Vittorio Antonini

 

"Primo obiettivo, l’indulto. Macché legittimo sospetto..."

 

Il Foglio, 19 settembre 2002

 

"Ai detenuti che hanno avviato la protesta nelle carceri non interessa lo scontro sul legittimo sospetto perché sanno molto bene cosa significhi realmente la discrezionalità dei magistrati. Pochi sono stati condannati aldilà di ogni ragionevole dubbio, perciò non condividono affatto i pruriti popolar - giustizialisti di Nanni Moretti. La nostra agitazione ha un solo obiettivo: migliorare le condizioni drammatiche della popolazione penitenziaria e costringere i politici a pronunciarsi favorevolmente sull’indulto".

Vittorio Antonini è il presidente dell’associazione penitenziaria Papillon ed è il promotore dello sciopero dei carcerati in corso negli istituti di pena dal 9 settembre scorso. È un ex militante delle Brigate rosse, condannato all’ergastolo, ma dal luglio del 2000 ogni giorno esce da Rebibbia per recarsi a lavorare all’esterno. Al Foglio spiega la peculiarità di una protesta, che è difficile da interpretare. "Soprattutto se non si è mai stati in una galera italiana", commenta. "Tutto è iniziato nel maggio scorso, quando nel carcere genovese di Marassi si sono suicidati due detenuti in quattro giorni, dice.

"Nei giorni successivi c’è stata una piccola sommossa che ha provocato scontri e violenze. Perciò da Rebibbia abbiamo inviato 300 lettere a tutti i carcerati che avevano avuto contatti con la nostra associazione. Ci chiedevamo se era il caso di fare qualcosa per evitare nuove violenze e riprendere il filo interrotto nel luglio del 2000, quando ogni nostra illusione d’indulto o amnistia è tramontata solo perché il governo di centrosinistra temeva di perdere consenso.

Non ci aspettavamo nessuna risposta e invece nel giro di poche settimane abbiamo ricevuto 2000 lettere. Frasi semplici, sgrammaticate, di persone che hanno vissuto tutta la loro vita fra il carcere e la droga. Messaggi disperati di stranieri che prima di allora passavano le loro giornate in cella a stordirsi con il gas, le pasticche, il vino. Tutti scrivevano la stessa cosa: facciamoci sentire. Non ce la facciamo più. Alla fine abbiamo deciso di avviare una protesta pacifica".

Attraverso le lettere, i messaggi dei familiari o gli incontri nei processi, in questi mesi i detenuti hanno definito i loro obiettivi. Eccoli. Chiedere ai tribunali di sorveglianza una corretta applicazione delle misure alternative (come la semilibertà o l’affidamento esterno), per sfollare intanto le carceri e favorire il reinserimento dei detenuti condannati per reati legati al consumo di droga. Permettere agli stranieri di scontare la pena nel loro paese. Ammorbidire il regime di carcere duro, previsto dal 41 bis. Ottenere il passaggio della medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale, per limitare i suicidi e gli incidenti mortali.

"Poi lo scontro politico sulla giustizia si è acuito, C’è stata la manifestazione dei girotondini e alcuni esponenti dell’opposizione hanno cercato di includere la protesta penitenziaria nella loro battaglia giudiziaria contro Berlusconi", aggiunge ancora Antonini. "Ma i detenuti non hanno nessuna intenzione di ballare con Moretti. A loro non interessano le polemiche parlamentari, vogliono solo maggiori garanzie e diritti".

 

Sofri e il "valore di testimonianza"

 

Ieri il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, ha dichiarato che la protesta sembra in via di risoluzione. "Gli ultimi dati parlano di 39 carceri in cui lo sciopero è venuto meno", ha precisato. "Le manifestazioni hanno interessato meno della metà degli istituti".

Ma secondo Antonini le cose non stanno così. "Lo sciopero si è esteso anche alle carceri minori, come Livorno, Bolzano, Venezia", spiega. "Nei prossimi giorni molti dei detenuti che lavorano si asterranno da ogni attività egli istituti di pena potrebbero subire una paralisi. Certo, può succedere che qualcuno, per paura di essere trasferito in un carcere lontano da casa, faccia un passo indietro. Oppure può accadere che una protesta si interrompa per qualche giorno. Ma, come ha detto Adriano Sofri, "questo movimento ha un valore soprattutto di testimonianza perché i detenuti, rifiutando il vitto e l’ora d’aria, mettono in gioco il loro corpo", Secondo Antonini nell’estate del 2000 le proteste sono state spontanee e perciò sono degenerate. "La situazione ci è sfuggita di mano perché c’erano stati i pestaggi nel carcere di Sassari". Ma questa volta è diverso, "sappiamo che sarà una lotta lunga e difficile, ma abbiamo tempo e pazienza. E soprattutto sappiamo che i problemi delle galere italiane sono ormai diventati cronici. L’unica via d’uscita è l’indulto".

 

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