Carcere o alternative?

 

Pene detentive o misure alternative?

di Antonietta Pedrinazzi

 

A occupare (preoccupare) grandemente media e società oggi in materia di giustizia è anche la questione della sicurezza; l’argomentazione, a questo riguardo, è incalzante: l’insicurezza cui sono esposti i cittadini è l’altra faccia della criminalità e cresce con essa; della criminalità si occupano polizia e magistratura, e ad esse si delega, di conseguenza, la gestione della questione della sicurezza, insieme al carcere a cui si chiede di "ben custodire-rinchiudere" gli autori dei reati.

L’argomentazione è suggestiva ma viziata nelle premesse, a cominciare dalla prima, secondo cui l’insicurezza è l’altra faccia della criminalità. Infatti, le rilevazioni statistiche ufficiali escludono che all’insicurezza corrisponda fondatamente un’impennata dei reati più gravi (delitti di sangue e di strada) [1].

 

1. Oltre la logica del sorvegliare e punire

 

I dati istat dicono che il 50,3% della totalità delle condanne prevede una pena pecuniaria e solo il 49,7% una pena detentiva; la maggior parte delle condanne a pena detentiva (74,4%) si riferisce a reati per i quali il Codice Penale prevede una pena da 1 mese a 1 anno.

Anche sul versante della delinquenza minorile i dati del Ministero della Giustizia non indicano un aumento numerico né un aggravamento delle tipologie di reato. Alcuni efferati omicidi hanno scosso la pubblica opinione, ma si tratta di episodi, non di grandi numeri o di linee di tendenza della criminalità giovanile.

La paura e l’insicurezza non si vincono con le statistiche, ma queste aiutano a comprendere i fenomeni e a calibrare le risposte istituzionali, a non cadere nell’automatismo che prospetta l’esclusiva efficacia dell’approccio poliziesco alla questione della sicurezza.

"Le nuove condizioni della legalità di uno Stato vanno cercate anche in strategie sociali ed economiche per rispondere alla domanda di sicurezza senza dover ulteriormente investire in repressione penale e nel settore carcerario" [2].

Bisogna cercare la "pena utile": in questa ipotesi, la risposta sanzionativa si sposta dal carcere all’area dell’esecuzione penale esterna e al territorio, dove i rischi legati alla sicurezza, pur molto bassi in verità (la percentuale degli evasi dalle misure alternative è inferiore all’1%), sono ulteriormente riducibili: a) con un sistema di controlli, eventualmente anche elettronici, più appropriato; b) con un’organizzazione dei servizi dell’esecuzione penale esterna più adeguata nei mezzi operativi, nelle risorse umane e professionali, e meglio coordinata.

"La nuova specializzazione in materia di sicurezza urbana risiede proprio nella capacità dei diversi enti di condividere le decisioni" 3. Esemplificativa la situazione della Francia, dotata di significative tradizioni in tal senso 4.

Concludendo su questo punto, osserviamo che oggi si parla spesso di prevenzione, di integrazione, di favorire percorsi di inclusione attraverso l’educazione alla legalità: ora, in campo penale, tutto questo corrisponde a una misura alternativa andata a buon fine  

2. Un cenno di storia sulle misure alternative

 

In Italia, le misure alternative alla detenzione trovano posto nel sistema vigente della esecuzione penale nel 1975 con l’approvazione della legge n. 354 e con il correlato Regolamento di Esecuzione n. 431/76 (riformulato recentemente con il dpr 30 giugno 2000, n. 230) [5].

Un anno dopo l’approvazione della legge n. 354, per l’esattezza il 15 luglio 1976, furono aperti 23 Centri di Servizio Sociale per Adulti (CSSA), strutture dell’Amministrazione Penitenziaria istituzionalmente competenti per la gestione delle misure alternative, in ragione, cioè, di uno per ogni Distretto di Corte d’Appello; dal 1976 al 1981 si aprirono tutti gli altri CSSA nelle località sedi di Ufficio di Sorveglianza, come prevede la tabella "A" allegata alla legge n. 354/75, successivamente modificata dalla Legge 10 ottobre 1986, n. 663.

