Il carcere negli ultimi 25 anni

Com'è cambiato il carcere negli ultimi 25 anni

di Antonio Lovati e Giovanni Trolli 


Il problema criminale, con tutto ciò che esso comporta - delitto, amministrazione della giustizia, esecuzione della pena -, è fra i problemi che oggi più preoccupano la società italiana.
Per quanto riguarda l'esecuzione della pena - carcere e alternative al carcere - sono uscite recentemente alcune pubblicazioni della Caritas Italiana [1], del Gruppo Abele [2] e di Antigone [3], che offrono un quadro minuzioso della situazione attuale.
A proposito di carcere noi ci proponiamo invece in questo contributo, non di descrivere la situazione attuale, ma di evidenziare l'evoluzione del sistema penitenziario dalla promulgazione della riforma del 1975 ad oggi: i fenomeni visti nel tempo mettono in rilievo i punti cruciali del problema e possono far intravedere meglio il prossimo futuro.

 

1. L'ordinamento penitenziario

 

L'ordinamento vigente venne promulgato con la Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Tale ordinamento era stato pensato in base alla situazione delineatasi agli inizi degli anni Settanta nella nostra società, tenendo conto anche delle riforme che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, erano state apportate da parecchi Stati europei: in molti di essi il "sistema penitenziario" era stato rinominato "sistema correzionale".
I valori proclamati sono essenzialmente: il riconoscimento dei diritti della persona, anche privata della libertà; il principio della differenziazione fra detenuti imputati in attesa di giudizio e detenuti condannati; la rieducazione del detenuto attraverso un trattamento individuale costituito da istruzione, dal lavoro e da attività culturali, ricreative e sportive; l'introduzione di misure alternative alla carcerazione: regime di semilibertà, affidamento in prova ai Centri di Servizio Sociale per Adulti, arresti domiciliari; norme particolari a favore degli alcolisti, dei tossicodipendenti e dei malati in gravi condizioni; il controllo della Magistratura di sorveglianza durante l'esecuzione della pena.
L'ordinamento ritiene indispensabile la rieducazione del detenuto, la vita comunitaria e di rapporto, per cui si evidenzia esplicitamente il ruolo della famiglia (contatti telefonici, corrispondenza, colloqui, permessi, licenze, detenzione in istituti prossimi alla residenza dei familiari).
Due articoli si riferiscono in particolare al mondo esterno.
L'art. 78 parla di "persone idonee all'assistenza e all'educazione" che possono essere ammesse a frequentare gli istituti penitenziari in qualità di "assistenti volontari".
L'art. 17 prevede la "partecipazione" della comunità esterna all'azione rieducativa dei detenuti e ne esplicita le finalità: "reinserimento sociale dei detenuti e degli internati", promovendo "lo sviluppo dei contatti fra la comunità carceraria e la società libera".
La legge è completata da un Regolamento di esecuzione, contenuto nel DPR 29 aprile 1976, n. 431, Approvazione del regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. Tale Regolamento è stato sostituito dal Regolamento Penitenziario approvato dal Governo il 16 giugno 2000, diventato legge con il DPR 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà [4], ed entrato in vigore il 6 settembre 2000. Ne illustreremo i contenuti innovatori in un prossimo articolo.
Per una decina di anni sono state però introdotte notevoli restrizioni al suo pieno accoglimento, legate essenzialmente al dilagare del fenomeno del terrorismo. Si parla così di un decennio di "controriforma". La situazione è poi mutata: con nuovi provvedimenti, culminati con la legge n. 663/86 (c.d. "Legge Gozzini"), è stata data, rispetto all'ordinamento del 1975, una più ampia attuazione dei dettami costituzionali.

 

2. Il cambiamento della popolazione carceraria

 

La Tab. 1 mostra l'evoluzione della composizione della popolazione carceraria negli ultimi 25 anni. I dati si riferiscono ai detenuti presenti alla fine di ogni anno, di quanti sono tossicodipendenti e di quanti sono stranieri.

Siamo passati da 30 mila a 51 mila detenuti; si pensi, inoltre, che oggi ben 35 mila condannati godono di misure non detentive (sospensione condizionale, arresti domiciliari, semilibertà); è anche noto che, a fronte di 3 milioni di delitti denunciati ogni anno, attualmente vengono identificati solo il 20% degli autori degli stessi, furti esclusi.

