Progetto "Oltre le sbarre"

 

Progetto "Oltre le sbarre"

 

La Comunità Papa Giovanni XXIII, da anni opera nell’immenso mondo carcerario sia in Italia sia all’estero (In Bolivia in particolare gestisce un istituto penitenziario per ciò che riguarda l’aspetto educativo di circa 220 detenuti).

Al momento ospita nelle sue strutture circa 250 detenuti in misure alternative che svolgono il programma terapeutico perché tossicodipendenti e circa 50 detenuti comuni che svolgono ugualmente un programma preciso e personalizzato all’interno di case-famiglia o strutture più specializzate.

L’intervento educativo personalizzato nei confronti dei detenuti comuni (non tossicodipendenti) si fonda su alcuni principi di base:

 

Primo: quando il detenuto si pente del suo reato, e si è certi di tale pentimento, è necessario attivare tutte le possibilità affinché resti in carcere il meno possibile. In tal modo il carcere non diventa un sistema vendicativo. Al pentimento devono corrispondere atti concreti che dimostrano un’inversione di volontà, d’atteggiamenti, di sentimenti. Quando è possibile questi si manifestano anche con l’impegno di risarcire le vittime.Molti ex-spacciatori oggi vivono con i tossicodipendenti.

 

Secondo: ogni forma d’aiuto deve essere personalizzata secondo il principio che "non dobbiamo dare le risposte che possiamo, ma quelle che servono al detenuto". Pertanto vanno ricercate attraverso progetti personalizzati, percorsi educativi che tengano conto della persona, delle sue esigenze, età, capacità, cultura, religione, ed anche del suo passato.Il progetto va concordato con gli assistenti sociali e vanno verificati i risultati a medio e lungo termine, poiché non possiamo dichiarare che abbiamo prestato aiuto ad un detenuto se poi, di fatto, l’ex-detenuto continua a delinquere per mancanza di sostegni concreti sia di tipo economico sia morale. La persona va liberata fino in fondo!

 

Terzo: per educare non basta una casa, né un lavoro, ma sono necessari rapporti precisi e ben individualizzati, rapporti di fiducia e amore. Ecco perché è necessario che nel percorso educativo, quando si può, i detenuti sperimentino, il valore di una vera famiglia in cui trova fratelli che mettono la propria vita con la loro 24 ore su 24 per tutto il tempo necessario. In questo tipo di rapporto, molto stretto, emergono molto facilmente sia i limiti sia le risorse della persona accolta. I limiti che emergono sono la base concreta su cui lavorare per un effettivo cambiamento; le risorse vengono condivise con i membri della famiglia che li riconosce come dono. La comunità che s’impegna anche su vari fronti (servizi di vario genere, gruppi giovani, attività sportive, teatrali, musicali, feste, uscite, campeggi, vacanze ecc…), offre in tal modo molte occasioni d’incontri e possibilità che nel suo insieme costituiscono la base di una fitta rete di relazioni significative e terapeutiche.

 

Quarto: condividere con i detenuti, proponendo loro la condivisione con persone in difficoltà, malati psichiatrici, handicappati, emarginati. Il detenuto in questi casi oltre a sperimentare la gioia di donarsi a chi sta peggio di lui si riconosce risorsa per l’altro e non solo soggetto richiedente d’aiuto e concentrato unicamente sui propri bisogni. Ecco perché riteniamo fondamentale che in qualunque posto si trovi ci siano persone "diverse" da lui, anche se con stessa dignità. È il valore dell’eterogeneità presente nelle nostre strutture, che svolgono azione terapeutica rimovendo nel profondo domande di senso molto grosse.

Le oltre 200 casa famiglia, le 30 cooperative sociali, comunità terapeutiche, pronti soccorso sociali e le varie opere della Comunità Papa Giovanni XXIII sparse nel territorio nazionale offrono per quel che è possibile quell’insieme di risposte personalizzate che servono al detenuto per un riscatto vero e definitivo che si rende concreto appunto secondo il progetto "Oltre le sbarre"di cui in seguito spieghiamo più concretamente. La personalizzazione del progetto spesso richiede anche la possibilità di trasferire la persona detenuta da una struttura ad un’altra per rispondere alle necessità ed ai bisogni che emergono durante la messa alla prova. Tutto questo ovviamente si rende possibile grazie alla vastità sul territorio della Comunità Papa Giovanni XXIII che rappresenta, pur con tutti i limiti delle persone coinvolte, una grande risorsa sociale che vorremmo utilizzare a favore della popolazione detenuta.