Attualmente sono in funzione 58 CSSA ed è imminente l’apertura di ulteriori 24 sedi di servizio, dipendenti dagli attuali CSSA, con competenza provinciale e pluri-provinciale. Tutti i CSSA dipendono per le competenze istituzionali dalla Direzione generale dell’esecuzione penale esterna del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (dap), mentre ai Provveditorati Regionali della Amministrazione Penitenziaria (prap) è affidato il controllo amministrativo e di coordinamento operativo locale.

Il personale tecnico dei CSSA, a tutt’oggi, è costituito esclusivamente da assistenti sociali; in tali strutture operano altresì unità di personale civile, con compiti amministrativi e di ragioneria, e, in numero molto limitato, unità del Corpo di Polizia Penitenziaria con funzioni di autista e di portineria e anche per garantire, all’occorrenza, la sicurezza degli operatori. In alcuni CSSA prestano la loro collaborazione a titolo gratuito gli assistenti volontari autorizzati ai sensi dell’art. 78 dell’Ordinamento Penitenziario (d’ora in poi op). Ad esempio, presso il CSSA di Milano è in via di definizione la collaborazione con volontari dell’Associazione "Sesta Opera San Fedele" [6].   

3. Le competenze operative del Servizio Sociale nel sistema dell’esecuzione penale esterna

 

La riforma dell’op (Legge 26 luglio 1975, n. 354) è stata una legge "trainante", di valore anticipatorio nei riguardi della realtà penitenziaria di quel periodo.

Il nuovo op ha avuto il merito di ribaltare l’indirizzo di politica legislativa espresso nel codice Rocco del 1931 e di orientare l’esecuzione penale verso il reinserimento sociale, sottolineando la funzione rieducativa della pena, enunciata nell’art. 27, c. 3, della Costituzione ("Le pene [...] devono tendere alla rieducazione del condannato"), attraverso il principio del trattamento individualizzato e della diversificazione della pena in funzione del grado di adesione del condannato alle offerte di attività trattamentali.

Nel 1975 detto principio (trattamento individualizzato e diversificazione della pena) assurge a linea guida della riforma e il condannato diventa soggetto attivo dell’esecuzione penale, nel senso che gli viene riconosciuta la possibilità di incidere sulla qualità (misure alternative) e sul quantum della pena (riduzione di pena in base all’art. 54 op).

"Sicurezza ed effettività della esecuzione della pena in misura alternativa devono essere in una situazione di equilibrio necessario e sufficiente, consolidato sia con una dimensione vittimocentrica e/o di socializzazione del danno, mediante programmi restitutori, ma anche con le “necessità del reo” in termini di reintegrazione sociale, e quindi di efficacia del percorso trattamentale. Se non si recupera infatti il significato trattamentale delle misure alternative, e la piena adesione del soggetto ammesso a fruirne, è ovvio che tali benefici continueranno — nei fatti — a non avere altra meta che quella di sfollare, di tanto in tanto, gli Istituti penitenziari e/o sottrarre i condannati a una esperienza detentiva.

"Va però sottolineato come gli istituti giuridici generalmente ricompresi nella dizione “misure alternative”, ovvero l’affidamento in prova al servizio sociale, l’affidamento in casi particolari (per tossicodipendenti ed alcooldipendenti), la semilibertà e la detenzione domiciliare, siano diversificati tra loro non solo sotto il profilo dei requisiti d’accesso, ma anche e soprattutto dal punto di vista dei contenuti.

"Si tratta, potremmo dire, di un sistema che gradualmente si espande dal massimo della sicurezza (vedi pena detentiva) al massimo del trattamento (vedi affidamento), passando attraverso modalità di esecuzione di pena intermedie come la semilibertà e la detenzione domiciliare, secondo una lettura valutativa delle situazioni soggettive del condannato, della sua capacità di rispettare delle regole di condotta (prescrizioni) e di aderire a percorsi di cambiamento (contratto trattamentale). Variano pertanto sia la dimensione dell’impegno richiesto al condannato sia la tipologia di intervento che viene attivata dai CSSA" [7].

