Newsletter n° 22 di Antigone

 

Newsletter numero 22 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: Grazia e Giustizia

Il Vaso di Pandora: l’Osservatori regionale del Lazio, di Roberta Bartolozzi

Salviamo la vita a Jihad Issa, di Fiorella Barbieri

Antigone consiglia, a cura della Redazione

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: Grazia e Giustizia

 

Una volta si chiamava Ministero di Grazia e Giustizia. Da qualche anno però, nonostante sul palazzo di Via Arenula compaia ancora la parola grazia, il Ministero ha cambiato nome espungendo da sé il termine grazia. E lo ha espunto sia formalmente che nei fatti. Se guardiamo le statistiche dell’Ufficio Grazie del Ministero della Giustizia, nell’era Castelli c’è stato un tracollo. Più volte è stato usato un argomento pretestuoso contro la grazia a Sofri e Bompressi, ossia "pensiamo ai poveracci" e non a chi ha dietro una lobby e amici potenti. In realtà il numero insignificante delle grazie concesse dimostra la pretestuosità dell’argomento addotto. Negli anni immediatamente antecedenti al 2001 il numero delle persone graziate era circa il doppio. Castelli ha usato sistematicamente il suo potere interdittivo e la sua inerzia repressiva sino a svilire il ruolo del Capo dello Stato a qualcosa di meno di un semplice funzionario di cancelleria.

La disputa tra Castelli e Ciampi sollecita alcune riflessioni nel rapporto tra grazia e giustizia, tra legge e giustizia. Lasciando ai costituzionalisti la disquisizione sul significato della controfirma ministeriale, va detto che è difficile immaginarsi la grazia quale un atto nella disponibilità politica e discrezionale del Guardasigilli. Costui è titolare di un ministero che ha tra le sue prerogative quella di assicurare il buon andamento della giustizia. Di questo e non di altro deve occuparsi. Deve garantire pertanto una giustizia che nella sua ordinarietà e nella sua quotidianità dia esecuzione al principio che la legge è uguale per tutti. Una giustizia, quindi, che riesca a essere efficiente ed equa, efficace e giusta. Sempre nell’era Castelli all’interno dei tribunali è invece comparsa la scritta "la giustizia è amministrata in nome del popolo". E se il popolo (quale popolo, quello italiano o quello padano?) vuole che sia violata la legge? E se il popolo invoca la pena di morte? Chi ne valuta i desideri e gli umori profondi? Il popolo, secondo Castelli, non vuole atti di bontà e di clemenza, ma chiede severità e rigore.

La grazia invece è un corollario della giustizia, che a sua volta non sempre coincide con la pedissequa applicazione della legge. Antigone seppellisce il fratello contravvenendo alla legge della città. Può esserci conflitto tra giustizia e legge. La giustizia degli Dei è altra e superiore cosa rispetto alla giustizia degli uomini, ci suggeriva Sofocle. E allora, se la giustizia degli uomini non riesce a ridurre i danni di una legge ingiusta, non rimane che la grazia. Chi amministra la legge della città non può avere la lucidità e l’imparzialità per correggerne gli errori. E chi allora, se non il massimo rappresentante delle istituzioni e dei cittadini, può attraverso la grazia restituire giustizia? D’altronde il bon ton istituzionale è stato calpestato in questo conflitto di attribuzioni. Il Ministro Castelli ha deciso di trasformare un Guardasigilli (nome che etimologicamente fa pensare, lui sì, a certificatore di decisioni altrui, a mero appositore di bolli) in Sceriffo, in Guardiano del Popolo. Nome molto simile ai guardiani della rivoluzione della teocrazia iraniana. Pontida come novella Teheran.

Speriamo che la Corte Costituzionale in termini rapidi dia ragione a Ciampi. E speriamo che Ciampi, subito dopo, anche lui in termini rapidi, dia la grazia prima a Bompressi e poi a Sofri e poi ancora ad altre donne detenute e ad altri uomini detenuti, così attenuando i danni di una giustizia che non sempre riesce a cogliere nel segno, a tenere in equilibrio bilancia e misura.

