Valentino (An) che aveva indugiato un po’ troppo sul tema della privatizzazione delle carceri. Il progetto del governo, infatti, prevede uno schema più articolato: con i 560 milioni di euro incassati dalla probabile vendita dei vecchi istituti, Dike Aedifica Spa potrà attivare i mutui finanziari per la costruzione di nuove carceri.

In altre parole lo Stato vende vecchi palazzi, incassa e sposta i detenuti in nuovi istituti presi in leasing: all’inizio si risparmia perché si paga solo un canone mensile (spesa corrente) ma è pure vero che si rinvia di 10 anni l’impegno finanziario (spesa per investimenti) per riscattare il bene immobile. E molti si chiedono quale sarà il destino dei detenuti se lo Stato, tra 10 anni, deciderà di non acquistare gli istituti costruiti con il ricorso al leasing.

Cento, il maratoneta delle prigioni: ne visito 30 all’anno

 

Corriere della Sera, 21 agosto 2004

 

Paolo Cento, deputato Verde, entra ed esce di prigione almeno due volte al mese. "Ho cominciato nel 1995 - racconta - come consigliere regionale. Dal’96 faccio parte della commissione Giustizia alla Camera. Da allora non ho mai smesso di fare visita ai detenuti. Lo considero un mio diritto, ma soprattutto un dovere". Sempre di corsa, con la sua aria trafelata da politico di strada, Paolo Cento, il globetrotter delle prigioni, elenca a raffica: "Milano, Sulmona, Padova, Larino, Novara, Bologna, sono stato in tutte le prigioni, almeno 30 visite all’anno.

A Napoli ho visto dieci persone nelle celle da due. Io credo che dovrebbero essere aperte al pubblico. Tutti dovrebbero capire cosa significa. Il carcere di Parma solo a vederlo ti senti male, è fatto a cubi di cemento. Ad agosto nelle prigioni non si respira: il caldo soffocante, l’ora d’aria in un quadrato chiuso, magari con il sole a picco. È anche per questo che scoppiano le rivolte. Oppure a Natale, quando si sente più forte la mancanza dei familiari e il detenuto deve lottare contro la lentezza umiliante della burocrazia per ottenere un permesso di visita".

Paolo Cento, il carcere lo vive dall’interno: "È impossibile non essere coinvolti. Penso soprattutto agli agenti di polizia penitenziaria, che fanno sforzi sovrumani per sopperire alle carenze del sistema. Apparentemente sono liberi cittadini, ma condividono coi detenuti il dramma umano prodotto da questa situazione bestiale".

Racconta nei dettagli: "Prendiamo Rebibbia, che viene considerato un carcere modello. Bene, per carenza di personale pranzo e cena vengono portati insieme, una volta al giorno. E fosse questo il problema. Andate al femminile, al G11 e al G8. Troverete celle sovraffollate dove il lavandino viene usato per cucinare e accanto, a una spanna, c’è la tazza per le funzioni corporali. Ci sono i malati di Aids, che escono di prigione nella bara, o quando hanno pochi giorni di vita, mentre una legge, per cui mi sono battuto a lungo, ha reso incompatibile la permanenza in carcere con lo stato avanzato di questa malattia".

"Prendiamo un altro carcere romano, Regina Coeli - prosegue a spada tratta -. Ci sono andato il 6 agosto per controllare la condizione di due anarchici che facevano lo sciopero della fame. Sono passato dal reparto massima sicurezza del femminile e mi sono venuti incontro tre bambini bellissimi. "Signore fai piano - mi hanno detto - se no arrivano le guardie".

Quei bambini avevano meno di tre anni e in questi casi, per le madri, la legge consente la sospensione della pena. Perché vengono cresciuti in carcere? Castelli dovrebbe capire che questi sono i problemi da risolvere. Il carcere deve essere più umano, deve preparare i detenuti a reintegrarsi nella vita civile. Un carcere più umano non ha bisogno di ricorrere ai permessi come unica valvola di sfogo. Quindi aumenta la certezza della pena, anche se poi la storia del detenuto che esce dal carcere in permesso speciale per fare la rapina riguarda l’uno per cento della popolazione carceraria".

Paolo Cento e il ministro Castelli sono da tempo ai ferri corti. "Ci ha accusati di essere "cattivi maestri" e di fomentare la rivolta. È vero il contrario. Con le nostre visite in carcere noi diamo al detenuto una possibilità di sentire il rapporto con le istituzioni. Esigua, ma è uno spiraglio, una speranza che la tua voce, da quell’inferno, possa essere ascoltata. Castelli dovrebbe capire che le rivolte scoppiano come "legittima difesa" di fronte all’incapacità del Parlamento di risolvere il problema".

Paolo Cento conclude con un avvertimento: "Il carcere va riformato subito, ma intanto bisogna svuotarlo, liberando i detenuti per reati minori. Attenzione però. In questi giorni si è tornato a parlare d’indulto e amnistia. Meglio stare zitti, se poi in Parlamento non siamo in grado di ottenere il risultato. Aprire la porta alla speranza e poi chiuderla di colpo è come accendersi la sigaretta dentro a una polveriera".

Lettera aperta di Capezzone (Radicali Italiani) a Castelli...

 

Libero, 21 agosto 2004

 

No, signor Ministro, non ci siamo proprio, e Le confermo che dovrà rispondere anche dinanzi alla cosiddetta "giustizia" italiana delle Sue affermazioni calunniose. Certo, io non sono convinto che tutti coloro che si trovano in carcere siano delle "figlie di Maria". Ma constato che un terzo dei detenuti sono in attesa di giudizio (sono cioè da considerare innocenti); e aggiungo che, anche per chi una condanna l’ha già subita, un conto è pagare un giusto prezzo, altra cosa è farlo in una specie di inferno, con celle di tre-metri-per-tre in cui sono stipate come bestie otto persone, con il cesso alla turca nello stesso metro quadro dove si mangia, e con la prospettiva di una sola doccia a settimana.