Si tratta dei servizi istituiti con la stessa legge di riforma penitenziaria del 1975, le cui competenze operative sono così definite:

a) I CSSA prestano, su richiesta delle Direzioni degli Istituti Penitenziari, opera di consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario (art. 1 op) e partecipano all’attività di osservazione scientifica della personalità (art. 13 op) nell’ambito della équipe di osservazione e trattamento nei confronti dei condannati e degli internati.

b) I CSSA svolgono le indagini socio-familiari su richiesta della Magistratura di Sorveglianza per fornire i dati e gli elementi conoscitivi occorrenti per la concessione delle misure alternative, della liberazione condizionale, per la riabilitazione e l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e della remissione della pena.

c) I CSSA provvedono a "prestare la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive" (art. 72, c. 4, op); più specificamente "il servizio sociale svolge compiti di sostegno e di assistenza nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, al fine del loro reinserimento sociale" (art. 55 op).

d) Nel regime di semilibertà (art. 48 op e successive modifiche) — modalità di esecuzione della pena detentiva che consente all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto penitenziario per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale — le competenze del CSSA si concretano in attività di vigilanza e di assistenza, mentre la responsabilità del trattamento è demandata al Direttore dell’Istituto Penitenziario,  (dpr n. 230/2000, art. 101: "Regime di semilibertà").

In tema di misure alternative alla detenzione, la giurisprudenza della Suprema Corte sottolinea la differenza che intercorre tra la semilibertà e la più ampia misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 op):

a) L’affidamento è concesso quando i risultati dell’osservazione del condannato (sia quella condotta collegialmente per almeno un mese in carcere, sia quella ab externo effettuata dal Servizio Sociale ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 47 op come riformulato dalla legge n. 663/86, detta "legge Gozzini") consentono un giudizio prognostico positivo sul suo reinserimento nel contesto sociale.

b) La semilibertà si fonda, invece, sui progressi compiuti nel trattamento durante la detenzione e sulla idoneità dell’attività da intraprendere ai fini della rieducazione del condannato e del suo reinserimento nella collettività (Cass. Pen., Sez. 1, 15 ottobre 1992).

 

a) Affidamento in prova

 

Per quanto riguarda le competenze del CSSA nella gestione dell’affidamento in prova, esse sono così sintetizzabili: "controlla la condotta dell’affidato e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con il suo ambiente di vita" (art. 47 op, c. 8); "riferisce periodicamente al Magistrato di Sorveglianza sul comportamento del soggetto" (art. 47, c. 10); è altresì competente per l’affidamento in prova in casi particolari (art. 94 del tu n. 309/90), ovvero l’affidamento concesso ai tossicodipendenti e alcooldipendenti che abbiano in corso un programma di recupero o che intendano sottoporvisi; a esso compete anche la responsabilità dell’affidamento in prova del condannato militare (art. 1, c. 3, della legge n. 167/83); infine, controlla l’andamento del programma terapeutico dei malati di aids (art. 47 quater della legge n. 231/99).

Se nella semilibertà le competenze del Servizio Sociale si concretano in attività di vigilanza e assistenza su richiesta della Direzione dell’Istituto, nell’affidamento in prova sono attribuite direttamente al CSSA le funzioni di controllo e aiuto nei termini poco sopra riportati.

Il "controllo" e "l’aiuto", che l’art. 47 op, c. 8, indica come elementi che caratterizzano l’intervento del Servizio Sociale nell’affidamento in prova, costituiscono due distinti indirizzi di azione. Il problema della validità tecnica di un intervento di servizio sociale in una situazione determinata autoritativamente dalla Magistratura di Sorveglianza (attraverso la sottoposizione a obblighi di condotta — prescrizioni — la cui osservanza il Servizio Sociale stesso è chiamato a controllare) è stato da tempo studiato e concettualmente risolto [8]. Le prescrizioni vincolanti dettate dalla Magistratura costituiscono un elemento della realtà che il soggetto vive durante l’esecuzione dell’affidamento e che l’Assistente Sociale del CSSA considera insieme all’affidato come un termine obiettivo, un confine che non può essere superato senza conseguenze (sospensione e anche revoca della misura alternativa).