 

Tab. 1 - Popolazione carceraria nel periodo 1975-1999

                                                     

       Anno                      Totale detenuti                       Stranieri

1975                           30.726                                           -                                    -
1976                           29.973                                           -                                    -
1977                           32.337                                           -                                    -
1978                           26.424                                           -                                    -
1979                           28.606                                    2.579                                    -
1980                           31.765                                    2.472                                    -
1981                           29.506                                    1.704                                    -
1982                           35.043                                    3.599                                    -
1983                           40.225                                    4.200                                    -
1984                           42.795                                    4.004                                    -
1985                           41.536                                    4.301                             3.945
1986                           33.609                                    6.102                             3.513
1987                           31.773                                    5.221                             3.377
1988                           31.382                                    7.500                             3.084
1989                           30.680                                    7.722                             3.302
1990                           25.573                                    7.299                             4.017
1991                           35.168                                  11.540                             5.365
1992                           45.968                                  14.818                             7.237
1993                           49.983                                  15.135                             7.892
1994                           50.723                                  14.742                             8.481
1995                           46.525                                  13.488                             8.334
1996                           47.386                                  13.859                             9.373
1997                           48.209                                  14.074                           10.825
1998                           47.560                                  13.567                           11.973
1999                           51.604                                  15.097                           14.029


Fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Libro Bianco, Roma 1993;
Gruppo Abele, Annuario Sociale 2000, cit.

Da una esigua percentuale di tossicodipendenti e alcolisti di 25 anni fa si è passati al 30%, ma questa percentuale sembra essersi stabilizzata negli ultimi anni. Norme legislative e circolari dell'Amministrazione Penitenziaria seguono con particolare attenzione la salute dei tossico e alcoldipendenti.
Per gli stranieri, in gran parte extracomunitari provenienti da Paesi poveri, l'incremento è rilevante. Analisi più dettagliate mostrano la notevole diversità da istituto a istituto. Rispetto alla percentuale del 25% a livello nazionale si ha il 32,8% in Lombardia, il 34,6% in Piemonte fino a raggiungere il 47,9% nel Veneto.
I mass media hanno riportato recentemente le parole dell'ex procuratore di Palermo e da poco a capo dell'Amministrazione Penitenziaria, Giancarlo Caselli: "Le carceri sono pieni di poveracci, diventando così un contenitore di emarginazione e marginalità, colme di tossicodipendenti e immigrati, anziché argine contro il crimine organizzato: ci sono pochi mafiosi e nessun colletto bianco" [5].

 

3. Qualità della vita

 

Ecco alcuni giudizi espressi da personalità dell'Amministrazione Penitenziaria.
Emilio Di Somma, Capo della Segreteria, ha detto nel 1995: "E' una contraddizione in termini parlare di qualità della vita in carcere. In carcere non si vive, ma si sopravvive" [6].
Ancora più dure le parole di Luigi Pagano, in un'intervista dello stesso anno, relativa al carcere di San Vittore (Milano), di cui era direttore: "San Vittore venne costruito nel 1879, secondo i nuovi criteri dell'edilizia penitenziaria nordamericana, e in particolare sulla scorta dell'esperienza della città di Filadelfia: un "panopticon" da cui si dipartono cinque raggi dove sono alloggiati i detenuti. Quando venne progettato - nel centro della città e una capienza di mille posti - molti contestarono il carattere faraonico del nuovo istituto. Noi abbiamo qui ora circa 2.400 persone.
"Definirei la situazione di San Vittore oscena e indecente. Il sovraffollamento è la causa prima di tutto ciò. Qui in celle di nove metri quadrati vivono la maggior parte della giornata sei persone, che dormono su materassi per terra. Convivono insieme l'imputato in attesa di giudizio e quindi presunto innocente, con il condannato. Il sano con il sieropositivo. Non abbiamo la possibilità di cambiare le coperte. In casi, frequenti, di piccole epidemie di scabbia, le coperte dovrebbero essere bruciate, ma non possiamo permettercelo, perché non ne abbiamo di nuove. [...] Quotidianamente si convive, nelle minuscole celle, con crisi di astinenza, epatiti, possibilità di contagio. Qualsiasi oggetto degrada immediatamente. C'è carenza di saponette e di carta igienica. La pulizia non è possibile. Questo il risultato di una popolazione carceraria che è almeno il doppio della capienza" [7].
"Le condizioni delle nostre carceri - ha esordito Felice Bocchino, Provveditore della Amministrazione Penitenziaria Lombarda, al Convegno "La dignità della persona al centro della legalità" (dicembre 1999) - non concedono di andare al di là della pura gestione dei corpi dei reclusi".
Nel capitolo intitolato: "Maltrattamenti, violenze, suicidi e atti di autolesionismo" del Primo Rapporto di Antigone (relativo al 1999), Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione, si rilevano una trentina di gravi o quantomeno allarmanti episodi verificatisi o venuti alla luce nel corso del 1999. Il Rapporto si chiude con un lungo e triste elenco di eventi critici: 6.342 atti di autolesionismo, 933 tentati suicidi, 51 suicidi, 78 decessi e 1.224 atti di aggressione.