Per questo sono rimasto sorpreso e addolorato per le Sue accuse. Delle due l’una, infatti. Se Lei parla della visita a Regina Coeli di sabato scorso (70 minuti per raccogliere firme sul referendum sulla fecondazione assistita), è quanto meno vittima di un abbaglio. Da 30 anni, i radicali sono nelle carceri, al fianco di detenuti, agenti e direttori, che con tanta responsabilità fronteggiano una situazione esplosiva. Nelle carceri, Pannella e i radicali hanno curato e curano il fiore delicato del dialogo e della nonviolenza, fino a pagine commoventi, come quella -due estati fa- di migliaia di detenuti di 26 diversi paesi che affiancarono Pannella in un lungo sciopero. Lo ripeto, signor Ministro: anche cittadini extracomunitari, che digiunarono con Marco per il plenum di Consulta e Camera dei Deputati. Forse non erano interessati all’una o all’altra sottigliezza giuridica, ma -certo- non comprendevano il senso della loro pena, se poi lo Stato che gliela infliggeva era il primo a violare le cosiddette "regole supreme". E allora, che senso ha la Sua accusa? Lo sa, piuttosto, quante volte proprio la presenza radicale è stata decisiva per governare situazioni esplosive nelle nostre galere?

Se invece, signor Ministro, Lei avesse inteso riferirsi al dossier radicale sulla situazione carceraria, non resterebbe altro che pensare al colpo di sole. Ma come? Le carceri scoppiano, emerge il dramma dei suicidi, e il Ministro -anziché provare a porre rimedio a una realtà malgovernata (in primo luogo da altri) per decenni- se la prende con chi la fa conoscere e cerca di mettere anche il suo Ministero in condizione di funzionare meglio?

Leggo poi, in un’altra Sua dichiarazione, che i radicali si occuperebbero di queste cose solo ad agosto. Non Le sto a riassumere 30 anni di storia, ma -per stare solo al passato più recente- Le ricordo che l’anno scorso, io stesso, con Rita Bernardini e Sergio D’Elia, mi sono fatto 53 giorni di sciopero della fame (che non è la cosa più divertente del mondo…) per chiedere alle Camere di decidere (con un sì o un no) sul tema dell’indulto.

E aggiungevamo che un eventuale provvedimento serio avrebbe garantito solo 7/8 mesi di "ossigeno" (utili ad impostare riforme strutturali), e che, se non si fosse fatto tesoro di quella finestra temporale, tutto sarebbe ritornato alla situazione di partenza. E invece, prima si è spolpato l’indulto, riducendolo a "indultino", e poi non si è fatto nient’altro. E ora, per sovrammercato, ci si preparerebbe addirittura a peggiorare la situazione. Lo sa cosa accadrebbe se venisse approvata la legge-Fini sulla droga, con l’alternativa "carcere o San Patrignano" per chiunque venga trovato con sette-otto spinelli? Quante altre galere bisognerebbe costruire? Si trasferirà la competenza al Ministro Lunardi, quello delle "grandi opere"? Scherzo, signor Ministro, ma siamo di fronte a un dramma.

E allora, chiudo con una comunicazione e una proposta. La notizia è che riteniamo giusto rispondere a comportamenti che ci paiono prepotenti con un sovrappiù di dialogo. Per questo, ieri, proprio davanti a Regina Coeli, abbiamo lanciato per domenica la proposta di una giornata di "nonviolenza e referendum". Chiederemo ai detenuti, alle guardie e ai direttori di dare vita con noi, se lo vorranno, a un giorno di sciopero della fame per sostenere con la nonviolenza le loro richieste; e contemporaneamente chiederemo al Ministero di consentire ai detenuti che lo vorranno di firmare il referendum sulla fecondazione, dando seguito ad una lunga tradizione di sostegno dalle carceri alle grandi battaglie civili. Può essere una bella giornata di legalità e di impegno civile, senza disordini e con il recupero di quei diritti di cittadinanza umiliati dalle condizioni di detenzione.

Infine, la proposta. Ci sta a farsi - sia Lei che io - qualche giorno di carcere, tanto per capire di cosa stiamo parlando? Ripeto: qualche giorno in quelle celle, e in quelle condizioni igieniche. Un anno fa, Lei evocò gli alberghi di lusso per descrivere le nostre galere. Ecco, io Le propongo di trascorrere entrambi qualche giorno in uno degli hotel della "catena alberghiera". E poi, se crede, riparliamo insieme di tutto.

Capezzone: il ministro ha preso un colpo di sole

 

La Stampa, 21 agosto 2004

 

Annuncia di voler denunciare per calunnia il ministro Castelli, sostiene che è stato vittima di un "colpo di sole", chiede al governo di intervenire per far cessare "l’illegalità" praticata nelle carceri italiane. Daniele Capezzone, segretario del partito radicale, più che indignato appare stupito dall’attacco del Guardasigilli e non ci sta a sentirsi sotto accusa come fomentatore di rivolte. Lui che l’anno scorso ha rifiutato il cibo per 53 giorni per far varare l’"indultino", lui che della "non violenza" ha fatto una regola di vita, lui che chiede alla Casa delle libertà un "contratto" per avviare un azione comune di governo.

 

Capezzone, cosa avete fatto nel carcere romano, il 14 agosto scorso?

"Guardi, siamo rimasti settanta minuti. Eravamo in tre: io, Rita Bernardini e Antonio Grippo. Ci hanno dato due stanzette, prima al terzo e poi al quarto braccio e abbiamo solo raccolto firme al referendum sulla fecondazione assistita. C’è una tradizione lunghissima di detenuti, dotati dei diritti civili e politici, che firmano per i referendum radicali, come d’altra parte da anni noi ci occupiamo della situazione nelle carceri. È stato soltanto un saluto simbolico".

 

Cosa avete trovato?

"Una situazione difficilissima. Ma non era una visita ispettiva, in questo momento noi non siamo parlamentari: abbiamo avuto appena il tempo di prendere i dati personali di chi ha firmato. Punto e basta".

 

Avete colto avvisaglie di protesta?

"Si sa che a Regina Coeli il clima è delicatissimo, non l’abbiamo scoperto noi il 14 agosto. È da tempo che presentiamo dossier che dovrebbero aiutare il ministro Castelli...".