 

b) Detenzione domiciliare

 

La misura, contenuta nell’art. 13 della legge n. 663/86 e inserita nell’op all’art. 47 ter, ha costituito una delle novità di quella riforma. Nel concedere la detenzione domiciliare il Tribunale di Sorveglianza ne fissa le modalità di esecuzione. Il controllo è affidato alla Polizia di Stato. Il Tribunale stesso determina le modalità d’intervento del Servizio Sociale. Quando la detenzione domiciliare (o l’affidamento) sono concessi a un condannato malato di aids in condizioni di salute incompatibili con la detenzione (legge n. 231/99, art. 47 quater dell’op), al CSSA sono delegati compiti di sostegno e controllo sull’attivazione del programma terapeutico.

 

c) Detenzione Domiciliare Speciale

 

La Detenzione domiciliare poteva già essere concessa, in base all’art. 47 ter dell’op, alle madri di figli in età inferiore ai 10 anni che stanno scontando una condanna non superiore ai 4 anni. La nuova normativa introduce l’art. 47 quinquies, che estende la detenzione domiciliare, denominandola speciale, anche alle madri condannate a una pena superiore ai 4 anni: le prescrizioni vengono stabilite dal Magistrato di Sorveglianza mentre il controllo del rispetto del programma è affidato al CSSA. Il luogo può consistere nell’abitazione, ma anche in una casa di accoglienza. Per poter accedere a questa misura occorre aver scontato un terzo della pena o almeno 15 anni in caso di condanna all’ergastolo; inoltre non deve sussistere un concreto pericolo di commissione di nuovi delitti. Se la madre è deceduta o impossibilitata a occuparsi dei figli, la misura può essere applicata al padre che sia a sua volta detenuto. Quando il figlio compie il decimo anno di età, il Tribunale di Sorveglianza può disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per la semilibertà; negli altri casi può decidere di concedere l’assistenza all’esterno ai sensi dell’art. 21 bis dell’op (assistenza esterna dei figli minori: Legge 8 marzo 2001, n. 40, art. 5).

 

d) Libertà controllata

 

La libertà controllata, concedibile per pene sino a 6 mesi, comporta la necessità di osservare le prescrizioni stabilite dall’art. 56 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, capo iii: "Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi". Il Magistrato di Sorveglianza può disporre che il CSSA svolga interventi idonei al reinserimento sociale del condannato.

Il controllo sul rispetto delle prescrizioni spetta all’Ufficio di pubblica sicurezza del luogo ove si svolge la misura, ovvero al Comando dell’Arma dei Carabinieri. Il CSSA, nel caso dell’applicazione della sanzione sostitutiva, svolge, su richiesta del Magistrato di Sorveglianza, interventi di sostegno al fine di favorire il reinserimento sociale del condannato.

 

e) Lavoro sostitutivo

 

La legge n. 689/81, capo v: "Disposizioni in materia di pene pecuniarie", statuisce che, nel caso in cui la pena da convertire non sia superiore a 516,46 euro (l’equivalente di un milione di lire), essa possa essere convertita, su richiesta dell’interessato, in lavoro sostitutivo anziché in libertà controllata.

Le modalità di esecuzione sono fissate dal Magistrato di Sorveglianza, che ne fissa il termine iniziale, sentito, ove occorra, il Servizio Sociale, tenuto conto delle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato, e osservando le disposizioni dell’op. Il lavoro sostitutivo consiste in prestazioni di attività retribuite, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, gli Enti locali o presso Enti, organizzazioni, corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile, di tutela dell’ambiente naturale o d’incremento del patrimonio forestale.

 

f) Lavoro di pubblica utilità [9]

 

Con l’ordinanza di sospensione il giudice incarica un ufficiale di polizia giudiziaria o un operatore del servizio sociale dell’Ente locale di verificare l’effettivo svolgimento delle attività riparatorie o risarcitorie. "L’ambiguità di  questa norma è evidente perché non fa distinzione tra un ufficiale di polizia giudiziaria e un operatore di servizio sociale. Non si comprende bene come l’operatore dell’Ente locale possa svolgere un compito così specifico e rivolto prevalentemente al controllo senza una adeguata formazione, mentre nessuna menzione viene fatta dei Centri di Servizio Sociale per Adulti (CSSA) che da anni hanno maturato una competenza delle misure alternative, relativamente al controllo sull’osservanza degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità, compito affidato esclusivamente alle forze di sicurezza" [10].