4. La routine quotidiana

 

Le esigenze delle persone sono così disparate, che è difficile dare un giudizio sulla qualità della vita nei diversi ambienti. La questione è ancora più ardua se ci riferiamo al carcere.
"La vita quotidiana dei detenuti viene scandita da un reticolo di norme molto minute, le quali, a cascata, sono principalmente: il regolamento di esecuzione [...], i regolamenti interni dell'istituto, le circolari dell'amministrazione centrale, le disposizioni dei direttori degli istituti, i programmi di trattamento redatti dall'équipe di esperti e approvati dal magistrato di sorveglianza. I regolamenti interni, diversi da istituto a istituto e talora anche per singole sezioni, non possono essere in contrasto con la legge e il regolamento di esecuzione. E le disposizioni di livello inferiore, a loro volta, non possono essere in contrasto con quelle di livello superiore. Le regole del tutto rigide sono poche. [..] ma si consentono deroghe verso l'alto [...] adottate tenendo conto delle condizioni di fatto dell'istituto [...], della disponibilità di personale [...], ma anche della condotta del detenuto" [8].
La notevole disparità che esiste da istituto a istituto ha suggerito a P. C. di mettere a frutto la sua lunga esperienza di carcerato in un'inedita iniziativa editoriale: una sorta di Guida Michelin delle prigioni d'Italia, con descrizioni di panorami, vitto, alloggio e accoglienza, completa di giudizi espressi, anziché con le canoniche stelle e forchette, con chiavi, gavette e grate. Il giornalista Saverio Lodato ha scritto un vademecum per il futuro detenuto [9]. I nuovi entrati a San Vittore dispongono oggi del testo Come faccio alla mia prima esperienza? E spero ultima, preparato dagli scrivani del IV raggio in collaborazione con il gruppo Cuminetti e con l'educatrice Barbara Campagna [10].
Cosa è cambiato nel carcere?
La prassi della domandina è rimasta inalterata. All'interno del carcere qualunque operazione, anche la più modesta, diviene complessa. Qualunque oggetto deve essere richiesto con uno scritto sul quale qualcuno è chiamato a decidere; qualunque movimento, spostamento, atto giuridico e non giuridico deve essere autorizzato; qualunque iniziativa deve essere comunicata, valutata, discussa, e infine deliberata. Il detenuto interpreta spesso l'esasperante rallentamento prodotto da una burocrazia kafkiana come persecuzione, diniego, sadismo.
Il  vitto è spesso mediocre. Alla fine dello scorso anno sui giornali dei detenuti si è discusso ampiamente del problema, anche in relazione alla rivelazione che il costo per l'Amministrazione Penitenziaria per colazione, pranzo e cena varia dalle 3 alle 5 mila lire al giorno. Si capisce l'impegno di mamme e mogli dei carcerati a portare cibi in occasione delle visite settimanali.
Per l'arrivo degli stranieri, in gran parte di religione musulmana, negli ultimi anni sono stati introdotti cambiamenti per soddisfare le loro, esigenze religiose.
Il servizio sanitario è stato ampiamente sviluppato. A San Vittore, per esempio, in ogni raggio funzionano uno o più ambulatori, con la presenza del medico in determinate ore; negli ambulatori possono essere eseguiti esami del sangue. Un pronto soccorso centralizzato assicura un servizio nell'arco delle 24 ore. Esiste un centro clinico con reparti di ricovero, medicina, chirurgia, urologia, ortopedia, otorinolaringoiatra. Un reparto è riservato per malati psichiatrici. Il detenuto, previa autorizzazione del Magistrato di sorveglianza, può essere accolto per esami, cure e interventi presso ospedali cittadini.

