Benefici e polemiche: Pisapia

 

La malafede del vice premier sui benefici della legge Gozzini

di Giuliano Pisapia

 

LIBERAZIONE, venerdì 15 marzo 2002

 

Gli assassini "pentiti" della strage di Capaci sono stati scarcerati. Così si è letto ieri sui giornali; così si è sentito ieri alle televisioni. Vi sono state comprensibili voci di indignazione e di rabbia. E vi è stato chi, superando l’emotività derivante da una notizia che non può non colpire ogni coscienza civile, ha ribadito che questo è uno dei tributi che la collettività è costretta a pagare per una efficace lotta alla mafia e alla criminalità organizzata.

Maria Falcone ha parlato di un Paese dove non esiste giustizia. Il procuratore aggiunto di Palermo, Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, ha invece voluto sottolineare, di non essersi indignato in quanto «è noto a tutti che, senza la loro collaborazione, non si sarebbe mai arrivati a processare e condannare gli autori della strage». Il Paese, ancora una volta, si è diviso. In molti è prevalso un giudizio di forte critica per gli sconti di pena previsti dalla legge sui "pentiti"; in altri è prevalsa ineluttabilità di una situazione, al limite dell’impunità, per chi ha collaborato con la giustizia. Reazioni, opposte e, come detto, comprensibili, da parte di chi ha è stato così tragicamente colpito nei suoi affetti più cari. Vergognose, invece, altre reazioni. Tra queste primeggia quella del vicepresidente del Consiglio che, nel tentativo di cavalcare una notizia che ha scosso l’opinione pubblica, non ha perso l’occasione per attaccare, per l’ennesima volta, la legge Gozzini e Simeone. «La modifica delle leggi Gozzini - ha tuonato Gianfranco Fini - è un impegno cui il Governo non può più sottrarsi». Malafede o ignoranza? Malafede, se ha voluto strumentalizzare, per mera propaganda politica, la sconcertante notizia del ritorno in libertà dei responsabili di un delitto così efferato. Ignoranza, se ha parlato di situazioni e di leggi che neppure conosce.

I benefici dell’ordinamento penitenziario, infatti, nulla hanno a che vedere con la scarcerazione - peraltro già avvenuta da tempo - degli assassini di Giovanni Falcone. La Gozzini si applica, infatti, solo quando una sentenza. E’ definitiva e vi sono prove concrete della volontà, e della possibilità, di reinserimento, di chi non ha commesso reati gravi o ha già scontato gran parte della pena. E non certo a chi, come gli autori della strage di Capaci, sono ancora in attesa di una sentenza definitiva.

Un pò di chiarezza è, dunque, necessaria. I responsabili, rei confessi di quella tremenda strage, che si trovano in stato di libertà, lo sono per due concomitanti motivi. I tempi lunghi dei processi, con la conseguente scadenza dei termini massimi di custodia cautelare; e gli eccessivi benefici previsti - prima delle importanti modifiche fatte nella scorsa legislatura - della legge sui collaboratori di Giustizia. Nulla, ma proprio nulla, c’entra con la loro scarcerazione la legge Gozzini.

Sui tempi lunghi della giustizia, si può solo dire che le riforme tese a rendere "ragionevole" la durata dei processi, come prevede il nuovo articolo 111 della Costituzione, sono state praticamente affossate proprio da quel Governo e da quella maggioranza di cui l’onorevole Fini è autorevole esponente. Il Governo, in questa legislatura, non ha approvato un solo disegno di legge teso ad accelerare i tempi dei processi. Ma solo provvedimenti - basti citare le rogatorie, il falso in bilancio, la controriforma del Csm, il decreto legge cosiddetto "antiterrorismo" - finalizzati ad intralciare il corso della giustizia, a favorire l’interesse di pochi, a creare strumenti per una maggiore repressione del movimento antagonista e di opposizione.

Per quanto riguarda i cosiddetti "pentiti", si è passati, con atteggiamenti e comportamenti schizofrenici, dalla loro esaltazione alla loro demonizzazione. C’è chi li ha esaltati come fondamentale mezzo di prova, con gli inevitabili conseguenti errori giudiziari; e chi li ha considerati, di per sé, inattendibili, indipendentemente dalla verifica se le loro dichiarazioni fossero o meno confermate da riscontri oggettivi. C’è chi ne ha favorito l’impunità di fatto; e chi si è opposto ad ogni sconto di pena, senza comprendere la necessità per lo Stato di pagare un prezzo per rompere il muro di omertà che ha spesso impedito una efficace lotta alla mafia.

Sacrosante, quindi, le parole di Maria Falcone. Ma condivisibili, anche, le parole di Alfredo Morvillo. Tanto più se si considera che, oggi, la legge sui collaboratori di giustizia è più severa del passato, in quanto prevede una limitazione dei benefici, una più stringente verifica della loro attendibilità nonché la consegna allo Stato di tutti i beni acquisiti con la loro attività criminale. Non solo sono state abrogate quelle norme che permettevano di scontare in libertà l’intera condanna, ma è stato reso obbligatorio un significativo periodo di effettiva detenzione prima di potere beneficiare di misure diverse dal carcere. In futuro - se si accelerassero i tempi dei processi - non dovremo più vedere liberi, dopo pochi anni, gli autori di crimini efferati.

Il problema non è, dunque, quello di limitare ulteriormente i benefici della legge Gozzini, ma di evitare che i cosiddetti "pentiti" strumentalizzino la giustizia, applicando correttamente le nuove norme e, soprattutto, continuando ad operare affinché la giustizia sia più efficiente, più celere e, nel contempo, più umana nei confronti di chi effettivamente lo merita. E questo può avvenire non certo affossando, ma anzi rafforzando i benefici dell’ordinamento penitenziario. Che hanno permesso, troppi lo dimenticano, il reinserimento sociale, lavorativo e familiare di oltre mezzo milione di persone. In gran parte emarginati, e non certo pericolosi assassini che, dopo aver espiato la loro pena, anziché tornare a commettere reati, hanno avuto la possibilità, proprio grazie alla Gozzini e alla legge Simeone-Saraceni, di uscire dal circuito penitenziario avendo davanti a sé una concreta alternativa di vita rispetto a quella che li aveva portati in carcere.

 

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