Lavorare vale la pena

 

L’esperienza del "Centro Orizzonte Lavoro" di Catania

 

Giovani in difficoltà o con esperienze di devianza: condannarli per sempre senza possibilità di appello o sostenerne il riscatto? La storia di un caso.

 

Il problema

 

Anche volendo evitare il rischio della retorica, non possiamo non prenderne atto: chi nasce in famiglie costituite precocemente, devianti o multiproblematiche e vive in contesti degradati e/o deprivati (povertà economica, culturale, di valori) dove si socializza l’agire illegale, va a finire spesso sul ciglio di un burrone. È pertanto almeno ipocrita concepire come successo il fatto che un giovane "delinquente" sia stato scoperto e magari assicurato alla giustizia: dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che per la società si tratta piuttosto di una sconfitta.

Perché, prima di diventare scippatori, tanti ragazzi sono stati loro stessi scippati, spesso, di tutto ciò a cui avevano diritto: una famiglia degna di questo nome, un minimo di benessere, una scuola accogliente, il gioco spensierato, ambienti propositivi e stimolanti, un’educazione religiosa, la vicinanza delle istituzioni, un lavoro onesto.

Se delinquono, sono certamente responsabili. Ma di chi è la colpa? Ciò che è stato loro tolto o negato, nel momento in cui entrano nel circuito penale, deve essere restituito. Per giustizia, non per magnanimità. La pena pertanto non può avere carattere afflittivo, contenitivo, di rassicurazione sociale o, meno ancora, vendicativo.

È in tale ottica, convinti con Don Bosco che non esistono giovani irrecuperabili e che tutti hanno almeno un punto accessibile al bene, è in tale ottica, dicevamo, che la cooperativa sociale Centro Orizzonte Lavoro di Catania nel mese di settembre 2005 ha promosso l’attuazione di un progetto denominato "Articolo 27, 3° comma" (della Costituzione italiana, che vuole si punti proprio sulla rieducazione). L’attivazione del progetto, con i costi che ha comportato, si è resa possibile grazie alla sensibilità dimostrata dal dott. Francesco Seminara, assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Catania e ad un piccolo contributo della Provincia stessa.

Così come anche Giovanni Paolo II aveva più volte auspicato, parlando di detenuti o di detenzione, è stato avviato un percorso educativo e rieducativo che fa leva su un lavoro onesto, interiorizzato, da creare e gestire in gruppo, corresponsabilmente.

Purtroppo ancora, al di là delle leggi e degli ordinamenti specifici che pure esistono, si punta ancora troppo poco sulla capacità di riscatto che può essere innescata dall’educazione al lavoro e dall’inserimento lavorativo "tutorato". In Italia, per esempio, il numero dei detenuti lavoranti sia all’interno che all’esterno delle carceri negli ultimi anni è andato progressivamente decrescendo.

E se trovare lavoro per qualunque giovane oggi è un dramma, per chi esce dal carcere, restandone segnato a vita, diventa una vera e propria tragedia.

Quando, poi, come a Catania, il tasso di disoccupazione giovanile supera il 40% . Avviene così che la mancanza di lavoro diventi la causa principale della recidiva: mentre l’80% dei detenuti torna a delinquere e finisce nuovamente in carcere, il tasso di recidiva dei detenuti lavoranti si abbatte al 15%! Senza opportunità di reinserimento socio-lavorativo, scontata la pena, al giovane non resta (anche perché spesso ha già una famiglia da mantenere) che tornare negli ambienti che lo hanno portato a compiere reati: gli unici ad essere "accoglienti", a dare fiducia, a inserirlo in un contesto dove contare e a dargli un "lavoro".

Quanto detto finora evidenzia l’importanza decisiva di un intervento di prevenzione (secondaria o terziaria quanto si vuole) che valorizzi la parte buona che c’è in ognuno perché, qualunque sia il reato commesso, i giovani restano sempre il terreno più adatto ad un possibile cambiamento.

Se, invece, si lascia che il "vaso" si rompa per una seconda e una terza volta, allora riattaccare i pezzi risulterà sempre più difficile.

 

Gli obiettivi del progetto

 

Secondo quanto evidenziato nelle premesse e in piena coerenza con lo spirito rieducativo della citata norma costituzionale, il progetto si è prefissato di:

a) reperire opportunità lavorative serie, necessarie per consentire ai minori di usufruire dell’istituto della "messa alla prova", alternativo alla detenzione;

b) informare le persone detenute sulla legislazione di riferimento, il mercato del lavoro, le agenzie del territorio, ecc.;

c) fornire servizi di orientamento finalizzati al reinserimento lavorativo;

d) supportare gli utenti coinvolti nella ricerca di opportunità lavorative idonee;

e) promuovere lo sviluppo, in ognuno di loro, di autonomia e capacità progettuale (sapersi organizzare nella ricerca del lavoro e volersi scommettere per costituire una propria cooperativa sociale);

f) fare acquisire una sana cultura del lavoro e del suo valore, con particolare riferimento all’autoimprenditorialità e alla cooperazione sociale;

g) sensibilizzare le imprese attraverso l’informazione sulle leggi che incentivano all’assunzione di persone detenute o ex-detenute e promuovere la conoscenza delle esperienze eccellenti di inserimento lavorativo già realizzate in questi ultimi anni nel circuito imprenditoriale locale.

h) in particolare (e costituisce il principale risultato atteso dal progetto), preparare, costituire e immettere sul mercato una cooperativa di lavoro.