 

Come lavoriamo in concreto

 

Il progetto "Oltre le sbarre" è mirato a quella categoria di detenuti cosiddetti comuni, vale a dire non tossicodipendenti, e che popolano le nostre carceri.

Secondo le stime più recenti l’80% dei detenuti che escono dal carcere vi ritornano per reati simili ai precedenti. Sono necessari dunque percorsi educativi personalizzati che aiutano l’individuo a liberarsi da comportamenti e mentalità che sono di tipo delinquenziale.

Non basta la casa, non basta il lavoro! Sono necessari aiuti relazionali significativi oltre che la casa ed il lavoro! Con loro dunque abbiamo individuato un percorso a tappe:

 

Prima tappa: il detenuto è conosciuto tramite colloqui personalizzati all’interno della struttura penitenziaria, arricchiti anche da un rapporto epistolare.

 

Seconda tappa: dopo aver sentito il parere degli educatori interni del carcere si valuta la possibilità di permessi premio da proporre al detenuto presso le nostre strutture. Questi possono anche essere diurni.

 

Terza Tappa: continuando i colloqui personali ed epistolari e dopo aver valutato il comportamento avuto dal detenuto durante il permesso premio, sempre dopo aver sentito il parere degli educatori si valuta un periodo di tre/cinque mesi di semilibertà presso le nostre strutture, in modo particolare le cooperative del territorio ma non solo. In tali cooperative di tipo educative (Tipo A) il detenuto si trova a contatto in modo particolare con persone in difficoltà, con handicap di tipo fisico e psichico, e tale incontro si è dimostrato, in questi anni d’esperienza, efficace verso la scelta interiore di un cambiamento definitivo. Ovviamente anche l’incontro con gli operatori e la relazione con loro sono indispensabili.

 

Quarta Tappa: dopo questo periodo al detenuto che ha dimostrato davvero il desiderio di cambiare e soprattutto dopo questa reciproca conoscenza che porta anche ad una reciproca fiducia gli è proposto di andare a lavorare presso cooperative lavorative (Tipo B) in cui sono regolarmente retribuiti.Tali cooperative non sono sempre della Comunità Papa Giovanni XXIII.

 

Quinta tappa: si propone al detenuto l’affidamento presso una struttura di tipo famigliare, in famiglia o casa- famiglia, mantenendo il lavoro.

 

Sesta tappa: dopo l’affidamento, si aiuta il detenuto a trovare una casa autonomamente e a cominciare a gestirsi sempre più indipendentemente. Qualora fosse necessario ci si attiva per tempo per il ricongiungimento famigliare, per l’ottenimento dei permessi di soggiorno, documenti vari ecc…

Queste tappe ovviamente sono indicative, a volte è necessario subito proporre l’affidamento o arresti domiciliari o altro, ma di norma si vorrebbe rispettare il più possibile tale percorso. Altra difficoltà che non sempre permettono tale linearità del percorso dipende dalla difficoltà di trovare posti disponibili.

La forza di tale percorso riteniamo risieda principalmente in due aspetti: l’incontro da parte del detenuto con persone più deboli di loro cui possono rivolgere attenzione, affetto e nella condivisione farsi carico per quel che è possibile di altri, distogliendo così l’attenzione sui propri disagi.

La fitta rete di relazioni che la persona detenuta viene ad avere e che non finiscono allo scadere del fine pena; ne è prova il fatto che molti ancora sono con noi o liberamente collaborano con noi.

Crediamo enormemente che tale percorso sia possibile realizzarlo quando tutte le forze coinvolte collaborino tra loro: volontari, enti ecclesiastici, operatori, educatori, direttori carcerari, ufficio di sorveglianza, Centro Servizio Sociale Adulti, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, imprenditori, amministrazioni comunali, …e ovviamente i diretti interessati, i detenuti, che spesso sono così abituati a non credere in se stessi e negli altri che non sempre sanno riconoscere la validità d’aiuti concreti e la credibilità di chi in loro opera.

 

Giorgio Pieri, Referente serv. Carcere di Zona

Per info: 348.2488101

 

 

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