 

Aiutare? E invece lui vi accusa.

"Delle due l’una: se il ministro si riferisce alla nostra visita a Regina Coeli, è un colpo di sole. I radicali visitano le carceri da trent’anni, curando la pianta della non violenza, con detenuti che partecipano a scioperi della fame. Forse Castelli ci confonde con i ranger padani e con le loro ronde. Se il Guardasigilli si riferisce al dossier che abbiamo presentato il giorno prima, sono ancora più stupito. Di fronte alla denuncia di suicidi, sovraffollamento, tensione esplosiva nelle celle, il ministro invece di porre mano a tutto questo se la prende con chi descrive una realtà difficile?".

 

Si è dato una risposta al suo quesito?

"Mi pare che il ministro abbia perso la testa e cerchi una provocazione che non raccogliamo. Anzi, lo denunceremo: così dovrà rispondere delle affermazioni calunniose che ci rivolge. Si dovrebbe ricordare che dodici mesi fa tre radicali, cioè io, Rita Bernardini e Sergio D’Elia, abbiamo fatto 53 giorni per l’indultino. Avevamo detto che quella "finestra", che ha liberato 5-6 mila detenuti, avrebbe dato soltanto sei mesi di tempo per affrontare riforme strutturali. Altrimenti l’estate successiva sì sarebbero ripresentati stessi problemi: è quanto è successo".

 

La situazione è peggiorata, in questi ultimi mesi?

"Da tempo sappiamo che su 56 mila detenuti, almeno 49 mila si trovano in una situazione tecnicamente illegale di detenzione. Se passa la legge Fini sulla droga, che porta un ragazzo in galera dopo sette spinelli, a meno che accetti di andare a San Patrignano, allora delle carceri si dovrà occupare Lunardi e non Castelli: le uniche grandi opere da fare saranno le galere".

 

A Castelli, cosa manda a dire?

"Lui ha sostenuto l’anno scorso che le carceri sono come alberghi a quattro stelle: gli propongo di farsi una settimana in cella, dove si troverà a stare con altre sette od otto persone in tre metri per tre, con cesso alla turca dove si mangia e una doccia ogni sette giorni. Poi ci vediamo se conferma il paragone".

 

Scusi Capezzone, come fa Pannella a parlare di ingresso al governo, visto che con la Cdl siete a questo punto?

"Intanto, Pannella non ha mai parlato di entrare al governo. E poi, sui temi libertari lo scontro è tra noi e il Polo, non con il centrosinistra, che non si capisce bene cosa voglia. Su questo non arretriamo. Detto questo, siamo disposti a ragionare di un contratto politico, su giustizia, su politica internazionale e su altri temi. Un pò come quello che facemmo nel’92 con il governo Amato. Ma deve saltare la "conventio ad escludendum" del Polo verso i radicali: c’è la buona volontà di Gasparri e Bondi, ora si deve passare a fatti compiuti".

L’Udc rilancia l'amnistia ma subito arriva il no di An e Lega

 

Corriere della Sera, 21 agosto 2004

 

Prima il suicidio in cella. Poi la rivolta nel carcere di Regina Coeli. Quindi le accuse del ministro alle visite ai detenuti di "determinati personaggi" politici. Dalle polemiche in crescendo, che hanno sollevato perplessità in Vaticano dove recarsi a trovare i carcerati è un dovere come dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, ieri è rinato il dibattito sull’amnistia. A rilanciare la proposta di una misura che cancella il reato, a differenza dell’indulto che estingue la pena, è stato Luca Volontè (Udc). Citando la visita del Papa a Montecitorio, il capogruppo centrista alla Camera ha detto: "È necessario approfondire il tema di una possibile amnistia".

Immediate le reazioni. Il "no" di An e della Lega. Forza Italia favorevole solo in parte. Le obiezioni dell’opposizione con il Ds Violante sull’efficacia reale del provvedimento. Le perplessità dello stesso ministro centrista, Carlo Giovanardi: "Non è in agenda". Un copione già visto che nel 2003, malgrado l’invocazione alla clemenza del Santo Padre e i digiuni radicali, si concluse con "l’indultino". Per questo ieri Rifondazione e radicali invitavano a non illudere i detenuti.

Volontè spiega: "Nel 2001 su questo come altri temi il Papa è stato applaudito da tutti. Non mi sembra uno scandalo, né voler illudere i carcerati, chiedere al Parlamento un’assunzione di responsabilità e di pronunciarsi sulla chiusura delle polemiche sugli anni’90".

 

Il Vaticano

 

Una presa di posizione ufficiale su questo tema non è attesa. Ieri si raccoglieva solo qualche perplessità relativa ai sospetti di Castelli. "Ero in carcere e mi avete visitato" dice Gesù nel Vangelo. E questa è una delle sette opere di misericordia corporali, si sottolinea. Quanto all’amnistia, dopo l’indultino si ringraziò ma si espresse anche delusione. Don Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia è molto scettico: "Magari, ma che futuro può avere la proposta?". Per il cappellano "occorre far funzionare le misure alternative. Ma nemmeno i Comuni fanno nulla: a Rebibbia ho un malato di Aids che potrebbe uscire ma da 8 mesi non troviamo un alloggio. Così le mamme con i bimbi piccoli. Che ci vorrebbe a fare una casa per i detenuti?".

 

Reazioni

 

"Chi è al governo e ha una maggioranza di 100 deputati alla Camera e di 50 senatori a Palazzo Madama ha il dovere di non prospettare miraggi estivi" accusa il segretario radicale Daniele Capezzone. E suggerisce interventi sulla legge sulla droga opposti alla proposta Fini e sulla custodia cautelare. "È un balletto già visto che può alimentare illusioni che poi rischiano di creare conflitti difficilmente risolvibili nelle carceri" concorda il Ds Violante.

