Dossier Immigrazione 2002

 

12° Rapporto Caritas-Migrantes sull’immigrazione

 

La rilevanza dei lavoratori immigrati nel 2001

 

Risulta che i lavoratori extracomunitari, che costituiscono il 3% del totale delle forze lavoro, triplicano la loro incidenza sulle assunzioni e la aumentano di sette volte sui rapporti che perdurano a fine anno. Uno ogni 10 assunti è un lavoratore extracomunitario, mentre uno ogni cinque posti perduranti a fine anno spetta a un immigrato (per gli italiani la proporzione è di 1 ogni 10). In altre parole, questi lavoratori, in confronto con quelli italiani dei quali ormai si avverte la penuria, vengono assunti con più frequenza e con maggiore facilità vengono tenuti in attività.

 

I paesi di origine dei lavoratori immigrati

 

Per numero di assunzioni troviamo ai primi posti Albania e Marocco, che superano le 45.000 unità. Al terzo e quarto posto seguono Romania e Svizzera, rispettivamente, con 28.000 e 20.000 assunzioni, e poi altri 5 gruppi nazionali che hanno registrato tra  le 10.000 e le 17.000 assunzioni: la ex-Iugoslavia (17.000), la Tunisia (16.800), il Senegal, la Cina (entrambe 13.000) e la Polonia (10.000).

 

I lavoratori immigrati nelle nostre famiglie

 

In Italia sono 227.249 le collaboratrici e i collaboratori domestici assicurati presso l’INPS (il dato è del 1999) e di essi la metà è costituito da cittadini extracomunitari (per i quattro quinti donne). In media in Italia, ufficialmente, vi è una collaboratrice/collaboratore familiare dichiarato all’INPS ogni 256 residenti ma in realtà la presenza è più numerosa. Queste presenze sono così ripartite per continente: ogni 10 presenze, 4 vengono dall’Asia (49.214 complessivamente, di cui 36.606 dalle Filippine) e 2 all’incirca rispettivamente da Europa (18.930, per la stragrande maggioranza dai paesi dell’Est), America (20.499, in larga parte dall’America Latina) e Africa (16.803, di cui 11.470 dall’Africa Subsahariana).

Oltre ai filippini (1 ogni tre colf) i gruppi più consistenti sono quello peruviano (11.847) e quello dello Sri Lanka (9.791). Seguono, con 3.000/4.000 unità Romania, Polonia, Albania e, con 1.000 unità, Brasile, Nigeria, Isole Mauritius ed El Salvador.

Prima di varare l’apposita regolarizzazione, si è stimato che molti lavorino o in nero o senza permesso di soggiorno, anche perché le stesse famiglie ben intenzionate non avevano altro modo di procurarsi il servizio (per la fissazione di condizioni di reddito alte, per la soppressione della sponsorizzazione o la sua insufficiente utilizzazione).

 

Lavoro nero, sponsorizzazioni e regolarizzazioni

 

Un attento incrocio tra gli archivi dell’INPS e gli archivi INAIL consente di concludere che l’immigrazione non è sinonimo di evasione contributiva, perché nel triennio 2000-2002 sono stati circa 900.000, tra lavoratori dipendenti e lavoratori domestici, gli immigrati che sono stati assoggettati a contribuzione.Ciononostante sui lavoratori immigrati pesa una sorta di licenza di evasione contributiva che gli italiani presumono di avere nei loro confronti, come si rileva dai risultati delle ispezioni effettuati dal nucleo dell’Ispettorato del lavoro costituito dai Carabinieri presso il Ministero del lavoro.

 

Immigrato non è sinonimo di disoccupato

 

I dati riportati aiutano a ridimensionare il tasso immaginario di disoccupazione degli immigrati. Il vero tasso di disoccupazione, calcolato come incidenza dei lavoratori soggiornanti per lavoro e privi di un posto sul totale dei permessi per lavoro dipendente ed autonomo,  è del 7,4%, inferiore quindi al tasso di disoccupazione generale italiano (11,4%) con un andamento territoriale differenziato: risulta quasi doppio del tasso nazionale nel Nord Ovest e nel Centro  (8,1%  e 14% rispettivamente contro 4,3% e 7%), identico nel Nord Est (3,6%), e addirittura inferiore nel Sud e nelle Isole (14% contro il 18%).

 

Il lavoratore immigrato come risparmiatore: le rimesse

 

Proprio perché gli immigrati lavorano, sono in grado di sostenere con i loro risparmi le proprie famiglie e, quindi, i paesi di origine. Le rimesse inviate dagli stranieri soggiornanti in Italia nel corso del 2001 sono state 749,4 milioni di euro, con un aumento del 27,4% rispetto allo stesso flusso del 2000: in meno di 10 anni il loro volume è aumentato di ben sette volte (erano 103,2 milioni di euro nel 1992). Se poi la quota di risparmio inviata in patria viene riferita agli 800.000 immigrati soggiornanti per lavoro la rimessa pro capite sale a 937 euro. Volendo tener conto anche degli altri beni inviati in patria si vede che il valore di questi flussi è tutt’altro che trascurabile: per questo motivo è stata rivalutata la funzione trasnazionale che gli immigrati, con questo loro apporto, esercitano per lo sviluppo dei loro paesi.