 

4. Considerazioni sugli obiettivi e sui metodi

 

Scrive Chiara Canullo — assistente sociale in servizio presso la Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna del dap —: "L’obiettivo principale è quello di concretizzare e realizzare una serie di interventi secondo un modello di lavoro “per progetti”, proprio della metodologia di rete. La principale caratteristica di tale approccio è quella di ristabilire, nel processo di aiuto, una nuova “centralità dell’utente” riconoscendolo dotato di un sapere esperienziale che deve essere utilizzato per ridefinire continuamente gli obiettivi e rinforzare-rinnovare continuamente i legami sociali, favorendo così il processo di costante negoziazione tra i diversi protagonisti della realtà sociale. Il target, quindi, non è più costruito dal solo singolo utente, ma dalle diverse parti che compongono la rete sociale. Si tratta di operare il passaggio da un paradigma fondato su un approccio individuale a un altro fondato sul concetto e la metodologia del case management che presuppone la capacità di cogliere le interconnessioni tra dimensione individuale e dimensione sociale" [11].

Il risultato operativo di quanto suesposto è una logica programmatica, una modalità progettuale, con verifiche e valutazioni dei risultati raggiunti. Nello specifico, si tratta di allargare la rete dei potenziali "alleati" istituzionali e sociali del CSSA nella gestione di processi di aiuto, rispetto a tre obiettivi: effettività della misura, reintegrazione sociale, aspetto riparatorio della pena.

A tal fine, a partire dagli anni 1992/93, sono state finanziate le prime iniziative relative a progetti di inserimento lavorativo di soggetti tossicodipendenti in esecuzione penale esterna al carcere. Tali iniziative, realizzate attraverso la stipula di convenzioni con imprese, cooperative sociali, Enti locali e istituzioni del privato sociale, si sono articolate in borse-lavoro, corsi di avviamento professionale, avvio di attività artigianali, borse di studio.

Per quanto concerne l’aspetto valutativo degli interventi attuati dai CSSA, la Direzione Generale ha avviato diversi progetti, tra i quali spicca il progetto "Ercole" per la valutazione degli interventi di inserimento lavorativo in favore di soggetti tossicodipendenti in esecuzione penale esterna al carcere, progetto a carattere triennale (tuttora in corso) finanziato ai sensi dell’art. 127 della legge n. 309/90 per la cifra di un miliardo di lire.

 

5. Riflessioni sui numeri e sui risultati

 

Misure alternative: 1° semestre 2001.

Casi seguiti per tipologia e per età - Tabella 1

 

Classi di età

 

 

18-29

30-39

40-49

+49

n.r.

Tot.

Affidamento in prova:

 

 

 

 

 

 

. Tossicodipendenti

dalla libertà

706

2.522

857

126

3

4.214

. Tossicodipendenti 

dalla detenzione

258

682

222

37

1

1.200

. Dalla detenzione

363

929

745

612

1

2.650

. Dalla libertà

1.268

3.563

2.999

3.740

12

11.582

. Militari

192

16

3

2

0

213

Totale

2.787

7.712

4.826

4.517

17

19.859

Semilibertà

 

 

 

 

 

 

. Dalla detenzione

250

829

825

532

2

2.438

. Dalla libertà

40

125

96

56

0

317

Totale

290

954

921

588

2

2.755

Detenzione domiciliare

 

 

 

 

 

 

. Dal carcere

332

809

556

696

1

2.394

. In libertà

616

1.438

1.143

1.599

3

4.799

. Provvisoria

240

374

230

210

1

1.055

Totale

1.188

2.612

1.929

2.505

5

8.248

 

Nell’ufficio del CSSA di Milano dal 1° gennaio al 31 ottobre 2001 sono stati avviati 4.313 casi da seguire, tra i quali 1.623 affidati e detenuti domiciliari; invece i casi seguiti dal 1° gennaio al 31 ottobre 2001 sono stati 7.513, di cui 3.436 affidati e detenuti domiciliari. L’incremento rispetto all’anno precedente dei soggetti in esecuzione penale esterna al carcere è stato di circa il 30% (un quadro della situazione a livello nazionale è riepilogato nelle Tabb. 1 e 2). Si tratta di un’utenza varia, formata da un insieme di soggetti disomogeneo per tipologia di reati, di percorsi devianti, per livello di istruzione, curriculum formativo-professionale e ambiente di provenienza.