 

5. Il trattamento penitenziario

 

Secondo l'ordinamento penitenziario il trattamento sia all'interno degli istituti sia nell'ambiente esterno presenta contenuti e modalità di approccio differenziati in relazione alla tipologia dell'utenza. Esistono certamente molti il cui comportamento deviante è dovuto più al disagio socio-economico che a una scelta consapevole di vita criminosa, i quali realmente sono in grado di poter avvalersi del trattamento. Presentano invece aspetti particolari i casi che manifestano disturbi più complessi di tipo medico-psichiatrico (i tossicodipendenti, gli alcolisti, i malati di mente) o sono sradicati dal proprio ambiente di vita (gli extracomunitari, i nomadi) o quelli che hanno interiorizzato una scelta di vita delinquenziale o di rifiuto (criminalità organizzata, "colletti bianchi").
Per il condannato e per il detenuto per misura di sicurezza è stabilito un trattamento costituito da interventi volti a sostenere gli interessi umani, culturali e professionali della persona, con lo scopo di promuovere un processo capace di modificare gli atteggiamenti che ostacolano una costruttiva partecipazione sociale. 

Si presuppone, attraverso una osservazione scientifica, di riuscire a comprendere perché la persona abbia compiuto, volontariamente o istigata da altri, azioni delittuose. Identificate le motivazioni di questa scelta, non si può prescindere dall'identificare e valutare pure le cause e le circostanze prossime del delitto. Bisogna inoltre accertare come il soggetto abbia vissuto questa sua scelta e come percepisca la propria posizione in rapporto alla violazione della legge e alla sanzione che gli è stata inflitta. Si deve poi decidere in qual modo intervenire perché l'individuo possa essere restituito al suo ambiente in condizioni di normalità.
L'istruzione, il lavoro e le attività culturali, ricreative e sportive sono i mezzi previsti e tendono a conservare o a fare acquisire attitudini sociali che rientrano fra le caratteristiche delta persona "normale".
L'istruzione è ampiamente sviluppata in tutti gli istituti con corsi di livelli diversi. Daniele Pinardi, lo scrittore che ha insegnato per anni a San Vittore, ricorda: "il 90% dei miei allievi detenuti era in continuo perenne movimento: dentro-fuori, fuori-dentro, dall'avvocato, dall'assistente sociale, dal magistrato di sorveglianza, di nuovo dall'avvocato, trasferiti, ritornati, ritrasferiti, ri-ritornati". Non si dimentichi che dei 51.947ristretti presenti alla fine del 1999, ben 23.949 sono in attesa di sentenza definitiva. Di grande rilievo, comunque, sono i corsi di carattere professionale, che vanno dalla lavorazione del legno, della pelletteria, del vetro e del metallo all'informatica, un tempo esistenti in pochissimi istituti e ora largamente diffusi. A San Vittore è stato addirittura organizzato un corso di "Approccio alle nozioni giornalistiche" per iniziativa dell'Ordine dei giornalisti e dell'Associazione per la formazione al giornalismo (AFG) di Milano.
Il  lavoro è certamente un elemento chiave del trattamento.
Secondo la legislazione vigente è prevista per i condannati e gli internati una attività lavorativa avente le seguenti caratteristiche: obbligatoria, non afflittiva, remunerata, equiparata al lavoro del mondo libero, corrispondente ai desideri e alle attitudini del soggetto, nonché alle condizioni economiche della famiglia.
Ora i detenuti attualmente lavoranti sono circa un quarto del totale e il loro numero è rimasto pressoché invariato negli ultimi 10 anni, pur essendo la popolazione carceraria quasi duplicata. Ma la cosa più grave è che la maggior parte svolge lavori "domestici", cioè da scrivani, scopini, cucinieri, lavandai, ecc., le cui retribuzioni sono modeste e, quel che è peggio, la cui natura non è certo tale da qualificare e rieducare socialmente i reclusi. Le attività di carattere servile finiscono per accentuare ancora di più la separazione fra poveri e ricchi, questi ultimi potendo usufruire di risorse proprie. In questi ultimi anni il lavoro interno è diventato il triste apparmaggio dei detenuti stranieri.
La legge prevede la possibilità di lavoro anche fuori del carcere: il numero di persone che ne usufruiscono è però del tutto irrilevante.
Un tempo molte industrie facevano lavorare i carcerati, ora più raramente. In tempi recenti sono sorte però dappertutto numerose cooperative: a San Vittore, per esempio, ce ne sono cinque: "Nuova Spes", "Out & Sider", "Alicet", "Granserraglio" e "Pelletteria", che danno lavoro a 350 detenuti.
Le attività culturali, ricreative e sportive - un tempo inesistenti - hanno avuto un ampio sviluppo quasi dappertutto. Esse sono collegate alle nuove possibilità di contatto con l'esterno (si ricorda l'art. 17 già menzionato e l'art. 18 che abolisce generalmente la censura su documenti in ingresso e in uscita).
Il trattamento era il cuore della riforma, ma il ristretto numero del personale addetto (educatori e assistenti sociali) impedisce di fatto un esame dello stato individuale (l'osservazione scientifica del soggetto e l'acquisizione dei dati strutturali di base di riferimento), l'elaborazione di un "programma di trattamento" e una azione continua di sostegno e di appoggio individualizzato. Si pensi che a San Vittore, per esempio, gli educatori sono sei per una popolazione molto vicina alle 1.700 unità; non dispongono di alcun servizio di segretariato o altro, per cui sono costretti a scrivere materialmente ogni rapporto, a batterlo a macchina o al computer.