Rapportando l’ammontare delle rimesse inviate al numero di titolari di permesso di soggiorno si può trovare una misura della capacità di risparmio degli immigrati. Secondo tale indice, nel corso del 2001, le rimesse pro-capite degli immigrati presenti sono passate da 424 euro a 550, con un aumento annuale di 126 euro (+30%).

Il flusso delle rimesse transita anche per vie non ufficiali (pur se pienamente legali) per cui si stima che complessivamente l’importo annuo effettivo sia stato pari al doppio e potrà essere incrementato se questa tendenza al risparmio verrà sostenuta e gli immigrati verranno considerati in maniera più diffusa clienti “normali” delle banche.

 

Dal mondo del lavoro interetnico alla società interetnica

 

La legge è stata approvata ed è ormai operante. E’ questo il tempo di mostrare agli immigrati innanzitutto un atteggiamento di solidarietà e di buon vicinato, adoperandosi per una più vasta e più corretta sensibilizzazione dell’opinione pubblica; quindi è indispensabile assicurare una leale collaborazione con le istituzioni sollecitandone un’applicazione meno restrittiva possibile e promuovere anche a livello giurisdizionale le interpretazioni più aperte sui punti controversi. Solo in questo modo si potrà arrivare nel futuro a una politica migratoria più adeguata.

 

L’Italia è un Paese storicamente destinato a convivere con l’immigrazione

 

Il dibattito politico non sembra recepire adeguatamente la rilevanza strutturale assunta dall’immigrazione, la sua crescente dimensione societaria e le sue prospettive.  A partire dagli anni ’70 la popolazione immigrata in Italia si è raddoppiata ogni dieci anni. Alla fine del 1991 gli immigrati registrati come legalmente soggiornanti in Italia erano 648.935; alla fine del 2001 sono aumentati a 1.362.930. Peraltro, se si tiene conto di tutti i minori e dei nuovi nati, il numero complessivo degli immigrati sfiora le 1.600.000 unità con una incidenza sulla popolazione residente  del 2,8% (1 presenza ogni 38 residenti). In molti altri paesi la consistenza dell’immigrazione è più elevata: un immigrato ogni venti residenti nella media europea, un immigrato ogni dieci residenti negli Stati Uniti d’America (come anche in Germania, Austria, Belgio), un immigrato ogni 6 residenti in Canada e uno ogni cinque residenti in Svizzera e in Australia.

Tenendo conto che molte persone sposate hanno lasciato i figli in patria, che altre devono ancora costituire una famiglia, che ogni anno c’è bisogno di nuove leve lavorative è facile ipotizzare che la presenza degli immigrati è destinata ad aumentare ulteriormente. Il futuro che ci attende sarà di maggiore immigrazione ma non avrà le tinte fosche: potrà essere all’americana (incidenza degli immigrati del 10% sulla popolazione residente), alla canadese (incidenza del 16%) o alla svizzera (incidenza del 20%). Quello che per noi potrà essere il futuro è da molti anni attualità in paesi che noi prendiamo per modelli: questo dovrebbe aiutarci a vincere i timori e le incertezze.

 

Il futuro che ci attende è già presente

 

L’apertura all’immigrazione deve realizzarsi da oggi perché l’immigrazione è una realtà in atto. Nel 2001 i nuovi permessi di soggiorno per inserimento a carattere stabile sono stati 130.000, dei quali la metà è avvenuta per ricongiungimento familiare, mentre nel 2002 non sono state previste quote di ingresso per motivi di lavoro, al di fuori di quelle riguardanti gli stagionali, e questo può avere influito sui flussi irregolari.

La stessa tipologia dei permessi di soggiorno indica una immigrazione radicata: i permessi di soggiorno sono stati rilasciati per il 59% per lavoro, per il 29% per motivi familiari e per un altro 7% per altri motivi anch’essi stabili o comunque di una certa durata (motivi religiosi, residenza elettiva, corsi pluriennali di studio). Si può perciò inquadrare l’immigrazione come una dimensione strutturale della nostra società che, di conseguenza, esige una politica di accoglienza e di inclusione. Si è ancora lontani dal pieno sviluppo del processo in atto. Ad esempio, il fatto che le donne sono attualmente solo il 46% della popolazione immigrata significa che la dimensione familiare non è ancora pienamente radicata, perché il nucleo familiare è legato alla presenza di entrambi i partner e alla presenza dei figli. Oggi molte persone immigrate sposate sono costrette a vivere da sole per la difficoltà di ottenere il ricongiungimento familiare, che è subordinato al fatto di avere un lavoro stabile e un alloggio adeguato: basti pensare che appena un terzo delle persone coniugate ha i figli con sé.