Eppure il Ministro dal palco di Pontida insiste che nessuna Consulta lo potrà mai costringere a firmare un provvedimento di grazia a Sofri, che lui è dalla parte di Abele, che se fosse per lui andrebbe gettata la chiave della cella di Sofri. Fortunatamente a Pisa e a Firenze ci sono funzionari e magistrati del suo Ministero che, con altra sensibilità e cultura giuridica, hanno concesso a Sofri il lavoro all’esterno del carcere, e precisamente all’Università. Questa volta, in attesa della clemenza, è intervenuta la legge a restituire umanità alla giustizia. Nel 1986 Mario Gozzini, cattolico e comunista, riuscì a cambiare l’ordinamento penitenziario introducendo il principio della flessibilità della pena a garanzia della sua conformità al dettato costituzionale. Molti hanno provato a cambiare quella legge, in parte ci sono riusciti. Fortunatamente resiste un nucleo resistente, che ha consentito a funzionari e giudici di affrancarsi dalla dicotomia manichea Caino-Abele e di far uscire dal carcere un detenuto nei cui confronti la sanzione penale ha perso ogni possibile funzione, salvo che non si vagheggi un pericoloso ritorno al retributivismo. Ogni atto di grazia serve anche a negare l’idea che la pena sia una vendetta.

 

Il vaso di Pandora. L’Osservatorio regionale del Lazio, di Roberta Bartolozzi

 

Da questo numero si apre sulla newsletter una nuova rubrica fissa, intitolata "Il vaso di Pandora", gestita dalle strutture regionali dell’Osservatorio di Antigone. Un’occasione per avere approfondimenti sulle situazioni penitenziarie delle varie regioni, per scambiarsi esperienze specifiche, per un momento di elaborazione a seguito del lavoro locale dell’Osservatorio. Ogni mese pubblicheremo gli interventi di uno o più Osservatori regionali. Cominciamo oggi con quello laziale.

Un servizio pubblico per accompagnare alle visite i familiari dei detenuti reclusi nelle quattro carceri di Rebibbia a Roma. È stata inaugurata lo scorso 15 giugno la linea 330 dell’ATAC, un bus-navetta da otto posti che fa la spola tra la stazione della metropolitana e gli Istituti penitenziari di Rebibbia Femminile, Rebibbia Terza Casa, Rebibbia Penale e Rebibbia Nuovo Complesso. Si tratta della realizzazione di un progetto nato dalle richieste delle stesse detenute di Rebibbia Femminile e accolto dal Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Roma, Luigi Manconi, che si è avvalso della collaborazione dell’Assessorato alla mobilità del Comune e, naturalmente, dell’ATAC. Garantire i diritti delle persone recluse passa, tra le altre cose, attraverso il raggiungimento di obiettivi come questo, che testimoniano di un modo anche molto concreto di intendere l’attività degli uffici locali dei Garanti. Come ha detto lo stesso Manconi: "Di fronte all’enormità dei problemi del sistema carcerario, quello dei minibus è solo un piccolo e modesto provvedimento, ma abbiamo bisogno di molti, moltissimi piccoli e modesti provvedimenti per rendere la condizione dei detenuti e dei loro familiari meno disumana e incivile di come oggi è".

Un esempio, questa linea pubblica, per tutte le case di reclusione che hanno l’handicap di sorgere al di fuori dell’area urbana, come è il caso, nel Lazio, delle carceri di Viterbo, Civitavecchia e Velletri. Facilitare i collegamenti significa idealmente abbattere le distanze tra carcere e mondo sociale, e ovviamente non solo quelle di carattere spaziale. Evitare ai parenti dei detenuti lunghe marce in orari improbi significa tendere una mano in direzione dell’integrazione ed evitare a queste persone disagi inutili a livello di fatica fisica e anche psicologica.

Per fare un esempio, basta pensare al carcere Mammagialla di Viterbo, la cui situazione è apparsa al nostro Osservatorio in tutta la sua drammaticità: una struttura monumentale, creata negli anni ‘90 sulla via Tiberina, che soffre della sindrome da isolamento. Mancano i mezzi pubblici, e quei pochi che ci sono hanno orari che mal si conciliano con le esigenze dei familiari e con quelle del personale. Altro esempio è anche il carcere di Cassino, che pur sorgendo all’interno del centro abitato non ha mezzi pubblici di collegamento diretto, e la stazione ferroviaria è da lì raggiungibile solo attraverso le corse dei taxi. E i taxi costano. È chiaro poi che, nonostante la linea 330 sia nata per agevolare gli spostamenti dei familiari dei detenuti, si rivelerà utile anche ai lavoratori penitenziari e ai residenti di Casal dè Pazzi.

Il ruolo che può svolgere un Garante è proprio quello di allentare le tensioni anche attraverso la realizzazione di progetti che abbiano un’utilità condivisa. D’altronde nell’esperienza anglosassone sono stati i sindacati di polizia a chiedere l’istituzione del Prison Ombudsman.