"Attendiamo il rapporto del Comitato Carceri e poi decidiamo cosa fare sul versante dei detenuti e del personale", suggerisce. Da An è "no". "Assolutamente contrario" si dice il ministro Gasparri e La Russa la giudica "una boutade". Un "no secco" anche dalla leghista Lussana. Divisa Forza Italia. "È l’unica soluzione in questo momento", dichiara Pecorella. "Ma non risolve il problema delle carceri", obietta Ghedini. Biondi suggerisce di unirla alle modifiche al codice di procedura penale. "In questo momento non ci sono le condizioni" suggella Bondi.

Caos e igiene ad alto rischio nelle carceri napoletane

 

Il Mattino, 21 agosto 2004

 

Le carceri di Poggioreale e Secondigliano sono tra le più sovraffollate di Italia. Sul piede di guerra le associazioni di volontariato. In più la Regione ha sospeso il pagamento di farmaci e visite diagnostiche per i detenuti: i penitenziari stanno facendo in proprio e già a settembre finiranno i soldi. Intanto l’assessore De Masi annuncia: istituiremo il garante per i diritti del detenuto.

 

Nelle celle di Napoli un inferno affollato

 

Sovraffollamento, è la parola d’ordine a Poggioreale e a Secondigliano. Storie vecchie che quotidianamente escono fuori, quando proteste o tragedie dietro le sbarre portano alla ribalta della cronaca il mondo carcerario e i suoi problemi. È successo in questi giorni a Regina Coeli, rischia di esplodere ogni giorno nelle due carceri della città.

Dati da far paura nelle due case circondariali napoletane, Poggioreale e Secondigliano, che rappresentano quasi la metà della popolazione carceraria campana. "Anche perché Campania e Lazio si assomigliano - avverte Emilio Fattorello, segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria - con gli stessi problemi sia dietro le sbarre che per gli organici in dotazione alle strutture".

Due facce di uno stesso problema, se si tiene conto che, ad esempio, a Poggioreale i 1854 detenuti presenti (secondo i dati del ministero di giustizia) al 30 giugno sono sorvegliati da una cinquantina di agenti per turno. E circa 600 detenuti, tra i due carceri, sono A.S. (ad alta sorveglianza) o sottoposti al regime duro del 41 bis. I detenuti sono divisi nelle 520 celle della struttura costruita nel 1908 con tipologia di stanze che vanno dai 12 metri quadri (sino a sei detenuti) a 40 mq, queste ultime lunghi e stretti cameroni che ospitano sino a 18 carcerati ospitati in letti a castello e con un unico bagno.

Non ci si sorprende dunque se ogni tanto anche a Poggioreale scoppiano le "battiture", ovvero le gavette battute contro le sbarre in segno di protesta. "Del resto le condizioni sono pessime - avverte Dario Stefano Dell’Aquila, responsabile napoletano dell’associazione Antigone - e ci sono tre ordini di problemi: la presenza degli stranieri, quella dei tossicodipendenti e le condizioni generali della struttura". Le proteste, però, scoppieranno solo se in presenza di un obiettivo. "Successe l’anno scorso con l’indultino - conclude Dell’Aquila - potrebbero ripetersi in vista di un progetto di amnistia, come si sente parlare in queste ore".

E a subire di più le pessime condizioni carcerarie sono gli extracomunitari: spesso clandestini, per questo non ricevono visite dei familiari e si devono accontentare del vitto dell’amministrazione. Per i tossicodipendenti la situazione è ugualmente nera. Rappresentano circa un terzo dei detenuti in Italia (Napoli è in linea con i dati nazionali), solo una minima parte di loro (una trentina su 600 a Poggioreale) riceve il trattamento da metadone da parte del Ser.T..

"E a Secondigliano la situazione è uguale - racconta Biagio Fulco, rappresentante sindacale della Cgil per la sanità - con in più altri problemi". Ad aprile, infatti, la Regione Campania non ha rinnovato il protocollo di intesa per esami diagnostici e spese farmaceutiche. Risultato, sono tutti soldi, quelli per la sanità, che le amministrazioni delle due case circondariali stanno sborsando in proprio. "Con la conseguenza - conclude Fulco - che ora i fondi sono esauriti e da settembre non so come andrà a finire. La Regione, dopo i numerosi tagli a livello centrale, ci dava un po’ di respiro".

E se Palazzo Santa Lucia si è disimpegnata dal mondo carcerario, il Comune è invece in prima linea. È nato da poco l’Osservatorio permanente sulle carceri. A settembre una delegazione farà la prima visita alle due case circondariali per rendersi conto dei problemi.

"Intanto - spiega l’assessore Roberto De Masi - porterò in consiglio comunale la proposta di istituire un Garante per i diritti del detenuto, sulla scorta dell’esperienza romana (il garante è Luigi Manconi, ex parlamentare). Noi vogliamo un carcere più vivibile, che significa anche più sicurezza per gli stessi cittadini. Purtroppo siamo in controtendenza con la linea nazionale". E Emilio Lupo, rappresentante di "Laboratorio per le città sociali" e di Psichiatria democratica, sottolinea che "vogliamo una rappresentanza ampia in consiglio comunale, di modo che l’Osservatorio sia legittimato il più possibile a lavorare per un carcere più vivibile".

 

Tra le vittime un sociologo e un assassino

 

Tre detenuti morti in cinque giorni, un terzo quasi in fin di vita. E ancora: un recluso deceduto per cause naturali e, infine, un tentato suicidio e un suicidio, quello di Pietro Stefanelli. È la sequenza di eventi che si registrò alla fine del 2000 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Unico suicidio di quest’anno a gennaio: quello di Mario Minichino, reo confesso per l’omicidio di un albanese. Un solo suicidio anche nel 2003. Meno di una decina i tentati suicidi negli ultimi cinque anni. Nel 2002 un suicidio anche nel carcere militare: a togliersi la vita Busillo Pirro, agente di polizia. Altri casi tre all’Opg di Aversa, tutti nel 2003. Nel 2002, muore stroncato da un malore Maurizio Marazzi, 51 anni, ex sociologo, autore di "Inquietudine omicida", scritto con il criminologo Francesco Bruno.

