Stop all’esperimento dei braccialetti

 

Sprofonda l’esperimento dei braccialetti

elettronici stop ai fondi ministeriali

 

Un giudice ordina di applicare la misura alternativa alla prigione ma il fornitore addetto al controllo replica: siamo in causa, da un anno il servizio non viene retribuito

 

Avvenire, 24 aprile 2003

 

Doveva essere la panacea contro il sovraffollamento delle carceri italiane e per recuperare ad altro utilizzo agenti di polizia. Una misura detentiva alternativa alla cella, come succede da anni in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Ma i primi due anni di sperimentazione del braccialetto elettronico, provvedimento fortemente voluto dall’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco, si sono dimostrati a dir poco fallimentari. Nelle 5 città in cui è in vigore, i detenuti che usufruiscono del "servizio" non raggiungono il centinaio. In più, dall’ottobre del 2001, da quando la convenzione con il Viminale è scaduta, i gestori del servizio hanno aperto un contenzioso perché non vedono nemmeno più un quattrino: i 30 euro al giorno per ogni detenuto controllato, previsti dalla convenzione, non vengono versati. Da tempo il braccialetto elettronico è legge (decreto legislativo del 24 novembre del 2000), e può capitare che un giudice decida di disporre il provvedimento per un detenuto, anche se nessuno, di fatto, è titolare del servizio.

È la situazione paradossale verificatasi a Milano la scorsa settimana, quando il giudice della terza sezione penale, Angelo Mambriani, ha disposto l’applicazione del braccialetto elettronico per un detenuto comune. Mambriani si è visto rispondere dalla questura milanese che vi era "la disponibilità dei mezzi e che la loro installazione era tecnicamente possibile". Il problema, spiegavano alla questura, era che il Ministero dell’Interno "aveva comunicato che i contratti sottoscritti per l’attivazione dei cosiddetti braccialetti elettronici erano scaduti (fax del 17 marzo 2003)". A questo punto il giudice ha posto una questione di diritto. "Ritiene il tribunale - scrive Mambriani - che tale situazione burocratica non determina ostacolo all’ordine di installazione dello strumento elettronico di controllo". Il giudice milanese sottolinea infatti che un principio stabilito da una legge in vigore non può prescindere da "presupposti di ordine contrattuale o contabile, ma solo dalla loro disponibilità". Il giudice rivela che "la società in questione ha comunque manifestato piena disponibilità ad eseguire le prestazioni di sua competenza, ed ha inviato una missiva nella quale attesta di avere già in altre occasioni proceduto, dopo la scadenza dei contratti avvenuta nell’ottobre 2001, all’installazione dei braccialetti elettronici in esecuzione di ordinanze emesse dall’autorità giudiziaria".

Anche perché le società che due anni fa hanno ottenuto l’appalto, pur non essendo più pagate, se si rifiutassero di garantire le prestazioni rischierebbero l’incriminazione per interruzione di pubblico servizio. "Siamo parificati agli ausiliari di polizia giudiziaria - spiegano dalla Monitoring Italia, l’azienda che gestisce il servizio per la provincia di Milano -. Il problema è che noi siamo pronti a offrire un servizio che garantirebbe a decine di detenuti la possibilità di abbandonare il carcere, ma la misura al momento non viene adottata quanto si sperava alla vigilia. Chiediamo al Ministero dell’Interno di chiudere con il passato per avere provvedimenti certi per il futuro. In Gran Bretagna, grazie a queste tecnologie, sono 6.500 i detenuti che vengono monitorati senza la necessità di restare in carcere". Il problema è che la Monitoring, per esempio, sarebbe pure disposta a estendere la soluzione del braccialetto elettronico anche ad altre province, grazie alla convenzione con due multinazionali, ma dal Ministero dell’Interno, al momento, non arriva alcuna certezza circa l’estensione del provvedimento in tutta Italia. E questo, nonostante la legge preveda l’applicazione nell’intero territorio nazionale. Secondo Mambriani, "laddove il giudice ritenga sussistenti i presupposti legali per l’installazione, è obbligato a prescriverla".

In realtà, al di là dei problemi burocratici e dei contratti non rispettati, la soluzione del braccialetto elettronico come alternativa al carcere sembra ancora un sistema di difficile attuazione. Basta guardare i dati milanesi: in due anni dall’entrata in vigore sono stati in tutto 10 i detenuti che hanno beneficiato di questo trattamento. In più, a due di loro è stato revocato dopo un tentativo di evasione fallito. "Ma il problema è che occorre una maggiore sensibilizzazione, soprattutto da parte dei giudici e degli avvocati - spiegano ancora dalla "Monitoring Italia" -. I dati degli altri Paesi, che da anni lo utilizzano, dimostrano infatti come la soluzione del braccialetto elettronico permetterebbe di impiegare per il controllo dei detenuti un minor numero di forze dell’ordine, consentendo nel contempo al carcerato un miglior reinserimento nella società".

 

 

 

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