tensione dietro le sbarre

 

"I miei giorni di tensione dietro le sbarre"

Un ispettore della polizia penitenziaria: risse continue e spazi angusti, ce la possiamo cavare solo se i detenuti stanno bene. Lo stipendio: 1.700 euro, festivi compresi

 

Corriere della Sera, 25 giugno 2003

 

"Mi chiamo Lorenzo Michele, sono ispettore superiore del corpo della polizia penitenziaria, dopo 25 anni di servizio in busta paga ci trovo 1.700 euro, sommando indennità e festivi. In carcere ho imparato la prima regola di un equilibrio precario: se i detenuti stanno bene, anche noi ce la caviamo". L’ispettore superiore Lorenzo racconta una giornata qualsiasi oltre le sbarre.

Quella di guardie e detenuti che, in ogni caso, sono costretti a dividere spazi angusti e nervi tesi ma anche gesti quotidiani di umanità: "Sa quanti ne salviamo ogni giorno? Ne riprendiamo tanti per i capelli. Ci sono quelli che si vogliono uccidere perché li ha lasciati la fidanzata o perché l’avvocato gli ha dato una cattiva notizia. Se invece ci sfugge qualcosa, magari perché siamo soli con 100 detenuti, passiamo i guai. Fino a rischiare il posto". L’ispettore superiore Lorenzo lavora da anni in un vecchio carcere del Nord e chiede solo che non venga nominata la città in cui si trova: "Qui c’è una sezione del 41 bis (regime di massima sicurezza, n.d.r.)".

Per il resto è disponibile a descrivere con equilibrio le situazioni tipo che fanno del carcere un luogo in cui basta poco per scivolare nel baratro. Iniziamo dagli agenti: sono 42 mila (3.800 le donne) e quasi tutti vengono dal Sud. Se sei di prima nomina, l’amministrazione ti manda al Nord e con uno stipendio di 1.100 euro non è facile trovare casa a Milano: "Mogli e figli rimangono al paese di origine, la famiglia si riunisce una volta al mese".

Ma appena si presenta l’occasione chi è del Sud si fa trasferire vicino a casa: "E qui al Nord siamo perennemente sotto organico anche perché non c’è mai stata una pianificazione della distribuzione del personale". Per stare bene in carcere ci vogliono i soldi e un lavoro: "Se hai i risparmi ti prendi il sopravvitto ma è più importante ancora fare lo "spesino" o lo "scopino" perché, oltre ai 300 euro di stipendio, hai uno status che ti permette di girare per l’istituto".

Il buon senso, dunque, dovrebbe spingere l’amministrazione a creare più posti di lavoro in carcere: "Invece solo il 10 per cento ha realmente un’occupazione". Nel libro dei sogni del carcere modello, c’è anche un regolamento varato nel 2000, ai tempi del governo dell’Ulivo, in cui si parlava di docce calde nelle celle e di spazi per l’affettività: "Ma vi immaginate cosa significhi rifare gli impianti nel carcere di Savona, a Regina Coeli o a San Vittore?".

Si finisce così per convivere in 2, 4, 6 detenuti in celle e "cameroncini" dotati solo di acqua fredda. La tensione spesso si taglia col coltello e sono gli stessi agenti a sollecitare misure che allentino la pressione: "Basterebbe valorizzare gli arresti domiciliari, mandando a casa chi ha un residuo pena di un anno avremmo 5 mila detenuti in meno". E ora l’ozio abbinato al caldo rende tutto più difficile: "Gli extracomunitari che non hanno nulla da perdere, che non hanno una casa dove scontare la pena alternativa, sono spesso i protagonisti delle risse.

Gli italiani, invece, si controllano di più perché sanno che basta poco per giocarsi tutto". Ma l’estate torrida è iniziata anche per gli agenti che hanno una lunga lista di richieste da presentare al ministro: "Basta iniziare da nuove dotazioni tecnologiche per la sicurezza e dalle divise, un abito da lavoro usurante, che possiamo cambiare solo ogni 36 mesi".

 

 

 

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