In strada dal lunedì al venerdì tra le 7,30 e le 14,30, il sabato dalle 7,30 alle 15,30 e la domenica dalle 8,30 alle 13,30, i minibus percorrono via Casal dè Pazzi e via Bartolo Longo, da dove fanno ritorno verso la linea B del metrò, passando in via Raffaele Majetti e in via Tiburtina ed effettuando fermate di fronte a tutti e quattro gli ingressi degli Istituti. Per contattare l’Osservatorio regionale del Lazio: osservatoriolazio@associazioneantigone.it

 

Salviamo la vita a Jihad Issa, di Fiorella Barbieri

 

Ci sono diversi motivi per cui Antigone sostiene oggi l’appello per Jihad Issa, palestinese, di 42 anni, che dopo 21 anni di carcere, una decina dei quali scontati in esecuzione penale esterna, il 15 giugno di quest’anno è stato convocato dalla questura per la notifica del fine pena, ma è contestualmente stato inviato al Cpt di Ponte Galeria, in attesa di espulsione. La motivazione è che, in quanto sprovvisto di documenti, per la Bossi-Fini da ora in poi egli risulta immigrato clandestino.

Nato e vissuto nel cuore dei Territori occupati, in un villaggio presso Hebron, arrestato a Roma nell’ottobre 1984, quando aveva 21 anni, e condannato per l’attentato ad un diplomatico degli Emirati Arabi, nel carcere di Rebibbia Jihad, dopo aver imparato l’italiano, ha frequentato un istituto tecnico fino a conseguire il diploma di programmatore informatico. Durante il percorso penale esterno ha inizialmente lavorato in una Casa famiglia, assistendo ragazzi portatori di handicap, e poi come tecnico e insegnante di informatica presso una Cooperativa specializzata nel settore.

Per molti anni ha costruito la sua vita, le sue relazioni di lavoro e personali, sottoposto ad un rigorosissimo e continuo controllo da parte di organi di Polizia, Questura e Carabinieri: in quanto detenuto, ma ancor più come detenuto palestinese, in ogni momento caldo della questione mediorientale - sempre, quindi - Jihad Issa ha avuto sul collo l’attenzione che ancor prima dell’11 settembre ha indotto gli organi preposti a tenere un monitoraggio serrato dei suoi spostamenti, delle sue attività, delle sue relazioni, sia di lavoro che private. Impossibile quindi considerarlo pericoloso. Le relazioni dei magistrati danno conto di una condotta regolare - dal 2004 gli era stato concesso anche l’affidamento - e di una piena integrazione con l’ambiente esterno.

È quindi un caso limite quello di un uomo che da diversi anni ha una casa, degli amici, una compagna con cui convive, è iscritto all’Università, può mantenersi; ha infatti un lavoro stabile e paga le tasse, ha stabilito ottimi rapporti sia con i datori di lavoro che con gli studenti dei suoi corsi, si è del tutto integrato in Italia, l’unico luogo che lo possa accogliere.

Jihad Issa non può infatti legittimamente essere trasferito in qualche altro paese, tantomeno nel suo: la sua stessa vita sarebbe in pericolo, come testimoniano anche le autorità della sua città e lo stesso sindaco di Hebron che ha scelto di inviare una lettera in cui dichiara che se fosse lì non se ne potrebbe garantire l’incolumità.

Un’altra lettera dei suoi anziani genitori dà conto di quanto tragica sia la loro situazione. Jihad è infatti il primo di dieci figli di una famiglia che ha subito in vario modo dure persecuzioni; negli ultimi anni i fratelli sono stati arrestati e sono nelle carceri israeliane, ancora senza processo e senza poter essere visitati neanche dall’avvocato. Il punto di riferimento della famiglia è di fatto il secondo figlio, che è cieco e che a suo tempo, a causa dell’occupazione israeliana, non ha avuto accesso a tutte le terapie che l’insorgere della malattia avrebbe richiesto. È comunque oggi membro attivo della comunità palestinese, è impegnato per il sostegno dei portatori di handicap e ha per questo incarichi istituzionali, anche per conto delle Nazioni Unite; per questo viaggia spesso, anche negli USA, per seguire stage e progetti internazionali di assistenza.