 

Nel girone dei dannati, tra drogati e stranieri

 

Santa Maria Capua Vetere. Il caso del sovraffollamento delle carceri al centro di un nuovo scontro tra governo e opposizione (dopo il suicidio del sindaco di Roccaraso e le proteste dei detenuti di Regina Coeli), tocca inevitabilmente anche il penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Stando alle ultime statistiche, la casa circondariale samaritana è tra quelle che in Italia (una quarantina, su 81 istituti di pena) sono a rischio sovraffollamento. Dato denunciato un anno e mezzo anche con un’interrogazione parlamentare del deputato Raffaele Costa. In particolare, nel penitenziario sammaritano è superata la cosiddetta "capienza tollerabile", cioè la categoria che ha introdotto il ministero quando si supera con frequenza la capienza regolamentare. La capienza tollerabile, scriveva Costa, "indica l’ipotetica massima ricettività di ciascun carcere, oltre la quale viene superata la soglia della stessa tolleranza in qualche modo accettabile". Succede, però, che in circa 40 carceri (in Campania i casi riguardano anche Napoli-Poggioreale e Avellino) si supera anche la capienza tollerabile: nel carcere di Santa Maria Capua Vetere la capienza regolamentare è di 527 detenuti. Quella tollerabile è di 799 reclusi ma gli ospiti della struttura risultano 867 (+ 64 %) stando all’ultimo rapporto sulla popolazione carceraria (indagine del 31 dicembre 2002) pubblicato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Un problema, secondo gli addetti ai lavori, che va affrontato con la costruzione di nuovi istituti (ma l’operazione richiede tempi lunghi) e con l’applicazione reale delle misure alternative come ha affermato anche il presidente dell’Anm Edmondo Bruti Liberati. "Non so se l’indultino sia la medicina migliore per evitare il sovraffollamento - aveva detto il parlamentare azzurro presentando l’interpellanza - ma mi auguro che, tenendo conto delle cifre contenute nella mia interrogazione, si proceda a riportare tutte le carceri nei limiti della "tollerabilità", che vuol dire anche decenza".

Sempre secondo l’ultimo rapporto sulla popolazione carceraria, il numero di detenuti nelle carceri italiane ammontava, alla fine dell’anno 2002, a 55.670 unità di cui 53.200 uomini (pari al 95,6% del totale) e 2.469 donne. Nel carcere sammaritano la ricettività ottimale sarebbe di 450 unità. Allo stato, su circa novecento detenuti oltre il 50 per cento è rappresentato da extracomunitari mentre circa 200, in media, è il numero dei detenuti tossicodipendenti.

Ma i problemi non si limitano a quelli dei reclusi: negli ultimi anni hanno protestato più volte anche gli agenti di polizia penitenziaria di vari cartelli sindacali il cui numero insufficiente (ci vorrebbe il doppio delle attuali 250 unità) provocherebbe scompensi nell’attuazione dei servizi essenziali. Allarme anche per alcuni detenuti malati che hanno denunciato il loro caso: uno di questi, Arturo Pagano, cieco, diabetico e bloccato su una sedia a rotelle peraltro rotta, si era rivolto all’eurodeputato radicale Maurizio Turco (che insieme a Sergio D’Elia, segretario dell’associazione "Nessuno tocchi Caino", ha scritto "Tortura Democratica", un libro bianco sulle carceri italiane) per chiedere di vivere la detenzione in maniera meno degradante.

 

Voglia di giornale e cronisti di dentro

 

Giornali carcerari. In Italia sono una realtà in espansione, tanto che alcuni hanno il loro sito internet. A Napoli ne esiste uno, "Il Cammino", bimestrale edito dagli utenti del Reparto Verde del complesso penitenziario di Secondigliano.

Il direttore è Sergio Napolitano, la coordinatrice Pina Palma. Un periodico che però negli ultimi tempi ha avuto problemi a uscire, probabilmente perché non è stato riapprovato il progetto. On line sono invece disponibili "Il filo di Arianna" (icatteboli.it/arianna), edito nella casa penitenziaria di Eboli, e "La storia di Nabuc" (opgaversa.it/nabuc) in cui è descritto il progetto di chi fa un giornale in carcere: "rendere dignitosa la sofferenza rappresentandola senza fronzoli, dare spazio ad una voce che si accetta solo nelle barzellette o nella cronaca nera". Altri giornali nazionali sono "Il due notizie" del carcere milanese di San Vittore (ildue.it), e "Gutemberg", giornale della commissione detenuti del carcere di Sollicciano, in provincia di Firenze.

 

E anche Internet racconta le sbarre

 

Il mondo carcerario spesso è un porto nelle nebbie. Poco e nulla si sa di come si vive in una cella. Ma da qualche anno sono presenti in internet molti siti, gestiti da associazioni ma anche da ex detenuti, che raccontano molto bene cos’è una prigione. Uno dei portali tematici più importanti è ristretti.it, che parte dal carcere di Padova. Interessante, per il cittadino comune, anche il glossario, da quello burocratico (da che cos’è un’attività trattamentale a cosa rappresenta un "terminale") al gergo dei detenuti (grillo è uno che sa scappare mentre il corvo è un ufficiale giudiziario).

Grafica grigia e impronte digitali, madeinjail.com è il sito di Rebibbia (gestito dalla cooperativa sociale Seriarte ecologica). Vengono messe in vendita delle t-shirt simpatiche, naturalmente tutte a tema carcerario. Un sito ce l’hanno anche l’ospedale giudiziario di Aversa (opgaversa.it), la casa circondariale di Lauro (cclauro.it) nell’Avellinese, e quella di reclusione di Eboli (icatteboli.it).

Amnistia: una tradizione interrotta da Scalfaro e Ciampi

 

L’Arena di Verona, 21 agosto 2004

 

Amnistia e indulto sono provvedimenti di clemenza previsti dalla Costituzione. L’amnistia può essere applicata prima che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna (amnistia propria) o successivamente alla condanna stessa (amnistia impropria). Diversamente dalla grazia, concessa al singolo dal presidente della Repubblica, indulto e amnistia sono deliberati dal Parlamento. Un anno fa fu concesso l’indultino, sconto di pena di due anni.