"Poiché il territorio di competenza del CSSA di Milano è costituito dalle province di Milano e Lodi (area ad alto sviluppo industriale piccolo, medio e grande e ricca di agenzie per l’impiego anche private) gli utenti riescono a inserirsi dal punto di vista occupazionale sia pure — spesso — in modo precario e non regolarizzato. Tale precarietà non sempre è sentita come negativa, in quanto consente flessibilità, maggiori vantaggi economici nell’immediato e non richiede — da parte del datore di lavoro — quella particolare documentazione (certificato penale, libretto di lavoro aggiornato, ecc.) che il soggetto ha difficoltà a produrre. Ma esiste anche una parte di utenza che transita dal CSSA totalmente esclusa dal mercato del lavoro per caratteristiche soggettive, ambientali e sanitarie: è questa l’utenza che richiede un impegno particolare per realizzare un inserimento lavorativo che consenta di conseguire livelli accettabili di qualità della vita, indipendenza e autonomia dal nucleo familiare, quando non anche solo un livello minimo di sopravvivenza e di salute" [12].

In sede locale, il CSSA di Milano ha predisposto un progetto di avviamento al lavoro dei soggetti stranieri extra-comunitari privi di permesso di soggiorno, in collaborazione con la Direzione Provinciale del Lavoro, Servizio Politiche del Lavoro. Sono stati avviati contatti con "Formaper" (Camera di Commercio di Milano) per l’organizzazione di corsi relativi all’autoimprenditorialità rivolti (si prevede) a 15 persone.

In collaborazione con il Comune di Milano, Ufficio Formazione al Lavoro, e con l’enaip Lombardia csf (Centro Sociale Formativo) Giovanni xxiii è stato effettuato l’inserimento di 10 allievi nel progetto formativo di "Magazziniere-addetto alla gestione informatizzata del magazzino".

Inoltre il CSSA di Milano in collaborazione con l’associazione Biblioteche Carcerarie e con il Centro Europeo Teatro e Carcere ha predisposto un progetto di "Organizzazione di una biblioteca con annesso centro di documentazione e informazione", che troverà attuazione non appena si renderà disponibile lo spazio necessario; l’iniziativa si colloca all’interno di "Ali d’Autore" [13].

Infine, il CSSA di Milano partecipa al Progetto "Struttura penitenziaria e territorio: progetti di fattibilità per la costruzione di una rete per il reinserimento di persone con hiv-aids in strutture residenziali protette o nelle loro realtà di vita", promosso dall’associazione asva, Cascina San Vincenzo di Concorezzo (mi), e finanziato dal Ministero della Salute; nel primo anno della sua attivazione (2000) nella comunità-alloggio sono stati inseriti 7 soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale, mentre 10 è il numero delle persone beneficiarie di uno specifico programma personale di reinserimento attuato negli anni 2000 e 2001.

Rispetto all’utenza tossicodipendente, le misure alternative si configurano come uno strumento importante, poiché portano a ridurre o a evitare la carcerazione (si pensi, per contrasto, all’attuale stato di sovraffollamento di molte carceri italiane e allo stato di inattività in cui versa la maggior parte dei detenuti). La misura alternativa consente di mantenere i contatti con i servizi e di utilizzare le risorse offerte dal territorio (borsa lavoro, cooperative sociali, corsi Fondo Sociale Europeo). "Questo aspetto parrebbe risultare vantaggioso anche per i soggetti cocainomani che, avendo una scarsa consapevolezza del rischio e del proprio disagio, non si rivolgono personalmente ai servizi: il potere-volere accedere alle misure alternative può costituire un’occasione di aggancio alle strutture socio-riabilitative" [14].

Ma bisogna considerare alcuni aspetti di criticità. In primo luogo il lungo intervallo che intercorre tra la domanda e la concessione della misura alternativa: può trattarsi a volte anche di anni e, allorché viene concessa, la misura può concorrere a creare uno squilibrio nella persona, che nel frattempo può aver cambiato stile di vita.

