Pensieri sulla Giustizia

 

Sulla giustizia

La persona umana è il massimo valore a motivo della sua intelligenza e libera volontà, dello spirito immortale che la anima e del destino che l'attende.

La sua dignità non può essere svalorizzata, snaturata o alienata nemmeno dal peggior male che l'uomo, singolo o associato, possa compiere. L'errore indebolisce e deturpa la personalità dell'individuo, ma non la nega, non la distrugge, non la declassa al regno animale, inferiore all'umano.

Ogni persona è parte viva e solidale della comunità civile; distaccare chi compie un reato dal corpo sociale, disconoscerlo, emarginarlo, fino addirittura alla pena di morte, sono azioni che non favoriscono il bene comune, ma lo feriscono.

La legge e le istituzioni penali di una società democratica hanno senso se sono tese al ricupero di chi ha sbagliato, se operano in funzione dell'affermazione e sviluppo della sua dignità.

Promovendo il senso della dignità umana - per cui nessun uomo merita di essere emarginato per sempre, ma occorre sperare nella sua capacità di ripresa, di rieducazione - non si incoraggia forse il male? Non si trattano alla stessa stregua la vittima e il carnefice?
Di fronte a chi compie il male, bisogna tacere, lasciar correre?
Assolutamente no, perché equivarrebbe a condividere il male, anzi a premiarlo.
Un intervento contro il male, contro l'ingiustizia e la violenza ci deve essere da parte di tutti, non solo da parte di chi è ufficialmente costituito per questo.
E non si può nemmeno pensare: lo Stato fa giustizia e io pratico il perdono! Tutti dobbiamo essere forti e decisi nel respingere il male: lo esige la coscienza, lo esige la natura delle cose e lo esige la stessa parola di Dio: "Se un tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo ..." (Matteo 18, 15).
Anche la conoscenza profonda di coloro che sbagliano gravemente ci permette di dire che, quando ritrovano la verità di se stessi, almeno in cuore loro ammettono di aver sbagliato e di dover pagare.
La correzione, perciò, è giusta e doverosa, ma va esercitata con umanità, con giustizia, con ragionevolezza.

Spesso mi domando: le leggi, le istituzioni, i cittadini, i cristiani credono davvero che nell'uomo detenuto per un reato c'è una persona da rispettare, salvare, promuovere, educare? Per quanto riguarda le istituzioni, ci vogliono certamente leggi e ordinamenti che difendono e assicurano il rispetto della vita e dell'incolumità di tutti i cittadini. La sicurezza va garantita.

Se tuttavia ci confrontiamo con l'esperienza di chi sta in carcere e di chi sta accanto ai carcerati, scopriamo con amarezza e delusione che la realtà carceraria in Italia (e anche altrove!) spesso non contribuisce al ricupero della persona.

Per un vescovo quella del carcere e dei carcerati è un'esperienza fondamentale e doverosa, perché risuona anche nell'oggi la parola di Gesù: «Ero in carcere e siete venuti a visitarmi» (Mt 25,36).
La condizione carceraria mi coinvolge profondamente nel travaglio sia dei detenuti e dei loro parenti sia degli addetti al servizio, delle autorità e dei legislatori, non pochi dei quali si interrogano sempre più sulle contraddizioni e le sofferenze che la pena detentiva vorrebbe risolvere, ma di fatto non risolve. è un problema estremamente complesso, dai risvolti drammatici.
Chi è stato offeso nei suoi beni, nei suoi affetti, nella vita dei suoi cari non riceve dalla detenzione dell'offensore un risarcimento reale per quanto ha sofferto...

La carcerazione deve essere un intervento funzionale e di emergenza, quale stremo rimedio temporaneo ma necessario per arginare una violenza gratuita e ingiusta, impazzita e disumana, per fermare colui che, afferrato da un istinto egoistico e distruttivo, ha perso il controllo di se stesso, calpesta i valori sacri della vita e delle persone, e il senso della convivenza sociale...

Siamo molto lontani dalla comunità perfetta a cui punta il Vangelo, e quindi abbiamo bisogno di strutture di deterrenza e di contenimento.
Ma il cristiano - se vuole essere coerente con il messaggio di Dio Padre misericordioso che non gode per la morte del peccatore, vuole anzi che si converta e viva e per lui fa festa - non potrà mai giustificare il carcere se non come momento di arresto di una grande violenza.

 

 

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