Non riguarda condannati per mafia, terrorismo, omicidio, contrabbando, traffico di stupefacenti, sequestro di persona, rapina aggravata, violenza sessuale, pedofilia; riduzione in schiavitù, turismo sessuale. Esclusi anche i delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Grazia. Provvedimento individuale concesso dal presidente della Repubblica, "condona in tutto o in parte la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge".

Indulto. Provvedimento generale. Non estingue il reato e condona o commuta in tutto o in parte la pena.

Amnistia, Provvedimento generale. Estingue il reato e fa cessare l’esecuzione e le pene accessorie di una condanna. Può essere generale (cioè riferita a tutti i reati punibili con una pena detentiva non superiore ad un certo numero di anni) o particolare se comprende solo alcune categorie di reati (ad esempio delitti commessi in occasione di manifestazioni). L’amnistia non si applica a recidivi, delinquenti abituali, o professionali o per tendenza "salvo che il decreto disponga diversamente".

L’ultima amnistia. Risale al 10 aprile 1990 in concomitanza con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, approvato nel 1989. Secondo un conteggio del ministero della Giustizia il 13 aprile 1990 ne avrebbero usufruito 13 mila detenuti su 32 mila reclusi.

n Dal 1946 al 1986. Le amnistie sono 19: la prima il 22 giugno 1946, Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica, inaugurò nel 1946 la consuetudine in occasione dell’insediamento, firmandola il giorno dell’arrivo al Quirinale. Luigi Einaudi la concesse nel 1948; Antonio Segni nel 1962. Sandro Pertini, nel 1978. Francesco Cossiga, nel dicembre 1986. La tradizione si è interrotta con Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi.

Sotto il sole d’agosto ritorna il dibattito sull’amnistia...

 

Il Manifesto, 21 agosto 2004

 

Il solleone d’agosto e il vergognoso disagio nelle carceri italiane riporta in auge il dibattito su un’amnistia o un atto di clemenza che riduca il drammatico sovraffollamento negli istituti di pena. A rilanciare la proposta il centrista Luca Volonté, capogruppo Udc alla camera. Ma nello spazio di un giorno già si tenta la sepoltura "bipartisan".

Sia i Ds che Forza Italia, infatti, hanno già provveduto ad affossare la temeraria idea di un perdono generalizzato. Non è un caso che da quando si decise di porre uno sbarramento parlamentare altissimo alla loro promulgazione, di amnistie in Italia non se ne sia fatta neanche una. Ci vogliono due terzi dei componenti dell’assemblea, si decise nel 1990. Da allora, niente, mentre prima, più o meno, c’erano amnistie - anche limitate - ogni due, tre anni. E i detenuti, 14 anni fa, erano la metà di oggi (32mila contro 57mila).

Sono i partiti maggiori quelli a frenare di più. Il numero due di Forza Italia, Sandro Bondi, accantona l’ipotesi: "non mi sembra che ci siano in questo momento le condizioni". Gli fa eco, subito, il capogruppo diessino alla camera Violante: "In passato sono state fatte moltissime amnistie, ma si è visto che non hanno mai risolto i problemi, è un balletto già visto che può alimentare illusioni che poi rischiano di creare conflitti difficilmente risolvibili nelle carceri".

Anche il ministro per i Rapporti col parlamento Carlo Giovanardi ricorda che il tema "non è nell’agenda del governo" e viste "le difficoltà parlamentari incontrate per il varo dell’indultino, penso che a livello politico l’amnistia incontrerebbe ancora più difficoltà".

Nonostante pareri simili, però, l’idea si fa strada. E parlamentari di tutte le forze politiche si dicono favorevoli a un atto di clemenza. Dentro ogni partito c’è chi si schiera per il no o per il sì. A favore scendono in campo, per gli azzurri Fabrizio Cicchitto (vice di Bondi in Forza Italia) e tutta la pattuglia di super-avvocati (Carlo Taormina, Alfredo Biondi, Gaetano Pecorella) con l’eccezione di Niccolò Ghedini. Mezza Udc si schiera con il suo capogruppo.

An, invece, dopo aver approvato tutte le "leggi vergogna" pro-Cavaliere ritira fuori le manette dall’antico cassetto. Il ministro Gasparri, per esempio, rivendica le visite in carcere ma non certo per incontrare i detenuti, le fa solo "per far visita alla polizia penitenziaria". In merito alla clemenza, poi, dice: "Una cosa è umanizzare le pene e rivedere la carcerazione preventiva contro gli abusi, altro è aprire le carceri a chi ha avuto condanne". E il coordinatore del partito, Ignazio La Russa, liquida tutta la questione a una "boutade d’agosto". Della Lega, infine, è noto l’orientamento in materia.

Da più parti, però, si teme che la "boutade" miri ad allontanare lo sguardo dai problemi del carcere e dal comportamento non certo irreprensibile del ministro Castelli. Che poco o nulla ha fatto per dare risposta a una condizione certo non imputabile a lui ma comunque sotto la sua competenza.

Anche i favorevoli, inoltre, temono un dibattito del genere. La discussione sull’indultino è recente. Come il voltafaccia incredibile della Cdl sulla legge contro la tortura o per il potere di grazia del capo dello stato. Come dare credito a una maggioranza parlamentare simile? Le associazioni che si occupano di carcere, come Antigone, e le forze politiche più sensibili all’argomento temono imboscate e tranelli. Meglio procedere, si dice, a iniziative strutturali e non dettate, come sempre, dall’emergenza. I radicali, per esempio, puntano a una modifica della legislazione sulla droga o sulla custodia cautelare. A sinistra invece si punta alla depenalizzazione o a misure alternative al carcere.

Su una cosa, però, sono quasi tutti d’accordo. Le parole del guardasigilli sui deputati "sobillatori di rivolte in carcere" vanno condannate. Ieri una censura senza mezzi termini è venuta dal presidente della camera. Ma anche dal coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, schieratosi a difesa dei radicali. Il ministro leghista, dunque, appare sempre più solo.