Un secondo nodo critico è costituito dal fatto che coloro che sono in attesa della concessione della misura alternativa si trovano in uno stato di "limbo" molto pericoloso, in quanto non sono ancora obbligati ad aderire a un programma e non hanno delle prescrizioni di comportamento da rispettare.

Un ulteriore rilievo critico riguarda i programmi terapeutici, che spesso non sono personalizzati e calibrati sulla singola persona, e perciò risultano alla prova dei fatti poco efficaci.

Da sottolineare, infine, la difficoltà da parte di alcuni Magistrati di Sorveglianza di lavorare "in rete" e nel rispetto dei rispettivi ruoli e funzioni.   

Benefici concessi alla popolazione detenuta - Tabella 2

 

 

a

b

c

d

e

f

Valori assoluti

 

 

 

 

 

 

1991

104.068

244

3.988

2.292

9.863

16.387

1995

141.491

556

12.760

3.018

13.540

29.874

1999

135.679

850

22.616

2.533

11.921

37.920

Numero indice

(1991=100)

 

 

 

 

 

 

1991

100

100

100

100

100

100

1995

136

227,9

320

131,7

137,3

182,3

1999

130,4

348,4

567,1

110,5

120,9

231,4

(a) Presenti al 31 dicembre 1999

(b) Ammissione al lavoro esterno

(c) Affidamento in prova al Servizio sociale

(d) Semilibertà

(e) Permessi premio

(f) Totale beneficiari

6. Conclusioni a proposito dell’area penale esterna (la c.d. probation)

 

Molte considerazioni si possono fare al riguardo, a partire dalla penuria di ogni tipo di risorsa, che diventa sempre più evidente per l’incessante crescita del fenomeno da gestire. I CSSA possono contare operativamente su poco più di un migliaio di operatori, appartenenti alla professione di assistente sociale, e non su altro tipo di figura professionale. A tali strutture operative, che gestiscono circa il 25% del "fatturato annuo dell’azienda penitenziaria", l’Amministrazione oggi destina circa il 2% delle risorse di cui dispone. Sul piano tecnico, va rilevata l’inadeguatezza del ricorso a una sola professionalità, quella dell’assistente sociale, affidataria e responsabile di tutti i processi di servizio, in un’organizzazione che deve fornire alla società servizi di elevata complessità e specializzazione.

Si è detto più sopra che il fenomeno si presenta in crescita; le migliaia di condannati in esecuzione penale esterna, i più dalla libertà, si suddividono in tante tipologie aventi caratteristiche sociologiche e criminologiche complesse e diverse tra di loro. "Non occorre essere raffinati tecnici dell’organizzazione per comprendere che problematiche molteplici e differenziate possono (devono) essere affrontate solo con un bagaglio di risposte almeno altrettanto molteplice e differenziato, proveniente da professionalità e specializzazioni diverse. Guardando alle soluzioni adottate negli altri Paesi europei, rileviamo che nei servizi di probation del Regno Unito, Irlanda, Norvegia, Portogallo e Spagna vengono assunti assistenti sociali, educatori, psicologi, laureati in legge o avvocati, insegnanti, pedagogisti e sociologi, mentre in Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo troviamo assistenti sociali, educatori e psicologi; infine soltanto in Austria e Paesi Bassi vi sono esclusivamente assistenti sociali. Come si vede, anche Paesi arrivati più tardi dell’Italia alle misure alternative, come la Spagna e il Portogallo, hanno scelto la multiprofessionalità.

"L’Amministrazione Penitenziaria, attraverso i CSSA, non offre un servizio efficiente alla società; a meno che non si vogliano far passare per un’efficiente attività di controllo visite eseguite, nel migliore dei casi, con frequenza quindicinale, in fasce orarie limitate (tra le 9.30 e le 13.30) e in giornate che il condannato può facilmente prevedere, oppure semplici inviti a presentarsi presso l’Ufficio. Se tali standard potevano, forse, essere considerati accettabili nel passato, certamente non lo sono ora.

"Si potrà discutere se utilizzare la figura dell’operatore di probation, o se individuare un’altra figura che abbia compiti più centrati sul controllo (come l’operatore di vigilanza introdotto nel settore minorile con l’ultimo contratto integrativo, per i minorenni sottoposti a sanzioni non detentive). Certamente non si può continuare a stazionare a lungo nell’attuale situazione: bisognerà decidere come e con quali strumenti l’Amministrazione, tramite i CSSA, dovrà misurarsi anche sul terreno, attualmente ben poco presidiato, del controllo delle pene eseguite in forma non detentiva" [15].

