Don Luigi Ciotti

 

Don Ciotti: servono progetti per aiutare chi esce dal carcere

 

La Stampa, 20 settembre 2002

 

«In Italia c’è il più alto numero di persone che entrano ed escono dal carcere? dice accorato Luigi Ciotti - il problema riguarda la doppia recidiva, legata all’uso della droga e ai reati connessi agli stupefacenti. I motivi? Quali opportunità ha una persona tossicodipendente uscita dal carcere di rifarsi una vita? Non ha un lavoro e a volte nemmeno una casa. Inoltre il problema del sistema carcerario non riguarda solo i detenuti. Tutti ci rimettono. Operatori e non solo". Pochi sanno cos’è davvero il carcere, oggi, in Italia. I detenuti sono 56 mila, divisi in 231 istituti penitenziari. La violazione della legge sulla droga, la 309, rappresenta la seconda causa di detenzione (20 per cento dei casi), subito dopo i reati contro il patrimonio. In dieci anni, la presenza di tossicodipendenti in cella è raddoppiata. Il problema del «dopo», che fare una volta fuori, è lo specchio della crisi. L’8 per cento delle morti per overdose avviene subito dopo la scarcerazione, mancano le strategie per prevenire e sono inadeguate le strutture sociali che dovrebbero, in teoria, promuovere il reinserimento. Questi ed altri sono i dati della ricerca. Poi le proposte: garantire una serie di opportunità ai tossicodipendenti (casa, lavoro, farmaci, assistenza); un «patto» con le istituzioni per evitare la ricaduta nel circuito della malavita; l’ingresso nei penitenziari di operatori specializzati nel recupero; nuove misure alternative alla cella, da concordare con i Ser.T., già al momento del processo; istituire l’anagrafe carceraria per dare ai tossicodipendenti gli elementi minimi per ricominciare una vita normale, come la residenza. Ricerca e proposta: questo è il metodo di lavoro di «Strada Facendo», tre giorni di studio sul problema droga promosso dal Gruppo Abele sotto il tendone della Pellerina, e che si concluderà domani mattina.

Don Luigi Ciotti, affiancato dal vice presidente del Gruppo Abele, Leopoldo Grosso, ha aperto i lavori di fronte a una platea da concerto rock. Gente e operatori da tutta Italia. Più di 1500, e tra loro medici, magistrati, operatori carcerari, psicologi e anche il capo della Narcotici della squadra mobile, Marco Martino. Soprattutto tantissimi i ragazzi, studenti delle superiori e universitari. Un confronto non vuole essere astratto. La questione, quella vera, è che il cosmo dei consumatori occasionali e sistematici (in drammatico aumento) e quello dei tossicodipendenti (stazionario o in calo) ha subito in pochi anni profonde mutazioni. Sono cambiati abitudini, vittime, parametri economici. Di eguale, rispetto al passato, resta il fatturato da multinazionale. Come il mercato delle nuove droghe: «E’ difficile da stimare - spiegano a "Strada Facendo" - anche per lo scarso contatto tra consumatori e servizi pubblici. Le uniche informazioni arrivano dalle forze dell’ordine. Ma sarebbero oltre 400 mila consumatori tra i 15 e i 25 anni». Considerazioni preoccupanti: «Se lo spaccio e il consumo di droghe sintetiche avvenivano quasi esclusivamente nelle discoteche, oggi s’è esteso anche ai pub, alle feste private, ai raves». Si abbassa l’età del primo contatto con le pillole a base di Mdma, il derivato dall’anfetamina conosciuto come ecstasy: 15 anni. Come affrontare questa emergenza? «Potenziare gli interventi di prevenzione e d’informazione, coinvolgendo i gestori dei locali, i servizi territoriali e le scuole guida con lezioni sugli effetti di alcol e droghe; organizzare info - point, servizi per i rientri notturni, spazi "chill out", cioè stanze di decompressione, all’uscita dei locali notturni e avviare ricerche e analisi cliniche per valutare i danni prodotti dalle droghe di sintesi sul medio e lungo termine». Il lavoro di «Strada Facendo» è appena iniziato.

Non siamo mai stati esigenti, perché siamo coscienti delle nostre responsabilità, ma desidereremmo il riconoscimento della nostra umana dignità che può attuarsi solo con il principio di ristabilimento del rispetto da parte dello stato. Chiediamo un'iniezione di fiducia, quindi un condono generalizzato; una rieducazione attraverso il lavoro, e quindi l'avviamento al lavoro. Chiediamo di non farci vivere come bestie, ma di essere aiutati, progressivamente, per il reinserimento nella società. Chiediamo che il carcere non conduca più rabbia e rancore nei detenuti, ma finalizzi la sua presenza nel territorio come struttura propedeutica per la restituzione di uomini agli uomini.

Chiediamo che la liberazione anticipata, pur con l'attuale valutazione per la concessione, venga elevata a quattro mesi l'anno, consentendo un anticipato reinserimento sociale a chi partecipa all'opera della rieducazione. Chiediamo di non essere più presi in giro con false promesse: noi non possiamo permetterci inutili speranze, perché il più delle volte la pena è condivisa dalle nostre famiglie, che nulla hanno a che vedere con le azioni sanzionateci, ma che di fatto, soffrono con noi. Per queste ragioni, che rimettiamo alla Sua istituzionale valutazione, continueremo la nostra pacifica protesta e chiediamo il Suo intervento perché si faccia interprete dei nostri sentimenti presso il Parlamento ed il Governo. E invitiamo il ministro della Giustizia a prendere coscienza che il carcere non è semplicisticamente il luogo dove il tempo è scandito dal rumore delle chiavi, ma deve farsi carico dei tanti problemi che contiene. Ed è al ministro che chiediamo, signor Presidente, di recepire il passaggio della palla dell'iniziativa politica, sperando che sappia dare il calcio d'inizio, ma manifestando, sin d'ora, preoccupazione se dovessimo scoprire che è senza gambe.

 

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