 

6. L'assistenza religiosa

 

L'ordinamento penitenziario riconosce a ogni detenuto il diritto di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. In ogni istituto di pena viene assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico, per la quale è prevista la presenza di almeno un cappellano. Gli appartenenti a religioni diverse dalla cattolica hanno facoltà di chiedere e ricevere l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti.
La presenza di numerosi islamici ha spinto molti direttori a istituire piccoli locali per le preghiere periodiche e a predisporre orari e cibi (privi di carne suina) perché i musulmani potessero adempiere ai propri riti e obbligazioni. Per esempio a San Vittore sono state allestite due "salette islamiche". "Da quando c'è questo luogo di culto, si nota molto l'influenza della religione sul comportamento dei musulmani: prima, in reparto, si sentiva un. continuo, fortissimo vociare, e i nostri compagni stranieri scaricavano le loro tensioni in liti verbali; adesso c'è un silenzio contemplativo, come se tutto fosse diventato un posto di preghiera, avvolto totalmente dal rispetto".

 

7. La voce del detenuto

 

Prima della riforma del 1975, l'informazione nelle carceri era molto carente, i giornali che si acquistavano in carcere venivano sottoposti a censura, con il taglio sistematico degli articoli di cronaca nera o inerenti a processi in corso. Il livello sociale di provenienza della stragrande maggioranza dei detenuti era molto basso: il tasso di analfabetismo era
ancora altissimo, erano molti a non sapere neppure leggere.
L'avvento del televisore in carcere risale ad alcuni anni prima della riforma: si trattava spesso di grossi apparecchi situati nelle sale di ricreazione. Successivamente, tutte le celle sono state in breve tempo munite di televisori, accolti come una grande conquista. Le notizie incominciarono a circolare più liberamente e i giornali che venivano dall'esterno non erano più mutilati dalle notizie; fu consentita anche una radiolina. Le notizie arrivavano ora da fonti diverse, ma quello che più stava a cuore a chi era detenuto e non aveva esperienza di leggi, di diritti carcerari e di opportunità nessuno lo spiegava.
C'era già La grande promessa, il giornale carcerario di Porto Azzurro, che ha oggi più di 40 anni di vita, ma arrivava solo in biblioteca. Per trovare le prime esperienze di giornali carcerari di una certa rilevanza bisogna giungere verso la metà degli anni Ottanta. In molti istituti si proponevano iniziative per un "giornalino carcerario", che però sopravviveva per l'arco di pochi numeri. Poi giunse L'ora d'aria, dove le notizie non erano filtrate: un giornale considerato fra i più seri insieme a Liberarsi dalla necessità del carcere, altro giornale storico attraverso il quale migliaia di detenuti hanno potuto dare voce alle loro proteste e alle loro spesso inascoltate "urla del silenzio".
A questi se ne sono aggiunti successivamente molti altri: ricordiamo Contro senso, Badù e Carros oltre il 2000, Gutenberg, Magazine 2, Mayday, 01tre il Muro, Ristretti. Anche dagli ospedali psichiatrici giudiziari arriva la voce del detenuto: Effatà da Castiglione delle Stiviere e Spiragli da Montelupo Fiorentino.
Ci sono oggi servizi di radio private quali TG Galeotto della Casa di reclusione di Gorgona, TG due palazzi e Radio Sherwood di Padova.
