Centro San Fedele

 

Bisogni e Giustizia  

notiziario del Centro Culturale San Fedele

 

Gennaio – Febbraio 2002

 

È davvero l'occasione o non è piuttosto il bisogno a fare l'uomo ladro? O forse il problema consiste nel definire di quale genere di "occasione" si tratti, che cosa abbia causato il bisogno...

Ci sono i cleptomani che rubano per semplice piacere di autoaffermazione prepotente, Ci sono quelli che hanno già molto, ma rubano per avere sempre di più. Questi non usano grimaldelli o temperini a serramanico, ma rubano alla grande e in guanti bianchi e, ironia della sorte, sono molto rispettati da tanta gente. I più sfortunati sono i ladri e i violenti per fame, per maleducazione, per disperazione, per fretta di avere il sufficiente, ecc.

A San Fedele, ogni sabato pomeriggio, si tratta del problema dell'immigrazione - e dei tanti problemi che essa comporta - con l'aiuto di molti esperti […]. Ma tra le tante riflessioni e questioni sul tappeto una appare particolarmente importante e necessaria: quella che riguarda la giustizia e la responsabilità, la riabilitazione e la riconciliazione nei confronti di chi ha commesso degli errori a causa di un qualche bisogno.

Se siamo convinti che sia il bisogno a fare l'uomo ladro, dobbiamo considerare che quando la giustizia interviene condannando le persone alla detenzione, lo fa per impedire loro di nuocere ma anche per offrire a ciascuno la possibilità di crescere, maturare, responsabilizzarsi... Questo è il compito e non l'utopia della pena. In questa direzione dunque, nel mattino e pomeriggio di sabato 26 gennaio 2002, è stato organizzato un convegno da parte della "Sesta Opera" di San Fedele (un'associazione di volontari che rispondono ai nostri giorni al richiamo di Gesù: "Ero carcerato e siete venuti a trovarmi", Mt 25,36).

È premessa fondamentale affrontare le cause dei comportamenti che rendono le persone pericolose. Ma bisogna anche chiedersi se la detenzione carceraria sia in grado di offrire un'opportunità di riscatto o non sia solo il modo di segregare, respingere, isolare, rifiutare chi ha sbagliato (e sentirsi respinti è l'esperienza più desolante che ci sia e può portare i più fragili all'autoannientamento).

Anche i ladri e i violenti sono persone con potenzialità di bene, sommerse nel dramma del bisogno espresso o n modo subdolo o in modo violento. Se vogliamo estrarle dalle sabbie mobili dalle quali nessuno può uscire da solo, è necessario cominciare con il cambiare noi stessi. Da spettatori arrabbiati perché derubati o colpiti, è difficile vedere il germe di bene che c'è in ognuno, anche nei più affogati nel crimine. Ma è proprio ciò che Giovanni Paolo II - pur senza parlare espressamente di carcerati - dice nella lettera apostolica Novo millennio ineunte: "Prima di programmare iniziative concrete [nel nostro caso processi, carcere …] occorre promuovere una spiritualità della comunione facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo".

E più avanti si afferma la necessità di sentire il fratello come "uno che mi appartiene" (perché è umano come me), "per saper  condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità di comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio".

Il problema del ladro sarà esaminato e risolto dal giudice. Ma il nostro problema, di come comportarci davanti a un ladro e a un violento, può essere risolto solo da ognuno di noi, se ci si convince a fare spazio nel nostro cuore al desiderio di sviluppare nell'altro il poco di bene che c'è nonostante tutto il male che possa aver fatto. Certo che è difficile, e può apparire ingiusto, ma l'amore che Dio ci mostra e ci chiede va oltre la giustizia che scivola facilmente nella punizione vendicativa e non nell'invogliare alla conversione. E' facendo sentire concretamente di amarlo, che il criminale può essere aiutato ad alzarsi in piedi e riacquistare dignità umana. Credo che la civiltà di un popolo si riconosca da come tratta i cosiddetti malvagi: predisponendo una vendetta infernale oppure promuovendo una graduale ma decisa riabilitazione.

Gesù ha detto "Si fa più festa in cielo per un peccatore pentito, che per mille giusti".

 

 

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