Ma come i servizi si possono e si devono trasformare, anche all’uomo condannato, detenuto o affidato, come a qualsiasi altro uomo, va riconosciuta la possibilità di cambiare, dentro di sé, nei suoi valori, e fuori di sé, nei contenuti della sua esistenza. La condanna può essere "solo" coercizione e privazione della libertà, ma può diventare un significativo segmento della vita dell’uomo e l’"alternativa" può avere anche la forma e la voce della speranza: la ragionevole speranza della vita a venire e del potere ancora fare di sé, dopo l’errore e dopo l’espiazione, il proprio personale "umile capolavoro".

Ci sia consentito concludere, in una lingua diversa da quella giuridica, prendendo a prestito un commento di Enzo Bianchi: "è necessario [...] per compiere l’opera grande, iniziare da se stessi, percorrere il cammino della Teshuvah, del ritorno, e quindi raggiungere gli altri uomini con la coscienza che un uomo autentico contribuisce alla trasformazione del mondo solo attraverso la propria trasformazione" [16]. 

* Direttore Coordinatore di Servizio Sociale, in servizio presso il CSSA (Centro di Servizio Sociale per Adulti) di Milano.

[1] Cfr Pepino L., "La città insicura e l’impossibile supplenza giudiziaria" , in Questione Giudiziaria, 5 (1999).

[2] Pavarini M., Intervento nel Forum "Lo spazio della sicurezza comune", in Narcomafie, 10 (1994) 17 ss.

[3] Bouchard M., "Le risposte possibili alla criminalità diffusa", in Storia d’Italia. Annali, vol. 12,  Violante L. (ed.), La criminalità, Einaudi, Torino 1997, 1036.

[4] Cfr Lyon-Caen P., "Un’esperienza di politica giudiziaria della città in Francia", in Quaderni di città sicure, Gruppo Abele, Torino 1999, 129.

[5] Cfr Lovati A. - Trolli. G., "Il nuovo Regolamento del regime carcerario", in Aggiornamenti Sociali, 5 (2001) 432-441.

[6] Cfr Occhetta F., "Sesta Opera San Fedele - “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi”", in questo stesso fascicolo alle pp. 421-430.

[7] Giuffrida M. P., "L’area penitenziaria esterna e il Centro di Servizio Sociale per Adulti del Ministero di Giustizia", in Autonomie locali e servizi sociali, n. 3, dicembre 2000, 427.

[8] Cfr Conférence Européenne de la Probation (CEP), Atti del convegno tenutosi a Sigtuna (Stoccolma) nel giugno 1990.

[9] Il lavoro di pubblica utilità è stato introdotto dal Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274.

10 Muschitiello A., "La parola dell’Assistente sociale", in Giustizia riparativa e riforma del Giudice di pace, Atti del seminario del 28 marzo 2001, a cura della Caritas Ambrosiana.

[11] Canullo C., Relazione presentata al Convegno nazionale su "L’intervento di Giustizia: ragionando sui metodi" (Sassari, novembre 2000).

[12] Dalla relazione finale degli assistenti sociali del CSSA di Milano che hanno partecipato al progetto "Polaris", "Percorsi di orientamento e lavoro assistito per il reinserimento in impieghi stabili di persone in esecuzione penale", promosso dal DAP nel 2000 in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma.

[13] Progetto di promozione della lettura fra i detenuti e i soggetti in esecuzione penale esterna al carcere promosso dal Ministero della Giustizia, Ufficio Centrale Detenuti Trattamento, e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali, Divisione Editoria.

[14] Maisto F., "Tossicodipendenti, giustizia penale e dintorni", in Questione Giustizia 4 (2000).

[15] Petralla E. V., Intervento "A proposito di area penale esterna", in Le due città, rivista dell’amministrazione penitenziaria, n. 9, settembre 2001, 35 ss.

[16] Bianchi E., "Prefazione", in Buber M., Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico (II), Qiqajon, Magnano (BI) 1990, 10.

 

 

Precedente Home Su Successiva