Con Internet si sono aperte nuove prospettive.
Numerosi sono gli spettacoli teatrali e si pensa di organizzare il prossimo autunno una sfilata di moda. Detenuti del Carcere di San Vittore hanno recentemente prodotto un film di 32 minuti girato nell'interno dell'istituto, con detenuti registi, sceneggiatori e protagonisti: Campo corto. Il film racconta una partita di calcio infinita giocata con le squadre che si affrontano nel piccolo cortile di cemento dell'ora d'aria.
In piazza San Pietro a Roma, per il Giubileo nelle Carceri (9 luglio 2000), è approdata un'Arca di legno (24 metri cubi di legno, lunga 20 metri e alta 2),realizzata dai detenuti della Cooperativa del Granserraglio del carcere San Vittore di Milano: rappresenta i sogni e le paure del carcerato.

 

8. L'intervento del volontariato

 

Il volontariato è sempre stato, presente nel carcere (anche se con diverso nome), ma è con la riforma penitenziaria che esso acquisisce una nuova dignità insieme con la consapevolezza di poter giocare un ruolo importante nel processo che dovrebbe condurre al pieno reinserimento nella vita sociale di chi, per ragioni diverse, è stato privato della propria libertà: è recente la costituzione della Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, un tavolo di lavoro comune promosso dal Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, (SEAC), ARCI-Ora d'aria, Caritas Italiana, con la collaborazione della Fondazione Italiana per il Volontariato [11].
Richiamiamo alcune esperienze fatte nel carcere San Vittore, dove, in questi ultimi anni, c'è stata una presenza di 60 volontari ai sensi dell'art. 78 e di 200 in forza dell'art. 17.
Le persone autorizzate con l'art. 78, che appartengono a gruppi fortemente connotati in senso religioso (Sesta Opera San Fedele, Incontro e Presenza), orientano il loro intervento prevalentemente a un sostegno materiale e spirituale: ogni giorno entrano per incontrare individualmente persone bisognose per soddisfare richieste varie, quali fornitura di vestiti, assistenza morale, sostegno alle famiglie, pratiche burocratiche, minimi contributi economici ecc. E'una presenza capillare che non appare in superficie, ma riveste un'importanza fondamentale nell'economia dell'istituto.
Diversa è invece la modalità di intervento di quei volontari i cui ingressi sono regolamentati dall'art. 17. Si tratta di gruppi di persone che operano, attorno a un progetto mirato. Si è assistito a un fenomeno in continua espansione a partire , in particolare, dal Convegno "Carcere e lavoro" del 1992. Dal Convegno nasce il "Progetto Ekotonos", per individuare strategie di intervento nell'area delle tossicodipendenze. Si struttura fin dall'inizio sul principio che è indispensabile agire dentro e fuori l'istituzione e che ci si deve avvalere di diverse risorse: detenuti, operatori, istituzioni pubbliche, organizzazioni di privato sociale e associazioni di volontariato. Troviamo ancora associazioni, come la Corsia dei Servi, che opera nella sezione maschile in particolari attività di promozione umana e culturale e come il Progetto Casina che presso la sezione femminile s'impegna a coltivare gli interessi artistici delle donne. Altre esperienze sono quelle de Il Bivacco e del Centro Zoè.