 

Uno spazio interculturale aperto anche ai figli degli immigrati

 

E’ indispensabile costruire uno spazio aperto, dove i nostri figli e i figli degli immigrati siano ugualmente protagonisti.

Solitamente si parla di minori immigrati, dimenticando che i due terzi di essi non sono venuti in Italia ma sono nati qui da noi. Mentre la popolazione immigrata è raddoppiata nel corso di dieci anni, per i minori ciò è avvenuto in appena quattro anni: sono infatti passati da 126.000 alla fine del 1996 a 278.000 alla fine del 2000. Tenendo conto dei nuovi nati (più di 25.000) e dei ricongiungimenti, la soglia delle 300.000 presenze è stata ormai superata. Essi sono ormai un quinto della popolazione immigrata.

Anche il termine “bambino straniero” è improprio, perché si tratta spesso di bambini nati qui, che parlano come i nostri, hanno gli stessi gusti e spesso si distinguono solo per i tratti somatici. Il loro numero ha superato le 100.000 unità solo quattro anni fa ed è arrivato 147.000 nell’anno scolastico 2001-2002 e a 182.000 nell’anno successivo. Sei su dieci sono iscritti alle elementari e alle materne. Ora sono poco meno del 2% della popolazione residente; nel 2017, secondo una stima ministeriale, potrebbero arrivare ad essere 529.000 e incidere per il 6,5% sulla popolazione scolastica.

 

Non invocare Dio per intralciare il cammino della città dell’uomo

L’evento migratorio ha, per così dire, accelerato la storia e ha provocato un confronto culturale e religioso al quale non tutti si era preparati. In questo contesto, sia da parte delle popolazioni locali che dei nuovi venuti, è inaccettabile – come spesso ha ribadito Papa Giovanni Paolo II - scatenare guerre di religione e invocare Dio per provocare divisioni tra i popoli e all’interno della stessa società.

Anche l’Italia, centro del cattolicesimo, e l’Europa, continente profondamente segnato dall’eredità del cristianesimo, sono diventate irrevocabilmente realtà multireligiose. Per stimare l’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia la Fondazione Migrantes si basa sulle percentuali riscontrate nei paesi di origine. Risulta così che la metà è costituita da cristiani, così ripartiti al loro interno: ogni 10 presenze 5,5 sono cattolici, 3 ortodossi, 1,5 protestanti. Al secondo posto vengono i musulmani con il 35,4% e al terzo posto le religioni orientali con il 6,4%. In termini numerici ciò significa 660.000 cristiani, 488.000 musulmani e 88.000 fedeli di religioni orientali: tenuto conto anche dei minori, queste cifre vanno aumentate del 20%. I musulmani sono maggioritari in sei regioni.

 

Saper distinguere tra immigrazione irregolare e richiedenti asilo

 

La realtà di fatto è costituita anche da immigrati irregolari, spinti dalla disperazione che li colpisce nei loro poveri paesi e spesso anche dai trafficanti di manodopera che, senza alcun scrupolo, lucrano somme ingenti sulle loro teste. Il rigore, sempre giustificato quando diretto verso i trafficanti di manodopera, dovrebbe essere temperato da una maggiore dose di umanità quando ci si rivolge a queste persone in difficoltà, memori anche del nostro passato di emigranti.

Il monitoraggio degli ultimi anni indica che, a prescindere dalle coalizioni al governo, la pressione migratoria è stata costante come anche la vigilanza delle forze di polizia. Nel 2001 più di 40.000 sono stati respinti alle frontiere, e altri 34.000 sono stati espulsi con effettivo accompagnamento. Vi è poi un numero imprecisato di persone che sono sfuggite ai controlli e vivono in situazione irregolare, che gli studiosi stimano con grande prudenza tra il 25 e il 33% dei soggiornanti regolari (e cioè 300-350.000 persone). Per loro sono stati varati i due provvedimenti di regolarizzazione, mentre in prospettiva si richiede una politica preventiva basata su una più solida collaborazione con i paesi di origine e sulla riapertura delle quote.

Sorprende e non poco che, quando si parla di sbarchi, si pensa sempre a immigrati clandestini, dimenticando che molti di loro sono dei richiedenti asilo venuti per sfuggire a situazioni di gravissimo pericolo, come avviene per i curdi o quelli provenienti da vari paesi dell’Africa e dell’Asia. I richiedenti asilo sono stati circa 10.000 nel corso del 2001: la maggior parte delle domande presentate è stata respinta, mentre non bisogna dimenticare che molti tra essi non hanno interesse a fermarsi in Italia.

 

 

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