Pisapia (Prc): "Primo, serve la depenalizzazione"

 

Il Manifesto, 21 agosto 2004

 

"Un’amnistia è sicuramente opportuna ma escludo che risolverebbe il sovraffollamento delle carceri. Le persone recluse per reati "amnistiabili" si contano sulle dita di due mani, non vi rientrerebbe neanche il furto aggravato. È evidente infatti che essa non può essere concessa se non per reati che prevedono pene massime di 5 anni". A parlare è Giuliano Pisapia, responsabile giustizia di Rifondazione, primo firmatario della proposta di indultino, che poi fu approvato ridimensionato.

 

Allora perché sei favorevole?

Allevierebbe il peso dell’amministrazione della giustizia, si eviterebbero processi per reati che in ogni caso finiscono in prescrizione, permettendo così di procedere più celermente per fatti che hanno maggiore rilevanza.

 

Vedi le condizioni in parlamento?

Se non c’era la maggioranza un anno fa non vedo come sia possibile trovarla oggi. Mi sembra controproducente confrontarsi su un provvedimento che si sa già con certezza che non ha i numeri per essere approvato. Sarebbe più utile fare interventi realizzabili.

 

Da più parti, anche nel centrosinistra, si dice che l’indultino non sia servito a niente, sei d’accordo?

Affatto. L’indultino, anche se stravolto, era l’unica mediazione possibile di fronte ai veti interni al centrodestra e all’Ulivo. E ha pur sempre comportato la scarcerazione di oltre 5.600 detenuti. L’indultino però era la premessa per quel provvedimento più organico e più generale sulle carceri che purtroppo non c’è stato. E di questo la responsabilità principale spetta al ministro della giustizia e alla sua maggioranza.

 

Se l’amnistia è impraticabile, cosa fare per dare risposta ai problemi delle carceri e dei detenuti?

C’è una riforma, la depenalizzazione, che potrebbe anche trovare la maggioranza in parlamento. È una risposta non emergenziale che prevede per tutti i reati non gravi sanzioni principali diverse dalla reclusione. La detenzione e la multa sono oggi le uniche sanzioni previste dal nostro codice penale. Quanto sarebbe più efficace, invece, una detenzione domiciliare durante il weekend? O destinare alcune ore al risarcimento del danno? O altre sanzioni che evitino quella frattura con il lavoro, con la famiglia e la società, che spesso è la prima causa della recidiva?

 

Ci sarebbero benefici anche sui tribunali di sorveglianza...

Si dimezzerebbero le istanze da presentare al magistrato, e quindi anche i tempi oggi vergognosamente lunghi per ottenere le misure alternative quando se ne ha diritto.

 

Può essere, questo, un terreno di confronto anche a sinistra?

Nella scorsa legislatura era stata approvata una delega al governo proprio di questo genere. Beh, è l’unica delega che il governo dell’Ulivo non ha esercitato. Oggi se ne vedono le conseguenze. È fondamentale che su questi temi a sinistra ci sia un confronto e soprattutto un incontro. Io mi batto per un programma comune sulla giustizia, praticabile sia all’opposizione che, come auspico, al governo. Troppo spesso però molti esponenti dell’Ulivo, pur aperti a parole, si trincerano al dunque dietro l’inevitabile emergenza: ora c’è quella terroristica, prima quella di "mani pulite" o la microcriminalità.

 

Se invece dell’amnistia si abbassasse il quorum per deliberarla in aula?

È illogico e grave che il quorum per l’amnistia sia addirittura maggiore di quello per modificare la Costituzione. Bisogna tornare all’antico. Anche qui, però, quando è arrivata in aula una tale proposta di legge, tutte le forze politiche che l’avevano sottoscritta si sono defilate facendola naufragare: si può stravolgere la Costituzione ma non si riesce ad approvare neanche una piccola riforma di buon senso.

Nieri e Manconi a Regina Coeli, nascosto fax d'autorizzazione

 

Il Manifesto, 21 agosto 2004

 

Regina Coeli blindata per una decisione politica. Il mistero sulla negata visita nel carcere della delegazione del comune di Roma sembra essere svelato. Lo dimostra il fax con cui il tribunale di sorveglianza romano autorizzava l’ingresso nel carcere, regolarmente inviato alle 12 e 35 di mercoledì. Proprio a quell’ora, Luigi Manconi (garante del comune di Roma per i diritti dei detenuti), Luigi Nieri (assessore al lavoro), Patrizio Gonnella e Nunzia Bossa di Antigone, attendevano l’ok per entrare e vedere con i propri occhi la sezione danneggiata dai ribelli durante la rivolta di martedì notte.

Un nulla osta del tribunale che secondo la direzione del carcere non è mai arrivato. Ma Nieri e Manconi non hanno creduto alle parole dei funzionari e si sono rivolti al tribunale che ha confermato ieri l’invio del fax. I due hanno allora chiamato la segreteria del carcere ma, di nuovo, la fantomatica autorizzazione non è saltata fuori. Dunque, sembra che qualcuno non abbia piacere che si acceda al carcere romano per verificare lo stato della situazione.

Così che Nieri e Manconi si rivolgono direttamente al guardasigilli Roberto Castelli: "non vorremmo pensare che si voglia ostacolare la conoscenza di quanto è successo". Intanto, l’indagine sulla rivolta di martedì notte prosegue e, al momento, sarebbero nove i detenuti iscritti sul registro degli indagati. La procura potrebbe contestare non solo i reati di resistenza, danneggiamenti, minacce e violenza a pubblico ufficiale, ma anche altri, ben più gravi, tra i quali saccheggio, devastazione, istigazione a delinquere e associazione a delinquere. Minacce che non però fermano i detenuti disperati, visto che anche oggi 190 di loro, questa volta della terza sezione, hanno inscenato una protesta battendo oggetti metallici su pentole, grate e inferriate. Nel frattempo, 47 "ribelli" della quarta sezione sono stati già trasferiti, negli ultimi due giorni, in diversi penitenziari del Lazio.