 

9. La riforma del 19 75 e stata mai pienamente applicata?

I destinatari delta riforma, i detenuti, avevano capito subito e tutto. Ne fanno fede i testi di partecipazione ad un concorso a premi indetto da La grande promessa nel marzo 1981 sul tema: "Cinque anni di riforma carceraria in Italia". La maggior parte avevano espresso il parere che fosse "impossibile attuare i contenuti della riforma a causa delle condizioni inadeguate di ambiente e struttura del carcere. "La riforma carceraria è come una ruota di scorta nuova applicata ad una macchina vecchia e inefficiente"" [12], riferendosi in particolare agli artt. 5 e 6(che fissano le caratteristiche degli edifici penitenziari), all'art. 13 (sull'osservazione scientifica della personalità) e all'art. 20 (sul lavoro).
Alfredo Carlo Moro ebbe a dire, qualche anno dopo: "La legge penitenziaria è un triste esempio di quelle "leggi manifesto" da cui è afflitta la nostra vita istituzionale, di quelle buone intenzioni elaborate dal legislatore (sempre più "uomo dei fini" e sempre meno "uomo dei mezzi") di cui è lastricata la via dell'inferno della nostra realtà comunitaria" [13].
Occorre riconoscere che i cambiamenti che si sono verificati nel nostro Paese in questi ultimi decenni sono stati sconvolgenti e l'adeguamento ad essi è certamente arduo sul piano morale, culturale e giuridico.
Si pensi, ad esempio, al problema degli stranieri. In linea di principio lo straniero in carcere ha un trattamento uguale a quello del cittadino italiano. Ma l'istituzione totale tende a ignorare le diversità, il rigore della norma non conosce i bisogni e le esigenze dell'uomo straniero, anche se la legge privilegia il rispetto della dignità della persona. Il disagio dello straniero dietro le sbarre non nasce soltanto dalla privazione della libertà, ma dalla incapacità e dalla impossibilità di farsi prendere in considerazione e di esercitare i propri diritti personali. E' un detenuto che non ha voce, che spesso vive la spersonalizzazione da isolamento e solitudine.

 

10. Il futuro prossimo

 

Ritorniamo ad analizzare i dati statistici e osserviamone l'andamento.
Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nello scorso mese di aprile, i 51 .862 carcerati vivono in edifici la cui capienza regolamentare è di 37.402 (e quella tollerabile di 42.830). Il numero globale dei detenuti non potrà variare in modo significativo nei prossimi anni.
Potrebbe invece variare considerevolmente la composizione della popolazione carceraria. Massimo De Pascalis (funzionario dell'Amministrazione Penitenziaria), esaminando la situazione degli stranieri, afferma: "La presenza dei detenuti stranieri nelle carceri italiane sta evolvendo in maniera esponenziale, tanto da poter presumere che nei prossimi anni il rapporto attuale 1 a 3 (stranieri/autoctoni) sarà rovesciato" [14].
Si può pensare a un miglioramento della situazione? Da parte nostra lo riteniamo molto difficile, perché il carcere è il  terzo anello di una catena costituita da codice penale, codice di procedura penale e ordinamento penitenziario.
Il codice penale è del 1931. Ha subito nel corso del tempo tali e tante modifiche che il suo impianto originario è stato trasformato radicalmente, ma al di fuori di una coerente impostazione globale. Tesi per un nuovo ordinamento sono state recentemente esposte da Luciano Eusebi al convegno "Per una nuova cultura della giustizia" [15].
Il codice di procedura penale è stato, rinnovato ed è entrato in vigore nel 1992. Ma sono subentrate ancora modifiche, spesso contraddittorie a detta dei competenti. La lentezza nell'approntare qualche modifica è esasperante: per esempio, la predisposizione di alcuni provvedimenti dichiarati urgenti - che rientrano in un "pacchetto sicurezza" proposto dalla maggioranza - è in corso da oltre un anno.
L'ordinamento penitenziario potrà essere certo modificato. Proposte sono state avanzate per istituire tre diversi percorsi: l'introduzione di un difensore civico, (che rilevi gli eventuali abusi che possono accadere negli istituti); l'estensione dell'impiego di mediatori culturali per gli stranieri; l'allargamento dell'applicazione di misure alternative.
Giovanni Tamburino, direttore dell'Ufficio studi e ricerche del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, presentando recentemente una lucida analisi sui "paradossi e le mancanze" del nostro sistema carcerario, sostiene che "la pena detentiva è difficile da gestire e un certo numero di paradossi sono destinati a rimanere insoluti", ma suggerisce alcuni interventi. Conclude osservando che "serve una vera riflessione sulla necessità e i limiti della pena, sull'ordine dei fattori che la governano, su ciò che la società può volere e ciò che non può volere".
"Il sogno di un futuro più giusto passa anche attraverso la riabilitazione dei carcerati": così apre il dossier "Uomini dietro le sbarre" del mensile Popoli [16]. Il fatto è che il carcere è uno spaccato della società. Vi troviamo quindi la tossicodipendenza, la diffusione del virus dell'AIDS, la povertà del Sud del mondo che si accalca alle porte di quello del benessere vero o presunto, 1'espulsione dal contesto economico di figure fragili, la difficoltà di recepire valori da parte dei giovani, ecc.
Non si può quindi non accogliere l'invito del card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano:
"Tutti i cittadini sono chiamati ad assumersi gli oneri necessari per ridurre i fattori che favoriscono le scelte criminali e le zone d'ombra, economiche e sociali, dove la criminalità cresce e si propaga.
"Non bastano le nuove leggi, le riforme strutturali, i rinnovati programmi politici, gli interventi giudiziari, pur importanti e necessari. Bisogna anzitutto agire sulle persone, dall'interno delle persone, contrastando quel processo di massificazione che spersonalizza e aliena. Bisogna appellarsi all'individualità e alla libera volontà di ciascuno: ognuno deve essere trattato e spinto ad agire come "persona umana responsabile", membro vivo e utile dell'intera comunità. Per uscire dal nostro malessere generale, è dunque necessario riscoprire insieme il senso dell'essere popolo, società, comunità umana, fraternità" [17].