Sono quindi evidenti i motivi per cui a sostegno di questo caso hanno ritenuto di pronunciarsi oltre a Patrizio Gonnella, che rappresenta oggi Antigone, anche chi l’ha presieduta negli ultimi 15 anni, Mauro Palma, oggi membro per l’Italia del CPT, il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, organo istituzionale del Consiglio Europeo, e Stefano Anastasia, da poco eletto presidente della Conferenza Nazionale del Volontariato della Giustizia.

Il 7 luglio l’udienza presso il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Roma dovrà decidere della pericolosità sociale di Jihad Mohamed Issa, quindi della sua espulsione giudiziaria, quella comminata in sentenza, peraltro revocabile. A questo giudizio è collegata la disposizione che spetterà al Giudice di pace, riguardante l’espulsione amministrativa legata alla Bossi-Fini.

È un caso in cui appare chiaro come l’espulsione rappresenterebbe una contraddizione rispetto ai principi costituzionali riguardanti quelle che debbano essere le finalità della pena in Italia, quei valori che oggi dovrebbero consentire di poter operare legittimamente all’interno della società a una persona che è finora riuscita ad adattare la sua esistenza di lavoro, e non solo, compatibilmente con le regole degli ambienti nei quali via via si è inserito.

Oltre a tutto lo staff di Antigone, a firmare l’appello in sostegno di Jihad sono stati in molti, non solo personalità del mondo delle istituzioni, politico e culturale, accademici e giuristi, ma anche coloro che sono stati direttori del carcere di Rebibbia negli anni in cui lui era lì e che a suo tempo hanno ravvisato ragioni sufficienti per concedergli i vari gradi dei benefici: sia Massimo Di Rienzo, attualmente direttore in un altro istituto, che Massimo De Pascalis, oggi Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, sostengono l’appello in suo favore non solo per motivi umanitari, ma perché evidentemente ritengono ci siano buone ragioni per potersi fidare ancora una volta di lui e concedere questa chance alla sua vita. Il sito sul caso di J.I. è: www.dirittoalfuturo.info; per ulteriori adesioni, e-mail: dirittoalfuturo@libero.it

 

Antigone consiglia, a cura della Redazione

 

È appena uscito, ed è disponibile presso le migliori librerie, il nuovo libro di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella Patrie galere - Viaggio nell’Italia dietro le sbarre, Carocci editore. Le mura, le sbarre, la fatica di viverci e quella di lavorarci. Un viaggio nelle carceri italiane nell’epoca di una nuova grande trasformazione. Dall’immatricolazione all’uscita le ansie, le speranze, le storie di chi è costretto in galera in nome della legge e per conto di una società sofferente, che chiede alla pena e al carcere di essere rassicurata dalle paure che la tormentano.

È uscito, inoltre, un nuovo volume della collana "I Quaderni di Antigone", dal titolo Europa. Carcere, penalità, lavoro, a cura di Alessandra Naldi, Sinnos Editrice.

Il volume - secondo prodotto del lavoro di ricerca che l’Associazione Antigone ha svolto nell’ambito del Progetto Equal "Araba Fenice" - presenta i risultati di un’indagine transnazionale sulle legislazioni, gli strumenti esistenti e le prassi adottate nei paesi europei per favorire il reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure penali, con un riferimento particolare alle indicazioni contenute nelle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia di penalità e carcere. Il libro è disponibile presso la sede dell’Associazione, è possibile richiederlo contattando la segreteria di Antigone allo 065810299 o via mail scrivendo a associazione.antigone@tin.it

 

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Giovedì 7 luglio alle ore 15.00, a Torino presso la Camera Penale "Vittorio Chiusano" del Piemonte occidentale e Valle d’Aosta, Palazzo di Giustizia "Bruno Caccia" - C.so Vittorio Emanuele II 130 - sc. e - p. 1° - st. 75 presso la sala - biblioteca del Consiglio dell’Ordine - aula 74, ingresso 18, primo piano, si terrà la presentazione del libro Antigone in carcere, Terzo rapporto sulle condizioni di detenzione a cura di Giuseppe Mosconi e Claudio Sarzotti.

Presentazione di Claudio Sarzotti - Professore ordinario di Sociologia del diritto - Università di Torino. Ne parleranno con l’autore: Maria Pia Brunato - Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino; Francesco Gianfrotta - Presidente agg. della Sezione G.I.P. Tribunale di Torino; Davide Mosso - Consiglio Direttivo Camera Penale; responsabile commissione esecuzione penale. Moderatore: Cosimo Palombo - Presidente Camera Penale "Vittorio Chiusano".

 

 

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