 

Il percorso

 

Effettuate alcune riunioni previe con lo staff della cooperativa per la progettazione esecutiva, il progetto ha preso l’avvio con la presentazione dello stesso alle varie realtà che si era previsto di coinvolgere (enti pubblici e privato sociale) mettendolo a loro disposizione come preziosa risorsa e chiedendo loro di intervenire, segnalando l’utenza da inserire al lavoro e quali partner dell’itinerario progettuale. Per non restare nel vago, a ciascun ente è stato consegnato un fascicolo contenente una presentazione del progetto ed una specifica scheda da utilizzare per la segnalazione e presentazione dei ragazzi.

I risultati, purtroppo, si sono rivelati incredibilmente deludenti: dopo avere contattato, con un consistente lavoro durato più mesi, 85 enti (come si è detto, sia pubblici che del privato sociale) sono stati segnalati appena 7 ragazzi. E ciò in una città come Catania che vanta il triste primato della delinquenza minorile! La cooperativa, lungi dall’arrendersi, si è data da fare e, grazie al decennale radicamento in un quartiere di periferia, ha trovato, accolto e inserito altri ragazzi. E meno male, perché diversi tra quelli segnalatici, per diversi motivi si sono ritirati.

In atto, la nuova cooperativa di lavoro (i ragazzi l’hanno voluta intitolare a Don Bosco) sta per iniziare le proprie attività lavorative come Agenzia di Recapiti. Alla scelta di tale settore d’intervento si è giunti considerando l’assenza di competenze professionali nei ragazzi e dal momento che uno studio pur empirico di mercato ha evidenziato bisogni non soddisfatti e la possibilità di abbattere i costi, rispetto alle agenzie già operanti in loco.

Con la collaborazione degli utenti si sta completando la necessaria fase della formazione iniziale (rinforzo delle motivazioni, formazione al lavoro e all’etica del lavoro, alla cultura imprenditoriale, cooperativa e professionale, alla sicurezza nei luoghi di lavoro, al lavoro in team).

Studiato il mercato locale e la "concorrenza", elaborato un pacchetto di servizi con relativo listino prezzi, con il coinvolgimento di tutti si è promosso il lancio sul mercato della nuova Agenzia di recapiti (già consegnate al domicilio di potenziali clienti circa 2.000 lettere di presentazione dei prodotti, dei servizi e dei costi, grazie alle quali è stato acquisito un primo portafoglio clienti.

La stesura dello statuto ha consentito ai ragazzi di cominciare a capire come si gestisce una cooperativa e, già a partire dalla stesura, come si giunge a prendere decisioni, allorché si hanno pareri diversi. Il ragionamento sulla cooperazione ha consentito di fare chiarezza sulle motivazioni e gli obiettivi di ciascuno, a partire dalle singole individualità e dalla propria storia personale. Dopo un ampio e positivo confronto, alcuni sono rimasti "conquistati" dai concetti di condivisione, democraticità, protagonismo, scommessa, decidendo di aderire da soci; altri hanno preferito dare la propria disponibilità in qualità di dipendenti non soci, almeno per il momento. Questa distinzione, che ha rischiato di creare una rottura, si è poi ricomposta in vista del necessario rispetto delle peculiarità e delle scelte personali. L’inserimento nel percorso di tre tirocinanti, grazie ad un protocollo con il Gruppo Euroconsult, ha costituito una risorsa di fondamentale importanza. Così come la disponibilità a titolo gratuito da parte di un ex allievo salesiano e imprenditore motivato (il rag. Giuseppe Litrico) a svolgere nella fase iniziale la funzione di presidente.

La trentina di clienti (alcuni dei quali di notevole consistenza) che si è dichiarata disponibile ad affidarci le proprie consegne fa ben sperare in vista del raggiungimento dell’obiettivo. Anche perché è chiaro che, finito il progetto con l’avvio dell’attività lavorativa, i ragazzi saranno ancora seguiti finché necessario.

 

Conclusione

 

In chiusura, ci preme sottolineare l’idea madre in base alla quale si è snodato il percorso di inserimento socio-lavorativo posto in essere e che ci sembra abbia conferito carattere innovativo al progetto. Si è scelto di ribaltare le logiche finora dominanti riguardo l’inserimento lavorativo di soggetti marginali, evitando di produrre situazioni protette, garantite, privilegiate e, al tempo stesso provvisorie (come le classiche "borse lavoro"); in una sola parola assistenzialistiche. Alla relazione "assistente-assistito" va sostituito un percorso di inclusione sociale basato sul protagonismo, sulla condivisione e sull’acquisizione di strumenti e di abilità: l’emarginazione può essere vinta solo dalla partecipazione. Infine, perché il "miracolo" avvenga, non può essere sufficiente l’impegno della persona deviante. Occorre il supporto, lungo l’intero percorso, di persone motivate e professionalmente preparate che decidano di com-promettersi nella logica dell’incarnazione. In altre parole, non basta motivare, orientare, formare: bisogna "accompagnare" al lavoro.

Riteniamo che il nuovo nome dell’assistenza sia l’accompagnamento: farsi compagni di viaggio di chi non ce la fa. Fra un semestre torneremo sull’argomento per verificare se e come il sogno sarà divenuto, come crediamo, realtà.

 

Don Enzo Giammello

 

 

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