Studioso di questioni dell'emarginazione.
Assistente volontario nel carcere San Vittore di Milano.

[1] CARITAS ITALIANA, Carcere e dignità della Pena, Roma 1999.

[2] GRUPPO ABELE,  Annuario Sociale 2000, Feltrinelli, Milano 2000.

[3] ANTIGONE, Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Castelvecchi, Roma 2000.

[4] Cfr Gazzetta Ufficiale, 22 agosto 2000, n. 195.

[5] G. CASELLI, "Solo i poveracci vanno in carcere", in La Stampa, 2 aprile 2000.

[6] E. DI SOMMA, "La qualità della vita in carcere", in Atti Convegno SEAC, Roma 1995.

[7] L. PAGANO, Rapporto degli ispettori europei sullo stalo delle carceri in Italia, Sellerio, Palermo 1995, 15 s.

[8] G. TAMBURINO, "Conoscere il carcere", in MicroMega, n. 1 (2000), 176.

[9] Cfr S. LODATO, Vademecum per l'aspirante detenuto, Garzanti, Milano 1993.

[10] Cfr AA. VV., "San Vittore", in Magazine 2, n. 1 (2000).

[11] Cfr C. COPPOLA, Volontariato e giustizia, Fondazione ltaliana del Volontariato, Roma 1996; L. FERRARI, "Il volontariato impegnato nel penitenziario e nei percorsi di giustizia", in Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Roma 1998; AA. VV., "Il volontariato e il carcere", in Fogli Informazione e Coordinamento, MO.V.I., nn. 1-2 (2000).

[12] A. LOVATI - M. PANETTI  LOVATI, "Cinque anni di riforma carceraria nell'opinione dei detenuti", in Aggiornamenti Sociali, 12 (1981), 790, rubr. 134.

[13] A. C. MORO, "Il rispetto della dignità della persona nelle leggi penali e nell'ordinamento penitenziario", in Atti del Convegno dei Cappellani, Roma 1983.

[14] M. DE PASCALIS, "La detenzione dello straniero: esperienze e proposte su alcuni temi", in Stranieri, n. 1 (1999).

[15] Cfr AA, VV., "Colpa e pena. Per una nuova cultura della giustizia", in Convegno di Bergamo, 13 maggio 2000.

[16]  Cfr AA. VV., "Uornini dietro le sbarre", in Popoli, n. 6-7 (2000), 6-11.

[17] C. A MARTINI, Sulla giustizia, Mondadori, Milano 1999, 54.

 

 

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