Ma dopo la condanna non sempre giustizia è fatta…

 

Avvenire, 21 agosto 2004

 

La rivolta scoppiata nel carcere di Roma è stata una sorpresa solo per gli ipocriti e per gli sprovveduti. La sorpresa vera è semmai la localizzazione limitata del focolaio, visto che gli altri istituti di pena, in Italia, non versano in condizioni migliori di quelle che i rivoltosi di Regina Coeli hanno mostrato disumane. Ci sono 57mila detenuti stipati come sardine dentro lo spazio di sopravvivenza calcolato per 43mila.

Non vi si può vivere, così. Pensiamo pure, a spanna, che i delinquenti pagano il fio dei loro delitti, e che gli sta bene patire; ma quel di più che soffrono nell’ammasso dei corpi, quando la privazione della libertà è già la più atroce delle sofferenze qualitative, è un sovraccarico di pura crudeltà. E dire che nelle nostre leggi noi fingiamo la pena come recupero e come emenda. Questa è la realtà.

Maggior scandalo è sapere che quanti stanno dentro questa tortura non sono tutti "condannati"; la metà sono in attesa di giudizio, la metà sono "presunti innocenti", fino a condanna definitiva. Che essi siano promiscuamente tormentati alla stessa maniera ci pare una ingiustizia radicale. Qualcuno si uccide. Occorrerebbero circuiti diversi per le case di pena e per gli istituti di custodia cautelare. E invece queste esigenze di minima giustizia sembrano raffinatezze dentro il calderone carcerario, dove a scoprire i gironi danteschi vediamo anche che un terzo dei dannati sono i tossicodipendenti, e un altro terzo sono gli stranieri extracomunitari.

Il carcere, preventivo o definitivo, è dunque l’approdo prevalente di un naufragio della vita dei fragili. Il giudice sentenzia "visti gli articoli" e non gli si fa vedere altro che gli articoli; non ha mai provato sulla pelle quel che succede dopo gli articoli. L’amministrazione inscatola i corpi come sardine e così pare che giustizia è fatta, e la legalità ripristinata. Possibile che nessuno si accorga di quanta imbecillità c’è in questo congegno, se all’indomani di ogni micragnoso indultino il disastro penitenziario torna al palo?

Investire risorse nella politica della punizione dovrebbe significare che la punizione purifica e guarisce. L’abbiamo scritto nella Costituzione, l’abbiamo scritto nella legge penitenziaria più bella del mondo, e intanto ci accade il contrario. Perché? Se fallisce la via dell’emenda, la società gioca la sconfitta dei suoi rimedi. È singolare che il tema del carcere, sui media, sia un tema estivo, ma una ragione c’è. La vacanza è un bisogno di "godimento" cercato dentro la scansione del tempo, un festoso gusto di vita nell’orizzonte degli affanni quotidiani; spontaneamente, allora, la disumanità della condizione carceraria concreta vi irrompe come urlo di un "patimento" che denuncia lo scarto fra il castigo necessario e il sovrappiù gratuito e crudele del dolore aggiunto.

È la cattiveria, infine, che ci fa ingiusti e colpevoli, gli uni contro gli altri, contro la legge. Un carcere cattivo non vi rimedia, ma vi cospira.

Carceri "meno piene"… con la truffa dei parametri

 

Liberazione, 21 agosto 2004

 

Minori spazi a disposizione per i detenuti e nuove carceri in leasing. Questa la ricetta del ministro della Giustizia Roberto Castelli per risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti, come prevede la circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emanata nel marzo dello scorso anno.

Un paradosso? No, un trucco. Già dalla primavera del 2003 in Italia sono stati infatti ridotti i parametri minimi delle celle. Secondo gli standard internazionali ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 metri quadrati per vivere decentemente in carcere. E nel caso in cui si deve dividere la cella, probabilità molto alta, il coefficiente si abbassa: 9 metri quadrati al primo detenuto, 6 al secondo, 6 al terzo, 6 al quarto e così via. Nel Bel Paese, invece, lo spazio "minimo vitale" è stato ridotto a 8 metri quadrati per il primo recluso, a 5 per il secondo, ecc.

La truffa della riduzione dei parametri ha virtualmente ampliato lo spazio a disposizione dei carcerati perché sulla carta aumenta proporzionalmente tanto la capienza regolamentare quanto la capienza tollerabile. Dall’applicazione dei nuovi parametri è conseguito che, in numerose carceri, la capienza regolamentare è aumentata del 30%.

E l’Italia è forse riuscita a guadagnare qualche punto nella classifica europea del sovraffollamento degli istituti. Ma nonostante il nuovo metodo di "calcolo", le celle italiane sono stracolme. Lo evidenzia un’indagine di Antigone su dati forniti dall’amministrazione penitenziaria al 31 dicembre 2003, dalla quale risulta che in Italia si ha una capienza regolamentare di circa 41mila posti a fronte di una capienza tollerabile di 54mila. Ma essendo i detenuti oltre 56mila, l’indice di sovraffollamento è superiore del 30%.

Oltre al trucco dei parametri, il governo Berlusconi pensa di risolvere il problema degli istituti di pena superaffollati con un piano straordinario di edilizia penitenziaria. Il progetto prevede la costruzione di nuove carceri con lo strumento della locazione finanziaria, più noto come leasing. Questo processo di privatizzazione passa attraverso la "Dike Aedifica Spa", la società, costituita nel maggio 2003, controllata dalla Patrimonio Spa del ministero del Tesoro.

In pratica, il meccanismo consiste nello Stato che vende il proprio patrimonio immobiliare, per affittare (e forse riscattare un giorno) i nuovi istituti di pena. La cessione demaniale ai privati interessa circa ottanta edifici dell’amministrazione penitenziaria che per la maggior parte si trovano nei centri storici. Ma tutto questo non servirà a migliorare l’efficienza e a diminuire i costi. Basta l’esempio del carcere di Pordenone, inizialmente pensato con il finanziamento ordinario e il cui costo stimato era di 20 miliardi di lire. La stima prevista con il leasing è adesso di 32,5 milioni di euro, circa tre volte tanto.

Insomma, con i nuovi sistemi di leasing, esplosi negli Stati Uniti, lo Stato spenderà di più, la sicurezza sarà minore ed i detenuti staranno sicuramente peggio.

 

 

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